29 March, 2024
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Non c’è futuro senza radici. Occorre riscoprire la propria coscienza di comunità per acquisire la forza di combattere lo spopolamento. Una forza che risiede nel proprio cammino e che viene da una lunga storia fatta di piccoli e grandi uomini capaci, con il proprio esempio, di dare lezioni di vita, di etica, di umanità. Gli stessi uomini che sabato all’ex convento Francescano sono stati ricordati dagli studiosi Michele Pinna, Stefano Alberto Tedde e Giuseppe Zicchi nel corso del convegno intitolato “Coscienza di paese – personaggi e vicende padriesi”, suscitando l’interesse attento e partecipe della popolazione.

L’iniziativa, organizzata dall’Istituto di studi e ricerche Camillo Bellieni in collaborazione con l’Amministrazione comunale, ha permesso di conoscere figure importanti come il teologo Pietro Paolo Prunas, gli accademici Giovanni Antonio Virdis, Giovanni Pinna Farrà e Carlino Sole, ma anche artisti come il celebre “cantadore” Gavino De Lunas, professionisti del dopoguerra come gli esponenti sardisti Salvatore Sale, Antonio Cambule e Totoi Mura e l’ex insegnante e politico Orazio Porcu. I relatori hanno saputo tenere alta l’attenzione facendo ampi riferimenti ad aneddoti, fonti d’archivio e inediti autografi.

«La mancanza di lavoro non è l’unico motivo per cui i paesi si spopolano – ha spiegato Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be. ci sono fattori che vanno al di là del mero aspetto economico, e sono legati alla coscienza collettiva, alla capacità di riscoprire il proprio valore in quanto comunità.»

Il sindaco Alessandro Mura e l’assessore della Cultura Pangela Dettori hanno espresso compiacimento per l’ottima riuscita dell’iniziativa. «Stiamo puntando da tempo a riscoprire la memoria rafforzando il tratto identitario – ha affermato il primo cittadino -. Ci accorgiamo che la gente partecipa con interesse e con vivo entusiasmo a queste manifestazioni, proprio perché si parla degli antenati che hanno reso onore al nostro paese.»

A conclusione dell’evento, è intervenuto a sorpresa Orazio Porcu, l’unico personaggio padriese ancora in vita tra quelli ricordati durante il convegno. Al fianco della presidente del Bellieni, Maria Doloretta Lai, Orazio Porcu ha raccontato gli esordi nella vita politica a Padria, il ricordo delle piccole cose all’apparenza insignificanti ma che stanno alla base della nostalgia, e le esperienze di vita, di insegnante e di politico.

Orazio Porcu ha rivolto l’invito a indagare figure di illustri cittadini di passaggio, come Stanis Dessì, che negli anni della guerra fu sfollato proprio a Padria. Poi, un secondo invito all’Amministrazione comunale, affinché il Museo Civico possa essere intitolato a Carlino Sole, meritevole di aver recuperato tanti reperti storici. La manifestazione è inserita tra le attività che celebrano il trentennale della fondazione dell’Istituto Bellieni.

 

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Cosa hanno in comune personaggi come il leggendario “cantadore” Gavino De Lunas e il teologo Pietro Paolo Prunas, o gli accademici Giovanni Antonio Virdis, Giovanni Pinna Farrà e Carlino Sole? E ancora  l’insegnante e politico Orazio Porcu e gli esponenti sardisti Salvatore Sale, Antonio Cambule e Totoi Mura?

Le loro origini: erano tutti di Padria.

Per scoprire le storie degli uomini e le personalità che più hanno caratterizzato questa antica comunità della Sardegna, sabato 27 luglio, alle 18.00, nell’ex Convento Francescano di Padria, l’Istituto Camillo Bellieni in collaborazione con l’Amministrazione comunale organizza l’evento “Coscienza di paese – personaggi e vicende padriesi”.

Dopo i saluti del sindaco Alessandro Mura e dell’assessora alla Cultura, Pangela Dettori, interverranno Michele Pinna, direttore scientifico del Bellieni, Stefano Alberto Tedde, esperto di archivistica e Giuseppe Zichi dell’Università di Sassari. Tra le autorità, salvo contrattempi, è attesa anche la partecipazione del presidente della RAS, Christian Solinas.

Tra i padriesi più celebri di cui si parlerà sabato, vi è certamente Gavino Luna, meglio conosciuto come “De Lunas”, voce indimenticabile della tradizione canora, tra i primi a incidere sui 78 giri in vinile i suoi capolavori alla “logudoresa”. Lo attendeva però un destino tragico. Sarebbe stato trucidato dai nazisti nelle fosse ardeatine.

Altra importante figura presa in esame sarà quella del teologo Pietro Paolo Prunas, che diede il suo sostegno economico, attraverso il sistema allora in uso dell’associazione, per la pubblicazione delle opere di Pietro Martini, Giovanni Siotto Pintor e Pasquale Tola, divenuti classici della storia della Sardegna.

Saranno passate al setaccio le vite dei padriesi che hanno fatto strada nel mondo accademico. A iniziare da Giovanni Dettori Virdis, due volte rettore dell’Università di Sassari, poi Giovanni Pinna Ferrà, ordinario di Economia politica e Carlino Sole, docente associato dell’Ateneo turritano e autore di numerosi saggi.

Si spazierà anche nell’ambito di chi abbia ricoperto il ruolo di attivista politico. Tra questi l’insegnante Orazio Porcu, che fece parte del “gruppo maestri” della rivista “Ichnusa” fondata e diretta da Antonio Pigliaru, fu sindaco di Berchidda e consigliere regionale sotto la presidenza di Mario Melis.

Quindi tre grandi sardisti, a iniziare da Salvatore Sale, successore di Camillo Bellieni alla guida del Psd’az, caposcuola e maestro di una lunga tradizione politica che a Padria avrebbe coinvolto anche Antonio Cambule e Totoi Mura.

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«I catalani, i sardi e tutte le altre nazioni senza Stato devono sostenerci, perché le nostre richieste nazionali vanno al di là dei nostri confini, per condividere con tutti il sogno di un’Europa unita in un mondo in pace.» Con queste parole che suonano come un appello, il catalano Josep Vall, vice-presidente della Coppieters Foundation di Bruxelles e direttore esecutivo della Fundació Josep Irla di Barcellona, ha dato il via sabato scorso alla conferenza internazionale “Diritti e Sovranità nell’Europa contemporanea”, che al Villino Ricci di Sassari ha coinvolto numerosi esperti per confrontarsi sul tema.

«I catalani combattono per i loro diritti nazionali – ha affermato Josep Irla – ma anche per un’Europa dei popoli liberi dove scozzesi, corsi, baschi, gallesi, catalani o sardi siano in grado di far sentire la propria voce. Ed è per questo che vogliamo un’altra Europa, un’altra Unione Europea, in cui il Parlamento sia in realtà la sede della sovranità popolare della cittadinanza europea. Coesistendo, ma superando anche le sovranità nazionali.»

La Coppieters Foundation, che con l’Istituto Camillo Bellieni di Sassari ha collaborato all’organizzazione dell’evento, è una fondazione politica legata all’Alleanza Libera Europea, l’organizzazione internazionale che riunisce partiti di nazioni senza Stato, regioni e minoranze nazionali e linguistiche nel vecchio continente.

Nel corso dell’incontro, introdotto dalla presidente Is.Be Maria Doloretta Lai e moderato da Gianni Garrucciu, un altro importante intervento è stato quello dello svizzero Nicolas Levrat. Il docente dell’Università di Ginevra ha illustrato un paradosso tutto europeo, per il quale popoli come gli sloveni, i croati o i cechi, che in precedenza sottostavano a una forma di regime, siano stati poi accettati come Stati europei e membri dell’Unione, mentre a catalani, scozzesi e sardi non è riconosciuto questo diritto.

«L’articolo 1 del Trattato sull’UE – ha spiegato l’accademico – parla di “un’unione sempre più stretta tra i popoli”, concetto riconfermato dalla Corte di giustizia europea proprio in occasione della Brexit nel 2018. Stando ai trattati, popoli come i catalani e gli scozzesi dovrebbero uscire dagli Stati per poter partecipare alla codeterminazione che sta alla base dell’Unione.»

Sorprendentemente, precursori nell’individuare alcune criticità dell’attuale conformazione UE furono proprio due grandi sardisti come Camillo Bellieni e Simon Mossa. Nell’intervento del ricercatore Antonello Nasone, il sardismo fin dalle origini presenta alcune indicazioni di carattere teorico e pratico per un futuro assetto dell’Unione, declinato non come insieme di Stati, bensì come una sorta di aggregazione tra comunità etniche.

E in questo senso andrebbe tracciata la strada, anche linguistica, da seguire. Come ha sottolineato Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be, «è la direzione certo non facile di un’Europa dei popoli, di un nuovo dialogo nell’orizzonte dei diritti, delle tutele e delle pari opportunità di riconoscimento. La strada verso l’apertura a una nuova stagione di rinegoziazione dove tutte le lingue, le culture, le diversità possano avere  la stessa dignità proprio come indica la Carta europea delle lingue e delle culture minoritarie e regionali del ’92».

Sul piano linguistico, il docente di Storia contemporanea Didier Rey, dell’Università della Corsica, ha portato l’esperienza delle tre lingue parlate nella sua isola dal 1850 in poi: l’italiano, il francese e il corso. La prima è sparita per volontà politica francese e ora si assiste alla lotta di resistenza del corso, che da un lato è presente nei media come radio e tv, dall’altro è sempre meno utilizzata nel parlato quotidiano.

Ma non c’è politica che possa esimersi dalla preoccupazione della giustizia penale, aspetto trattato ampiamente in conclusione dall’avvocato Attilio Pinna: «Una società seria che voglia affrontare il problema del crimine – ha spiegato – deve fare un serio investimento sociale, pensando a quanto siano incisivi e decisivi il welfare, l’istruzione, l’alimentazione e l’occupazione, gli strumenti dell’educazione e della prevenzione rispetto alla repressione e dell’inasprimento di pene».

La conferenza ha goduto del sostegno della Fondazione di Sardegna e della RAS ed è stata finanziata dal Parlamento Europeo, che ha concesso autonomia riguardo al contenuto ed alle opinioni dei relatori.

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Esperti, intellettuali e specialisti di diverse nazionalità a confronto sabato 20 luglio al Villino Ricci di Sassari per parlare di “Diritti e Sovranità nell’Europa contemporanea”. L’idea è quella di interrogarsi sui limiti e le possibilità offerte dal principio di sovranità nazionale, lo stesso che nell’età moderna e contemporanea si è posto come fondante per la costituzione delle democrazie, ma che sembra contenere elementi di ambiguità e contraddizione. E quindi capire se sia possibile costruire un’Europa in cui siano protagonisti i popoli anziché gli Stati.

La conferenza internazionale, organizzata e promossa dall’Istituto Camillo Bellieni insieme alla Coppieters Foundation di Bruxelles, ha il sostegno della Fondazione di Sardegna e della RAS ed è finanziata dal Parlamento europeo, che concede autonomia riguardo al contenuto ed alle opinioni dei relatori.

L’obiettivo è quello di portare all’attenzione della comunità il dibattito politico sviluppato intorno all’UE, richiamando il tema dei diritti e del Diritto, sulla linea di ricerca e di riflessioni inaugurata già nel 2012 con il convegno “Le nazioni senza stato in Europa” ad Alghero e “Idee e protagonisti dell’indipendentismo europeo” nel 2018 a Sassari.

I partecipanti potranno iniziare a registrarsi alle 9.00 e ricevere le cuffie per la traduzione simultanea bilingue francese-italiano. Alle 9.30, ad aprire i lavori sarà la presidente Is.Be Maria Doloretta Lai, per lasciare spazio agli interventi introduttivi di Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be, Antonello Nasone, rappresentante Is.Be nel Bureau della Coppieters Foundation, e Josep Vall, vice-presidente Coppieters Foundation e direttore esecutivo della Fundació Josep Irla.

A coordinare la conferenza sarà il giornalista Gianni Garrucciu. Alle 10.00 seguiranno le relazioni “Il diritto all’autodeterminazione nazionale all’interno dell’UE: un’indagine locale” di Nicolas Levrat, docente dell’Università di Ginevra; “La Corsica e le sue lingue o la lotta culturale tra l’italiano, il corso e il francese (dal 1850 ad oggi)” di Didier Rey, docente di Storia contemporanea all’Università della Corsica; “I diritti linguistici tra l’Europa degli Stati e l’Europa dei popoli” di Michele Pinna; “Sovranismo, autonomia e costituzione” di Simone Pajno docente di Diritto Costituzionale all’Università di Sassari; “Il sardismo e la dimensione europea” di Antonello Nasone, dottore di ricerca dell’ateneo turritano; “I delitti e le pene nell’Europa di oggi” di Attilio Pinna, avvocato del Foro di Sassari. Per maggiori informazioni consultare il sito dell’Istituto Bellieni https://bit.ly/2NPU132 o scrivere a istitutobellieni@gmail.com .

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La donna oggi è lavoratrice e cittadina, e la sua forza occupazionale ha un peso importante nella società industrializzata. Ma non sempre è stato così. Il 17 luglio, alle 17.00, nella sala conferenze dell’Archivio di Stato di Nuoro (via Antonio Mereu 49), l’Istituto Camillo Bellieni organizza l’incontro “Fèminas de pabilu e de carre” (Donne di carta e di carne), una conferenza a tema realizzata in collaborazione con lo stesso archivio e con il ministero per i Beni e le attività culturali.

L’incontro, che rappresenta l’evento conclusivo dello sportello linguistico dell’Archivio di Stato, permetterà di ripercorrere il pregiudizio imponente e stratificato presente nel sentire comune. Prenderanno parte all’iniziativa diverse professioniste che, rispettivamente nel proprio campo, sono riuscite ad affermarsi. Nell’ordine la direttrice dell’archivio, Angela Andrea Oriani, la presidente dell’Is.Be, Maria Doloretta Lai, la responsabile del Coordinamento operatori di lingua e cultura sarda, nonché filosofa, Daniela Masia Urgu, la vice sindaca e assessora alla Pubblica istruzione di Oniferi, Daniela Daga, la psicologa Anna Modolo e l’operatrice linguistica e docente Immacolata Salis.

Gli interventi, esposti in forma bilingue, riguarderanno la donna nei documenti e nelle carte d’archivio; la visione della donna nella filosofia; le figure femminili nell’analisi letteraria; e la donna oggi tra quotidianità, lavoro e politica.

“Feminas de pabilu” sono in sostanza le donne raccontate attraverso immagini letterarie o romanzi che vanno da Salvatore Satta a Grazia Deledda; e quindi attraverso originali documenti d’archivio. Quelle “de carre” rappresentano testimonianze di personalità che si sono distinte nelle lotte, che si sono realizzate nelle loro attività.

«In quasi tutti i tempi e i luoghi – spiegano le organizzatrici – la donna ha vissuto esperienze di vita sociale meno favorevoli di quelle riservate all’uomo dal punto di vista giuridico, economico e civile e, per tanto tempo, è rimasta esclusa da tutta una serie di diritti e dinamismi sociali.»

L’incontro sarà occasione per parlare della conquista di questi diritti, a partire dalla condizione della donna nel mondo antico fino all’avvento dell’industrializzazione, e quindi alle lotte del Novecento che portarono nel 1946 al diritto di voto in Italia (elettorato attivo e passivo), nel 1948 all’uguaglianza tra i sessi stabilita in Costituzione e nel 1975 a una legge che decretò la parità di diritti tra marito e moglie. E infine, ci si soffermerà sul pensiero della donna di oggi, perché molte convinzioni sono dure a morire.

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L’idea di veicolare la storia della Sardegna come strumento di promozione del territorio sta forse per diventare realtà. L’iniziativa “In sos logos de Angioy” messa in campo dall’Istituto Camillo Bellieni nell’ottica di realizzare un percorso di turismo identitario, potrebbe essere la base per dare vita a un consorzio di tutela dei luoghi accomunati direttamente o indirettamente dal passaggio di Giommaria Angioy durante i moti antifeudali di fine Settecento.

L’obiettivo è quello di mettere insieme sinergie e risorse per grandi campagne di promozione, di comunicazione e valorizzazione di un territorio che tocca una gran fetta del nord Sardegna, a partire da Santu Lussurgiu per arrivare fino a Santa Teresa di Gallura.

In qualità di animatore, l’Is.Be si propone come capofila di un organismo nel quale avranno la possibilità di interagire diverse figure, a partire dalle Amministrazioni comunali per arrivare ai titolari di cooperative, associazioni culturali, professionisti, operatori commerciali e del settore accoglienza, ristoratori, produttori, gestori di servizi agroalimentari e tutte le altre personalità singole interessate a far parte del gruppo.

L’annuncio è stato dato durante il nono appuntamento del percorso culturale che domenica ha fatto tappa a Ittiri e Uri, permettendo di scoprire il ruolo chiave di queste due comunità del Coros nelle avvisaglie della sarda rivoluzione. Le vicende e i personaggi dei due paesi sono stati evidenziati attraverso le voci guida dello studioso Antonello Nasone, dell’archivista Stefano Alberto Tedde e dell’archeologa Giuseppina Ruggiu.

Sono state visitate l’abbazia di Nostra Signora di Paulis, edificata nel XIII secolo dai monaci cistercensi, dove è stata ricordata la figura emblematica di Piero Cao, conosciuto come il Padre Bianco. La comitiva si è poi trasferita all’interno della chiesa di San Francesco, dove rinfrancata dalla gradevole frescura degli ambienti interni, ha potuto approfondire la personalità di don Vincenzo Serra, il più agguerrito antagonista dei feudatari Ledà.

Il confronto fra le due fazioni portò nel 1798 a una pasqua di sangue, quasi in stile Ok Corral, in un conflitto a fuoco che fece strage tra le vie del paese. Lo “strumento d’unione” fu invece firmato nei pressi della chiesa di San Pietro, che è stata anche l’ultima tappa del percorso mattutino dell’Is.Be.

In serata il gruppo si è trasferito a Uri per visitare i più significativi monumenti, tra i quali la chiesa di Nostra Signora della Pazienza e la casa Dettori-Delogu, che fu dimora di Giorgio Pinna-Mulas, sindaco del paese coinvolto nella rivolta antifeudale assieme a suo fratello, il viceparroco Giovanni.

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La seduta solenne del Consiglio in occasione della ricorrenza de Sa Die de sa Sardigna è stata aperta dal presidente Michele Pais. Dopo le formalità di rito, il presidente Michele Pais ha pronunciato un breve discorso di commemorazione dell’ex presidente del Consiglio Salvatorangelo Mereu, recentemente scomparso. Il Consiglio ha osservato un minuto di raccoglimento.

Subito dopo ha preso la parola per l’intervento di apertura della giornata.

Il presidente, interpretando i sentimenti dell’intero Consiglio regionale, ha rivolto un saluto e un augurio a tutti i sardi, «idealmente con noi a formare una grande comunità di uomini e donne che, pur dovendo affrontare le difficoltà del presente, è pronta ad assumersi le proprie responsabilità e a lottare unita per assicurare un futuro migliore ai propri figli».

A 27 anni dal varo della legge che istituì Sa Die per ricordare l’insurrezione popolare che portò alla cacciata dei piemontesi dalla Sardegna e «segnò l’avvio di una stagione politica più attenta al temi dell’identità e delle piccole patrie» restituire alla giornata il suo significato originario significa, secondo Michele Pais, «riflettere sul momento storico che attraversiamo, sulle nostre istituzioni autonomistiche e sul nostro essere sardi oggi». Temi alti, al pari di quelli al centro di festività come quella della Repubblica, dell’indipendenza degli Stati Uniti e dei grandi eventi che scandiscono la storia della Sardegna: Sant’Efisio di Cagliari, l’Ardia di Sedilo, i Candelieri di Sassari, il Carnevale barbaricino.

«Temi di una tale portata – ha aggiunto il presidente – da non poter essere confinati in un freddo calcolo ragionieristico sui costi per l’apertura del Palazzo, perché oggi la cosa più importante è essere qui».

Citando il memoriale di Giovanni Maria Angioy, Michele Pais ha ripreso un passaggio nel quale il grande intellettuale sardo parlava dell’Isola come di una terra che ha tutto il necessario per il benessere dei suoi abitanti e quindi, se ben amministrata, «sarebbe uno degli Stati più ricchi d’Europa». Una «nazione protagonista», secondo la definizione di Giovanni Lilliu, che a giudizio del presidente del Consiglio deve riprendere, partendo dai moti del 1794, a ragionare sulla necessità di una «saldatura perfetta fra città e campagna, del rilancio dei piccoli paesi, di un nuovo rapporto fra Regione ed Enti locali capace di «dare gambe al decentramento amministrativo, superando il concetto di periferia anche attraverso una riforma del sistema di enti ed agenzie regionali concretizzata nel trasferimento di alcuni snodi decisionali in aree marginali».

Rispetto ai rapporti con lo Stato centrale «che hanno toccato in questi anni il punto più basso», Michele Pais ha auspicato una mobilitazione ampia della politica «senza distinzioni di schieramento per fare fronte comune in difesa dell’interesse supremo della Sardegna, cominciando con l’attuazione di tutte le prerogative dello Statuto di Autonomia».

«In questo momento – ha sostenuto Michele Pais – bisogna però andare oltre ed immaginare una radicale riforma del nostro istituto autonomistico, pensando ad un intervento innovativo sullo stesso Statuto che abbia come riferimento il Trentino-Alto Adige che, negli anni, è riuscito a dare forma compiuta al principio di autodeterminazione.»

Senza dimenticare, ha continuato il presidente, uno sguardo attento all’Europa, «ai mutamenti del quadro politico e sociale dove le spinte autonomiste e indipendentiste della Nazioni senza Stato come Catalogna, Scozia, Corsica e Bretagna si fanno sempre più pressanti».

Avviandosi alla conclusione, il presidente del Consiglio si è rivolto ai giovani sardi esprimendo l’auspicio che tornino ad essere protagonisti del futuro della Sardegna, conoscendo il mondo e facendo esperienza «ma rivendicando con orgoglio e fierezza il loro senso di appartenenza». Riprendendo un passo dello scrittore Francesco Masala riferito alla lingua come elemento costitutivo della libertà di un popolo, Pais ha riconosciuto i passi avanti del Consiglio nella difesa del sardo, del catalano e delle altre parlate alloglotte delle Sardegna, specificando però che manca ancora il passaggio fondamentale relativo alla «libertà di insegnare la lingua ai nostri figli nella scuole sarde di ogni ordine e grado».

Arrivato alle battute finali, Pais ha fatto appello ai sardi alla presa di coscienza del proprio passato che, come insegna l’antropologo Bachisio Bandinu, «è la base sulla quale costruire una nuova scena politica ed economica, sociale e culturale per procedere dalla sfiducia alla stima di sé, dal risentimento ossessivo alla proposta costruttiva, dal fatalismo alla progettualità».

Pais ha terminato il suo discorso con gli auguri per la festa di Sa die in sardo e catalano: «Bona Die de sa Sardigna» e «Bona jornada de Sardenya».

La seduta è proseguita con gli interventi dei presidenti dei gruppi.

Il primo a prendere la parola è stato Daniele Cocco di Leu: «Oggi è la festa della Sardegna ma sarà vera festa quando il presidente della Regione  otterrà risposte sui diritti  acquisiti come il tema degli accantonamenti: i 700 milioni che ci sono stati ingiustamente sottratti ci devono essere restituiti. La Sardegna è indietro anche per le responsabilità di tutta la classe politica: molto di quel che si poteva fare non è stato fatto e, a prescindere dalle posizioni politiche, tutti dovremmo collaborare per risolvere la vertenza con lo Stato e praticare sino in fondo lo Statuto speciale. Oggi non è il tempo della polemica ma degli impegni comuni, però tengo a dire che chi ha chiesto di non convocare oggi il Consiglio regionale non l’ha fatto per sminuire l’importanza di Sa die».

Francesco Mura (Fdi): «Chi sposa e definisce il nostro pensiero sa bene che la nostra patria è l’Italia, grande una e indivisibile. Ma questo non ci impedisce di sapere e riconoscere che l’Italia è il frutto dell’unione di tanti popoli. Chi, da sardo, nega che la Sardegna abbia una cultura e una condizione unica fa male alla Sardegna e all’Italia intera.  Cosa resta oggi dell’esperienza di questa cacciata? La considerazione che quando il governo, qualunque governo, si dimentica dei diritti dei cittadini c’è sempre qualcuno che si incarica, nel popolo, di rimettere le cose al loro posto. Dobbiamo avere la forza di smettere di cercare aiuto altrove e pensare a badare a noi stessi. Meritiamo di essere una delle regioni più ricche d’Europa e non abbiamo nemici che ci tengono in questa condizione: il problema è qui, in Sardegna. Dobbiamo liberarci della politica statalista e assistenzialista e occuparci di connettere le città con i paesi. Chi da ultimo ha pensato a una sola città metropolitana con 376 cortes apertas ha sbagliato. La Sardegna ha grandissime risorse e dobbiamo soltanto ben amministrarla, con una rivoluzione culturale che parta da noi».

Michele Cossa (Riformatori sardi): «Ogni 28 aprile la storia in Sardegna dialoga con il coraggio e ci fa sentire un popolo, consapevole e con una identità.  Nessuno può dimenticare che la nostra storia è fatta di uomini e donne che hanno lottato contro la bramosia del potere malato: è sempre tempo di libertà. Ma non saremo davvero mai liberi fino a quando la nostra capacità di autodeterminarci sarà così pesantemente limitata dalle circostanze. Essere isola è opportunità ma molto di più è ostacolo e se il progetto di autonomia differenziata andrà avanti in Parlamento non potrà che peggiorare la situazione.  La battaglia giusta è quella che tre anni fa abbiamo iniziato noi, chiedendo che sia inserito in Costituzione il principio di insularità, sia per i trasporti che per le accise che gravano sui sardi».

Valerio De Giorgi (Misto): «Nel giorno di Sa Die nessuno di noi può dimenticare le recenti rivendicazioni dei pastori sul prezzo del latte o la crisi del porto canale con 700 posti di lavoro a rischio. Siamo chiamati a risposte immediate, cari colleghi, e non possiamo dimenticare i troppi sardi rimasti indietro: non ci può essere sviluppo vero se non ci sono pari opportunità per tutti. Siamo riusciti in passato a liberare le migliori energie, possiamo farlo anche oggi con i sardi che sono nati qui e con chi ha scelto di diventare sardo, come me. Spero che questa legislatura coincida con la stagione dell’unità per il bene dei sardi: dobbiamo stare uniti per far tornare la Sardegna forte».

Desirèe Manca (Movimento cinque stelle): «Confesso di essere emozionata perché questo è il primo intervento del Movimento Cinque stelle nella storia della Sardegna e non poteva esserci migliore occasione. Ripeto le parole di Giomaria Angioy: “Malgrado tutto, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per la sussistenza di tutti i suoi abitanti.  Ben amministrata, la Sardegna sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa”. Era il 1799 e dopo più di 200 anni viviamo in una situazione pressoché immutata. I primi due mesi di vuoto governativo e di intrecci sotto banco, non possono che richiamare le parole di Angioy: avete sventolato l’idea di un cambiamento ma era solo strumentale per richiamare voti. Dopo 60 giorni siete ancora prigionieri della vostra spartizione e tenete in ostaggio una terra martoriata e allo stremo. Qui le aziende chiudono per fallimento e la Sanità, un tempo eccellenza, è in ginocchio: sarebbero bastati 15 minuti e invece dopo 60 giorni tenete tutti i sardi in ostaggio. Il nostro popolo si merita un’amministrazione all’altezza. Ora che noi siamo entrati nelle istituzioni faremo tutto ciò che è possibile per ridare dignità alla politica. Non vi faremo mai nessun tipo di sconto».

Gianfranco Ganau (Pd): «In questa festa nazionale dei sardi non possiamo non notare i drammi presenti in Sardegna, come l’aumento delle povertà e l’incapacità dei governi, a tutti i livelli, di rispondere ai bisogni dei sardi. Per questo mi permetto di sollecitare il completamento della Giunta, perché si lavori a pieno regime e si aumenti l’autonomia di delle Regioni, senza intaccare la ripartizione delle risorse. Oggi dobbiamo ribadire l’unità del popolo sardo chiedendo maggiori poteri e maggiori spazi di gestione autonoma: le ragioni della nostra richiesta di autogoverno poggiano  prima di tutto sull’insularità, che ci impedisce di sfruttare le grandi reti italiane ed europee, a cominciare da quelle energetiche. Senza il riconoscimento della condizione di insularità noi non avremo mai condizioni paritarie di mobilità: questa deve diventare una battaglia di popolo, che avrà il nostro pieno e leale sostegno». 

Per il gruppo Psd’Az il consigliere Francesco Mula  ha ricordato che Sa Die ha un preciso riferimento ad un periodo storico in cui la Sardegna chiedeva autonomia e giustizia contro i soprusi fiscali e sociali del governo piemontese, una storia che purtroppo non è cambiata molto come hanno dimostrato le testimonianze fondamentali di Camillo Bellieni ed Emilio Lussu. Oggi, anche di fronte alla domande rimaste aperte del passato, ha aggiunto Mula, abbiamo il compito di riscrivere lo Statuto da riscrivere in molti punti, un passaggio che sarà tanto più se ci farà andare oltre le celebrazioni raggiungendo risultati concreti con l’impegno comune di maggioranza ed opposizione. Questo piacerebbe molto ai sardi, ha affermato il consigliere, e darebbe un valore non simbolico alla giornata che stiamo celebrando. Abbiamo grandi responsabilità nei confronti del popolo sardo, ha concluso Mula, soprattutto nei confronti di disoccupati, precari, famiglie ed imprese; sappiamo di non aver mai contato su un governo nazionale amico e di aver avuto di fronte su una Unione europea fondata sull’asse franco tedesco. All’Europa, in particolare, ha sollecitato l’esponente sardista, chiediamo una deroga per uscire dalla tagliola degli aiuti di Stato mentre, sul piano nazionale, il nostro accordo con Lega dovrà essere portato avanti su zona franca integrale e continuità territoriale, lotta allo spopolamento specie nelle zone interne, riforma della sanità, opere strategiche, istruzione, lingua, cultura: tutte battaglia sardiste sulla sovranità regionale nelle quali, fra l’altro, hanno creduto gli elettori sardi nelle recenti consultazioni.

A nome della Lega il consigliere Dario Giagoni ha riproposto le parole di Giovanni Maria Angioy sul rapporto fra cattiva amministrazione e situazione socio economica della Sardegna, per sottolineare che il pensiero di un grande uomo del passato crea in noi un forte sconcerto per la sua attualità e per la sua ansia di autonomia, a dimostrazione del fatto che la storia insegna che nessun avvenimento può essere considerato lontano ed estraneo ai fatti che l’hanno preceduto. Nei moti del 1794 c’è infatti, secondo Giagoni, un seme vivo ancora oggi, il sentimento di autogoverno e di riscatto che oggi abbiamo il dovere di raccogliere come moderna chiave di lettura con responsabilità ed unità, con rinnovata capacità di coesione e di difesa della nostra specificità. Oggi, ha concluso il consigliere,  nella giornata del popolo sardo chiediamo ai giovani (anche a quelli purtroppo lontani loro malgrado dalla Sardegna) di conservare le nostre tradizioni, di trasformare i moti di allora in un sentimento di rispetto della volontà popolare, nella volontà di lotta e riscatto, in una autonomia finalmente reale e concreta.

Il consigliere Francesco Agus, dei Progressisti, ha osservato che i ritardi nella formazione della di Giunta, per una sorta di scherzo del destino, hanno fatto coincidere primi interventi dei consiglieri regionali con la ricorrenza de Sa Die, una occasione che di consente di riflettere sulla Sardegna del passato in attesa di conoscere la Sardegna del futuro quando conosceremo governo regionale e programma. Il nostro passato secolare, ha detto ancora Agus, ci riporta ad una riflessione su nostri problemi di sempre, attraversati da di soprusi, dominazioni, governi per interposta persone e ministri di Roma che hanno creduto, sbagliando, di avere la ricetta giusta per Sardegna. Angioy, ha continuato Agus, è molto più di wikipedia, è il sogno vivo (allora come oggi) di una Sardegna libera capace di dialogare con tutti, in Italia ed Europa, con rapporti non subalterni; forse oggi abbiamo smesso di sognare e non possiamo permettercelo, perché ancora oggi il dibattito politico parla di noi come di una pedina nello scacchiere.  Il riferimento all’esperienza del Trentino, ha concluso Agus, ha un valore perché quella Regione ha saputo scrivere una storia di grande unità con il lavoro legislativo e la produzione significativa di importanti norme di attuazione, però va ricordato che tutto questo si costruisce soprattutto con le azioni concrete, con il rispetto delle garanzie dell’opposizioni e delle prassi consiliari consolidate: questo è fare l’unità dei sardi.

Al termine degli interventi dei gruppi ha preso la parola il presidente della Regione Christian Solinas che ha pronunciato il suo intervento in lingua sarda.

Dopo aver affermato che senza lingua non ci può essere vera identità, il presidente ha fatto un riferimento all’ingresso del sardo nella liturgia: «Est de importu mannu sa riforma liturgica a profetu de sa limba sarda, ca gai sos sardos poten faeddare con Deus in sa propria limba ma prus e prus Deus matessi in sa Missa nons faeddati in limba. Chustu cheret narrer chi su populu sardu vivet una esperientzia nova chi aperit unu camminu de fide. Su 28 aprile, sa Die de sa Sardigna, sa festa nazionale de sos Sardos, cuffirmat s’identitade de su populu sardu, ma diventat puru die nodida ca sa limba intrat in Creja e duncas a profettu de su populu de Deus. Su fattu est de ammonimentu a nois puliticos pro chi si faca intrare sa limba sarda in s’iscola. Oe, amus a comprendere totu chi sa consacrazione de sa limba in sa creja matzore de Casteddu e, unu cras, in totu sas crejas de Sardegna, petit, chene duda peruna, una cunsacratzione laica de sa limba in iscola e in totu sas istitutziones de s’Isula».

Soffermandosi poi sulla “lezione” dei moti del 1794, Solinas ha invitato i Sardi a riflettere su quale identità sia necessario costruire per il popolo sardo nel tempo che stiamo vivendo: “Bisonzat de affortire s’identidade territoriale, imbentare un’identidade turistica, economica, ambientale, una forma nova de pastoriu e da massaria. Sos prodotos pretziados in su mercadu mondiale sun sos prodottos identitarios, ca sun nostros e non de atteros. Sa calitade de s’abba, de s’aera, de su terrinu su sos fundamentos de s’isviluppu economico de sa Sardigna, mascamente pro s’identidade singulare chi l’at dadu sa natura. Ma pro li dare valore e profettu bisonzat da dare fortza a una cultura de rispettu e de investimentu”.

In conclusione, un messaggio positivo per il futuro: «Pro nois, supra sa Sardigna non pesat un’umbra de mancamentu e de fallimentu. Nois credimus in dunu tempus nou de fide e de ispera. Approntamus profeto e programmas pro leare unu caminu de creschida e de isviluppu pro su populu sardu. Amus cosas de contare e de produire: b’at meda da narrere e meda prus de faghere».

Augurios sincheros de bona Die de sa Sardigna, Augurios mannos pro sa festa de su Populu Sardu.

Al termine di quest’ultimo intervento, il presidente ha tolto la seduta, riconvocando il Consiglio a domicilio. I lavori dell’Aula sono proseguiti in seduta informale.

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Hanno pronunciato il fatidico “sì”, anzi “emmo”, unendosi in matrimonio nella lingua del cuore, quella sarda, nella Sala delle adunanze del comune di Bono, paese di antiche tradizioni e patria di Giovanni Maria Angioy. Così Anselmo Serra e Roberta Dalle Molle, grazie alla sensibilità dell’Amministrazione comunale del capoluogo del Goceano e al lavoro dello sportello linguistico coordinato dall’Istituto Camillo Bellieni di Sassari, hanno potuto coronare il proprio sogno d’amore in un modo del tutto singolare.

Nessun abbaglio folcloristico e nessuna passerella in costume. Solo il desiderio di riappropriarsi della lingua materna, anche in quegli aspetti più segnanti e memorabili della vita, come l’unione di coppia.

Tutto è partito dalla volontà della novella sposa, veneta della provincia di Vicenza, arrivata da otto anni in Sardegna proprio per amore Anselmo, bonese d’adozione ma di origini ogliastrino-galluresi. Laureata in Scienze religiose con formazione in cultura classica, la donna si è avvicinata al Sardo frequentando i corsi del Bellieni a Sassari: nelle aule dell’istituto, oltre a scoprirsi profondamente appassionata di questo idioma così vicino al latino, ha appreso dell’esistenza di una normativa nazionale che tutela le minoranze linguistiche.

E proprio attraverso i finanziamenti della legge 482, lo sportellista Salvatore Canu ha potuto tradurre passo passo gli atti di matrimonio, gli articoli attinenti del Codice civile e le formule di rito. Il tutto sotto l’attenta supervisione del direttore scientifico Is.Be, Michele Pinna e dell’esperta e docente di lingua sarda, Daniela Masia Urgu.

«Il vostro popolo è molto simile al mio perché è un popolo forte – ha commentato Roberta con visibile commozione – ha una grande dignità, per cui io mi sono trovata praticamente a casa. Così ho sposato un sardo e la sardità. È il miglior regalo che potessi fare al mio uomo.»

Ma se per la burocrazia gli atti ufficiali hanno validità solo attraverso la celebrazione in Italiano, l’intuizione è stata quella di aggirare l’ostacolo realizzando una doppia cerimonia bilingue. Così il sindaco Elio Mulas ha prima officiato il rito come da manuale, e subito dopo la delegata alla Cultura, Francesca Ciancilla, ha scandito le medesime formule in lingua sarda, seguendo rigorosamente le traduzioni del Bellieni di fronte agli sposi, ai testimoni e a un pubblico emozionato e un po’ incredulo.

«Oggi per il comune di Bono è una giornata storica – ha commentato il primo cittadino Elio Mulas -. Questo è il primo matrimonio celebrato in forma bilingue nella nostra comunità. La preoccupazione iniziale è stata soppiantata dalla garanzia di godere della supervisione dell’Istituto Bellieni, tra i più quotati nell’isola in materia di bilinguismo, e di un esperto come il nostro concittadino Michele Pinna, che da studioso si è sempre impegnato nella valorizzazione della lingua e della cultura sarda.»

 

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Questa sera, alle 18.00, nell’Aula consiliare del comune di Bono, capoluogo del Goceano, l’Istituto Camillo Bellieni di Sassari presenta il libro “Bono e il suo territorio”, primo volume della collana “L’identità dei luoghi e delle cose”, edita dalla Edes grazie al contributo dell’assessorato regionale della Cultura.

L’iniziativa, patrocinata dal comune di Bono, sarà coordinata dalla presidente Is.Be. Maria Doloretta Lai, che lascerà spazio agli interventi del sindaco Elio Mulas per i saluti istituzionali e ai numerosi autori del volume per illustrare nel dettaglio i contenuti dell’opera.

All’interno del libro trovano spazio aspetti importanti sulle tradizioni popolari e sulla storia civile della comunità, indagati a fondo dagli esperti che hanno lavorato alla pubblicazione sotto il coordinamento di Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be, che proprio di Bono è originario.

I capitoli accolgono i contributi di Giuseppina Marras sul patrimonio archeologico, di Gesuino Saba sulle chiese campestri, di Anna Nudda sul patrimonio zootecnico, di Salvatore Madrau sulle caratteristiche del suolo e di Giovanni Mario Demartis sull’abbigliamento popolare, mentre alcuni saggi sulle tradizioni popolari e su alcune figure di spicco (tra idee politiche e cultura) come Giovanni Maria Angioy e il poeta Pietrino Marras, sono stati scritti dallo stesso Michele Pinna.

I testi presentano un’impronta squisitamente divulgativa, per consentire una lettura e una comprensione agevole anche a un pubblico non specialistico, senza per questo trascurare il rigore metodologico, bibliografico e documentale della ricerca storica. Nel corso della serata, la lettura di alcuni brani sarà affidata a Salvatore Caboni della “Compagnia teatrale di Bono e del Goceano”.

La presentazione del volume è anche il primo evento pubblico organizzato dallo sportello linguistico sovra-comunale, attivo dal 24 gennaio per coprire i comuni di Bono (capofila), Anela, Bultei, Burgos, Esporlatu, Illorai, Nughedu e Tula. Le attività di sportello, curate dagli operatori Salvatore Canu e Pasquella Errica con la supervisione dell’Is.Be, nelle prossime settimane coinvolgeranno diverse scuole e biblioteche del territorio.

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L’edizione 2018 di “L’ischis ma no l’ischis” a Macomer ha superato di certo le aspettative per gradimento e partecipazione di pubblico, consolidando l’iniziativa organizzata dall’Istituto Camillo Bellieni come un vera e propria grande festa della lingua sarda, una ricorrenza annuale imperdibile. Segno che la sensibilità sul tema cresce ogni anno di più, coinvolgendo sensibilmente le istituzioni, gli appassionati e, soprattutto, i giovanissimi. E sono stati proprio i bambini di Macomer, preparati dalle attività di animazione dello sportello linguistico, ad dare il via all’evento culturale dell’Is.Be, con un’applauditissima rappresentazione teatrale in lingua sarda.

Nella sala convegni della Biblioteca comunale, la presidente Is.Be Maria Doloretta Lai ha moderato gli interventi della mattinata, tutti rigorosamente in sardo. Il primo è stato quello del sindaco Antonio Onorato Succu, il quale ha espresso notevole apprezzamento per l’ottima riuscita, manifestando la volontà di organizzare nel prossimo futuro, insieme al Bellieni, altre iniziative culturali di spessore, come già avvenuto nei giorni scorsi per il percorso identitario “In sos logos de Angioy”.

Applauditissimi sono stati gli intermezzi musicali proposti dal coro “Sant’Anastàsia” di Buddusò che, dopo l’apertura con il classico “Nanneddu meu”, ha proposto un ricco repertorio di brani. «La passione per la lingua e la cultura sarda deve emergere dal cuore – ha affermato il direttore scientifico Is.Be, Michele Pinna – ed il lavoro dell’operatore linguistico è quello di aiutarci a recuperare questa passione che prima non riuscivamo a riconoscere, ma che già dimorava nella nostra anima».

La manifestazione rappresenta l’appuntamento conclusivo annuale per gli studenti di tutti i corsi Is.Be, che quest’anno si sono svolti  a Borore, Bortigali, Martis, Macomer, Orotelli, Bari Sardo, Bolotana, Nuoro, Marrubiu, Buddusò e Fonni. I corsisti hanno ricevuto gli attestati di partecipazione dalle mani docenti Daniela Masia Urgu, Lucia Sechi, Francesca Sini, Adriana Cocco, Immacolata Salis e Ivan Marongiu. Un team di operatrici ormai consolidato e altamente professionale.

L’atteso premio “Si moves sa limba, sa limba ti movet”, destinato a personalità che si siano distinte in maniera significativa nella diffusione e nella promozione della lingua sarda, quest’anno è stato triplicato. Il premio per la Promozione della lingua in campo Gastronomico è andato al noto divulgatore Giovanni Fancello, che con la sua attività, come autore e come giornalista, ha permesso di fare apprezzare la grande ricchezza e l’originalità della cultura alimentare dell’isola, una testimonianza di come si possa preservare il sardo occupandosi di cose all’apparenza materiali, ma di grande valore identitario.

Per il campo della poesia il riconoscimento è stato conferito ad Antonello Bazzu, autore di duplice produzione in sardo e sassarese, il cui impegno si è stato rilevante anche come organizzatore culturale nell’associazione “Sinuaria poetarum”, attraverso rassegne e incontri letterari.

Il premio per gli operatori linguistici è stato assegnato a Lucia Sechi, per essersi distinta nelle attività di sportello e in importanti ricerche che hanno dato vita a numerose pubblicazioni. Il riconoscimento a Lucia Sechi – è stato sottolineato – rappresenta simbolicamente un premio per tutti gli operatori del gruppo, i quali hanno un ruolo fondamentale sia nella diffusione che nella sensibilizzazione all’utilizzo del sardo.

A consegnare le pergamene è stata l’assessore della Cultura di Macomer, Tiziana Atzori.

«Il pregiudizio è l’unico ostacolo alla padronanza della lingua – ha spiegato l’operatrice Daniela Masia Urgu nella relazione conclusiva -. Il nostro lavoro di operatori si svolge su due livelli, se da un lato c’è la formazione per l’utilizzo corretto dell’idioma nel parlato e nello scritto, dall’altro c’è l’attività di sensibilizzazione per abbattere questi pregiudizi.»