29 March, 2024
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Venerdì 11 settembre, allo stadio “Carlo Zoboli” di Carbonia, alle 16.30, si svolgerà il 1° Memorial Renzo Cappellaro.

Centravanti del Cagliari dal 1963 al 1966 e tecnico di diverse squadre, tra le quali il Carbonia, che guidò per due stagioni in serie D, nel campionato 1980/81 e in serie C2, nel campionato 1984/85, Renzo Cappellaro se n’è andato il 14 ottobre 2014, all’età di 77 anni.

Nato a Vicenza il 12 maggio 1937, iniziò a giocare al calcio nelle giovanili del Lanerossi Vicenza, con la quale vinse il prestigioso Torneo di Viareggio per due anni consecutivi, nel 1954 e 1955, aggiudicandosi anche la classifica dei marcatori (conserva quel primato, raggiunto qualche anno fa dall’attuale centravanti della Nazionale, Ciro Immobile). Giunse alla prima squadra nel campionato di serie A 1957/58 e in cinque stagioni collezionò con la maglia biancorossa 56 presenze e 21 reti.

Lasciò il “suo” Vicenza nell’estate del 1961 per vestire la maglia grigia dell’Alessandria, con la quale vinse la classifica dei cannonieri del campionato di serie B, con 21 reti (36 presenze). L’anno successivo passò al Lecco, poi al Cagliari, nell’estate del 1963. Con la maglia rossoblù, al primo anno, conquistò una storica promozione in Serie A, al termine del campionato 1963/64, realizzando 9 reti. Dopo due stagioni in serie A (complessivamente, in tre campionati, collezionò 63 presenze e 16 reti), ritornò in serie B con il Genoa, per poi passare al Potenza. Appese le scarpette al chiodo quando era ancora giovane, a 32 anni.

Iniziò subito la carriera di allenatore, nella giovanili della Sambonifacese e dello Schio, ma è in Sardegna che riuscì a togliersi le migliori soddisfazioni. Il debutto alla Nuorese (1974/75), poi a Latina (1975/76), ancora a Nuoro (1978/79), Quartu Sant’Elena (1979/80), quindi a Carbonia, in serie D, nella stagione 1980/81, presidente Elvio Verniani. Fu quello, nella prima parte, il miglior campionato della sua carriera. Era il Carbonia di Adriano Novellini, Giampaolo Zaccheddu, Guido Accardi, Floriano e Marco Congiu, Aldo Scopa, Carlo Pusceddu, Giuseppe Mura, Marco Manconi e Mondo Mameli, Pierino Aresu, Roberto Sequi, Marco Fenu, Luciano Gambula, Rino Pianta, Pino Tocco, e ancora di Ugo Corda, Egidio Cossu, il compianto Sandro Piras, Mauro Virdis e Walter Lindiri, che nel catino di Bacu Abis, dove giocava per l’indisponibilità dello stadio comunale, per l’intero girone d’andata e la prima giornata del ritorno, incantò tutti, dominando letteralmente il campionato. Chiuse il girone d’andata in testa alla classifica con 28 punti (13 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte). L’inizio fu scoppiettante: 1 a 0 a Santa Maria degli Angeli con goal di Guido Accardi, primo ko a Viterbo per 0 a 1, riscattato con tre vittorie consecutive: 4 a 0 all’Audax Rufina con goal di Zaccheddu, Floriano Congiu, Adriano Novellini e Pierino Aresu; 2 a 1 a Terracina con doppietta di Adriano Novellini e 1 a 0 al Calangianus con goal di Floriano Congiu.

Dopo la sconfitta di Olbia, 0 a 1, il 2 novembre 1980, goal di Gianni Muresu, il Carbonia di Renzo Cappellaro infilò una splendida serie positiva, con sei vittorie e un pareggio in sette giornate, iniziata una bella vittoria per 3 a 1 nel derby interno con l’Iglesias, un’impresa per 3 a 0 a Cecina, il 5 a 1 all’Isili, l’1 a 1 sul campo del Frosinone (oggi in serie A), l’1 a 0 al Foligno, l’impresa all’Acquedotto di Sassari contro la Torres, battuta 1 a 0 con uno splendido goal di Marco Congiu e la vittoria con la Romulea, al ritorno allo stadio Comunale, 1 a 0. Il 4 gennaio giunse la sconfitta di Velletri, 2 a 1, riscattata con le vittorie sulla Lodigiani, 3 a 1 (doppietta di Adriano Novellini) e sull’Angelana, 3 a 2 (doppietta di Pino Tocco). Fu a quel punto che la squadra cominciò a balbettare e, giornata dopo giornata, a perdere terreno rispetto alle principali concorrenti, Frosinone e Torres, che era riuscita a fermare rispettivamente con un pari ed una vittoria sui loro campi, nel corso del girone d’andata. Renzo Cappellaro non riuscì a capacitarsi dell’involuzione della sua creatura ed il girone di ritorno si tramutò in un’autentica sofferenza per i tanti tifosi che si erano esaltati per quattro mesi: 6 sole vittorie, 3 pareggi e ben 8 sconfitte, per complessivi 13 punti ed il quarto posto finale, alle spalle delle promosse Torres e Frosinone e del Terracina.

La grande amarezza lasciò il segno e la società mineraria l’anno successivo affidò la guida della squadra a Checco Fele, che con la conferma dei migliori giocatori ed alcuni inserimenti (Pietro Pillosu, Gianni Tronci, Sergio Bodano, Riccardo Erriu e Leopoldo Pardini) riuscì a scrivere una delle pagine più belle della storia calcistica del Carbonia, centrando la promozione in serie C2, nella primavera del 1982.

L’esperienza di Renzo Cappellaro alla guida del Carbonia ricominciò due anni più tardi, in C2, presidente Benigno Atzori. Con un organico completamente rivoluzionato, dopo un buon avvio (2 a 0 a Montevarchi con goal di Fabrizio Rizzola e Giovanni Leone e pari interno con la Massese, 2 a 2, con goal di Giovanni Leone e Floriano Congiu) e tre vittorie interne consecutive (alla 7ª giornata 1 a 0 all’Olbia, con goal di Sandro Zaccolo; alla 9ª 1 a 0 allo Spezia con goal di Luca Rivetta; all’11ª 1 a 0 alla Torres con goal di Giuseppe Innella) , la squadra biancoblù iniziò a balbettare e nell’ultimo scorcio di stagione, con una classifica allarmante, i dirigenti decisero di esonerare Renzo Cappellaro e di affidare la guida tecnica della squadra a Ugo Corda. Il cambio sortì l’effetto desiderato, il gruppo reagì e riuscì a centrare il traguardo della salvezza con 29 punti, grazie alla miglior classifica avulsa rispetto allo Spezia, alla Vogherese e, soprattutto, all’Olbia, alla Nuorese e all’Imperia, che finirono nel campionato Interregionale.

La carriera di Renzo Cappellaro, di fatto, si concluse lì, perché nelle stagioni successive il tecnico vicentino si dedicò alla cura dei giovani. Lascia un bellissimo ricordo tra quanti hanno avuto modo di conoscerlo ed apprezzarlo, sia per le qualità tecniche sia per quelle umane e sicuramente saranno tanti quelli che l’11 settembre si ritroveranno allo stadio “Carlo Zoboli” di Carbonia, per ricordarne ed onorarne la figura di sportivo e, soprattutto, di uomo.

 

Tifosi del Carbonia a Terni copia

Il calcio, come la vita, ci propone episodi felici ed altri tristi, ma tutti fanno parte delle nostre esperienze e vanno conservati gelosamente. Uno degli episodi più tristi della storia calcistica del Carbonia ha una data ed uno stadio che i tifosi non dimenticheranno mai, il 12 giugno 1988, Liberati di Terni, teatro dello spareggio per la salvezza del campionato di serie C2 1987/88, tra Pontedera e Carbonia.
Le due squadre vi giunsero per essersi classificate appaiate al terz’ultimo posto del girone A, con 29 punti. Il Carbonia dilapidò un vantaggio incredibile nell’ultima giornata, nella quale ospitò proprio la squadra toscana al Comunale di Carbonia con due punti di vantaggio. Passata in vantaggio con un goal di Bruno Conca, fino a 20′ dalla fine aveva ben 4 punti di vantaggio sul Pontedera ma anziché gestire il risultato, si fece infilare incredibilmente due volte in contropiede da Meoni che regalò ala sua squadra l’ormai insperata vittoria che le valse la possibilità di giocarsi la salvezza in uno spareggio.
Come sede dello spareggio venne scelta Terni. I tifosi del Carbonia si mobilitarono, seguendo in centinaia la loro squadra al Liberati, sistemandosi in un’area di una delle due curve, a ridosso della tribuna laterale.
La partita regalò emozioni senza fine per ben 120 minuti. I tempi regolamentari, infatti, si conclusero in parità, 2 a 2, con la squadra biancoblù due volte in svantaggio (goal di Caponi e autorete di Giuseppe Mura) e due volte capace di rimontare con Bruno Conca, la seconda volta al 90′!
In avvio del primo tempo supplementare, dopo una manciata di secondi, il Pontedera si riportò in vantaggio con Meoni (l’autore della doppietta al Comunale di Carbonia!) e poi segnò anche il quarto goal, con Terzani. Inutile il terzo goal personale di Bruno Conca che fissò il risultato finale sul 4 a 3!
Ebbe fine lì il ciclo del Carbonia in serie C2, durato sei anni consecutivi!

Il tabellino della partita.

Pontedera: Biondi, Benedetti, De Fanti (Fusani), Terzani, Lombardini, Gemmi, De Angelis, Marchetti, Caponi (Tosi), Pini, Meoni.

Carbonia: Bozzini, Porru, Rivetta, Berbetta, Pasquini (Mezzena poi Occhioni), Mura, Sanna, Conca, Macera, Bianchini, Ricciolini. All. Luciano Aristei.

Arbitro: Boggi di Salerno.

Reti: Caponi (P), Conca (C), Mura (aut. P), Conca (C), Meoni (P), Terzani (P), Conca (C).

Anna Rita Manca 1 copiaAnna Rita Manca esotici copia Anna Rita Manca erborista copia Anna Rita Manca bilancina copia

Nella suggestiva cornice del Medau “Sa Grutta”, situato alla sommità della collinetta che sovrasta il sito archeologico di Cannas di sotto, si è tenuta, nelle giornate del 16 e 17 di Maggio, un’esposizione di piante officinali spontanee di Sardegna.

L’esposizione dal titolo “Magiche piante magiche”, è stata organizzata dalla farmacista/erborista dott.ssa Annarita Manca, da sempre cultrice ed esperta di erbe medicinali, che ha spiegato, ai numerosi ed interessatissimi visitatori le proprietà terapeutiche delle piante ed erbe che i nostri antenati, con la saggezza che gli proveniva dagli antichissimi avi, raccoglievano ed utilizzavano per curare i loro malanni, quando ancora erano di là da venire le ASL e i sofisticati apparecchi di analisi che oggi si utilizzano per la diagnosi e la cura delle malattie che ci affliggono. Accanto alle erbe curative, come ad esempio “l’aristolochia”, utile per curare l’artrite, i dolori reumatici e quelli mestruali, la Barba di becco, nota come “Latti de Oceddu”, utile per curare le verruche o l’Iperico (Pirinconi) eccellente cicatrizzante e lenitivo per le scottature, erano presenti le aromatiche, i profumi dell’orto, gradevoli per insaporire i nostri cibi. Talvolta, utili ad alleviare i nostri mali fisici e non solo, come ad esempio l’alloro che, oltre a contribuire al sapore dei nostri intingoli, è noto per le sue proprietà antisettiche e per essere un ottimo digestivo se utilizzato in infusione; e di seguito il timo, il rosmarino o il finocchio selvatico utilizzato per insaporire la salamoia delle olive, ma utile anche per i disturbi da aerofagia e per attenuare la fatica o combattere le diarree.

Il padre francescano Domenico Atzei, noto esperto di piante officinali, è stato ospite della manifestazione, fatto segno delle numerose domande dei visitatori, mentre Ruggero Soru ha accompagnato nella visita del sito archeologico, e raccontato, con la consueta competenza, le vicissitudini degli utilizzatori delle grotticelle neolitiche presenti nell’area.

Giuseppe Mura

Sabato 17 e domenica 18 maggio, nei locali di Medau sa Grutta, nella suggestiva cornice della necropoli di Cannas di Sotto, si terrà un’esposizione di piante spontanee della nostre terre, dal titolo: “MAGICHE… PIANTE MAGICHE”, con la possibilità di seguire dei percorsi guidati, che porteranno i visitatori a conoscere le essenze vegetali più caratteristiche presenti nell’isola di Sardegna, testimoni mute e antiche di saperi ormai dimenticati.

L’evento sarà presieduto dalla curatrice dott.ssa Annarita Manca, farmacista ed erborista, allieva di Madre Natura che condivide e promuove il fascino e la conoscenza della comunicazione salutistica naturale.

Sarà ospite della manifestazione, padre Domenico Atzei, esperto di fama internazionale di piante officinali.    

L’esposizione sarà visitabile sabato 17, dalle 16.30 alle 19.00; domenica 18 maggio, dalle 9.00 alle 19.00.

Giuseppe Mura

MAGICHE PIANTE CARDO (1 di 1)

Modesto Melis ha festeggiato il suo 95° compleanno in un modo assolutamente originale e singolare per una persona “normale”, ancora di più per un nonnetto della sua “non più verde” età e, soprattutto, con una storia come la sua alle spalle. Questa mattina, sotto diverse centinaia di occhi quasi increduli per tanto coraggio, s’è lanciato con il paracadute dall’altezza di 4.000 metri in tandem con l’istruttore del centro di paracadutismo Skydive di Serdiana, Valentino Deriu. Il sogno che cullava da alcuni mesi, dopo aver realizzato, nel mese di settembre dello scorso anno, quello di ritornare nei luoghi della deportazione, a Mauthausen e Gusen, 69 anni dopo la liberazione, lo ha realizzato nella tarda mattinata di oggi, accompagnata da un tiepido sole primaverile.

Giunto al centro di paracadutismo poco prima delle 10.00, accompagnato dalla moglie Lucia, da figli e nipoti, oltre che dai soci della sezione Anmig di Carbonia, di cui è presidente, con la vicepresidente Agnese Delogu, e quelli dell’associazione A.N.P.d’I., sezione provincia di Carbonia Iglesias, di cui è socio, oltre che dal sindaco di Carbonia, Giuseppe Casti, e dal comandante della compagnia dei carabinieri di Carbonia, capitano Pino Licari, ha socializzato con tutti i presenti (troupe televisive, giornalisti e fotografi dei principali media della Sardegna) che hanno scattato centinaia di fotografie e realizzato numerosi filmati per documentare l’evento, si è rapidamente ambientato e poi è stato preparato dai tecnici per il lancio.

Una volta ricevute le istruzioni da Valentino Deriu e dai suoi più stretti collaboratori, immerso in una smagliante tuta gialla, è stato accompagnato nella zona d’imbarco sull’aereo che lo ha portato in quota per il lancio. A quel punto, è iniziata l’attesa per tutti i presenti. Uno dopo l’altro, sono arrivati a terra con i rispettivi paracadute, tutti i compagni di viaggio del centro di Serdiana e, infine, è stato annunciato il lancio di Modesto e Valentino, con un paracadute bianco. Un paio di minuti ed è comparsa la sagoma del paracadute che, accompagnato dal vento, è arrivato in zona d’atterraggio tra l’entusiasmo dei presenti e l’emozione dei parenti e degli amici più stretti. L’impatto con il suolo è stato dolce, come dolce è e resterà per sempre questa giornata dell’11 aprile che ha regalato ad uno degli ultimi sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti la gioia di rivivere le emozioni di quando si lanciava, 74 anni fa, giovane paracadutista della Folgore, e ancora non sapeva quale terribile destino lo avrebbe portato, di lì a poco, nella realtà dei campi di concentramento di Mauthausen e Gusen.

Il dopo volo di Modesto Melis è stato incredibile. Solo leggermente affaticato, ha posato per altre centinaia di fotografie con parenti e amici, poi ha partecipato al rinfresco organizzato per festeggiare il suo compleanno, anche se la parte più bella della festa l’aveva ormai già vissuta con il lancio da quota 4.000 metri con il suo compagno di viaggio Valentino.

Negli ultimi dodici mesi Modesto Melis ha vissuto grandissime emozioni.

Il 10 aprile 2014 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, alla vigilia del suo 94° compleanno.

Cinque mesi più tardi è tornato a Mauthausen e Gusen, i luoghi della deportazione, 69 anni dopo la liberazione e l’ormai insperato ritorno alla libertà.

Oggi, sabato 11 aprile 2015, ha festeggiato il suo 95° compleanno lanciandosi con il paracadute.

Per una persona normale, probabilmente, ce ne sarebbe già abbastanza per poter definire esauditi tutti i desideri, dopo una vita tanto sofferta. Ma Modesto Melis, a questo punto, può davvero essere definito una persona speciale che difficilmente fermerà la sua voglia di avventura ed andrà alla ricerca di nuove esperienze. Oggi è difficile, forse impossibile, prevedere quali possano essere, ma la straordinarietà della sua vita, è solo in parte raccolta nel libro L’animo degli offesi, scritto da Giuseppe Mura e pubblicato da Giampaolo Cirronis Editore, ed integrata dagli avvenimenti che sono seguiti a quel gennaio 2013 che vide la sua prima presentazione. Modesto Melis non ha ancora finito di stupire.

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Una gelida mattina del gennaio polacco del 1944 un primo drappello, avanguardia dell’armata sovietica raggiungeva un villaggio il cui nome, Oswiecim, era completamente sconosciuto al di fuori della Polonia. Nelle vicinanze del paese, chilometri di un doppio reticolato delimitavano un campo di centinaia e centinaia di baracche, allineate in lunghissime file diritte, intersecate ortogonalmente da strade che parevano allungarsi all’infinito, perdendosi nella foschia dei lontani boschi di betulle.

Così osservato da una certa distanza, tutto il complesso appariva completamente deserto ma, a mano a mano che il gruppo di militi russi, in sella a grossi cavalli pelosi, si avvicinava alla barriera di filo spinato, si videro uscire, qua e là, dalle baracche silenziose, figure macilente di larve umane, ricoperte di stracci a strisce biancoazzurre, zoppicanti scheletri viventi che sostenendosi, l’un l’altro o appoggiandosi a bastoni osservavano attoniti ed impauriti, quegli uomini in uniforme che abbattevano, per sempre i cancelli che li separavano dal mondo dei vivi.

Le SS, le temibili e spietate totenkopf, le teste di morto, così chiamate per le mostrine sulle quali ostentavano il distintivo in foggia di teschio, erano fuggite da qualche giorno, abbandonando i malati e i moribondi, trascinandosi dietro tutti i prigionieri, circa 20.000, in grado di camminare, facendo percorrere loro un viaggio micidiale, in parte a piedi, in parte in carri ferroviari aperti, nel mortale freddo invernale del nord Europa, che li uccise a migliaia prima che gli ultimi scampati raggiungessero i campi ancora efficienti all’interno del Reich. Questi viaggi dall’Est verso l’Ovest presero il nome di Marce della morte.

Era il 27 gennaio del 1944 e il nome tedesco di quel luogo, destinato ad essere tramandato quale simbolo stesso del male assoluto, era Auschwitz.

Negli anni futuri quella data sarebbe stata presa come ricorrenza della liberazione dall’orrore e dalla persecuzione, da ricordarsi, per le generazioni future, come Giorno della Memoria.

Allo scopo di onorare le vittime innocenti della crudeltà e del razzismo, e far sì che simili orribili misfatti, non si possano più ripetere, anche alla luce dei recenti avvenimenti di barbara intolleranza, lo Spi Cgil di Carbonia, con il patrocinio del comune di Carbonia, ha organizzato due incontri/conferenza con uno scampato alla retata di Ebrei italiani avvenuta a Roma nell’ottobre del ’43, l’ing. Fernando Tagliacozzo. Il primo si è svolto ieri sera al Teatro Centrale, il secondo si svolgerà oggi, dalle 9.30, sempre al teatro Centrale, riservato alle scuole.

Ospite dell’incontro sarà il cavalier Modesto Melis, sopravvissuto al lager di Mauthausen.

Una gelida mattina del gennaio polacco del 1944 un primo drappello, avanguardia dell’armata sovietica raggiungeva un villaggio il cui nome, Oswiecim, era completamente sconosciuto al di fuori della Polonia. Nelle vicinanze del paese, chilometri di un doppio reticolato delimitavano un campo di centinaia e centinaia di baracche, allineate in lunghissime file diritte, intersecate ortogonalmente da strade che parevano allungarsi all’infinito, perdendosi nella foschia dei lontani boschi di betulle.

Così osservato da una certa distanza, tutto il complesso appariva completamente deserto ma, a mano a mano che il gruppo di militi russi, in sella a grossi cavalli pelosi, si avvicinava alla barriera di filo spinato, si videro uscire, qua e là, dalle baracche silenziose, figure macilente di larve umane, ricoperte di stracci a strisce biancoazzurre, zoppicanti scheletri viventi che sostenendosi, l’un l’altro o appoggiandosi a bastoni osservavano attoniti ed impauriti, quegli uomini in uniforme che abbattevano, per sempre i cancelli che li separavano dal mondo dei vivi.

Le SS, le temibili e spietate totenkopf, le teste di morto, così chiamate per le mostrine sulle quali ostentavano il distintivo in foggia di teschio, erano fuggite da qualche giorno, abbandonando i malati e i moribondi, trascinandosi dietro tutti i prigionieri, circa 20.000, in grado di camminare, facendo percorrere loro un viaggio micidiale, in parte a piedi, in parte in carri ferroviari aperti, nel mortale freddo invernale del nord Europa, che li uccise a migliaia prima che gli ultimi scampati raggiungessero i campi ancora efficienti all’interno del Reich. Questi viaggi dall’Est verso l’Ovest presero il nome di Marce della morte.

Era il 27 gennaio del 1944 e il nome tedesco di quel luogo, destinato ad essere tramandato quale simbolo stesso del male assoluto, era Auschwitz.

Negli anni futuri quella data sarebbe stata presa come ricorrenza della liberazione dall’orrore e dalla persecuzione, da ricordarsi, per le generazioni future, come Giorno della Memoria.

Allo scopo di onorare le vittime innocenti della crudeltà e del razzismo, e far sì che simili orribili misfatti, non si possano più ripetere, anche alla luce dei recenti avvenimenti di barbara intolleranza, lo Spi Cgil di Carbonia, con il patrocinio del comune di Carbonia, ha organizzato due incontri/conferenza con uno scampato alla retata di Ebrei italiani avvenuta a Roma nell’ottobre del ’43. Un terzo incontro è in programma il 27 gennaio a Capoterra.

Il programma degli incontri:

27 gennaio – Biblioteca di Capoterra – ore 17.30 – Presentazione del libro: L’animo degli offesi – Storia di Modesto Melis da Carbonia a Mauthausen e ritorno – Autore Giuseppe Mura – editore Giampaolo Cirronis – (Carbonia). Saranno presenti l’autore, l’editore e il protagonista.

4 febbraio – Incontro con l’ing. Fernando Tagliacozzo, membro della comunità ebraica di Roma. Sfuggito alla retata nazista degli ebrei di Roma
Teatro Centrale di Carbonia ore 17.30 – ingresso libero.
Per il particolare contenuto degli argomenti trattati si sconsiglia la presenza ai minori di anni 14.

5 febbraio – Incontro con l’ing. Fernando Tagliacozzo, membro della comunità ebraica di Roma. Sfuggito alla retata nazista degli ebrei di Roma
Teatro Centrale di Carbonia ore 9.30 – Ingresso riservato alle scuole

Ospite degli incontri sarà il cavalier Modesto Melis, sopravvissuto al lager di Mauthausen.

Modesto  Melis davanti al monumento agli italianiMauthausen 1Modesto Melis 1

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Renzo Cappellaro 2Carbonia 1980-81

Se n’è andato due giorni fa, all’età di 77 anni, Renzo Cappellaro, centravanti del Cagliari dal 1963 al 1966 e tecnico di diverse squadre, tra le quali il Carbonia, che guidò per due stagioni in serie D, nel campionato 1980/81 e in serie C2, nel campionato 1984/85.

Nato a Vicenza il 12 maggio 1937, iniziò a giocare al calcio nelle giovanili del Lanerossi Vicenza, con la quale vinse il prestigioso Torneo di Viareggio per due anni consecutivi, nel 1954 e 1955, aggiudicandosi anche la classifica dei marcatori (conserva quel primato, raggiunto qualche anno fa dall’attuale centravanti della Nazionale, Ciro Immobile). Giunse alla prima squadra nel campionato di serie A 1957/58 e in cinque stagioni collezionò con la maglia biancorossa 56 presenze e 21 reti.

Lasciò il “suo” Vicenza nell’estate del 1961 per vestire la maglia grigia dell’Alessandria, con la quale vinse la classifica dei cannonieri del campionato di serie B, con 21 reti (36 presenze). L’anno successivo passò al Lecco, poi al Cagliari, nell’estate del 1963. Con la maglia rossoblù, al primo anno, conquistò una storica promozione in Serie A, al termine del campionato 1963/64, realizzando 9 reti. Dopo due stagioni in serie A (complessivamente, in tre campionati, collezionò 63 presenze e 16 reti), ritornò in serie B con il Genoa, per poi passare al Potenza. Appese le scarpette al chiodo quando era ancora giovane, a 32 anni.

niziò subito la carriera di allenatore, nella giovanili della Sambonifacese e dello Schio, ma è in Sardegna che riuscì a togliersi le migliori soddisfazioni. Il debutto alla Nuorese (1974/75), poi a Latina (1975/76), ancora a Nuoro (1978/79), Quartu Sant’Elena (1979/80), quindi a Carbonia, in serie D, nella stagione 1980/81, presidente Elvio Verniani. Fu quello, nella prima parte, il miglior campionato della sua carriera. Era il Carbonia di Adriano Novellini, Giampaolo Zaccheddu, Guido Accardi, Floriano e Marco Congiu, Aldo Scopa, Carlo Pusceddu, Giuseppe Mura, Marco Manconi e Mondo Mameli, Pierino Aresu, Roberto Sequi, Marco Fenu, Luciano Gambula, Rino Pianta, Pino Tocco, e ancora di Ugo Corda, Egidio Cossu, il compianto Sandro Piras, Mauro Virdis e Walter Lindiri, che nel catino di Bacu Abis, dove giocava per l’indisponibilità dello stadio comunale, per l’intero girone d’andata e la prima giornata del ritorno, incantò tutti, dominando letteralmente il campionato. Chiuse il girone d’andata in testa alla classifica con 28 punti (13 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte). L’inizio fu scoppiettante: 1 a 0 a Santa Maria degli Angeli con goal di Guido Accardi, primo ko a Viterbo per 0 a 1, riscattato con tre vittorie consecutive: 4 a 0 all’Audax Rufina con goal di Zaccheddu, Floriano Congiu, Adriano Novellini e Pierino Aresu; 2 a 1 a Terracina con doppietta di Adriano Novellini e 1 a 0 al Calangianus con goal di Floriano Congiu.

Dopo la sconfitta di Olbia, 0 a 1, il 2 novembre 1980, goal di Gianni Muresu, il Carbonia di Renzo Cappellaro infilò una splendida serie positiva, con sei vittorie e un pareggio in sette giornate, iniziata una bella vittoria per 3 a 1 nel derby interno con l’Iglesias, un’impresa per 3 a 0 a Cecina, il 5 a 1 all’Isili, l’1 a 1 sul campo del Frosinone (oggi in serie A), l’1 a 0 al Foligno, l’impresa all’Acquedotto di Sassari contro la Torres, battuta 1 a 0 con uno splendido goal di Marco Congiu e la vittoria con la Romulea, al ritorno allo stadio Comunale, 1 a 0. Il 4 gennaio giunse la sconfitta di Velletri, 2 a 1, riscattata con le vittorie sulla Lodigiani, 3 a 1 (doppietta di Adriano Novellini) e sull’Angelana, 3 a 2 (doppietta di Pino Tocco). Fu a quel punto che la squadra cominciò a balbettare e, giornata dopo giornata, a perdere terreno rispetto alle principali concorrenti, Frosinone e Torres, che era riuscita a fermare rispettivamente con un pari ed una vittoria sui loro campi, nel corso del girone d’andata. Renzo Cappellaro non riuscì a capacitarsi dell’involuzione della sua creatura ed il girone di ritorno si tramutò in un’autentica sofferenza per i tanti tifosi che si erano esaltati per quattro mesi: 6 sole vittorie, 3 pareggi e ben 8 sconfitte, per complessivi 13 punti ed il quarto posto finale, alle spalle delle promosse Torres e Frosinone e del Terracina.

La grande amarezza lasciò il segno e la società mineraria l’anno successivo affidò la guida della squadra a Checco Fele, che con la conferma dei migliori giocatori ed alcuni inserimenti (Pietro Pillosu, Gianni Tronci, Sergio Bodano, Riccardo Erriu e Leopoldo Pardini) riuscì a scrivere una delle pagine più belle della storia calcistica del Carbonia, centrando la promozione in serie C2, nella primavera del 1982.

L’esperienza di Renzo Cappellaro alla guida del Carbonia ricominciò due anni più tardi, in C2, presidente Benigno Atzori. Con un organico completamente rivoluzionato, dopo un buon avvio (2 a 0 a Montevarchi con goal di Fabrizio Rizzola e Giovanni Leone e pari interno con la Massese, 2 a 2, con goal di Giovanni Leone e Floriano Congiu) e tre vittorie interne consecutive (alla 7ª giornata 1 a 0 all’Olbia, con goal di Sandro Zaccolo; alla 9ª 1 a 0 allo Spezia con goal di Luca Rivetta; all’11ª 1 a 0 alla Torres con goal di Giuseppe Innella), la squadra biancoblù iniziò a balbettare e nell’ultimo scorcio di stagione, con una classifica allarmante, i dirigenti decisero di esonerare Renzo Cappellaro e di affidare la guida tecnica della squadra a Ugo Corda. Il cambio sortì l’effetto desiderato, il gruppo reagì e riuscì a centrare il traguardo della salvezza con 29 punti, grazie alla miglior classifica avulsa rispetto allo Spezia, alla Vogherese e, soprattutto, all’Olbia, alla Nuorese e all’Imperia, che finirono nel campionato Interregionale.

La carriera di Renzo Cappellaro, di fatto, si concluse lì, perché nelle stagioni successive il tecnico vicentino si dedicò alla cura dei giovani. Lascia un bellissimo ricordo tra quanti hanno avuto modo di conoscerlo ed apprezzarlo, sia per le qualità tecniche sia per quelle umane.

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L'arrivo di Modesto a Mauthausen 2

Sì è concluso, per Modesto Melis, il ritorno nei luoghi della deportazione subita 69 anni fa, a Mauthausen e Gusen. Come era accaduto in quella sera del 7 agosto del 1944, il 13 settembre 2014 Modesto ha visto comparire lentamente in cima al pianoro erboso, alla sommità della collina, il profilo grigio ed inquietante della costruzione che, allora, gli parve come un castello riemerso dalle tenebre del passato. Ora come allora alte mura grigie immerse in un pulviscolo di pioggia finissima ed avvolgente, illuminate da potenti riflettori, con la corrusca aquila di bronzo, inquadrata da sciabole di luce che trasformavano la costruzione in una impressionante immagine di minacciosa potenza, quasi sospesa nel nulla di una notte oscura.

Oggi quell’aquila minacciosa che stringeva tra gli artigli il superbo simbolo della croce uncinata, non esiste più. Travolta dalla furia di rivalsa dei deportati liberati, è crollata per sempre, al suo posto due tristi spuntoni di ferro arrugginito, rimangono a testimoniare quella presenza ma, un’aria di sinistra malvagità, continua ad emanare da quella mura, dai profili dei camini e delle torrette, da cui spuntavano, un tempo, le canne delle mitragliatrici.

Come allora, Modesto ha superato quel portone per scendere nelle tenebre delle docce dove, nudo ed umiliato fu completamente depilato e venne lavata via, oltre al sudore del viaggio nei vagoni bestiame, anche la sua dignità d’uomo.

Per contro, la mattina del 13 settembre Modesto è stato accolto dal rispetto e dal sorriso delle guide del Memoriale di Mauthausen che lo hanno come avvolto in un abbraccio di simpatia, stringendoglisi intorno per sentire dalla viva voce il suo racconto, come a voler trovare la conferma vivente di quanto, essi stessi, raccontano ai visitatori che accompagnano ogni giorno con la narrazione dell’orrore.

Modesto, insieme all’autore della sua biografia “L’animo degli offesi”, Giuseppe Mura e all’editore, Giampaolo Cirronis, è stato sottoposto, se pur bonariamente, dal ricercatore che, da circa 40 anni studia il sistema concentrazionario di Gusen, ad un vero fuoco di fila di domande, per cercare eventuali, possibili notizie ancora non note, su metodi e tecniche usate per portare avanti il loro piano di costruzione di armamenti nell’imponente galleria.

Le risposte di Modesto sono state sempre accurate e puntuali, per quanto possibile dopo 69 anni, ma sempre accompagnate da un sorriso tranquillo e dalla consueta arguzia. La visita è proseguita domenica 14 settembre, al Memoriale di Gusen, il campo dove Modesto languì per quasi un anno, fino al fatidico 5 maggio del 1945. Poteva essere una mattina come tante altre vissute da Modesto nei suoi novantaquattro anni di vita, invece si preparava per lui un avvenimento speciale, unico, quello in cui avrebbe rivisto i luoghi dove aveva trascorso la gran parte della sua prigionia: il lager di Gusen.

Fino al 1940, il nome Gusen era stato solamente quello di un modesto affluente del Danubio, sconosciuto a chiunque non abitasse in quel circondario ma, quando gli alti ufficiali delle SS, si accorsero che era prevedibile un rapido incremento del numero di deportati, si diede inizio alla costruzione di decine di grandi baracche in legno, insieme a qualche edificio in pietra e all’utilizzazione di poche costruzioni preesistenti. Fu poi eretto un muro perimetrale, alla cui sommità vennero stese tre linee di filo spinato, sostenute da isolatori di porcellana; infine, furono elevate, ad ogni angolo e al centro di ciascun lato del perimetro, le torrette di guardia. Era sorto il nuovo lager, appendice di quello principale di Mauthausen, divenuto ormai il centro direzionale di un vasto sistema concentrazionario, composto di ben 49 campi satelliti, tra i quali, quello di Gusen sarebbe stato il maggiore, arrivando a contenere fino a 26.000 deportati. Vi avrebbero trovato la morte oltre 3.500 italiani.

Modesto Melis, matricola 82441, vi sopportò ogni genere di sofferenza. La prima sorpresa arriva per Modesto subito all’arrivo: nessuna traccia è più presente di quanto aveva conosciuto; i chilometri di filo spinato percorso da corrente e la lunga teoria di baracche di legno sono stati sostituiti da linde ed eleganti villette dai tetti spioventi per resistere al carico della neve, circondate da allegri giardini cinti da siepi verdi, intersecati da vialetti lastricati. Di tutto quanto Modesto aveva conosciuto e vissuto, rimane uno dei doppi forni crematori, racchiuso da un muro di cemento armato, costruito a seguito di una raccolta volontaria di denaro da parte di ex deportati italiani. Furono sempre le stesse associazioni a comprare il terreno per erigere il monumento, per poi cederlo al comune di Langenstein, di cui la novella frazione divenne parte.

Modesto appare ora un poco perplesso, ma i ricordi riaffiorano non appena, affiancati da un’affabile guida, entriamo nel memoriale e, appesi alle pareti, osserviamo i pannelli luminosi che rappresentano le foto originali del campo e le diverse piantine. Modesto aguzza gli occhi, si avvicina e dà il via ad un inarrestabile flusso di parole. Racconta e racconta…, le sue esperienze, la composizione del campo, le diverse vicissitudini affrontate, i kapos, le frustate, i compagni morti, i più, i sopravvissuti, pochissimi… Una mattinata dedicata interamente alla memoria. Poi, sempre accompagnati dalla giovane ed interessatissima guida, ripercorriamo i sentieri del cammino passato.

Ecco il percorso della ferrovia che trasportò i deportati, un giorno dopo l’altro, ecco il ponte ed il cavalcavia che attraversò Modesto nella sua fuga verso la libertà. Terminiamo, infine, la visita esausti per le emozioni contrastanti che saturano le nostre menti: orrore, stupore, sconcerto…pena..

Modesto è forse l’unico ad apparire sereno, quasi…

Giuseppe Mura

Autore del libro “L’animo degli offesi”

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Modesto Melis 4Modesto Melis e Giuseppe MuraOLYMPUS DIGITAL CAMERA

Sessantanove anni e qualche mese, sono trascorsi da quel pomeriggio in cui, la pattuglia comandata dal sergente Albert J. Kosjek, a bordo di un carro leggero da esplorazione e di alcune Jeep, in forza alla 3ª Armata del generale Patton, intorno al mezzodì, giungeva ai cancelli del Lager di Gusen, a circa 4 km ad oriente del campo di Mauthausen.

Avanzando all’interno del recinto, ora non più elettrificato, verso le basse colline del Nord, i due soldati a bordo della Jeep, videro venire loro incontro uno sparuto gruppo di esseri che ben poco conservavano di fattezze umane; più che uomini parevano spaventapasseri infagottati in pigiami biancoazzurri. I visi emaciati e grigiastri, le mani adunche e nere come artigli, si trascinavano zoppicanti su zoccolacci di legno sconnessi. Osservavano con un’espressione spaurita, quei giovani in linde uniformi caki che, a loro volta, li guardavano con un misto di orrore e pietà. Poi uno di quei giovanotti, si sfilò l’elmetto, si passò una mano sulla fronte, poi, aprendo il viso in un sorriso, allungò un braccio verso quelle larve umane, tendendo una mano che stringeva fra le dita un pacchetto di biscotti.

Dapprima timidamente, poi più deciso, incoraggiato dal sorriso del soldato, uno degli uomini con il pigiama a righe si avvicinò e prese il pacchetto. Stracciò, quasi con frenesia, la carta dell’involucro e addentò voracemente le stecche friabili e dolci che si sciolsero subito nella sua bocca come un nettare dolcissimo e di un sapore ormai dimenticato. Sollevato lo sguardo, vide i suoi compagni, che avevano ricevuto la loro parte di dolcezza, con un viso stranito ed un’espressione ebete sul viso, mentre l’automezzo si allontanava in una nube di polvere, in direzione di Mauthausen, qualche kilometro più ad Ovest.

Quell’uomo, era Modesto Melis, sopravvissuto ad oltre un anno di fame, fatica e maltrattamenti inenarrabili. Aveva attraversato l’inferno in terra ed era sopravvissuto. Era il 5 di maggio del 1945 e quel giorno veniva liberato l’ultimo lager nazista ancora in attività.

Mentre dal campo centrale di Mauthausen, distante appena quattro kilometri, si levavano urla di gioia che sottolineavano la liberazione, frammiste a spari e raffiche di mitra che annunciavano che anche la vendetta aveva avuto inizio, Modesto volgeva le spalle all’orrore ed oltrepassava definitivamente quei cancelli che si erano chiusi alle sue spalle in quell’agosto del 1944.

In quel campo, da allora non è più tornato… fino ad ora.

Domani, 12 settembre 2014, Modesto, con i suoi 94 anni, rivedrà i luoghi che lo hanno visto vittima della crudeltà dell’uomo sull’uomo, accompagnato da suo figlio Bruno, dall’autore e dall’editore della sua biografia, Giampaolo Cirronis, che ha finanziato la missione.

Giuseppe Mura

Autore del libro “L’animo degli offesi”