25 April, 2024
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La conferenza degli assessori regionali dell’aAgricoltura ha deliberato, su proposta della Regione Sardegna, di mantenere a 300.000 euro il limite minimo di fatturato per il riconoscimento delle Organizzazioni di Produttori (OP) biologiche. Per Ignazio Cirronis, presidente regionale di Copagri Sardegna, non era un fatto scontato visto che al Ministero avevano già fatto propria la proposta della Regione Emilia Romagna di elevare tale limite a 500.000 euro e si tratta di una vittoria per il biologico della Sardegna. Il nuovo limite, infatti, avrebbe ridotto le OP biologiche della Sardegna ad una sola, forse due, dalle quattro ora esistenti.

«Siamo soddisfatti dell’intervento dell’assessore Elisabetta Falchi che ha saputo far valere la specificità del comparto biologico e quindi tutelare i piccoli produttori sardi che si aggregano nelle OP – ha commentato Ignazio Cirronis -. Ora serve una politica di sviluppo di questo comparto per sfruttare appieno i ritmi di crescita davvero impressionanti, tra il 15 ed il 20% dei fatturati su base annua ed il continuo incremento degli occupati.»

Quadro sintetico delle OP produttori biologici riconosciute in Sardegna (dati 2013)

O.P.

  Soci

N° Occupati

Fatturato

Settori produttivi

Mercato

Sardegna

Italia

Estero

S’Atra Sardigna

100

35

7.000

Ortofrutta

Formaggi

Altri trasformati

20%

45%

35%

Consorzio Produttori Sardegna Biologica

170

*0

450

Carni bovine

50%

50%

0%

Sardegna Isola Biologica

180

2

900

Latte

Formaggi

Miele

95%

5%

0%

OPAS Terra Antigas

6

6

400

Miele e prodotti alveare

55%

35%

10%

*utilizza solo collaboratori esterni

Le OP biologiche sono pronte alle sfide del mercato nazionale ed estero come dimostrano i successi del biologico sardo alla recente Fiera Internazionale del Biologico che si è tenuto a Norimberga, il BioFach, che ha permesso l’allargamento del mercato delle produzioni biologiche sarde anche alla Francia ed all’Olanda, dopo la Germania, il Belgio e la Svizzera, paesi nei quali i prodotti biologici sardi vanno già a gonfie vele.

In Parlamento il dibattito sul comparto del latte vaccino che vive un periodo di crisi, cresce, e Copagri Sardegna – su richiesta dell’assessore regionale dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi – interviene sulla questione. A Montecitorio, ora intervengono alcuni parlamentari che hanno presentato tre distinte risoluzioni con contenuti che Copagri ritiene condivisibili, i quali  sottolineano, tra l’altro, l’esigenza di un’equa ripartizione del valore lungo la filiera mediante il monitoraggio dei costi di produzione affinché il prezzo riesca a coprirli, l’indicazione obbligatoria in etichetta del luogo di origine del latte e dello stabilimento di lavorazione, il pieno rispetto dell’art. 62 della legge 27 del 2012 che impone contratti scritti tra le parti, chiari e trasparenti. Si indica inoltre al Governo di promuovere le produzioni di qualità del settore e di promuovere il consumo del latte e formaggi nelle scuole e mense pubbliche.

Secondo Ignazio Cirronis, presidente regionale di Copagri, «sono senz’altro utili anche le indicazioni di “promuovere iniziative affinché alle imprese agricole siano garantiti prezzi di favore per l’acquisto del gas, dell’energia elettrica, del gasolio e dei mangimi per l’allevamento degli animali nonché dei medicinali”, ma gli sforzi andrebbero concentrati verso la cancellazione degli oneri Imu e il ripristino delle agevolazioni per il gasolio agricolo».
Sull’attuazione della legge 27 del 2012, inoltre, per Copagri Sardegna, il Governo deve elaborare, sentite le parti, un contratto-tipo che regoli i rapporti tra venditori e acquirenti, trasparente e omogeneo sull’intero territorio nazionale. Copagri Sardegna ha anche trasmesso alla Regione lo schema di un contratto tipo stilato negli anni scorsi per il comparto ovicaprino.
Per dare più forza al potere contrattuale dei produttori, basterebbe poi dare applicazione al decreto all’articolo 17 del decreto legislativo n. 228 del 2001 che prevede il trasferimento di adeguato vantaggio economico ai produttori agricoli da parte delle industrie che ottengano benefici pubblici.

In Italia il comparto bovino da latte è rappresentato da 1.862.000 vacche allevate da 35.544 aziende che producono 11 milioni di tonnellate di latte per un valore di 4,5 milioni di euro. Mentre in Sardegna, nell’ultimo censimento del 2010, erano registrate 1.245 aziende con vacche da latte e 33.348 capi. A seguito della convocazione di due tavoli di filiera sul comparto, il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, ha dichiarato di volersi muovere verso il miglioramento e difesa della qualità, lo sviluppo di campagne di educazione alimentare, la promozione dei formaggi, una più chiara etichettatura che rilevi il luogo di mungitura e la sede dello stabilimento di lavorazione. Per il triennio 2015-2017 è prevista dal Governo la spesa di 110 milioni di euro.

In Sardegna, però, le regole contrattuali in materia di latte vaccino hanno un rilievo minore rispetto ad altre regioni: il latte bovino è, per circa il 90%, controllato dalla 3A di Arborea che lo remunera a un prezzo tra i più alti d’Italia. Per questo motivo lo Stato dovrebbe riconoscere un aiuto ai programmi di attività delle OP che, quando ben organizzate (come la 3A),  sono in grado di soddisfare al meglio le aspettative dei produttori.

«L’attenzione del Governo, e dei parlamentari, però – sostiene Pietro Tandeddu – coordinatore regionale di Copagri – non deve limitarsi al latte bovino ma occorre estendere le indicazioni e le  soluzioni trovate per il comparto bovino al settore ovicaprino, che non interessa solo la Sardegna ma il Lazio, Toscana, l’Abruzzo, Piemonte, Basilicata e l’intero Appennino italiano. Deve quindi essere riaperto dal Governo il Tavolo di Filiera Ovicaprino, istituito, dopo le insistenze della Regione sarda, nel 2008».

«Non possiamo abbassare la guardia per il comparto ovino solo perché il prezzo del pecorino romano ha raggiunto i 9 euro al chilo, superando la quotazione del parmigiano reggiano a 12 mesi e più (oggi a 7,80 €/Kg) – aggiunge Pietro Tandeddu -. Sembra che qualche caseificio sardo stia incrementando la produzione di pecorino romano il che contrasta palesemente con la volontà espressa di provvedere alla regolazione dell’offerta per il prossimo anno. Copagri Sardegna rivolge quindi «un pressante appello agli industriali privati e alle cooperative perché prevalga il buon senso e non si comprometta un momento “felice” del mercato, anche se la ripartizione del valore nella filiera non è del tutto equo».

Campagne di Giba

Anche la Sardegna aderisce alla manifestazione nazionale contro l’imposizione dell’Imu in agricoltura. Domani (25 febbraio, dalle 8.00 alle 14.00), Copagri Sardegna ha organizzato un sit-in davanti alla Camera dei deputati, in Piazza Montecitorio a Roma, per sensibilizzare i parlamentari e l’opinione pubblica rispetto all’iniquità dell’Imposta municipale unica (Imu).

L’imposta colpisce le aziende agricole a partire dai fabbricati e dai beni strumentali, compresa la terra, bene imprescindibile per svolgere l’ordinaria attività di impresa. I vertici nazionali e sardi dell’associazione sottolineano come le aziende agricole devono già fare i conti con una situazione insostenibile fatta di ricavi che non coprono più i costi produttivi e gli oneri tributari. Solo per fare qualche esempio: al settore è stata ridotta del 23% la quota dei consumi medi di gasolio ammessa alle agevolazioni ed è stata cancellata la deduzione del costo del lavoro agricolo a tempo determinato dalla base imponibile Irap, prevista con la legge di stabilità. Sono nuovi aggravi che fanno il paio con l’Imu, sulla quale, peraltro, non manca grande confusione dopo la nota con cui l’Istat ha dichiarato di non avere fornito alcun dato per la classificazione delle zone montane, parzialmente tali o per nulla interessate, che invece si riferisce a una legge del 1952. Nessun aggiornamento, dunque, è stato apportato.

«L’emendamento approvato dalla Commissione Finanze alla Camera – dice Ignazio Cirronis, presidente di Copagri Sardegna – non prevede modifiche sostanziali ma che il pagamento possa slittare al 31 marzo senza applicazione di interessi e sanzioni». Nel decreto, inoltre, non è previsto nemmeno un rimborso o una compensazione per chi abbia applicato i vecchi criteri di determinazione dell’imposta (in base al decreto del 28 novembre 2014) anche se con i nuovi criteri dovesse risultare esente.

«Tassare un bene di produzione è profondamente ingiusto – conclude Ignazio Cirronis -. Una cosa è tassare utili, altro aggravare i costi di produzione già di per sé molto alti».

«Attendiamo la sentenza sul merito del Tar del Lazio – aggiunge il coordinatore di Copagri Sardegna, Pietro Tandeddu – e nel frattempo, come consigliato dall’Anci, forse non è sbagliato non pagare. In caso di sentenza sfavorevole si può ricorrere al “ravvedimento operoso” con pochi aggravi. Quella di pagare o meno è però una scelta che spetta ai produttori interessati».

Domani, quindi, Copagri manifesterà nei confronti di questa tassa che è contro l’impresa, sottolineando la leggerezza e la superficialità di un provvedimento creato solo nella logica di fare cassa, senza prima realizzare una concreta revisione della spesa laddove è possibile, e i margini sono vasti.

Ignazio CirronisFrancesco Pigliaru 4

Il presidente di Copagri Sardegna, Ignazio Cirronis, ha inviato una lettera aperta al Governatore della Sardegna, Francesco Pigliaru.

Questo il testo integrale.

Caro Presidente,

io ho preso sul serio quanto ha detto negli incontri a cui ho partecipato che hanno preceduto le elezioni regionali della Sardegna quando, da economista, ha sostenuto che la rinascita della Sardegna passava per una nuova politica economica. In particolare per l’agricoltura, ha affermato che si doveva puntare sui comparti produttivi e sulle aziende capaci di aggregare le produzioni perché solo così si potevano valorizzare le eccellenze agroalimentari sarde anche sui mercati esteri.

Io sono stato contento di sentire quelle parole dal futuro Presidente della Giunta Regionale. Ancora più felice sono stato quando ha nominato Elisabetta Falchi assessore dell’agricoltura: donna capace e professionalmente preparata per disegnare e cercare di attuare le strategie agricole di cui ha bisogno la Sardegna.

Poi però succede qualcosa che non mi convince: al comparto agricolo non vengono lasciati nel bilancio regionale neppure le briciole e se non fosse per il PSR, si potrebbero mettere in cassa integrazione non solo i 119 funzionari dell’Assessorato, ma anche i 1.341 dipendenti delle diverse Agenzie Regionali e quelli delle Associazioni Allevatori.

E poi arriva la doccia fredda del taglio dei programmi operativi per le OP, le Organizzazioni di Produttori, che in questi giorni hanno ricevuto il taglio o il rigetto delle proposte per il 2015. Tra l’altro la scure non ha interessato tutte allo stesso modo, creando una grave discriminazione tra chi aveva un programma in corso e chi lo stava rinnovando! La Giunta Cappellacci non era arrivata a tanto: tutte le OP avevano avuto il supporto promesso, potendo continuare nel loro impegno che ha accresciuto ogni giorno reddito e occupazione.

Ora, invece, si prevedono tempi durissimi per le 30 OP della Sardegna con oltre 7.000 produttori associati e un fatturato complessivo di quasi 230 milioni di euro. Riferendomi alle OP non parlo di “assistenza”, ma di cooperative che oltre a rispettare le norme generali della cooperazione (per esempio non dividono utili) rappresentano, a detta della Unione Europea, la strada privilegiata per lasciare alla produzione il maggior valore aggiunto dei prodotti agricoli giacché trasformano e commercializzano direttamente, o con il minor numero di intermediazioni, i prodotti dei soci.

Le OP preparano e attuano programmi di attività che supportano la commercializzazione, spesso sui mercati esteri, dei prodotti alimentari sardi. Con questi programmi l’occupazione nelle OP sarde è cresciuta costantemente negli anni. A maggior ragione non è tollerabile una interruzione di queste politiche. Nel bilancio 2015 manca un milione di euro  per salvaguardare centinaia di posti di lavoro produttivi e per permettere uno sviluppo dell’occupazione nelle zone rurali, quelle dove non c’è l’alternativa del pubblico impiego e dove l’industria non è più nemmeno un miraggio.

Caro Presidente, se non vogliamo che altri dicano che questa Giunta non mantiene gli impegni presi per il rilancio dell’economia isolana, occorre certo puntare su ambiente e istruzione, ma che ce ne facciamo di persone istruite se poi esportiamo non i nostri prodotti alimentari, bensì i nostri migliori cervelli?

Lungi da me aprire una guerra tra poveri, ma se è possibile trovare 600 milioni per realizzare nuove infrastrutture, se ne trovi uno per finanziare tutti i programmi di attività ed i piani di avviamento delle Organizzazioni di Produttori Agricoli, eliminando le discriminazioni tra diverse OP già dai piani 2015.

E come è possibile che l’assessorato dell’Industria abbia messo a bando 800.000 euro per supportare le imprese artigianali che vogliono esporre i propri prodotti all’Expo (magari con materie prime non sarde) e non ci sia in bilancio un solo euro per le aziende e cooperative agricole per la stessa finalità?

Sono abituato a giudicare i governi sulla base delle loro azioni. Su queste due emergenze, e più in generale sulla strategia per l’agricoltura sarda, mi piacerebbe che gli impegni presi vengano rispettati: noi la nostra parte la facciamo comunque.

Cagliari, 20 gennaio 2014

Cordiali saluti

Ignazio Cirronis

Presidente Copagri Sardegna

Per il Biofuel Copagri Sardegna propone di sfruttare le aree inquinate del Sulcis per non danneggiare le colture alimentari.

«La società milanese Mossi & Ghisolfi, come ampiamente pubblicizzato – si legge in una nota di Copagri Sardegna -, ha avanzato la proposta di investire 220 milioni di euro nel Sulcis per la produzione di bioetanolo. L’investimento produrrebbe a Portovesme, a loro detta, ben 300 posti di lavoro e richiederebbe la coltivazione da 5.000 a 17.000 ha di canna comune.»

«Giova agli agricoltori sardi produrre canne anziché prodotti alimentari di cui la nostra Isola ha fortemente bisogno? – si chiede Ignazio Cirronis, presidente regionale di Copagri Sardegna -. Ebbene la conclusione a cui arriva l’associazione agricola è semplice: NO. O meglio va bene la sperimentazione ma non a danno delle colture alimentari.»

La Sardegna importa ogni anno circa 300 milioni di euro di prodotti agroalimentari con una bilancia commerciale fortemente negativa. Sono note le carenza produttive nei comparti della cerealicoltura, carni, specie bovine, olivicoltura, ortofrutticolo. È risaputo che varcano i confini dell’Isola, con cifre e volumi di un certo rilievo, pomodori e carciofi, vini, formaggi, agnelli. Per il resto importiamo di tutto. «Il tema della sicurezza alimentare, intesa come sicurezza degli approvvigionamenti, è sempre più all’attenzione dell’Unione Europea e degli Stati del mondo – aggiunge Pietro Tandeddu, coordinatore regionale dell’associazione agricola -. Già oggi 800 milioni di persone muoiono di fame e nel 2050 la Terra conterà 9 miliardi di abitanti. Ciò spinge i cosiddetti paesi in via di sviluppo come Cina, India e Corea ad accaparrarsi milioni di ettari di terre prevalentemente in Africa.»

Per queste ragioni, e non solo, anche il consumo del suolo agricolo, la sua cementificazione, cominciano a destare qualche preoccupazione in più. In trenta anni, in Italia, i terreni agricoli sono passati da 18 milioni di ettari a 12; ce ne vorrebbero 61 per coprire i consumi nazionali. «Perché pensare allora alla coltivazione di canna, pianta che ha un certo fabbisogno idrico, e metterla in concorrenza (a Masainas, Tratalias, Giba e vicinanze) con il carciofo spinoso DOP? – prosegue Cirronis -. «Chiediamo, per quel territorio e per l’intera Isola, un progetto agricolo serio con l’obiettivo di utilizzare pienamente le acque disponibili a fini alimentari. Nei comprensori di bonifica l’acqua registra, nelle aree attrezzate, un tasso di utilizzo sotto il 30%: è come se avessimo speso il triplo per dotare le zone agricole di impianti irrigui!».

Copagri Sardegna propone un’alternativa alla società Mossi e Ghisolfi: sperimentare la coltivazione della canna comune nel Sulcis, a ridosso di Portoscuso e Portovesme, dove vaste aree sono state inquinate e definitivamente compromesse per il forte tenore di metalli pesanti. Tutti ricordano le vicende delle uve al piombo che, per alcuni anni, hanno mortificato l’immagine di un’eccellenza come il Carignano. Si conducano lì, nella zona delimitata dal piano regionale di bonifica e quindi nelle aree interdette alle coltivazioni food, le sperimentazioni, sia da parte dell’Università che di Agris, cui la coltura della canna non è sconosciuta. Si vedrà nel proseguo se i produttori ne riconosceranno la convenienza ben sapendo di avere un unico acquirente il cui potere contrattuale sarà enorme nel dettare le condizioni contrattuali.

Polo industriale Portovesme 3

Copagri dice no al Cannonau veneto spacciato per sardo, in generale alle truffe ai danni dei prodotti isolani, e si prepara a dare battaglia. La questione ha tenuto banco per le feste natalizie quando sono state messe in commercio bottiglie di “Cannonau di Sardegna DOC” prodotte dalla Cantina di Cazzano di Tramigna in Veneto, con l’etichetta che, al posto della nostra Isola, riportava l’immagine della Sicilia.

«A parte l’evidenziazione della Regione Sicilia nell’etichetta, che si commenta da sola, tutto fa supporre che si tratti di una vera e propria truffa – dichiara Ignazio Cirronis, presidente  regionale di Copagri Sardegna – che va perseguita a norma di legge. Il disciplinare di produzione del Cannonau di Sardegna DOC prevede che le uve siano prodotte in Sardegna e solamente nella nostra Isola. Va precisato inoltre che, con la modifica del disciplinare approvata nel  2011, si è stabilito che anche l’imbottigliamento del cannonau debba avvenire all’interno della Sardegna».

Inoltre, «a suo tempo – rileva Pietro Tandeddu, coordinatore regionale di Copagri – su proposta dell’allora assessore dell’Agricoltura Francesco Foddis, il ministro delle Politiche agricole Paolo De Castro emanò uno specifico decreto (dell’11 dicembre 2007 e tuttora vigente), dove si prevede che l’utilizzo del vitigno cannonau e sinonimo cannonao sia riservato all’esclusiva designazione e presentazione dei vini DOC e DOCG della  Regione Sardegna».

Copagri Sardegna non si ferma qui. L’associazione agricola ha denunciato questa (che sembra un’autentica truffa) alla direzione regionale dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari affinché questa provveda ad effettuare gli opportuni accertamenti e prenda le conseguenti decisioni.

Copagri Sardegna lancia l’allarme sui Consorzi di Bonifica e invita la Regione a dare attuazione alla riforma approvata sei anni fa. È, infatti, continua e giusta la protesta dei dei coltivatori: l’ultima riguarda il Consorzio di Oristano, e prima ancora quello del Basso Sulcis e della Nurra. Ora basta.

«Non si capisce perché debbano ancora esistere NOVE consorzi di bonifica con nove gestioni separate che determinano un costo dell’acqua non uniforme sul territorio regionale, e causano concorrenza sleale all’interno delle stesse colture», dichiara Ignazio Cirronis, presidente di Copagri Sardegna. «Le Organizzazioni agricole hanno in sostanza condiviso la scelta dell’assessorato di unificare il Consorzio della Sardegna Meridionale con quelli del Basso Sulcis e del Cixerri, ma non basta – aggiunge Pietro Tandeddu, coordinatore regionale di Copagri -. «La soluzione ottimale è rappresentata da un’unica Agenzia o struttura consortile, ma nel frattempo si provveda all’integrazione del consorzio dell’Ogliastra con Nuoro e all’unificazione dei tre consorzi del Nord Sardegna».

Per Copagri non sono bastati 6 anni per mettere a posto i bilanci dei consorzi in modo uniforme e trasparente, secondo lo schema del bilancio della Regione, in modo che si possa evincere una chiara situazione patrimoniale e un chiaro conto economico.

Per questo l’associazione suggerisce alcuni punti di immediata attuazione:

– si dovrebbero istituire servizi comuni tecnici, amministrativi e contabili a livello regionale, con dotazioni organiche definite per i consorzi,

– si dovrebbe ripristinare la norma del 2008 che fissava all’80% il contributo regionale per le spese di manutenzione, norma “furbescamente” modificata dalla precedente Giunta (che scrisse “sino all’90%”): un vero e proprio specchietto per le allodole, dato che lascia all’amministrazione la discrezionalità di decisione;

– si devono rivendicare e utilizzare al meglio le risorse irrigue che arriveranno dal Programma nazionale del PSR (anche per completare il piano di installazione dei contatori che possono consentire un risparmio idrico con il pagamento secondo i reali consumi);

– la Regione deve deliberare i criteri per la determinazione annuale del contributo irriguo da porre a carico dei produttori, e che premi i migliori consorzi in termini di economicità ed efficienza;

– bisogna dire basta all’assunzione di precari per 6 o 8 mesi nonostante un utilizzo di pochi mesi e pur senza copertura finanziaria per l’intero periodo

Copagri, infine, si rivolge all’assessore dell’Agricoltura affinché promuova a breve un incontro con le organizzazioni, i consorzi e la struttura dell’assessorato per fare il punto della situazione e condividere un piano di azione capace di determinare un giusto costo dell’acqua di irrigazione.

Piantagioni di carciofi

Allarme per l’innalzamento dell’Imu sui terreni agricoli. Copagri Sardegna, come ha dichiarato il suo presidente regionale, Ignazio Cirronis, «esprime forti preoccupazioni per l’inasprimento fiscale sui terreni operato dal recentissimo decreto interministeriale del 28 novembre sull’Imu: il decreto  riduce la platea degli agricoltori esenti e costringe al pagamento dell’imposta entro il 16 dicembre». Per l’associazione «il comparto agricolo meriterebbe ben diversa attenzione nel momento in cui mostra segnali di tenuta ripresa maggiori di altri settori produttivi, con incrementi dell’export e dell’occupazione».

Copagri Sardegna si rivolge «ai parlamentari sardi in modo che si adoperino per una rapida correzione del decreto salvaguardando quanto meno i coltivatori diretti e gli imprenditori a titolo principale su tutta l’area agricola indipendentemente dall’altitudine dei terreni».

Riparte il dibattito sul credito agrario e Copagri Sardegna presenta le sue proposte. Mercoledì, l’assessore dell’Agricoltura Elisabetta Falchi, sentita la  Sfirs e il Banco di Sardegna, che, si sa, eroga nell’Isola circa l’80% del credito in agricoltura, ha avviato il confronto con le Organizzazioni professionali agricole sul tema. Copagri ha ben accolto la notizia che dimostra la volontà di ricostruire una politica per il credito, da diversi anni scomparsa dall’agenda politica.

Tra gli annosi problemi che affliggono il settore ci sono la difficoltà di accesso al credito e i tassi di interesse molto elevati, come è stato evidenziato dal presidente di Copagri Sardegna, Ignazio Cirronis, e dal suo coordinatore Pietro Tandeddu. Pur in presenza di un tasso di sconto pari allo 0,25% stabilito dalla Bce, infatti, i tassi sono compresi entro una forbice di 2,5-8 punti oltre l’Euribor, a seconda del rating delle aziende.

È inoltre indispensabile coinvolgere, oltre la Sfirs e il Banco di Sardegna, tutti i soggetti che hanno voce in capitolo come i consorzi fidi agricoli, l’Abi Sardegna e l’Ismea, così come è importante avere dati aggiornati per avere un quadro dettagliato e al passo con i tempi, in particolare, dei debiti in situazione di incaglio e sofferenza.

La prima azione da intraprendere è il consolidamento dei debiti a breve termine portandoli a medio, lungo periodo, questo tramite un accordo tra banche e imprese agricole rappresentate dalle Organizzazioni di categoria. Ismea potrebbe fornire garanzie dirette a prima richiesta grazie ai fondi che le erano stati erogati dalla Regione all’epoca della Giunta Soru. L’azione dovrebbe inoltre coinvolgere la Sfirs per l’estensione del Fondo di Garanzia regionale anche alle imprese agricole di produzione (il fondo oggi è rivolto solo alle imprese industriali).

In secondo luogo, dopo che il microcredito deliberato dalla vecchia Giunta regionale si è rivelato una “bufala” perché sprovvisto di fondi, va riattivato il prestito agevolato di esercizio a breve termine, come fanno da anni molte Regioni italiane nel rispetto delle regole europee. Occorre la costituzione di un fondo dedicato per l’abbattimento dei tassi di interesse, il coinvolgimento dei consorzi fidi per sfruttare le loro convenzioni già attive con gli istituti di credito e la fornitura di garanzie. Anche qui Ismea e Sfirs potrebbero avere un ruolo importante.

Resta sempre attuale, inoltre, l’esigenza di favorire la capitalizzazione delle imprese agro industriali. Infine, secondo Copagri, va riattivata la Legge regionale n. 4 del 1998 per poter intervenire sulle aziende agricole in difficoltà, con piani personalizzati da sottoporre preventivamente alla Commissione europea.

INVITO PROGRAMMA SEMINARIO VILLAGRANDE - def

L’Hotel Orlando Resort di Villagrande Strisaili, in località Santa Barbara, ospiterà venerdì 10 ottobre, dalle ore 9.30, un seminario sul tema “Strategie e azioni finalizzate all’eradicazione della peste suina africana”, presente in Sardegna da 36 anni, progetto pilota per la realizzazione di una campagna di informazione e comunicazione, organizzato da #Copagri Sardegna e #Laore Sardegna.

I lavori verranno moderati e coordinati da Pietro Tandeddu (coordinatore regionale di Copagri Sardegna). Dopo i slauti e l’introduzione di Ignazio Cirronis (presidente regionale di Copagri Sardegna) e i saluti di Giuseppe Loi (sindaco di Villagrande), interverranno Dino Garau (direttore Servizio Sanità Animale della ASL di Lanusei), sul tema “Problematiche relative all’eradicazione della peste suina africana”; Giovanni Salis (consulente dell’assessore regionale dell’Igiene e Sanità), sul tema “Ipotesi di revisione e aggiornamento del piano di eradicazione”; Sebastiano Piredda (direttore generale dell’assessorato regionale dell’Agricoltura), sul tema “Misure di sostegno per il comparto suinicolo”; Sebastiano Porcu (Agris), sul tema “Le attività di ricerca relative alla salvaguardia e valorizzazione del suino autoctono sardo”; Giuseppe Fruttero e Tonello Abis (tecnici Laore), sul tema “Sistemi razionali di allevamento suinicolo e schema progetto Laore”.

Seguirà il dibattito, al quale è prevista la partecipazione degli assessori dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi, e della Sanità, Luigi Arru; del capogruppo della V commissione Attività produttive del Consiglio regionale, Luigi Lotto, e di Luigi Crisponi, vicepresidente della stessa Commissione.

 Combattere la peste suina africana è compito delle istituzioni che sinora non sono riuscite nell’intento, ma è anche interesse primario degli allevatori che Copagri invita a collaborare. Occorre una strategia comune e condivisa tra tutti gli enti coinvolti: assessorati, Asl, enti locali, allevatori e le loro organizzazioni, sapendo cosa si deve fare, come e chi lo deve fare. «Occorre prendere atto – afferma Ignazio Cirronis, presidente regionale di Copagri – che in questa fase il pascolo brado non può essere esercitato e che tutti i suini devono essere anagrafati. Bisogna favorire con misure adeguate l’emersione degli animali irregolari senza disperdere il patrimonio eccezionale rappresentato dal suino sardo, una delle sei razze suine autoctone riconosciute in Italia, che ha una potenzialità immensa». Secondo Pietro Tandeddu, coordinatore regionale di Copagri Sardegna, «sarà quindi possibile lavorare per ottenere il riconoscimento della DOP “porchetto sardo” da latte che rappresenta la produzione prevalente e tipica degli allevamenti sardi e, un domani, davanti ad un soggetto organizzato, lavorare ad una DOP per le carni di suino sardo come fatto per la razza “cinta senese” in Toscana, il cui lardo, per non citare le produzioni più nobili, ha prezzi di tutto rispetto».

Dal canto la Regione, con il nuovo Psr, favorirà il processo con un premio legato al mantenimento della razza sarda e, come nuova misura, con un rimborso delle maggiori spese sostenute per garantire il benessere degli animali, misura fino ad oggi prevista esclusivamente per gli ovicaprini.

Come scritto il numero delle aziende è calato, tanto che che il fabbisogno locale di carni suine è soddisfatto solo per il 53%. Nell’Isola rimangono 69 salumifici che ormai lavorano solo carni provenienti dalla penisola e dall’estero. Il valore dei salumi, rilevato sulla base di  un consumo di 300.000 quintali, ammonta a 125 milioni di euro senza alcuna ricaduta positiva sugli allevatori sardi.