23 April, 2024
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Seconda tappa, questa mattina, a Buggerru, davanti al poliambulatorio (chiuso), della protesta itinerante dei Sindaci del Sulcis Iglesiente «contro i disservizi nel settore della Sanità, le chiusure, i trasferimenti ed il depotenziamento delle strutture e dei presidi medico-ambulatoriali». Hanno partecipato la presidente della Conferenza socio-sanitaria, Paola Massidda, sindaca di Carbonia e i sindaci di Buggerru Laura Cappelli, Fluminimaggiore Marco Corrias, San Giovanni Suergiu Elvira Usai, Villamassargia Debora Porrà, Perdaxius Gianfranco Trullu, Nuxis Pier Andrea Deias, Narcao Danilo Serra ed il vicesindaco di Gonnesa Enrico Pistis.

Nel corso della conferenza stampa, sono state affrontate in particolare le criticità presenti negli ambulatori pediatrici. A Buggerru il poliambulatorio è chiuso, a Fluminimaggiore la Casa della Salute è stata svuotata di tutte le professionalità ed è praticamente impossibilitata ad assicurare il pur minimo servizio alla comunità del territorio. Inoltre, a Fluminimaggiore è chiusa da tempo anche la Casa famiglia.

I sindaci attendono ancora risposta alla richiesta di incontro fatta già due volte all’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu, per affrontare tutte le problematiche della Sanità del Sulcis Iglesiente. Nel corso della conferenza stampa di stamane, abbiamo registrato gli interventi dei sindaci di Buggerru Laura Cappelli, Fluminimaggiore Marco Corrias, di Carbonia Paola Massidda, di Villamassargia Debora Porrà e di Perdaxius Gianfranco Trullu, che è possibile visionare nei filmati allegati.

Ricordiamo che la prima tappa della protesta itinerante si svolse lo scorso 28 maggio nel poliambulatorio di San Giovanni Suergiu.

         

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Quella di Villa Alice, nel borgo di Sant’Angelo, è una tra le favole interrotte più affascinanti del Sulcis Iglesiente. Inserita in un contesto montuoso a dir poco mozzafiato, quasi a metà strada tra Iglesias e Fluminimaggiore (appartenente come territorio a quest’ultima), compare tra le curve non appena si supera il Passo di Genna Bogai, anticipata da una cancellata decorata con due angeli e da una facciata, interamente ricoperta di rampicante, con la scritta Sant’Angelo, un tempo ben in vista, ora anch’essa nascosta dai tralci verdi.
La sua storia e le vicissitudini che nel corso dei decenni l’hanno interessata non sono note ai più ma il fascino della villa rimane intatto nonostante l’incuria del tempo.
Costruita alla fine dell’800, riporta sulla facciata principale, proprio sopra il maestoso portone d’ingresso, la data del 1914 e le iniziali di colui che la edificò, l’ingegnere Paolo Boldetti.
Appartenuta all’impresa mineraria Sant’Angelo, di proprietà della famiglia del pittore Amedeo Modigliani, si divide su tre livelli, nei quali si dipanano una serie di stanze che si rincorrono e si incrociano in una sorta di labirinto in cui è possibile perdersi. Il mobilio è stato completamente depredato, ma nei sotterranei resta ancora intatto il sistema utilizzato per il riscaldamento dell’acqua, ovvero un piccolo forno di mattoni, una vasca e una serie di tubazioni, di cui alcune arrugginite ed interrotte. Nell’ingresso secondario, quello che si affaccia sull’ampio cortile che attualmente fa da ingresso alle strutture, un ampio salone con un grande arco accoglie il visitatore, mentre subito sulla destra l’enorme cucina in muratura, colorata di verde, rimane l’unico elemento di arredamento della casa. Sopra il piano di cottura si mantiene intatta la grande cappa, mentre una piccola carrozzina, in stile primi anni del ‘900, giace abbandonata, a testimonianza della vita che fu.
Una grande porta a doppia anta separa quello che doveva essere l’ambiente della servitù dall’area padronale vera e propria, con una modesta scala in legno, anch’essa dipinta di verde, che porta ai piani superiori della villa. Qui, gli ambienti si susseguono senza sosta in una serie di stanze, di cui non è più possibile capire l’utilizzo, ognuna dotata di caminetto. Delle brandine in ferro giacciono abbandonate in alcune di queste camere, insieme a due vecchi armadi e ad un piccolo frigorifero arrugginito, di cui non è possibile capire l’anno d’età.
La storia dei fasti di questa villa di campagna si percepisce nel labirinto intricato di queste stanze, nei suoi tetti cadenti di canne, nell’eleganza delle sue grandi finestre, nei resti di colore dei suoi intonaci, in uno splendore che sa di antica opulenza. Il verde è il tema incontrastato di questi ambienti. Un verde bosco che dona una nota di colore alla vecchia cucina, alle scale in legno, a tutti gli infissi esterni e che si ritrova anche negli intonaci di alcune pareti. Un lusso e un’opulenza che ora restano solo un umile ricordo, memoria di una passata nobiltà e delle casate importanti che tra le sue mura vissero o vi furono soltanto ospitate.
Bruno Pilurzu, memoria storica e grande conoscitore del borgo di Sant’Angelo, racconta le vicissitudini che portarono la dimora nobiliare da luogo di passaggio di grandi personaggi dell’industria e della cultura dell’epoca a mura abbandonate in balia del tempo.

«Già da metà ‘800 i Modigliani, che erano concessionari minerari, cominciarono a sfruttare i nostri boschi per ricavare carbone da utilizzare nelle industrie del Nord Italia e del Nord Europa, per gli impianti metallurgici. Nei primi anni ’50 del secolo scorso partì poi la prima iniziativa turistica, che vide la costruzione dell’albergo di fronte alla villa, da parte della società SAIA. Un albergo che negli anni è stato destinato a colonia estiva per i figli di dipendenti di enti pubblici. Negli anni ’90 la struttura è stata venduta alla curia di Iglesias e adesso giace in completo stato d’abbandono. Sempre negli anni ’50, contestualmente alla costruzione dell’albergo, cominciarono i lavori per erigere le ville di proprietà dell’azienda Santa Vittoria. Arrivarono gli Scarfiotti, parenti di Ludovico, pilota della Ferrari negli anni’ 60, i Leopardi, parenti dello scrittore, Thaon di Revel, ministro dell’agricoltura nel ventennio. Tanti nobili trascorrevano qua il periodo invernale e lunghi periodi durante la caccia grossa. L’albergo era stato edificato proprio per ospitare questi nobili. Negli anni ’90 la società finì in mano alla Regione. Villa Alice si inserisce quindi in un compendio immobiliare di circa 160 ettari, che comprende tutti gli immobili qua attornoprosegue ancora Bruno Pilurzu -. I 1.600 ettari di cui era costituita in origine l’azienda sono stati in seguito trasferiti dalla regione ad una cooperativa che attualmente ancora li gestisce, a fini agricoli.»
Leggenda vuole che tra queste mura più volte siano venuti in visita il re Vittorio Emanuele III e sua moglie, la regina Elena. Si narra che qui passassero alcuni periodi di vacanza e che la Regina amasse sedersi al piccolo tavolino rotondo, circondato dagli alberi, che si affaccia sull’altissimo muraglione che domina il panorama montuoso. Nel giardino prospiciente l’ingresso principale della villa, poco distante dal tavolo in pietra, si trova ancora un busto scolpito del Re.
«Di questo non ho notizie certedichiara ancora Bruno Pilurzu -. Il fatto che qui esista un busto potrebbe anche rappresentare una testimonianza di questo passaggio, ma non esistono notizie al riguardo.»
Insomma non una villa soltanto ma un borgo intero che nasconde un vero e proprio scrigno di tesori, gettati all’abbandono. Il comune di Fluminimaggiore vorrebbe trovare una soluzione a questa spiacevole situazione. Il sindaco Marco Corrias cerca di dare una scossa a chi di dovere, perché questo patrimonio di immenso valore non venga perduto.
«Noi denunciamo lo stato di degrado infinito di questo gioielloannuncia Marco Corrias -. Credo siano pochi gli esempi di edifici di queste dimensioni e di questa qualità, in Sardegna. La villa è nelle mani di un magistrato fallimentare che cura il fallimento della società. Quindi è tutto nelle mani di un curatore fallimentare, in attesa che si vada a un’asta. Il Comune vorrebbe poterla acquisire a suo proprio patrimonio. Ma da solo ovviamente non ce la fa, perché occorrono un sacco di soldi. Chiederemo quindi un intervento della Regione, affinché ci dia quantomeno la possibilità di acquisirlo. Però acquisire un bene e farlo finire di decadere non è compito di un comune. Il compito di un comune è quello di poter avere i mezzi per far rinascere un gioiello di questo genere. Ci possono dare una mano solamente la Regione, il curatore fallimentare ed il magistrato che cura il fallimento. Siamo nelle loro mani. E ovviamente la Soprintendenza ai Beni culturali ed architettonici, che credo dovrebbe mettere un vincolo a questa proprietà e fare in modo che possa un giorno tornare al suo antico splendore.»
Il sindaco Marco Corrias ha un sogno per Villa Alice.
«Mi piacerebbe diventasse un hotel di charme, che potesse impiegare i giovani del paese che hanno voglia di lavorare in questo settore. Mi piacerebbe ospitasse corsi di alta cucina sarda. Vorrei potesse diventare davvero un’attrazione dal punto di vista turistico ma anche soprattutto economico per l’intero territorio. Se lo merita, si potrebbe fare. Il borgo di Sant’Angelo è una delle cose più belle che ci sono in Sardegna.»
Federica Selis

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Lunedì 15 giugno, dalle ore 17.00, è in programma un dibattito online dal titolo: “Covid-19. Dall’emergenza sanitaria alla crisi economica: analisi idee, confronti e alternative per il rilancio”, organizzato da Art. 1 Sardegna.

«Sarà l’occasione commenta il segretario regionale di Art. 1 Luca Pizzuto per dibattere e confrontarsi sulla necessaria ripartenza economica e sociale sul piano nazionale e regionale. Riteniamo sia urgente ed improrogabile, come area progressista, democratica e di sinistra, interrogarci e provare a suggerire delle risposte dando voce alle preoccupazioni che da più parti arrivano per i ritardi e la incertezza delle azioni tuttora in campo.»

Si tratta di un ricco programma di interventi programmati e qualificati provenienti dal mondo delle imprese, del lavoro, del sindacato, degli Enti locali e della politica.

«Nelle nostre intenzioniprecisa l’ex assessore regionale della Cultura, Giuseppe Dessenac’e il confronto e l’apertura verso tutti gli attori che potranno e dovranno necessariamente confrontarsi con le sfide che affronteremo nei prossimi mesi. In questo quadro, riteniamo essenziali dare ascolto alle comunità, ragionando in primis con gli amministratori locali.»
Il programma prevede in apertura la relazione introduttiva a cura di Vincenzo Visco, ex ministro dell’Economia e presidente dell’associazione NENS, che inquadrerà la situazione economica nazionale ed europea e delineerà prospettive future e obiettivi di medio e lungo periodo.
A seguire, relazione introduttiva a cura di Paola Casula, sindaca di Guasila e due esperienze da settori in crisi:
Giuliana Farris – coordinamento Nidi d’Infanzia
Vincenzo de Rosa – rappresentante imprese dello Spettacolo.

Interventi programmati di:
Stefania Piras, sindaca di Oniferi e presidente dell’Unione dei Comuni
Claudio Atzori, presidente Legacoop
Marco Medda, presidente provinciale Confesercenti
Simone Cualbu, Coldiretti
Francesco Porcu, segretario regionale CNA
Eugenio Lai, consigliere regionale Art. 1
Emiliano Deiana,presidente Anci Sardegna
Tore Cherchi, ex parlamentare
Michele Carrus, segretario CGIL
Seguirà il dibattito. Conclusioni a cura di Giuseppe Dessena – ex assessore regionale della Cultura
Coordinerà i lavori, il giornalista Marco Corrias.

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Si riaccende la protesta dei dipendenti della Casa Famiglia “Perd’e Fogu” di Fluminimaggiore, dopo il prolungamento dei ritardi nell’apertura del centro, che accoglie pazienti sofferenti di disagio psichico. La struttura, fortemente voluta dagli abitanti della cittadina dell’Iglesiente, rimane ancora chiusa, lasciando a casa 13 persone, tra educatori, operatori socio sanitari e volontari. I pazienti, provenienti dal bacino del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano, sono stati distribuiti in istituti privati o affidati alle cure dei familiari. Ma la situazione, che nonostante le tante promesse, ancora non si è sbloccata, sta diventando sempre più insostenibile, soprattutto per i dipendenti, che provengono non solo da Fluminimaggiore ma anche da Carbonia e Iglesias.
«Noi chiediamo di riavere il nostro posto di lavoro esordisce Maria Giuseppina Lampis, educatrice professionaleperché abbiamo lavorato qua per 12 anni e vantiamo quindi un’esperienza importante. Non vogliamo essere pagati per stare a casa.»
Ombretta Casula, anche lei dipendente della casa famiglia, pone invece l’accento sulle promesse non mantenute. «Inizialmente, le garanzie le avevamo, perché c’era stato promesso che, al termine dei restauri, avremmo ripreso il nostro posto di lavoro. Si parlava di un mese e mezzo, massimo due mesi. È passato un anno e mezzo e noi siamo ancora a casa. E la Naspi, la nostra cassa integrazione, sta terminando.»
Aldo Tupante ci regala un breve cenno storico sulle origini dell’istituto: «La struttura è stata aperta nel 2002 come centro diurno. Nel territorio non ci sono altri centri residenziali simili. Sono stati chiusi, quindi i pazienti psichiatrici sono abbandonati a se stessi, alle famiglie o rinchiusi in altri tipi di strutture».
Vittime di questa situazione non sono solo dipendenti e pazienti ma anche gli stessi familiari di questi ultimi, sui quali ricadono costi e cure dei degenti. Giuseppe Todde fa parte dell’associazione di volontariato “Muntangia”, che rappresenta i parenti dei disabili mentali ospitati all’interno della casa famiglia.
«La nostra associazione nasce per offrire un sostegno ai sofferenti psichici e alle loro famiglie. In tanti abbiamo creduto a questo progetto. La struttura c’è. Non può esistere che i pazienti di Flumini vengano mandati a Nuxis, con costi esorbitanti. Ciò crea un disagio anche per i parenti che devono andare a trovarli. Viviamo in una zona svantaggiata.»
I sindacati sostengono la causa della riapertura. Roberto Fallo, della CISL: «Noi siamo qua perché su questa vertenza ci siamo spesi in prima persona. Abbiamo accettato la chiusura momentanea, e ribadisco momentanea, perché l’edificio necessitava di urgenti lavori di messa in sicurezza. Con l’impegno di riaprirlo immediatamente, una volta terminata la ristrutturazione. Abbiamo avuto la sfortuna che i lavori siano finiti a cavallo tra un’amministrazione regionale e l’altra. Dopodiché ci siamo trovati di fronte al deserto. Tante promesse ma a tutt’oggi la struttura rimane chiusa. Noi siamo disposti anche a mobilitarci e a mettere le tende sotto la regione, se questo dovesse essere necessario».
Giovanni Zedde, della Funzione pubblica CGIL, focalizza l’attenzione sui danni arrecati alle persone. «Il territorio rimane isolato e i pazienti si trovano nella situazione di non ricevere la giusta assistenza. Noi avevamo fatto un accordo, che prevedeva una sospensione del servizio e una riapertura immediata. I dipendenti sarebbero stati riassunti dalla cooperativa. I vecchi amministratori hanno fatto in tempo ad andare via senza fare assolutamente niente. Questi nuovi amministratori sfuggono. Non è possibile che se un’amministrazione cambia gli impegni presi non vengano più rispettati. Non siamo più disposti ad accettare che dei pazienti vengano trasferiti in strutture private quando abbiamo una struttura pubblica di eccellenza che deve funzionare.»
Anche il sindaco, Marco Corrias, si schiera dalla parte di pazienti e lavoratori e chiede che venga rispettata la parola data. «Questa struttura funzionava perfettamente. Accoglieva oltre 8 ospiti con patologie psichiche, che in questo paese si trovavano benissimo. Improvvisamente si sono ritrovati ad essere deportati, letteralmente. Tutto questo accadeva nel dicembre del 2018. Abbiamo protestato, ci siamo opposti con tutte le nostre forze e finalmente, a Cagliari, hanno firmato una lettera in cui ci garantivano che, nel giro di pochi mesi, terminati i lavori di ristrutturazione, avrebbero riaperto. Hanno mancato alla parola data e gli amministratori che sono arrivati dopo continuano a farlo. Questa struttura è costata allo stato 50mila euro ed oltre. Hanno fatto le ristrutturazioni e l’hanno lasciata abbandonata, mandando a casa 13 operatori, a cui sta per scadere la cassa integrazione. Noi chiediamo all’assessore regionale della Sanità Mario Nieddu, al presidente Christian Solinas, ma soprattutto al commissario dell’ATS Giorgio Steri, che intervengano e facciano riaprire il centro. Non molleremo fino a quando la parola data non verrà confermata con i fatti.»
Federica Selis

 

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Per il Sulcis Iglesiente Maggio è un mese di ricorrenze di grandissima rilevanza per quanto riguarda avvenimenti che hanno tracciato la sua Storia e insieme anche il ricordo di Grandi Uomini e donne, lavoratori, lavoratrici, attivisti sindacali e politici che hanno avuto un ruolo che rimane indelebile nel tempo.

Il 7 maggio del 2006 la prematura scomparsa di Sergio Usai, amatissimo ex segretario generale CGIL Sulcis Iglesiente, in un tragico incidente che con lui ha portato via un imprenditore di Carbonia, Carlo Cancedda.

Un fatto recente che anticipa di pochi giorni il ricordo dei Moti di Iglesias dell’11 maggio del 1920, con 5 minatori Raffaele Serrau, Pietro Castangia, Emmanuele Cocco, Attilio Orrù, Efisio Madeddu, Salvatore Melas e Vittorio Collu, uccisi nella piazza del Municipio ad opera delle forze dell’ordine, chiamate dai Padroni delle miniere per sedare la rivolta in atto per migliori condizioni di lavoro e per una vita più dignitosa. Fatti terribili, di cui quest’anno ricorre il centenario che è stato fortemente limitato nelle celebrazioni, per la situazione di lockdown dovuto alla Pandemia.

Si prosegue con i moti di Gonnesa e Nebida del 1920, che nel 1970 corrisponde all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, e il 21 maggio del 1906, dove a capo della rivolta popolare c’era una donna, nei quali per la lotta del caropane persero la vita Federica Pilloni, Giovanni Pili, Angelo Puddu, Efisio Ariu e Carlo Lecca.

Infine, il 30 maggio del 2014, la scomparsa dopo una lunga e debilitante malattia, dell’on.le Daverio Giovannetti.

Per molti di noi “Su segretariu”, per il suo lunghissimo operato prima nella Federazione dei Minatori, di cui è stato segretario generale dal 1958 al 1964, quando ha assunto il ruolo di segretario generale della Camera del Lavoro della provincia di Cagliari (che aveva sede ad Iglesias), fino al 1968, per poi essere eletto nel 1970 (ed il 20 maggio di quell’anno ricorre la nascita dello Statuto dei Lavoratori), segretario generale della CGIL della Sardegna. Incarico che ha lasciato per la candidatura alle elezioni politiche nel 1972, nelle quali è stato eletto senatore della Repubblica nelle file del PCI. Ruolo nel quale è stato poi rieletto per altre 2 legislature, terminando quell’esperienza istituzionale nel 1983.

Della sua lunga attività prima nel sindacato e poi al Senato, rimangono tantissimi passaggi memorabili che possono essere riassunti nella sua grande determinazione e nel suo  operato negli anni delle durissime lotte per la dignità di lavoratrici e lavoratori nel luogo di lavoro; dell’equità del salario; per la salvaguardia del settore minerario; il periodo caldissimo della fine di quel ciclo con l’avvento dell’industria e, infine, l’inizio della sua crisi.

Un Uomo che ha vissuto 70 anni di lotte; la Guerra; gli sfruttamenti; le repressioni; la liberazione; la rinascita ed i cambiamenti fra il privato, il pubblico e viceversa; il Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio e tanto, davvero tanto altro. Con soddisfazioni, rammarichi, anche delusioni, di cui ha lasciato traccia con i risultati e con i suoi scritti.

Nella sua carriera ha incrociato grandi uomini e donne, minatori, tecnici, titolari di società, sindacalisti, politici, rappresentanti delle istituzioni.

Per tutti, credo sia il caso di citare Luciano Lama, per il forte legame, per lo stesso anno, il 1970, della loro elezione, Giovannetti segretario generale regionale, Lama segretario generale nazionale, perché anche lui è stato eletto senatore e, infine, perché ci ha lasciato nel mese di maggio: precisamente il 31/05/1996.

“Su Segretariu” ha pubblicato 3 libri che narrano parte di quella storia, che rispondono a quanto hanno scritto di lui e su quei fatti, altri sindacalisti, studiosi, storici, giornalisti, come Marco Corrias (coadiuvato da Franco Farci) nel suo “Pozzo Zimmerman”, nel quale racconta fin nei particolari l’inusuale battaglia dei minatori che occuparono il Municipio di Fluminimaggiore, trattenendo forzatamente 2 sindacalisti arrivati da Iglesias, il Sindaco, il Prete ed il già senatore Daverio Giovannetti: «Un personaggio noto a Flumini (…) perché molti anni prima era stato minatore e sindacalista. E che sindacalista. Una specie di leggenda vivente (…) intelligente e intransigente, sempre primo nelle battaglie più difficili con i dirigenti che avevano nei suoi confronti un misto di paura e rispetto. Il senatore non riusciva a capacitarsi che gli operai, figli di compagni di tante battaglie lo volessero rinchiudere in una stanza insieme». 

Tentava di andare via e la sua mole quasi glielo permetteva, fino a che alcuni gli urlarono «non ti dimenticare Daverio Giovannetti, che i minatori ti hanno comprato le scarpe perché tu potessi fare il sindacalista, quando venivi a piedi a Montevecchio». Non si sa se fu quella frase ma il Senatore rientrò nella stanza e ci resto fino alla fine della vertenza che, anche grazie al suo contributo, ebbe un esito positivo.

Da sindacalista e da segretario, come ricordato da Marco Corrias (oggi sindaco di Fluminimaggiore), era più che rispettato sia dalle controparti che dai vertici della CGIL nazionale, per la sua capacità nella trattativa, nell’organizzazione delle rivendicazioni e mobilitazioni che non si fermavano certo al contingente ma che badavano alla costruzione di politiche di lungo periodo e nel guardare in faccia la realtà delle cose. A partire dal fatto «che le miniere si esauriscono, hanno una fine, i giacimenti non si ricostituiscono ed i minerali, una volta strappati alla terra, non si riproducono», come scrive nel suo libro “E le sirene smisero di suonare”.  Un libro da leggere e rileggere per capire meglio l’epoca in cui ha operato il Giovannetti sindacalista ed il Giovannetti senatore. Con i colleghi onorevoli che, non a caso, l’avevano ribattezzato “il Minatore d’Italia”.

Un libro, scritto nel periodo in cui era già colpito dalla malattia e che contiene, dunque, ancora più sofferenza nel raccontare le vicissitudini di 70 anni di lotte, analisi, produzione sindacale e politica nel quale ricorda, orgogliosamente, come la battaglia per l’eliminazione delle gabbie salariali partì, fu pensata ed organizzata proprio dalla CGIL della Sardegna. E ricorda bene «la paradossale ostilità della FIOM di Bruno Trentin, perché convinta che la sua eliminazione avrebbe creato scompensi con gli industriali che non avrebbero più investito nel mezzogiorno, come se lo avessero fatto fino a quel momento».

Una lotta della Sardegna principalmente mineraria, che fece strada con scioperi regionali e conquistando i primi accordi, che poi si estese e pian piano diventò di tutti a seguito di un altro forte episodio, che avvenne in un convegno organizzato dalla CGIL a Napoli, per discutere sulle sue strutture meridionali.

Il clima era teso perché non vi era grande convinzione sul portare avanti quella rivendicazione, finché in quella tribuna «un rappresentante della Sardegna dichiarò, che se non veniva presa una forte decisione, nell’Isola si sarebbe dovuto dar ragione a chi sosteneva che la CGIL non comprendeva il problema perché il più meridionale della segreteria nazionale era bolognese». Fu una dichiarazione pesante e certamente ingenerosa, quanto provocatoria, ma fu utile perché provocò la giusta scossa e da quella riunione scaturì la decisione di iniziative nazionali di lotta che poi portarono il risultato rivendicato.

Ma “Su segretariu ” nato e cresciuto nelle grandi lotte del settore minerario che lo hanno permeato nella sua lunga attività, ha utilizzato questa sua formazione per ragionare nei termini generali sul lavoro, sui diritti, sulla dignità, sui temi dello sviluppo equilibrato fra i vari settori dell’economia. E, allo stesso tempo, attento cultore dei processi innovativi, nelle produzioni, nella politica e nella cultura. Il tutto, con una verve critica sul capitalismo quanto sul privato e ancora di più sul pubblico.

Ci ha lasciato 6 anni ad oggi, ma chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, sia direttamente che nei racconti dei compagni, dei colleghi, dei suoi famigliari e dei suoi libri, sa bene che il suo lavoro e il suo pensiero, testardo ma sempre propenso al confronto, all’innovazione e rispettoso delle diverse opinioni, è un patrimonio di tutti gli uomini e le donne del Sulcis Iglesiente, della Sardegna e del Paese.

Roberto Puddu

 

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A 100 anni dall’Eccidio dei minatori, uccisi l’11 maggio del 1920 nel corso delle manifestazioni per chiedere condizioni di vita e di lavoro migliori, la città di Iglesias ricorda le 7 vittime, gli iglesienti Raffaele Serrau di 23 anni, Pietro Castangia di 18, Emmanuele Cocco di 37 anni ed Attilio Orrù di 40, Efisio Madeddu di Villaputzu, di 40 anni, Salvatore Melas di Bonacardo, di 50 e Vittorio Collu di Sarroch di 18 anni, uccisi dalla forza pubblica mentre si dirigevano in corteo verso il Municipio, cercando di parlare con il Sindaco Angelo Corsi, che si era proposto come interlocutore per le rivendicazioni dei lavoratori in sciopero.

Nel corso della mattina, il sindaco Mauro Usai ed il presidente del Consiglio comunale Daniele Reginali, accompagnati dai primi cittadini di Gonnesa Hansel Cristian Cabiddu, Fluminimaggiore Marco Corrias e Buggerru Laura Cappelli, e dai rappresentanti delle sigle sindacali, hanno deposto una corona d’alloro in ricordo della vittime sulla lapide posta sul luogo dell’Eccidio, in via Satta, e sul monumento ai minatori caduti nel cimitero civico.

Una commemorazione che quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, ha dovuto rispettare un rigido protocollo, che ha reso necessario rinviare la tradizionale rappresentazione dell’Eccidio affidata agli studenti dell’Istituto Comprensivo Eleonora d’Arborea, che ogni anno, sotto la guida dei docenti, mettevano in scena i fatti di quel giorno negli stessi luoghi, avvenimenti ricostruiti grazie ad un importante lavoro di ricerca e di analisi storica.
A causa delle norme di prevenzione Covid-19, quest’anno la commemorazione è avvenuta senza l’abituale corteo che accompagnava i rappresentanti delle Istituzioni fino al cimitero civico.

Il sindaco di Iglesias, Mauro Usai, ha ricordato l’importanza delle lotte che hanno portato i minatori di Iglesias a fare la storia del movimento operaio nazionale, «una parentesi tragica che ha però portato ad acquisire diritti imprescindibili per tutti i lavoratori, anche se ancora oggi, in alcune parti del mondo questi diritti vengono tuttora calpestati».
Come nel caso dei piccoli minatori del Congo, dove le milizie locali controllano le miniere da cui si estrae il Coltan, minerale utilizzato per la costruzione dei componenti per gli smartphone e costringono alla schiavitù tantissimi bambini, obbligati a lavorare in condizioni disumane ed oggetto di violenze quotidiane.
Un paradosso ricordato dai partecipanti, concordi nel sottolineare come ancora oggi tanti lavoratori siano costretti a lottare per chiedere diritti e dignità sul luogo di lavoro.

L’auspicio del sindaco di Iglesias è stato quello di poter al più presto rendere il dovuto omaggio ai minatori caduti cento anni fa, perché come ha sottolineato, «l’impegno per un futuro più equo nasce dalla memoria, dal tenere vivo il ricordo del sacrificio di tanti lavoratori, come quelli che hanno perso la vita l’11 maggio del 1920, perché solamente riappropriandoci della nostra storia possiamo creare i presupposti per un futuro migliore».

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«I volontari e le volontarie della neo costituita Protezione civile di Fluminimaggiore hanno cominciato a distribuire le uova pasquali a tutti i bambini della scuola materna e delle elementari e agli ospiti della casa degli anziani.»

Lo scrive, in un post pubblicato su Facebook, il sindaco, Marco Corrias.

«Si tratta di un piccolo segno di amore e di pace per rischiarare almeno un po’ questi tempi buiha aggiunto Marco Corrias -. Hanno contribuito il Comune, i carabinieri e le guardie forestali che prestano servizio in paese, la cooperativa sociale del 118 e ovviamente la nostra Protezione civile. A tutti loro grazie a nome dell’intera nostra comunità. E naturalmente – ha concluso il sindaco di Fluminimaggioreuna buona e serena Pasqua a tutti voi.»

«Nella notte tra venerdì e sabato alcuni fascisti hanno fatto visita alla Casa del Popolo di Carbonia imbrattando le mura e le serrande, nostre e del condominio, con delle scritte inneggianti al Duce e al Ventennio. Siamo contenti di aver attirato la loro attenzione, vuol dire che il nostro lavoro per costruire una società più libera, eguale, giusta e solidale sta funzionando.»

Lo scrivono, in una nota, Matteo Sestu e Marco Corrias, esponenti della Casa del Popolo di Carbonia.

«Questi poveracci non hanno di meglio da fare che passare la notte a sporcare beni altrui e pubblici. Tra i nostri progetti c’è quello di recuperare degli spazi per metterli a disposizione della comunità e del quartiere. Noi cerchiamo di costruire contrapponendoci a coloro che sporcano e vogliano distruggere – concludono Matteo Sestu e Marco Corrias -. Finché ci saranno persone che, ispirandosi al fascismo, trasmettono odio e violenza vuol dire che ci sarà bisogno della Casa del Popolo. »

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Venerdì sera la Casa del Popolo, in via Barbagia 11, a Carbonia, ha ospitato la presentazione del libro “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”, alla presenza dell’autore Francesco Filippi.

L’evento è stato organizzato da Circolo Arci La Gabbianella Fortunata, ANPI Carbonia, RUAS – Rete Unitaria Antifascista Sulcis Iglesiente, Asce Sardegna, Casa del Popolo Carbonia, in collaborazione con ARCI Sardegna e Comitato Arci Sud Sardegna.

A presentare il libro ed il suo autore, è stato il giornalista Marco Corrias.

In un momento storico come quello attuale, la presentazione si è proposta come «momento di riflessione e strumento per contrastare il pericoloso processo, attualmente in corso, di legittimazione, sdoganamento e normalizzazione del fascismo e di tutte le sue derivazioni». L’evento, inoltre, è stato una tappa di avvicinamento alla manifestazione del prossimo 25 aprile “Ieri Partigiani, Oggi Antifascisti”, che giunge quest’anno alla sua quarta edizione.

Alleghiamo alcune fotografie della serata ed il video della prima parte dell’intervento dell’autore.

https://www.facebook.com/giampaolo.cirronis/videos/10221626897569681/

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Venerdì 24 gennaio, alle ore 18.00, presso la Casa del Popolo, in via Barbagia 11, a Carbonia, alla presenza dell’autore Francesco Filippi, verrà presentato il libro “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”. 

L’evento è organizzato da Circolo Arci La Gabbianella Fortunata, ANPI Carbonia, RUAS – Rete Unitaria Antifascista Sulcis-Iglesiente, Asce Sardegna, Casa del Popolo Carbonia, in collaborazione con ARCI Sardegna e Comitato Arci Sud Sardegna. Presentazione a cura di Marco Corrias.

In un momento storico come quello attuale, la presentazione si propone come momento di riflessione e strumento per contrastare il pericoloso processo, attualmente in corso, di legittimazione, sdoganamento e normalizzazione del fascismo e di tutte le sue derivazioni. L’evento, inoltre, vuole essere una tappa di avvicinamento alla manifestazione del prossimo 25 aprile “Ieri Partigiani, Oggi Antifascisti”, che giunge quest’anno alla sua quarta edizione.