29 March, 2024
HomePosts Tagged "Salvator Allende"

Martedì 5 settembre la Sala del Museo della Memoria e dei diritti Umani di Santiago del Cile, ha ospitato la proiezione del docufilm del regista sardo Marco Antonio Pani: “Ignazio, storia di lotta, d’amore e di lavoro”. Il film è stato prodotto dall’associazione Amici della miniera, in concorso con il Centro servizi culturali della Società Umanitaria Fabbrica del cinema di Carbonia, e con il patrocinio economico della Cineteca sarda, della Fondazione di Sardegna e il patrocinio della Fondazione Berlinguer.

La proiezione del film nella Capitale cilena segue la prima a Carbonia avvenuta il 5 novembre 2022, le successive a Sassari, Cagliari e in diversi altri centri della Sardegna e, infine, quella di Roma del 19 aprile 2023. Hanno partecipato alla proiezione i rappresentanti dell’associazione “Amici della miniera” Antonangelo Casula e Roberto Sanna.

L’evento, rientrava nelle iniziative programmate nell’ambito della ricorrenza del 50° anniversario del golpe fascista dell’11 settembre 1973, che ha abbattuto il governo democratico di Salvador Allende e schiacciato nel sangue il popolo cileno. Sono stati presenti alla proiezione, Autorità di Governo, della politica e della Cultura Cilena.

Di seguito, l’intervento integrale di Antonangelo Casula.

Ignazio Delogu e il Cile. Desidero porgere a nome dell’Associazione “Amici della Miniera” e dei Centri di Servizi Culturali della Società Umanitaria Sardegna un caloroso saluto a tutte le Autorità presenti, al presidente del Museo della Memoria e dei diritti umani di Santiago, la signora Marcia Scantlebury e a Javier Ossandon che è stato per noi un importante e insostituibile punto di riferimento per la realizzazione di questo evento.

Sono molto felice di essere oggi a Santiago con tutti voi per rendere omaggio alla figura di un combattente per la democrazia, la libertà dei popoli, di un amico e di un compagno, inteso nel senso più autentico della militanza politica e civile.

Il bellissimo docufilm scritto e diretto dal regista sardo Marco Antonio Pani, ne descrive la personalità poliedrica e di intellettuale cosmopolita.

Per definire la figura di Ignazio Delogu, occorre fare uso di una moltitudine di definizioni: è stato scrittore, giornalista, traduttore, linguista, storico, poeta e tante altre cose, è stato un grande italiano con l’orgoglio delle radici della sua terra d’origine, sardo e internazionalista come nella migliore tradizione gramsciana.

Era un uomo generoso e di grandi passioni, tra queste quella per la mia città, Carbonia, una città di Fondazione nata nel 1938 alla quale ha dedicato un importante libro sulla sua storia dal titolo: “Carbonia Utopia e progetto”, e una significativa attenzione lungo l’arco della sua vita con la realizzazione di più saggi e inchieste giornalistiche che aveva in un proposito di raccogliere in una pubblicazione alla quale avrebbe dato il titolo di: “Carbonia nel cuore”. Proposito che non si è realizzato per la sua dolorosa scomparsa.

Io però desidero soffermarmi su Ignazio Delogu e il Cile.

Il docufilm pone l’accento sul ruolo da lui svolto nella qualità di segretario esecutivo dell’Associazione Italia Cile negli anni successivi al golpe militare fascista guidato da Augusto Pinochet, 50 anni fa, l’11 settembre 1973, ma l’interesse, la passione, l’amore di Ignazio per il Cile, per il suo popolo, per i suoi artisti, per i suoi poeti, hanno un’origine più remota a partire dai primi anni ’50 del secolo passato.

Mi riferisco, innanzitutto, ad una passione autentica per la figura e l’opera poetica di Gabriella Mistral e di Pablo Neruda e per tutto l’universo della cultura cilena che conosceva e amava profondamente.

Della Mistral tra i tanti, vorrei citare un aneddoto al riguardo, Delogu, nel corso di un convegno tenuto a Nuoro nei primi anni ‘70, sottolinea l’originale parallelismo tra la Mistral e Grazia Deledda, una grande scrittrice sarda, insignita del Nobel per la letteratura nel 1926, partendo dalle motivazioni quasi coincidenti, che hanno portato all’assegnazione del prestigioso riconoscimento, nel quale viene evidenziata la straordinaria affinità tra le due e posta esplicitamente in relazione la personalità delle due grandi scrittrici. Cosa unica credo, nella storia delle motivazioni del massimo premio internazionale.

Nel caso di Neruda invece si trattava di un rapporto personale maturato negli anni. In un primo momento mediato dalle frequentazioni italiane di Neruda a partire dai primi anni ‘50 del secolo scorso, per divenire successivamente un rapporto più personale, Delogu ne dà ampiamente conto nei suoi scritti ed in particolare in un suo articolo pubblicato sul quotidiano del PCI L’Unità il 26 settembre del 1973, a pochi giorni dopo la sua scomparsa; curò inoltre la traduzione in italiano del suo libro di poesie “Incitamento al Nixonicidio” e pubblicò postuma, l’ultima raccolta di poesie del poeta a cui si diede il titolo “Elegia dell’assenza”.

Di quest’ultimo e delle modalità che ne hanno preceduto la pubblicazione, vorrei citare una sua testimonianza contenuta nel suo libro “Pablo Neruda e l’Italia”, cito testualmente: …«è probabile che per molte ragioni, politiche soprattutto, aveva una grande considerazione per i comunisti italiani – ma anche per ragioni culturali, lo abbia indotto a far giungere un messaggio, l’ultimo, proprio a loro, perché lo rilanciassero nel mondo. O forse qualcuno accanto a lui – il poeta Homero Arce, che per tanti anni fu il suo più fidato e intimo collaboratore – pensò di interpretarne il pensiero quando consegno a un italiano, che non conosco, quel dattiloscritto con correzioni di suo pugno, che la direzione del PCI ricevette qualche giorno dopo il golpe, quando ancora era incerta la sorte del poeta. Mi fu consegnato quella stessa notte da un Enrico Berlinguer insolitamente commosso, per stabilirne l’autenticità e curarne la pubblicazione. Era un libro di poesia dal titolo parzialmente incerto. Con l’ausilio di Volodia Teitelboin decidemmo di chiamarlo Elegia dell’assenza…»

La sua funzione nell’associazione Italia-Cile che era meramente politica, non si limito esclusivamente a questo, anche se ne fu assorbito principalmente, coltivò nel suo rapporto con gli esuli cileni in Italia, le sue passioni artistiche e letterarie, che divennero inevitabilmente anche delle grandi amicizie:

– con il grande pittore Sebastian Matta, Ignazio era anche un culture delle arti visive;

– con il gruppo musicale degli Inti Illimani, esule in Italia, con i quali attivò diverse forme di collaborazione, il 4° disco del gruppo “Hacia La Libertad” reca nell’interno della copertina, in calce: “Traduzione italiana dei testi a cura del Professor Ignazio Delogu”… sempre con Jorge Coulón curò la traduzione di un libro con i testi della Nuova canzone cilena e dell’America Latina, dal titolo “Inti Illimani canti di lotta, d’amore e di lavoro”, una definizione questa, che ha influenzato il regista Marco Antonio Pani nella titolazione del docufilm: “Ignazio, storia di lotta, d’amore e di lavoro”.

Altrettanto degna di nota mi pare anche la collaborazione a Roma, agli inizi degli anni ’80, con il laboratorio di poesia dei poeti esuli cileni denominato “ Maruri”. Il gruppo si riuniva presso la Libreria Croce ed era animato da eminenti figure della poesia cilena: Hernán Castellano-Girón, Eugenio Llona, Carmen Guastavino, Eduardo Banderas, Jorge Coulón, Marcos Cáceres, Odette Smith y Antonio Arévalo.

La sua attività politica contro le dittature, in difesa della libertà dei popoli, si è svolta in diversi paesi del mondo: la Spagna durante il periodo Franchista, la Grecia dei Colonelli per citarne alcuni, ma il suo rapporto con la vicenda cilena è stato certamente – non solo a mio giudizio -, il più intenso.

Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2010: Parallelo Sud – sottotitolato Patagonia Tragica Terra del Fuoco e altri orizzonti, credo ne sia una significativa testimonianza.

Un piccolo aneddoto su questo libro: lo scrive in polemica con Daniele Del Giudice, uno scrittore italiano scomparso recentemente, autore di un romanzo Orizzonte Mobile, un libro dedicato alla Patagonia e al continente antartico. Delogu sviluppa una critica aspra e senza alcuno sconto nei confronti di Del Giudice e della interpretazione che dà di quel mondo… ma credo che intimamente Ignazio lo abbia scritto spinto dal bisogno di raccontare il “Suo” Cile, a partire dal profondo legame con il presidente Allende, a quello con Pablo Neruda e con tutto il popolo cileno che ha amato intensamente e dal quale, ne è una significativa testimonianza la manifestazione odierna, non è stato dimenticato.

Parallelo Sud è un omaggio alla figura di Salvador Allende, che gli aveva concesso il privilegio di visitare, ospite della Repubblica Cilena, la Terra de Fuoco. Con il presidente Allende, aveva fatto cenno ad una sua conversazione con Francisco “Pancho Coloane” nella quale gli suggeriva di visitare la Patagonia; il Presidente lo incoraggiò a visitarla con le seguenti parole: «E una terra stupenda mi confermò, sono stato Senatore per la Patagonia, ho molti amici laggiù. è opportuno che ci vada. Ha ragione Pancho: non puoi lasciare il Cile senza andarci, anche se so che tornerai».

Qualche giorno dopo Ignazio era già a Punta Arenas, ospite della compagnia di bandiera LanChile. Come nel suo stile, Delogu non si limita ad un resoconto di cronaca, il racconto è a mio giudizio una felice sintesi tra ricerca storica e romanzo, nel quale la lettura degli eventi si succederà attraverso una chiave epica, da Magellano a Catwin e tragica, come sottolineato nel titolo del suo libro, nel quale vengono ricordati i massacri dei popoli aborigeni, delle tribù degli Indios nativi a seguito della colonizzazione spagnola. Altrettanto efficace appare la descrizione dei luoghi, della loro bellezza selvaggia, da Punta Arenas a Capo Horn passando per lo stretto di Magellano.

Per Delogu il viaggio è per definizione avventura, ricerca, conoscenza, curiosità, sono queste, le stesse impressioni che riferisce nel suo girovagare al Nord della Cordigliera attraverso le strade polverose della carrettera di allora, in una dimensione che lo assorbe interamente sul piano intellettuale, umano e spirituale.

Non mi dilungo oltre per ragioni di tempo se non per dire che questo libro, pubblicato nel 2010 ad un anno dalla sua scomparsa, ha il significato di un testamento, un desiderio irrinunciabile di porre un suggello al rapporto con quella terra e con i tantissimi e tantissime persone con cui si era relazionato.

Mi avvio a concludere, in una fase del docufilm vengono scandite molto opportunamente alcune frasi estrapolate dal finale del libro Parallelo Sud, mi scuserete se le ripropongo, ma a me sembrano molto significative per descrivere il legame profondo che Ignazio Delogu aveva maturato con quella che riteneva a pieno titolo anche la sua patria, quella cilena, spero di riuscire a non essere sopraffatto dall’emozione nel leggerle:

Morto Salvador Allende, el Chico.

Morto Pablo Neruda, Pablo.

Assassinato a bastonate il suo amico-segretario, Homero Arce. Trafitto al cuore dalla baionetta assassina di un golpista Victor Jara, l’autore di Venceremos e di Te recuerdo Amanda.

E tanti altri nelle carceri, nei lager, nelle isole o precipitati nel Pacifico dagli aerei della Gloriosa Fuerza Aerea o massacrati sulle navi dell’Invicta Armada.

Se la patria è la terra dove sono sepolti i nostri morti, anche il Cile è la mia patria.

Questo è stato il Cile per Ignazio Delogu.

Antonangelo Casula

[bing_translator]

«Da profugo sono diventato scrittore, sono diventato un operatore culturale e questo è un esempio di come un profugo, se gli dai la possibilità, può diventare qualcuno e può contribuire a dare un valore aggiunto al luogo dove sta.»
Sono le parole commosse pronunciate dal poeta cileno Antonio Arèvalo al “terre di confine” filmfestival, dopo la proiezione nel weekend del documentario “Santiago, Italia” di Nanni Moretti. Un film in cui numerosi testimoni raccontano attimi drammatici, quelli della presa di potere da parte di Pinochet e la morte di Salvador Allende, la dittatura e la fuga nell’ambasciata italiana.

Tra questi testimoni c’è proprio Arèvalo che – come egli stesso ha raccontato al giornalista Roberto Cossu di fronte al pubblico del festival – nel ’73 a soli quattordici anni era divenuto la mascotte della Brigata di pittura muraria, con la quale usciva di notte per pitturare le strade. Militante della gioventù comunista, andava a lanciare volantini di protesta. Venne scoperto e si rifugiò all’ambasciata italiana per poi vedere la sua vita catapultata dall’altra parte dell’oceano.

«Vivere all’interno dell’ambasciata è stata un’esperienza fortissima – ha affermato lo scrittore -. Arrivato in Italia però non volevo far sapere che ero profugo. Mi vergognavo di dirlo. Oggi ne vado fiero. Sono cresciuto in Italia leggendo tutto quello che potevo, parlando per citazioni perché dovevo impormi.»

La commozione per la fuga dal Cile ha lasciato spazio a un pensiero per l’attuale dramma nel Mediterraneo: «A volte mi vedo nei panni della gente che oggi arriva nei gommoni. Io ho vissuto un’Italia accogliente, era un’epoca meravigliosa. In confronto a ciò che succede ora la mia storia è nulla. Mi sento un privilegiato. Ma ho preso il meglio che ho avuto dall’Italia e ho cercato di restituirlo, perché mi sento responsabile del luogo che mi accoglie, sia che mi trovi a Roma, Milano o Venezia».

Dopo la visione del film di Moretti, che ha portato in sala una forte carica emotiva, Arèvalo ha presentato il suo libro “Le Terre di nessuno”, il cui titolo è già indicativo di una forte correlazione con il tema del festival cinematografico di Asuni, anche quest’anno diretto artisticamente da Marco Antonio Pani. Un libro che sintetizza, attraverso una serie di poesie scritte tra il 1980 e il 2016, l’esperienza umana e artistica di questo straordinario autore, ormai riconosciuto come uno tra i più attivi sostenitori e promotori della creatività latinoamericana in Europa.

«Per me è molto bello tornare in Sardegna, è un onore, perché il mio primo produttore è stato Ignazio Delogu, un sardo eccellente che è stato anche traduttore di Pablo Neruda – ha concluso Arèvalo -. È un doppio momento letterario e cinematografico di grande emozione, in cui un’ultima volta ancora mi si fa sentire a casa,»