19 April, 2024
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Lunedì 15 giugno, dalle ore 17.00, è in programma un dibattito online dal titolo: “Covid-19. Dall’emergenza sanitaria alla crisi economica: analisi idee, confronti e alternative per il rilancio”, organizzato da Art. 1 Sardegna.

«Sarà l’occasione commenta il segretario regionale di Art. 1 Luca Pizzuto per dibattere e confrontarsi sulla necessaria ripartenza economica e sociale sul piano nazionale e regionale. Riteniamo sia urgente ed improrogabile, come area progressista, democratica e di sinistra, interrogarci e provare a suggerire delle risposte dando voce alle preoccupazioni che da più parti arrivano per i ritardi e la incertezza delle azioni tuttora in campo.»

Si tratta di un ricco programma di interventi programmati e qualificati provenienti dal mondo delle imprese, del lavoro, del sindacato, degli Enti locali e della politica.

«Nelle nostre intenzioniprecisa l’ex assessore regionale della Cultura, Giuseppe Dessenac’e il confronto e l’apertura verso tutti gli attori che potranno e dovranno necessariamente confrontarsi con le sfide che affronteremo nei prossimi mesi. In questo quadro, riteniamo essenziali dare ascolto alle comunità, ragionando in primis con gli amministratori locali.»
Il programma prevede in apertura la relazione introduttiva a cura di Vincenzo Visco, ex ministro dell’Economia e presidente dell’associazione NENS, che inquadrerà la situazione economica nazionale ed europea e delineerà prospettive future e obiettivi di medio e lungo periodo.
A seguire, relazione introduttiva a cura di Paola Casula, sindaca di Guasila e due esperienze da settori in crisi:
Giuliana Farris – coordinamento Nidi d’Infanzia
Vincenzo de Rosa – rappresentante imprese dello Spettacolo.

Interventi programmati di:
Stefania Piras, sindaca di Oniferi e presidente dell’Unione dei Comuni
Claudio Atzori, presidente Legacoop
Marco Medda, presidente provinciale Confesercenti
Simone Cualbu, Coldiretti
Francesco Porcu, segretario regionale CNA
Eugenio Lai, consigliere regionale Art. 1
Emiliano Deiana,presidente Anci Sardegna
Tore Cherchi, ex parlamentare
Michele Carrus, segretario CGIL
Seguirà il dibattito. Conclusioni a cura di Giuseppe Dessena – ex assessore regionale della Cultura
Coordinerà i lavori, il giornalista Marco Corrias.

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Tre incontri in 4 giorni, a Carbonia e Sant’Antioco. Si anima il dibattito sulla riforma degli Enti locali della Sardegna. Il primo si è svolto giovedì sera, a Carbonia organizzato dall’associazione Sinistra-Autonomia-Federalismo. Il tema in discussione è stato quello del commissariamento della provincia che si protrae ormai da oltre sette anni. Dopo il saluto di Andrea Corrias, rappresentante dell’associazione che cura l’attività del Circolo soci Euralcoop che ha sede in Piazza Marmilla ed ha ospitato l’incontro, sono stati numerosi gli interventi, nel corso dei quali sono state sviscerate tutte le conseguenze, negative per il territorio, scaturite dalla cancellazione della provincia di Carbonia Iglesias ed è stata sottolineata l’inadeguatezza della provincia del Sud Sardegna, che pure ha come capoluogo Carbonia, su una superficie complessiva abnorme di 6.530 kmq e ben 107 Comuni per 354.554 abitanti, priva, soprattutto, delle risorse necessarie per svolgere anche l’ordinaria amministrazione nei principali settori di intervento, strade, scuole ed ambiente…

La relazione introduttiva è stata svolta da Tore Cherchi, presidente della provincia di Carbonia Iglesias al momento dello svolgimento del referendum, che ha rimarcato il fatto che solo all’area di Cagliari è stato dato un assetto democratico, con la costituzione della Città metropolitana ed il Sulcis Iglesiente non ha una sua piena rappresentanza democratica, perché i Comuni hanno funzioni ed obiettivi distinti rispetto a quelli del governo complessivo di un territorio. Quando una comunità territoriale è impedita per così lungo tempo di scegliere autonomamente la sua rappresentanza, si producono gravi danni sul piano della democrazia innanzitutto. E’ stata sottolineata, in particolare, la necessità di superare subito il commissariamento, anche con il ricorso alle elezioni di secondo livello, in attesa di poter tornare alle urne per eleggere democraticamente un presidente ed i consiglieri provinciali.

I lavori, coordinati da Mauro Esu ed Elio Sindaco, sindaco di Santadi ed ex presidente del Consiglio della provincia di Carbonia Iglesias, hanno visto poi gli interventi di Stefano Rombi, assessore del comune di Carloforte; Piero Comandini, vice presidente del Consiglio regionale; Ilaria Portas, assessore e vicesindaco del comune di Masainas; Gloria Dessì, dipendente della provincia del Sud Sardegna e sindacalista della Cisl funzione pubblica; Giacomo Guadagnini, consigliere di amministrazione del Consorzio industriale di Carbonia Iglesias; Laura Cicilloni, ex consigliere comunale di Iglesias; Antonangelo Casula, ex sindaco di Carbonia; Mauro Pistis; il professor Gianfranco Sabatini; il segretario regionale di Articolo Uno Luca Pizzuto; l’ex segretario della Camera del Lavoro del Sulcis Iglesiente, Roberto Puddu.

Tutti gli intervenuti hanno rimarcato l’importanza di sostenere la re-istituzione della provincia di Carbonia Iglesias, per contribuire concretamente all’avvio di una nuova stagione di sviluppo per un territorio in grande difficoltà, con una situazione acuitasi negli ultimi anni anche per la manca di uno strumento di governo qual era la provincia di Carbonia Iglesias, perché con la sua cancellazione, sono stati tagliati drasticamente anche i trasferimenti e quindi i servizi.

I lavori sono stati conclusi da Tore Cherchi.

   

                                   

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«Da oltre sette anni Il Sulcis Iglesiente e tutti i territori della Sardegna sono commissariati. Solo all’area di Cagliari è stato dato un assetto democratico, con la costituzione della Città metropolitana. La nostra comunità territoriale, come tale, non ha una sua piena rappresentanza democratica. I Comuni hanno, infatti, funzioni ed obiettivi distinti rispetto a quelli del governo complessivo di un territorio. Quando una comunità territoriale è impedita per così lungo tempo  di scegliere autonomamente la sua rappresentanza, si producono gravi danni sul piano della democrazia innanzitutto. Ma non solo su questo piano. Al di là dell’impegno personale dei Commissari, che non intendiamo mettere  in discussione, il territorio e la sua comunità hanno perso in parte, e talvolta del tutto, servizi importanti: scuola, mobilità, ambiente, cultura, giustizia, sanità, attività produttive. Gli investimenti sono stati drasticamente tagliati, basti guardare alle condizioni delle strade. Per contro è aumentato l’accentramento inefficiente nella Regione.»

L’associazione Sinistra – Autonomia – Federalismo scende in campo per rivendicare la fine del commissariamento delle Province.

«Bisogna dire la verità: la cancellazione delle Province si è tradotta in un imbroglio a svantaggio dei territori e anche in un grave danno per la finanza pubblica – si legge in una nota -. Neppure dopo il referendum del 2016 che ha confermato che le Province sono Enti costitutivi della Repubblica italiana, si è posto rimedio a questo stato di caso. In Regione cambiano le maggioranze ma il commissariamento prosegue al più sostituendo i commissari. Bisogna porre fine al Commissariamento! La prima urgenza è procedere subito alla costituzione di organi eletti. Anche una rappresentanza di secondo grado è nettamente preferibile all’essere ancora  commissariati per un tempo indeterminato. L’ulteriore urgenza è che al territorio siano essere restituiti i servizi e le risorse per gli investimenti pubblici sottratti in questi anni.»

«La provincia del Sud Sardegna come attualmente configurata, è un assurdo. Il Consiglio regionale vi ponga rimedio ridefinendo ambiti razionali e coerenti per storia e per interessi attuali. La Regione deve dimagrire e non appesantirsi di nuove funzioni e di nuovi apparati. Molte funzioni devono essere trasferite agli enti locali dove il controllo dei cittadini è più immediato. Sindaci e Consigli comunali hanno assunto un’iniziativa positiva. Vogliamo sostenerla e contribuire a suscitare un largo movimento di opinione. Vi invitiamo a partecipare e a portare la vostra opinione al dibattito pubblico che organizziamo a Carbonia il prossimo 5 dicembre, ore 17.30, al Centro culturale Euralcoop, in Piazza Marmilla. Il dibattito sarà coordinato da Mauro Esu e Elio Sundas. Dopo il saluto di Andrea Corrias, l’intervento introduttivo di Tore Cherchi, si aprirà il dibattito. Sono già previsti gli interventi  di Stefano Rombi, Laura Cicilloni, Ilaria Portas, Emanuele MadedduL’assemblea è aperta a tutti gli interessati. Vi parteciperanno i professori Gianfranco Sabatini e Gian Giacomo Ortu, lo studioso Mauro Pistis, amministratori locali, partiti e movimenti, rappresentanti del sindacato e delle associazioni», conclude l’associazione Sinistra – Autonomia – Federalismo.

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L’aula consiliare del comune di Sant’Antioco ha ospitato lunedì pomeriggio un convegno organizzato dalla Cgil e dalla Filctem Cgil con il patrocinio del comune di Sant’Antioco, nel corso del quale è stato fatto un focus sulle bonifiche e, in particolare, sul caso della Seamag di Sant’Antioco, le cui operazioni di risanamento ambientale non sono state ancora terminate, nonostante siano trascorsi parecchi anni dalla dismissione della fabbrica che sorgeva alle porte del centro abitato, rimasta in attività dal 1965 al 1997.

Dopo la relazione introduttiva svolta da Emanuele Madeddu, segretario territoriale (Sulcis Iglesiente e Medio Campidano) Filctem, ed i saluti del sindaco di Sant’Antioco Ignazio Locci e del segretario della Camera del Lavoro territoriale (Sulcis Iglesiente e Medio Campidano) Antonello Congiu, la relazione tecnica è stata fatta da Mario Cabriolu (“Bonifica e progettazione area Seamag”). Sono poi intervenuti i capi di gabinetto degli assessorati regionali dell’Industria e dei Lavori pubblici Alberto Urpi e Vincenzo Corrias; l’amministratore unico di Igea, Michele Caria; il portavoce del Comitato Porto Solky, Rolando Marroccu; l’ex coordinatore del Piano Sulcis, Tore Cherchi. Ha concluso lavori, coordinati dal segretario regionale della Filctem, Francesco Garau, il segretario generale della CGIL sarda Michele Carrus.

Allegati gli interventi dei capi di gabinetto degli assessorati regionali dell’Industria Alberto Urpi e Vincenzo Corrias e dell’amministratore unico di Igea, Michele Caria. Alberto Urpi ha annunciato l’avvio delle bonifiche.

               

 

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La sala conferenze del Centro Ricerche Sotacarbo, nella Grande Miniera di Serbariu, ha ospitato stamane un seminario di approfondimento sullo stato di avanzamento del Piano Sulcis, per delegati e dirigenti delle federazioni territoriali del Sulcis Iglesiente, organizzato dalla CISL Sulcis Iglesiente.

I lavori, dopo la proiezione di un filmato sulla nascita di Carbonia e di quella del polo industriale di Portovesme, seguita alla chiusura delle miniere, sono stati aperti dalla relazione introduttiva del commissario UST Sulcis Iglesiente, Piero Ragazzini. Tore Cherchi, ex coordinatore del Piano Sulcis, ha svolto un’ampia relazione sullo stato di avanzamento dell’importante strumento che con uno stanziamento di oltre un miliardo e 200 milioni di euro, 805 milioni dei quali di fondi pubblici, prevede una lunga serie di interventi in vari settori: dai programmi destinati  alla salvaguardia dell’area industriale metallurgica ed alla diversificazione e all’innovazione del modello di sviluppo – quelli con maggiore impatto in termini di occupazione -, alla fiscalità di vantaggio per le micro e piccole imprese; dai bandi per incentivi alle imprese agli interventi nella filiera dell’agroalimentare, dal rilancio del Parco Geominerario al progetto ARIA; dalle bonifiche delle ex aree minerarie, dell’ex Sardamag e dell’area industriale di Portovesme, alle infrastrutture di porti, approdi e viabilità, tra i quali l’intervento più rilevante è quello previsto a Sant’Antioco, al centro da alcuni anni di un acceso dibattito; e, infine, l’interconnessione dei bacini del Sulcis Iglesiente.

Tore Cherchi ha sottolineato i ritardi accumulati ma, al tempo stesso, la rilevanza degli interventi in itinere e di quelli ancora in cantiere che vanno seguiti con grande attenzione. Il coordinatore del Piano Sulcis è il presidente della Regione Christian Solinas che, contrariamente a quanto fece il suo predecessore Francesco Pigliaru con Tore Cherchi, non ha ancora affidato la delega ad un esterno.

Nel corso di un breve dibattito, sono intervenuti, tra gli altri, l’ex segretario regionale della FSM Cisl, Rino Barca, ed Antonello Pirotto, leader della RSU Eurallumina, che ha rimarcato la necessità di una forte mobilitazione a difesa della realtà industriale, indispensabile per dare un futuro al territorio. L’attenzione principale è stata dedicata alle ormai note vicende legate al processo di decarbonizzazione che prevede il phase-out entro il 2025, termine ritenuto non attuabile in Sardegna, unica regione in Italia priva del metano, per la quale il Governo non intende concedere né deroghe per il phase-out né il via libera alla realizzazione della dorsale del gas, sostenendo in alternativa la realizzazione di un cavidotto per l’approvvigionamento dalla Sicilia e di piccoli depositi di accumulo costieri.

E’ poi intervenuto Gavino Carta, segretario generale USR Sardegna, che ha rimarcato la necessità di una forte mobilitazione a difesa di ciò che resta dell’industria in Sardegna e in particolare nel Sulcis Iglesiente, con una forte sensibilizzazione, e sollecitazione alla Giunta regionale, perché faccia pressione sul Governo affinché modifichi la sua rigida posizione su phase-out e dorsale del gas, per evitare il tracollo del polo industriale e quindi dell’intero territorio.

I lavori sono stati conclusi dall’intervento di Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della CISL, che ha svolto un’ampia relazione, partendo dal Piano Sulcis, spaziando poi per le emergenze nel polo industriale, con particolare riferimento alla vertenza energetica, e ai rapporti con il nuovo Governo, sui temi della politica energetica ed industriale.

I lavori sono stati preceduti da una visita guidata al Museo del Carbone.

Alleghiamo alcune fotografie e, a breve, stralci degli interventi di Gavino Carta e Luigi Sbarra.

                                 

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L’Autonomia differenziata nel modello proposto da alcune Regioni del Nord determina effetti nettamente negativi sull’insieme della Repubblica. Infatti, è dimostrato che le risorse finanziarie pubbliche verrebbero destinate in misura crescente verso quelle aree a discapito del finanziamento dei servizi pubblici essenziali (istruzione, sanità, assistenza, trasporti, etc.) delle altre Regioni. I diritti di cittadinanza fondamentali verrebbero compromessi. Quel modello è la negazione del federalismo solidale di cui la Repubblica ha necessità.

Anche la Sardegna ne sarebbe direttamente colpita. La sua speciale Autonomia non è, infatti, una garanzia assoluta dal taglio delle risorse disponibili. Inoltre, il finanziamento dei servizi essenziali per i cittadini residenti nell’Isola non è realizzabile con il solo gettito fiscale interno: sono necessarie ulteriori risorse anche considerando che non è mai stata attuata la norma della legge sul federalismo fiscale (la 42/09) che dispone la risoluzione del deficit infrastrutturale derivante dall’insularità.

L’ambiguità del sardoleghismo nell’approccio verso queste questioni è irrisolvibile. Su questa ambiguità grava un velo di sostanziale silenzio.

Sarebbe peraltro un grave errore non contrastare la deriva neocentralista ed il pervasivo antifederalismo, affermatisi in questi anni, che non risparmiano nessun dei soggetti costitutivi della Repubblica, Regioni e Comuni, innanzitutto, ma anche altre autonomie come l’Università. La domanda di autonomia presente in molte aree del Paese deve essere raccolta dalle forze riformatrici che condividono la prospettiva del federalismo cooperativo e solidale riprendendo per completarne il percorso, la strada tracciata con la riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001.

Sono questi in estrema sintesi i contenuti emersi nell’affollata assemblea svoltasi ieri a Cagliari sul tema “Autonomie differenziate o secessione del Nord?”. Il dibattito, organizzato dall’associazione “Sinistra, Autonomia, Federalismo” è stato coordinato dalla sindaca di Pula, Carla Medau, e dall’avvocato Roberto Murgia. Gli interventi introduttivi sono stati svolti da Gianmario Demuro, ordinario di diritto costituzionale e da Tore Cherchi. Sono intervenuti Caterina Cocco, segreteria regionale Cgil, Piero Comandini, Benedetto Barranu, Antonio Cambus, Francesco Pigliaru, Francesco Sanna e l’insigne giurista Umberto Allegretti. Ha chiuso i lavori Giorgio Macciotta.

Alla riunione hanno preso parte, tra gli altri, amministratori locali, rappresentanti politici, la segreteria regionale della CGIL e numerosi docenti universitari.

Associazione Sinistra, Autonomia, Federalismo

 

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L’ex coordinatore del Piano Sulcis Tore Cherchi è durissimo sui programmi dell’Enel che prevedono il «gas dappertutto, fuorché in Sardegna».

«Dopo aver messo su un binario morto il programma per la metanizzazione della Sardegna, il Governo programma una analoga sorte per le centrali elettriche sarde – denuncia Tore Cherchi -. L’Enel, infatti, ha presentato il progetto  per riconvertire da carbone a gas e energie rinnovabili, le quattro centrali “continentali” di Fusina, La Spezia, Torre Valdaliga (Civitavecchia) e Brindisi. Niente gas e niente riconversione  per la centrale Enel del Sulcis e quindi chiusura o gestione in deroga con carbone.»

«Nel mentre gli investimenti per la ripartenza delle fabbriche di Sideralloys ed Eurallumina, perfino già contrattualizzati, stanno saltando per aria perché non c’è più, in Sardegna, uno scenario energetico certo – aggiunge Tore Cherchi -. Eurallumina, Sideralloys e Enel valgono insieme 1.320 lavoratori negli impianti e oltre 2.600 posti di lavoro indotti nel territorio. Ciò che è stato faticosamente costruito nel periodo precedente, a prezzo di lotte dei lavoratori – conclude il coordinatore del Piano Sulcis -, viene ora cancellato con assoluta indifferenza per le ricadute sociali.»

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Eurallumina e Sideralloys, se rimesse in marcia come deciso, occuperebbero 898 lavoratori. L’occupazione indotta nel territorio vale tra due e tre volte quel numero. Tenendoci all’ipotesi più cauta, l’occupazione totale corrispondente ammonterebbe a circa 2.700 unità: si recupererebbe una quota importante della preesistente occupazione generata dalla filiera dell’alluminio, valutata in 3. 550 unità con lo stesso metodo di calcolo. Si deve inoltre sommare l’occupazione per la ristrutturazione degli impianti, stimata in 420 lavoratori mediamente presenti nei cantieri per due anni. Bisognerebbe includervi anche l’occupazione diretta e indiretta connessa alla centrale Enel che, senza i clienti metallurgici, è destinata alla chiusura. A fronte di questo notevole beneficio occupazionale, il contributo pubblico a fondo perduto dei Contratti di sviluppo già sottoscritti dalle due aziende con Invitalia, è di “soli” 14,9 milioni di euro cui corrispondono investimenti per complessivi 295 milioni di euro. E’ ben vero che Invitalia eroga per i due Contratti anche un finanziamento di 151,4 milioni di euro ma questo è un prestito, da rimborsare in 8 anni a condizioni di mercato.

La prima conclusione è che con un contributo pubblico relativamente modesto, si ottiene un importante effetto sul lavoro. La seconda conclusione è che, se il lavoro è considerato sinceramente il problema principale, chiunque governi, a Roma o a Cagliari, dovrebbe agire per il riavvio di queste fabbriche. Gli effetti sociali sarebbero immediati. Il riavvio deve essere fatto rispettando le stringenti norme ambientali, ovviamente. Neppure può essere ignorato che la chiusura delle fabbriche ha impatti negativi sulla salute e sui tassi di mortalità delle popolazioni coinvolte. E’ documentato da tanti studi scientifici che la deindustrializzazione provoca incremento delle malattie, della mortalità, dei suicidi e della tendenza ai gesti estremi. Al riguardo, i numeri sono semplicemente terribili sebbene trascurati dagli opinionisti e dalle stesse autorità sanitarie.

Che cosa si frappone, dunque, verso l’obiettivo del riavvio delle due fabbriche? I fatti vanno richiamati con la maggior chiarezza possibile e senza spirito sterilmente polemico.

Eurallumina attende da un tempo infinito le autorizzazioni per iniziare l’investimento in un impianto tenuto in efficienza e dove vi ruotano a turno i lavoratori dipendenti. Cinque anni sono trascorsi, senza venirne a capo, tra le richieste di nuovi approfondimenti dei valutatori ambientali, il ministero dei Beni culturali che eccepisce questioni più proprie di un parco che non di un’area industriale e blocca quanto deciso dal Governo, una politica energetica erratica: ho visto l’Enel negare la possibilità di fornitura del vapore, poi, su impulso di Carlo Calenda, scoprire che invece si può fare, ora si dice, giustamente, che bisogna superare il carbone ma non si dice (grave errore) se e quando ci sarà il gas a Portovesme. Passano gli anni e insorgono nuovi ostacoli: cose importanti e sempre con i bolli a posto, per carità. Ma e il lavoro? E le persone che si ammalano per disperazione? Non contano? Nel mentre, altrove, è stato affrontato e risolto il caso ILVA di Taranto molto più complesso. E sempre nel mentre e in un altrove che si chiama Germania, Francia, Spagna, Irlanda, Grecia, impianti simili a Eurallumina sono in marcia. Domanda: perché non si dovrebbe fare nel Sulcis?

Veniamo a Sideralloys. I fatti, innanzitutto. Sideralloys è un’azienda con un socio privato nettamente maggioritario ma anche (non casualmente) partecipata dallo Stato attraverso Invitalia: il MISE ha tutti gli strumenti in mano per controllare direttamente e indirettamente che si attui quanto deciso e non ci siano ulteriori ritardi. Sommessamente bisogna ricordare che Carlo Calenda non è più al MISE da un anno e che ora c’è un altro ministro che sinora non ha mai ricevuto il sindacato. Domanda: se ne occupa? E si occupa, da ministro del Lavoro, anche di pagare gli ammortizzatori sociali in deroga? Per Sideralloys è stato fatto un Contratto di sviluppo ed è stato erogata una prima quota del finanziamento (25 milioni di euro). Su questo fronte il pubblico è in regola: tocca all’azienda essere puntuale nei suoi impegni e finora, a prescindere dalle motivazioni, non lo è stata. E tocca invece al Governo rispettare gli impegni sull’energia.

Il prezzo finale dell’energia dipende da quattro misure. Vediamolo dettagliatamente sebbene il discorso si faccia un po’ più tecnico. Due di queste, l’accesso al servizio di interrompibilità e la legge sull’alleggerimento degli oneri di sistema sono operative e, infatti, vi fanno ricorso, in Italia, centinaia di aziende ad alta intensità energetica, numerose anche in Sardegna. Un terzo elemento è il contratto bilaterale tra Enel e Sideralloys per la fornitura decennale dell’energia elettrica. In proposito, esiste un Memorandum d’intesa fra le due aziende. Domanda: si riesce a passare dal Memorandum al Contratto? Qual è la posizione dell’attuale Governo al riguardo? Il quarto elemento, già previsto e accordato dal MISE per arrivare al prezzo competitivo dell’energia, è l’accesso ad una quota della meno cara energia elettrica importata dall’estero per l’industria di base. Si conferma questa misura? E se no, che cosa si propone in alternativa?

E’ da auspicare che ci sia, in tutte le sedi decisionali, un atteggiamento ragionevole di conferma e attuazione di quanto già deciso. Non riesco, infatti, a comprendere quale sia il vantaggio e per chi, nel buttare tutto per aria.

Non sfuggo all’argomento di chi dice che “bisogna fare altro”. D’accordo in linea di principio e in linea pratica. Fare altro però non può essere a mio avviso, sostenere una cultura pregiudizialmente antindustriale come si manifesta in non pochi ambienti. Essen, città della Rhur tedesca, citata spesso ad esempio di riconversione, è stata capitale europea della cultura, ha una miniera-museo dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco ma conserva tanta industria, compreso, guarda caso, un impianto di alluminio primario che ha la stessa età anagrafica e tecnologica di quello di Portovesme. Sempre nella Rhur, a Voerde trovi un altro impianto analogo di alluminio primario. Per non parlare di quello di Amburgo, chiuso dall’Alcoa e riaperto dal governo tedesco. Domanda: qual è la ragione tecnica che rende impossibile di fare qui ciò che è stato fatto in Germania?

Ma torniamo al “bisogna fare altro”. Il Piano Sulcis destina il cinquanta per cento delle risorse ai settori dell’agroalimentare, del turismo, delle aziende innovative, della piccola impresa, dell’innovazione tecnologica, della scuola e delle infrastrutture funzionali a questi obiettivi, cioè porti dell’arcipelago, piccoli approdi, ciclovie, approvvigionamento idrico per l’agricoltura. Un altro trenta per cento è dedicato alle bonifiche e al risanamento ambientale. Il restante venti per cento è dedicato al comparto industriale tradizionale, risorse che però nella più gran parte rientreranno perché erogate a titolo di prestito al netto di circa 15 milioni di euro erogati come contributo a fondo perduto a Eurallumina e Sideralloys. Oltre cento piccole imprese del settore agroalimentare e del turismo hanno avuto accesso alle misure di incentivazione. Sette su nove dei progetti istruiti per Contratti di investimento maggiori di 1,5 milioni di euro, riguardano il comparto ricettivo del turismo. Tutte queste informazioni sono dettagliatamente pubblicate.

La pecca del Piano Sulcis, a mio avviso, non è nell’eccessiva attenzione ai settori tradizionali dell’industria ma in altri due fatti. Il primo è la lentezza dell’attuazione. Se è vero che più dell’ottanta per cento delle risorse è stato contrattualizzato, e il resto è comunque impegnato, solo il ventuno per cento delle risorse è stato pagato e quindi l’effetto reale sull’economia del territorio è definito da questo limite. Attenzione: i soggetti attuatori delle misure sono ben quarantaquattro: amministrazioni dello Stato, Assessorati regionali, Comuni, Provincia, Invitalia, Anas, Consorzi industriali, Igea, Enti delle acque, società di ricerca, etc. Salvo lodevoli eccezioni, per ragioni oggettive (vedi adempimenti di legge) e anche soggettive la performance non è positiva a prescindere dal colore politico delle diverse amministrazioni coinvolte. Chiunque governi si trova e si troverà con il problema di come accelerare la spesa con le procedure ordinarie, senza ricorrere alle ambigue procedure straordinarie. Potrei testimoniare che in questo decennio da parte di tutti si è parlato di semplificazione ed efficienza ma i fatti dicono che si è andati in direzione opposta.

Il secondo grave fatto è che il Piano Sulcis, piano straordinario prevalentemente finanziato dallo Stato, è stato trasformato in un piano sostitutivo dell’intervento ordinario. Al territorio sono mancate risorse di cui aveva diritto. Non ho mai nascosto che in questo c’è stata una precisa responsabilità della programmazione regionale.

In conclusione, corretto ciò che il nuovo Governo della Regione reputerà utile correggere, auspico che il Piano non sia abbandonato e sia portato a conclusione, perché canalizza verso il Sulcis Iglesiente, progetti che, tra capitali privati e pubblici già impegnati, valgono oltre milleduecento milioni di euro.

Tore Cherchi

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“Per l’Europa Unita dei Diritti Civili e Sociali”, è il tema dell’incontro in programma stasera (lunedì 14 gennaio), alle 17.30, nella sala riunioni del Circolo Soci Euralcoop, in piazza Marmilla, a Carbonia. 

Promosso da un gruppo di persone di varia appartenenza politica, molti senza appartenenza partitica, sarà un’assemblea aperta sulle ragioni per lottare per l’unità politica dell’Unione Europa e contro la sua disgregazione, ripartendo dalle idee e dai territori, e dalla discussione sulle questioni fondamentali, evitando le secche di un dibattito tutto schiacciato sulla polemica e sulla contingenza.

Coordinano Antonietta Melas e Roberto Murgia. Dopo un saluto di Moreno Pilloni intervengono Gian Giacomo Ortu e Gianmario Demuro. Le conclusioni sono di Tore Cherchi.

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Promossa da un gruppo di persone di varia appartenenza politica, molti non iscritti a un partito, si terrà lunedì 14 gennaio, a Carbonia, un’assemblea aperta sulle ragioni per battersi per l’unità politica dell’Europa e contro la sua disgregazione. Alle sconfitte, sostengono i promotori, «la sinistra deve reagire con spirito autocritico, ripartendo dalle idee e dai territori, e dalla discussione sulle questioni fondamentali, evitando le secche di un dibattito tutto schiacciato sulla polemica e sulla contingenza».

«L’Europa è percorsa da venti nazionalistici e sovranisti che trovano crescente alimento anche in Italia il cui governo pratica politiche con tratti marcatamente xenofobi – si legge in una nota dei promotori -. Bisogna reagire innanzitutto sul piano culturale. Nonostante le gravi difficoltà e i limiti dell’Unione Europea, emersi soprattutto negli anni più recenti, il rafforzamento anche politico, in una prospettiva federale, dell’Unione europea non ha alternative, se non negative. A dimostrarlo stanno il lungo periodo di pace – mai conosciuto prima – che l’Europa occidentale ha vissuto dal 1945 ad oggi; i progressi che l’Unione europea continua a segnare nell’affermazione e nella tutela dei diritti fondamentali, quali sono stati enunciati dalla Carta di Nizza del 2000; la formazione in atto, a dispetto dei rigurgiti sovranisti ed esclusivisti, di una identità transnazionale permeata di valori umanistici e solidali.»

«Sappiamo che i sovranismi e i populismi che rodono dall’interno l’Unione europea si alimentano specialmente del timore dell’immigrazione extra-comunitaria – si legge ancora nella nota -. Sappiamo però anche che l’esodo delle popolazioni dell’Asia e dell’Africa verso l’Europa è la conseguenza dei conflitti in atto in vaste aree di questi continenti e soprattutto, della dinamica dualistica dell’economia «mondializzata» che nelle aree forti porta ricchezza e benessere e nelle aree deboli miseria e disperazione. Serve perciò una risposta basata sui valori fondanti la civiltà europea che agisca sulle casi cause di fondo di questi fenomeni epocali.»

«Il populismo è alimentato anche dal disagio sociale che interessa una parte estesa della popolazione, soprattutto, nelle aree periferiche. Noi vogliamo un’Unione Europea che ponga al primo punto le questioni del lavoro e dell’equità sociale. Non casualmente, il programma federalista del Manifesto di Ventotene che continua ad essere un riferimento politico e culturale essenziale, ha una forte caratterizzazione anche sociale perché si propone – conclude la nota -, oltre che la “definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani», anche «l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita.”»

L’assemblea aperta si terrà presso il Centro culturale Euralcoop piazza Roma, lunedì 14 gennaio, con inizio alle ore 17.30. Dopo il saluto di Moreno Pilloni, il dibattito, coordinato da Antonietta Melas e Roberto Murgia, sarà introdotto da Gian Giacomo Ortu, storico e da Gianmario Demuro, costituzionalista. L’intervento conclusivo verrà svolto da Tore Cherchi.