29 March, 2024
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Il titolo del libro “L’Europa al bivio” riguarda una pubblicazione, curata da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu, che raccoglie gli scritti dello stesso Ortu, di Christian Rossi, Benedetto Barranu e Omar Chessa, introdotti da Cherchi. Complessivamente, offre ben più che un pamphlet informativo e di un insieme di stimoli importanti per una discussione. Per quanto preceda la guerra in corso che obbliga a ripensamenti non da poco e non solo sul piano politico-istituzionale, storico-giuridico ed economico-finanziario. Impegna, soprattutto, verso nuovi percorsi di pace nelle relazioni non solo fra gli Stati, ma anche dentro ogni Stato. A mio avviso questo testo rappresenta uno sviluppo rispetto al manifesto di Ghilarza che determinò il raggruppamento Sinistra Autonomia Federalismo (SAF). Pertanto, offre una più ampia base di riferimento, per successivi e auspicabili aggiornamenti. Anche nell’immediato questa pubblicazione stimola profonde riflessioni che riguardano ogni gruppo progressista nello schieramento di sinistre sarde, italiane ed europee, per andare oltre l’Europa al bivio, compreso il bivio della guerra nucleare, in un impegno di pace e di giustizia sociale fra gli Stati e negli Stati.

Ho imparato molto da tutti i saggi e anche dalla pregevole introduzione di Tore Cherchi. Ringrazio tutti. In particolare, noto che Tore Cherchi, rispetto al passato, presenta innovative convinzioni e nuove determinatezze con una propria e straordinaria forza culturale e politica che, purtroppo, non emerge nella palude precongressuale del Pd in Sardegna. È utile leggerlo con particolare attenzione politica, per cogliere i suoi nuovi orientamenti. Forse, bisogna pensare a quali associazioni possono promuovere qualche dibattito precongressuale, per conoscere meglio le attuali posizioni in campo nel Pd sardo.

Dico subito che ho attraversato questo testo, come antropologa, con la mia “cassetta degli attrezzi” che verifica vecchie e nuove disumanizzazioni e vecchi e nuovi assoggettamenti, insieme a certe capacità di farsi soggetti autonomi a vari livelli, più o meno istituzionalizzati: individuali e collettivi, di classe e di genere, socio-etnici e della specie umana. Leggendo questo libro ho tenuto conto, in particolare, di una certa antropologia economica e di un suo percorso. Per dirla in breve su questo settore, nel quadro del sistema-mondo, l’antropologia economica alla quale mi sono riferita è diventata antropologia della globalizzazione finanziaria, analizzando processi ed effetti del neoliberismo con innovativi approcci. Appadurai per esempio, con il suo percorso biografico e di ricerca, illustra anche un recente tragitto di questo settore. Egli studiava nel 2011 le aspirazioni democratiche che producono futuro e che richiedono riconoscimenti (Le aspirazioni nutrono la democrazia). Nel 2016, giungeva ad approfondire il filone di studi antropologici che riguarda i fallimenti tecnici, finanziari e di mercato (Scommettere sulle parole. Il cedimento del linguaggio nell’epoca della finanza derivata). Nel 2020 egli passava allo studio dei fallimenti del “finanziarismo” (Fallimento). In questo percorso considerava anche angosce e tossicità che accompagnavano la gig economy, compresi gli investimenti sul rischio e la frammentazione dei soggetti che subivano le crisi.

Di lavori precari e di dequalificazione delle persone e di certi lavori si è occupato, inoltre, David Graebner (Bullshit Jobs, A Theory 2018), antropologo americano alla London School of Economics, morto in Italia ai tempi iniziali del coronavirus. Incoraggio fortemente a osservare la più attuale e innovatrice antropologia, anche nelle riflessioni sul federalismo che vogliamo sostenere.

Vorrei, pertanto, indicare e richiamare ora alcune tematiche che riguardano i processi finanziari e gli impoverimenti dei soggetti umani fino al loro indebolimento, depotenziamento e annichilimento, insieme alle loro esperienze di resistenza e per un cambiamento democratico. Si tratta di temi che Appadurai affronta soprattutto nel suo saggio del 2016. Riguardano esperienze della frammentazione dei soggetti che per certi versi lo avvicinano ad Amartya Sen e ad Antonio Gramsci. Sono questioni presenti nel testo in discussione. Ne parla in un certo modo Giangiacomo Ortu, citando proprio Amartya Sen a proposito di Libertà individuale come impegno sociale. Non a caso si tratta di un’opera particolarmente vicina al Federalismo italiano ed europeo, a partire da Eugenio Colorni e dal Manifesto di Ventotene, in cui il rapporto problematico fra soggettività individuale e collettiva è assai consapevole e ben considerato. Si tratta di un tema di straordinaria importanza che merita di essere approfondito perché, a mio avviso, un nuovo federalismo deve chiamare in causa e implicare la vita di ogni persona, la dimensione soggettiva individuale nella creazione di un soggetto collettivo federale.

Tore Cherchi sostiene che bisogna ritornare a quel pensiero. Condivido tale affermazione, fatte salve, ovviamente, le opportune storicizzazioni su cui dovremmo avviare oggi qualche approfondimento ed effettuare qualche necessaria sottolineatura.

Parto dalle sottolineature. Riprendo due punti, fra i commenti del 1974 di Noberto Bobbio al Manifesto federalista di Ventotene. Uno riguarda la pace e il pacifismo transnazionale. Sono contenuti nella critica, propria del federalismo, alla sovranità assoluta. Questo punto concerne, inoltre, il rapporto fra il federalismo europeo e il federalismo mondiale, in attesa del quale pare a me che non ci si possa limitare alla sola cooperazione europea, per quanto importantissima, come soluzione funzionale e generatrice automatica di pace mondiale (Bobbio 2014:102):

In questo senso il pacifismo europeo non è propriamente una dottrina pacifista, non tanto perché a rigore se è valido il suo sillogismo – la causa delle guerre è la sovranità assoluta, per limitare le guerre bisogna limitare la sovranità – la conseguenza necessaria dovrebbe essere non la federazione europea ma la federazione mondiale (ideale che rimaneva, sì, sullo sfondo, ma non era diventata ancora un programma politico), ma perché la pace non viene considerata in seno al movimento federalista sin dai suoi inizi come il fine ultimo ma come il presupposto, la conditio sine qua non, per la realizzazione di altri fini considerati come preminenti, quali la libertà, la giustizia sociale, lo sviluppo economico e via discorrendo. (sottolineatura mia)

Si tratta di un punto che merita più che una sottolineatura. Per certi aspetti, ci rinvia a Piketty e a certe sue domande che precedono certe sue risposte, utili anche per precisare ora la nostra rotta. Quale federalismo? Per fare che cosa? Si tratta di domande contenute in un suo testo del 2015 che ha per titolo una principale domanda: Si può salvare l’Europa?

Prima di riprendere alcune proposte di Piketty, vale la pena di sottolineare un altro punto importante, indicato da Bobbio. Egli rimarca come il federalismo nasca nel crogiuolo della crisi e della risposta alla crisi con la Resistenza, volta a un nuovo assetto sociale. Egli, affermando il carattere storicamente inventivo della Resistenza e del federalismo, dice così (Bobbio 2014:108).

L’ideale federalistico si pone su questo terzo livello: la resistenza non come restaurazione ma come innovazione. La resistenza che deve chiudere e aprire, distruggere per costruire, essere negazione non in senso formale ma in senso dialettico. Che non deve limitarsi a vincere il presente ma deve inventare il futuro. Il federalismo fu, ed è tuttora una di queste invenzioni storiche. Per questo è legato a quel momento creativo della storia che fu la Resistenza europea. Una delle più alte coscienze della Resistenza italiana, Piero Calamandrei, scrisse: «Tutte le strade che un tempo conducevano a Roma conducono oggi agli Stati Uniti d’Europa». (sottolineatura mia)

Per quanto riguarda la crisi e il rilancio delle istituzioni europee tutti gli autori Rossi, Barranu e Chessa offrono con Tore Cherchi importanti riflessioni critiche e positivamente ponderate, senza autolesionismi. Le condivido con qualche più accentuata preoccupazione, già presente nei loro scritti. Per esempio, Benedetto Barranu mette in luce le importanti attenzioni europee ai parametri finanziari a fronte, tuttavia, della disattenzione verso gli obiettivi di integrazione economica, sociale e civile delle diverse regioni europee. Egli si riferisce a Piketty, ma se ne discosta in certa misura nell’ordine delle proposte. Sull’incremento della pressione fiscale, infatti, mi pare più forte in Piketty l’esplicitazione della progressività fiscale, sia come ordine prioritario e sia come ordine qualitativo, ordine che nello scritto di Benedetto Barranu risulta al quarto posto delle proposte. Mi pare, invece, che questo elemento della progressività fiscale sia considerato cruciale per poter combattere le disuguaglianze partendo dalla distribuzione, sia da Piketty e sia dal suo maestro Antony Atkinson.

Giungo a un punto democraticamente cruciale. Nelle diseguaglianze – come notano questi due autori e come sappiamo – quelle di genere hanno una particolare rilevanza. Tuttavia, particolare attenzione deve essere dedicata anche alle disuguaglianze interne ai generi. Infatti, debbono essere ora considerate con una nuova attenzione, che scientificamente riguarda le “intersezioni”. Detto semplicemente, si tratta di considerare i fili delle condizioni e delle posizioni non solo sociali, ma anche locali, per esempio infrastrutturali e ambientali, specialmente per le donne. Tali intersezioni sono anche individuate come socio-geo-culturali, per esempio considerando le relazioni di genere secondo il colore della pelle e secondo i contesti locali, anche di spopolamento o di abbandono o d’inquinamento. La questione delle disuguaglianze, in particolare di genere ma anche interne al genere, a mio avviso, è un punto dirimente per un nuovo federalismo democratico e partecipativo.

Nelle egemonie vecchie e nuove, considerate dal federalismo che si sta elaborando in Sardegna, pare rimanere in ombra il nesso con le nuove subalternità, generazionali e di genere, determinate dal neoliberismo, imperante anche nelle complessive politiche europee non solo con le politiche di austerità. Negli approcci federalistici finora da noi pubblicati, gli aspetti delle “nuove subalternità” sembrano ancora sottaciuti o impliciti, oscurati o fuori da ogni interesse programmatico di nuovo federalismo. Ovviamente la realtà non è sempre quella che appare e ciò vale anche in questo caso. I ritardi e gli offuscamenti, di cui sono anche io responsabile, sono di varia natura e riguardano anche vari impedimenti personali. Tuttavia, non possiamo restare insufficienti su tali aspetti.

Dobbiamo, evidentemente, fare qualcosa in più e di diverso, per promuovere, specie con studentesse e studenti, nuovi protagonismi di donne e di giovani che siano non conformistici verso chicchessia, ma seriamente rigorosi nei pensieri, nelle iniziative e nelle relazioni. In ogni caso, non possiamo essere soddisfatti di una nostra cornice concettuale generale, fatta in casa, che lascia nella stagnazione e nell’opacità tali aspetti delle nuove subalternità e delle nuove inuguaglianze, specie di genere, diffuse nel mondo ultraliberistico, incontrollato e diventato imperante.

Il federalismo che Sinistra Autonomia Federalismo (SAF) richiede, a mio avviso, proprio nel piano delle nuove subalternità e delle nuove inuguaglianze, una specifica connessione con il pensiero gramsciano sulle subalternità, operante nella cultura politica globale. Vale la pena di affermarlo proprio oggi 27 aprile, in modo non celebrativo a 85 anni dalla sua morte, ma per rivelare la vitalità concettuale e operativa di parti importanti del suo pensiero.

Forse, ma non vorrei mettere troppa carne al fuoco, la nostra riflessione può giovarsi anche di una parte del pensiero berlingueriano. Egli, infatti, guardava all’eurocomunismo e al rapporto fra democrazia e socialismo in un suo orizzonte riformista dell’Europa dei popoli, e della stessa Nato. Posso solo auspicare una riflessione collettiva su tali aspetti di rilettura dell’eurocomunismo berlingueriano. Tuttavia, è necessario ponderare ora su che cosa si può fare di più e meglio in merito alle nuove subalternità e alle nuove inuguaglianze di genere e nei generi, nel nostro progetto di un “democratico federalismo sociale”.

Vorrei tornare ora alle inuguaglianze, perché credo che queste debbano essere declinate non solo a scale limitate in Sardegna, in Italia e in Europa. Penso che le inuguaglianze debbano essere inserite anche in più ampie scale transnazionali, cercando di individuare legami tematici trasversali, dalle politiche di genere a quelle ambientali. A mio avviso, infatti, è necessario far emergere un federalismo sociale, nuovo e avanzato democraticamente, in cui le nuove subalternità e le nuove inuguaglianze siano individuate e connesse fra loro secondo specifiche trasversalità e in cui la pace sia, non presupposta, ma un obiettivo permanente e mai definitivamente compiuto. Penso a un federalismo sociale europeo, gramscianamente aperto al mondo

Nel quadro delle nuove subalternità, credo che tutte e tutti noi dobbiamo dare continuità e sviluppo a un altro versante dell’impegno di Sinistra Autonomia Federalismo, avviato con Laura Pennacchi il 26 novembre 2018, per ripensare la crisi capitalistica, la socializzazione degli investimenti e la lotta agli impoverimenti attraverso la promozione del buon lavoro per tutte e tutti. L’iniziativa del novembre 2018 corrispondeva in parte, sul piano scientifico, al titolo del libro dell’economista keynesiano Hyman Philip Minsky, edito nel 2014, Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, in cui Laura Pennacchi pubblicava un saggio introduttivo. In questo testo, come in altri impegni di questa studiosa, si affermava con particolare forza l’importanza dell’autonomia culturale nelle esperienze lavorative in cui i soggetti diventavano autonomamente protagonisti attivi di un cambiamento democratico.

Vorrei, mantenendo il focus sul lavoro, metter l’accento sul fare, sul fare immediatamente possibile che sia Piketty e sia Atkinson rendono evidente per realizzare un’Europa caratterizzata dalla democrazia ugualitaria e dal federalismo sociale. In questa Europa il buon lavoro per tutte e per tutti è un obiettivo fondamentale. Si tratta, infatti, di promuovere un democratico federalismo sociale in cui il lavoro viene garantito a chi lo chiede.

Parto da Atkinson (2015:307-308). Il titolo Sulla disuguaglianza ha come sottotitolo la domanda Che cosa si può fare? La parte finale del testo indica La strada che ci sta davanti. In questa parte egli delinea vari percorsi per andare avanti ed esplicita 15 proposte che è ora impossibile riportare o riassumere. Ne vorrei selezionare alcune, a titolo esemplificativo.

La proposta n. 3 recita: Il governo deve adottare un obiettivo esplicito per prevenire e ridurre la disoccupazione e deve sostenere tale obiettivo offrendo un impiego pubblico garantito a salario minimo a quanti lo cercano.

La proposta 8 dice: Dobbiamo tornare a una struttura di aliquote più progressiva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali crescenti per scaglioni di reddito imponibile, fino a un’aliquota massima del 65%, il tutto accompagnato da un ampliamento della base imponibile.

I due punti sono evidentemente connessi, ma vado in fretta e richiamo ancora qualche punto dell’elenco, rinunciando alle esplicitazioni. Per fare progressi democratici egli prevede: al punto 9 uno sconto sui redditi da lavoro; al punto 10 eredità e donazioni con imposta progressiva; al punto 11 l’imposta progressiva sugli immobili, basata sulla valutazione catastale aggiornata; al punto 15 l’assistenza allo sviluppo dei Paesi poveri da parte di quelli ricchi, elevata all’1% del reddito nazionale lordo. Si tratta di questioni all’ordine del giorno anche in Italia.

L’approccio dinamico di Atkinson, teso realisticamente al fare possibile, si riscontra anche nel suo allievo Piketty. Quest’ultimo, con altri studiosi, nel 2017 pubblicò un pamphlet: Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa. Egli considerava la fattibilità politica di tale trattato, per la governance economica dell’eurozona. Valutava i possibili cambiamenti dell’assemblea dell’eurozona, anche di fronte a un rifiuto di vari partner. Prospettando un’alleanza fra Francia, Spagna e Italia, forniva una bozza di tale trattato di 22 articoli, che merita indubbiamente un’attenzione particolare, ora impossibile.

Successivamente, nel suo libro edito nel 2020, Capitale e ideologia, Piketty (2020:61) affermava che intendeva «delineare i contorni di un socialismo partecipativo e di un socialfederalismo basato sulle lezioni della storia». Ciò richiedeva, a suo avviso, una ridefinizione radicale dei fondamenti programmatici che sostengono le attuali categorie politiche, intellettuali, ideologiche. Si tratta di affermazioni che hanno per noi un particolare interesse, in questa occasione e in questo clima politico-culturale. Soffermandosi sulle esperienze antidiscriminatorie in India e analizzando l’esperienza delle quote sociali e di genere, egli affermava (Piketty 2020: 414).

Quando un gruppo sociale è vittima di pregiudizi e di stereotipi antichi e consolidati, come le donne un po’ in tutto il mondo o come gruppi specifici nei diversi paesi (per esempio, le caste inferiori in India), di fatto risulta insufficiente organizzare la redistribuzione unicamente in funzione del reddito, del patrimonio o del titolo di studio. In questi casi può essere necessario introdurre sistemi di accesso preferenziale e apposite quote (come le “quote riservate” in ambito indiano) basate sulla pura e semplice appartenenza a specifici gruppi. (sottolineatura mia)

Egli considerava che nel 2016 erano 77 i Paesi che utilizzavano sistemi di quote specifiche per aumentare la rappresentanza femminile nelle assemblee legislative, mentre le democrazie elettorali dei Paesi ricchi registravano la forte diminuzione dei deputati che appartenevano alle classi popolari, in particolare operai e impiegati. Altri problemi di inuguaglianza riguardavano, a suo avviso, gli accesi preferenziali all’istruzione secondaria e universitaria. Idealmente, nella sua concezione il sistema di quote dovrebbe includere e contemplare anche le condizioni del proprio superamento. Comunque, direi che tali problemi di disuguaglianza di genere, in quanto questioni di alto profilo democratico, riguardano anche un nuovo e democratico sociale federalismo della Sardegna, nella disuguaglianza compiuta e nell’uguaglianza incompiuta che caratterizza il XXI secolo. Le inuguaglianze di genere riguardano, fra l’altro, divari salariali occultati in vari modi, ancora persistenti perché le sinistre politiche e sindacali, specialmente in Italia, a mio avviso non le hanno affrontate in modo storicamente adeguato.

Le possibilità di un innovativo e democratico federalismo sociale europeo sono reali e di ampia portata, per Piketty (2020: 1009). Indurre certi Stati alla perdita del privilegio del diritto di veto non sarà facile. Tuttavia, secondo questo studioso, si può insistere sulla regola della maggioranza qualificata per le deliberazioni sui temi fiscali e di bilancio.

Nel raccordo fra sovranità parlamentare europea e sovranità parlamentari nazionali, egli sostiene, bisogna pensare a un vero e proprio trattato per democratizzare l’Europa con un asse costituito da 4 importanti imposte comunitarie: 1 una tassa sugli utili delle società, una sugli alti redditi, una sui patrimoni elevati, una sulle emissioni di CO2. I proventi potrebbero essere così ripartiti: una metà trasferiti agli Stati per diminuire il prelievo che grava sulle classi popolari e medie, l’altra metà per la transizione energetica, per la ricerca e la formazione, per agevolare l’integrazione dei migranti e renderla più condivisa.

Il progetto del federalismo sociale di Piketty è teso verso il futuro. Inoltre, contiene interessanti proposte operative per risolvere il problema della crisi del debito pubblico che probabilmente ora aumenterà, date le guerre in corso. Il suo approccio di federalismo sociale è indirizzato a un gruppo di Paesi europei che intendano attuare un’unione politica e fiscale migliorata e potenziata, che egli chiama Unione Parlamentare Europea per distinguerla dalla attuale Unione europea. Tali Paesi europei possono operare senza metter in discussione l’Unione a 27 Stati, mettendo nel conto l’ovvia opposizione dei Paesi che praticano il dumping fiscale. Tuttavia, si può procedere anche gradualmente, ma tenacemente.

Nei limiti della sintesi necessariamente sommaria che ho potuto abbozzare, alcune proposte di Piketty possono apparire radicali. Invece si iscrivono nel filone del socialismo democratico, superandone varie debolezze in cui certe opzioni socialdemocratiche avevano di socialista solo il nome, come egli dice a un certo punto di quel testo del 2020.

Gli argomenti da lui esposti sotto le etichette del socialismo partecipativo e del federalismo sociale, in realtà, riprendono sviluppi culturali che riguardano i cambiamenti delle disuguaglianze, osservabili in varie parti del mondo, che egli colloca in un’ampia prospettiva storica e mondiale. Si tratta anche di elementi suscettibili di sviluppi culturali che spesso appaiono, anche in contesti limitati, come repertori di idee di equità o come tracce democratiche, a cui attingere nei momenti di crisi.

Su questo piano frammentato, ma che può essere germinativo di cambiamenti democratici, egli afferma di essere condizionato nel suo punto di vista e nel suo percorso personale, dal suo background familiare. Ha visto le sofferenze delle sue due nonne per il modello patriarcale, subito dalla loro generazione. Una, scontenta della sua vita borghese, scomparve prematuramente. L’altra era domestica di campagna già a 13 anni, durante la seconda guerra mondiale. Da una delle bisnonne, invece, Piketty ha avuto i sofferti racconti delle guerre.

Questa genealogia culturale familiare che accomuna acute e storiche sofferenze di donne, a cui egli ricorre giungendo alla fine del libro, dà un senso alle sue opere germinate dalle relazioni intime e affettive con le donne della famiglia. A tali relazioni egli si riferisce per risolvere le nuove subalternità e le nuove disuguaglianze di genere. Attinge da tale genealogia di donne, e dalle loro sofferenze, l’impegno per un federalismo sociale culturalmente partecipato proprio dalle donne con le proprie storie, le proprie motivazioni, le proprie urgenze, individuali e di gruppo.

Le domande e le risposte contenute nel libro curato da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu riguardano un’Europa al bivio delle crisi democratiche e della guerra. Interessano anche quale federalismo scegliamo di realizzare e per che cosa. Fanno, però, sentire la mancanza di un nuovo federalismo sociale, democraticamente partecipativo, che deve necessariamente passare attraverso un ineludibile e urgente scrutinio delle politiche di genere, anche nei nostri impegni locali.

Paola Atzeni

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L’Autonomia differenziata nel modello proposto da alcune Regioni del Nord determina effetti nettamente negativi sull’insieme della Repubblica. Infatti, è dimostrato che le risorse finanziarie pubbliche verrebbero destinate in misura crescente verso quelle aree a discapito del finanziamento dei servizi pubblici essenziali (istruzione, sanità, assistenza, trasporti, etc.) delle altre Regioni. I diritti di cittadinanza fondamentali verrebbero compromessi. Quel modello è la negazione del federalismo solidale di cui la Repubblica ha necessità.

Anche la Sardegna ne sarebbe direttamente colpita. La sua speciale Autonomia non è, infatti, una garanzia assoluta dal taglio delle risorse disponibili. Inoltre, il finanziamento dei servizi essenziali per i cittadini residenti nell’Isola non è realizzabile con il solo gettito fiscale interno: sono necessarie ulteriori risorse anche considerando che non è mai stata attuata la norma della legge sul federalismo fiscale (la 42/09) che dispone la risoluzione del deficit infrastrutturale derivante dall’insularità.

L’ambiguità del sardoleghismo nell’approccio verso queste questioni è irrisolvibile. Su questa ambiguità grava un velo di sostanziale silenzio.

Sarebbe peraltro un grave errore non contrastare la deriva neocentralista ed il pervasivo antifederalismo, affermatisi in questi anni, che non risparmiano nessun dei soggetti costitutivi della Repubblica, Regioni e Comuni, innanzitutto, ma anche altre autonomie come l’Università. La domanda di autonomia presente in molte aree del Paese deve essere raccolta dalle forze riformatrici che condividono la prospettiva del federalismo cooperativo e solidale riprendendo per completarne il percorso, la strada tracciata con la riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001.

Sono questi in estrema sintesi i contenuti emersi nell’affollata assemblea svoltasi ieri a Cagliari sul tema “Autonomie differenziate o secessione del Nord?”. Il dibattito, organizzato dall’associazione “Sinistra, Autonomia, Federalismo” è stato coordinato dalla sindaca di Pula, Carla Medau, e dall’avvocato Roberto Murgia. Gli interventi introduttivi sono stati svolti da Gianmario Demuro, ordinario di diritto costituzionale e da Tore Cherchi. Sono intervenuti Caterina Cocco, segreteria regionale Cgil, Piero Comandini, Benedetto Barranu, Antonio Cambus, Francesco Pigliaru, Francesco Sanna e l’insigne giurista Umberto Allegretti. Ha chiuso i lavori Giorgio Macciotta.

Alla riunione hanno preso parte, tra gli altri, amministratori locali, rappresentanti politici, la segreteria regionale della CGIL e numerosi docenti universitari.

Associazione Sinistra, Autonomia, Federalismo

 

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Giorgio Madeddu.

Lettera aperta ai cittadini del Sulcis Iglesiente

Cari amici,

nei giorni scorsi la dirigenza Assl ha inaugurato i locali del nuovo Pronto soccorso dell’Ospedale CTO di Iglesias. Celebrazione patetica, fotocopia di quanto abbiamo ammirato in precedenza, nessuna auto critica sui ritardi biblici sulle promesse del passato, siamo stati spettatori di improbabili dichiarazioni, esaltanti, quasi maniacali dei dirigenti sul presente e futuro della nostra sanità. In perfetto stile sanità-partito inaugurazione di locali (mura per essere chiari), Barranu-Dirindin: Ospice al Santa Barbara? O come le stravaganti inaugurazioni di Maurizio Calamida: Triage Fast Track Infermieristico al CTO senza Pronto Soccorso, 118 al terzo piano dell’ospedale F.lli Crobu ed inaugurazione prenatalizia di poltrone ed audiovisivi nella pediatria del Santa Barbara, con l’allora presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo. Non ci sono dubbi l’aria natalizia, soprattutto se prossima alle elezioni, scatena le compulsioni inaugurative, e si festeggia il nulla, alcolizzando le vere carenze e responsabilità, bollicine di visibilità preelettorali.

Il resoconto de “L’Unione Sarda” sgomenta e indigna per la faccia tosta delle dichiarazioni: «Un traguardo importante-dichiara la d.ssa Giua…rilanciamo quest’ospedale», il rilancio di un ospedale non è garantito dai miglioramenti murari per quanto necessari, i pazienti fino ad ieri vergognosamente ricevuti in un accampamento medioevale che solo l’ammirevole premura e professionalità di medici e infermieri trasformava in Pronto Soccorso ma, germoglia, dall’entusiasmo e motivazione degli operatori, e dalla fiducia che la Comunità su questi ripone. Esaltare locali e tecnologie senza valorizzare il talento dell’Uomo è l’anticamera della decadenza. «Rilanciamo quest’ospedale.» Il CTO è stato riferimento e risorsa per l’intero Sulcis, oggi è un campo di battaglia simile alla Beirut bombardata, il Pronto soccorso anche dopo la recente cosmesi è, comunque, sprovvisto di affiancamento cardiologico e neurologico full time, parziale sostegno chirurgico, ortopedico e otorino, talenti questi umiliati dal week surgery di Onnis-Arru-Pigliaru. La d.ssa Giua come i precedenti (tutti) marziani di partito inviati da Cagliari per “stabilizzare” la devastazione della sanità del Sulcis Iglesiente, parla di rilancio del CTO? Stravagante! Eppure dovrebbe essere informata che prossimamente si concluderà la storia della Chirurgia pediatrica di cui non ha mai parlato. Raggiunto il pensionamento del primario e dell’aiuto anziano, accolto il trasferimento di un’apprezzata chirurga pediatrica, il reparto dopo 37 anni di straordinaria avventura scientifica ed umana, chiude miserevolmente i battenti, non per sconfitta professionale ma perché i politici si sono dimostrati quaquaraquà, dilettanti, superficiali. La Chirurgia pediatrica del F.lli Crobu orgoglio del Sulcis, muore non per mancata professionalità dell’equipe iglesiente, non perché improduttivi, ma perché gli illuminati partiti sardi hanno deciso da Soru-Dirindin, Cappellacci-De Francisci a Pigliaru-Arru, che il talento chirurgico-pediatrico del Sulcis dovesse morire. Il CTO di Iglesias è risorsa che merita una difesa territoriale, riteniamo dilettantistiche le difese di campanile e le immature, sterili e divisorie avanguardie solitarie, proponiamo alleanze ragionevoli dell’intero territorio finalizzate alla qualità sanitaria locale. Nei prossimi mesi l’ortopedia del CTO di Iglesias, dopo una storia di straordinaria professionalità da riferimento regionale morirà, gli ortopedici sopravvissuti perderanno per pensionamento il primario dott. Porqueddu, stimato professionista, ed il mitico Traumatologico del Sulcis, sarà cancellato, altro che Unità complessa, forse un ambulatorio part time, forse. Anche il servizio otorino, baluardo dell’intero Sulcis, presenta criticità e sofferenze, da riferire alla gestione e carenza del personale, la d.ssa Giua quando parla di rilancio pensa al poker di fine settimana ma francamente per il Sulcis il rilancio sanitario decollerà quando la sanità non avrà nulla a che fare con i partiti politici ed i talenti saranno premiati per quanto valgono nelle sale operatorie e negli ambulatori. Alla marziana d.ssa Maddalena Giua si affianca l’astronauta d.ssa Viviana Lantini, la sua dichiarazione impertinente «Ci siamo fatti un bel regalo di Natale…» meritava una pernacchia dei presenti senza sponsor ma, nel mondo degli equilibri politici ed anestesia ormonale, l’ipocrisia supera l’orgoglio. L’articolo si concludeva con la dichiarazione eccessivamente ottimistica del sindaco di Iglesias Mauro Usai sul futuro del CTO, è scontato, infatti, che dopo la cura dimagrante Calamida-Onnis-Giua, il CTO non sarà in tempi ragionevoli «…un presidio rispondente alle esigenze del territorio». 

Gli amministratori del Sulcis Iglesiente uniti e motivati alla difesa della sanità della loro Comunità non hanno altra chance, devono unirsi, superare i campanilismi ed i personali narcisismi oggi palpabili, difendere i bisogni dei loro cittadini e, se non si realizzano prima delle elezioni regionali, consegnare le schede elettorali. Noi non festeggiamo un bel niente, siamo seriamente preoccupati per il tracollo annunciato dal dilettantismo, mancata programmazione, del tirare a campare fino alle prossime elezioni e così via. A tanti forse è sfuggito un piccolo dettaglio, assenti i sindaci del territorio, assenti Pigliaru, Arru e Moirano che, normalmente, timbrano il cartellino anche per inaugurare fonendoscopi e cateteri vescicali. L’atmosfera di disinteresse e solitudine che aleggia attorno al CTO merita riflessione, umiltà ed inversione di marcia.

Cari Amici del Sulcis Iglesiente,

a seguire troverete alcune riflessioni sulla Chirurgia pediatrica da noi divulgate nel gennaio 2012, casistica fino al 2015, consegnatele ai consiglieri regionali che avete sostenuto e stimate, chiedete loro cosa hanno fatto, coinvolgeteli, come può il Sulcis risalire la china della decadenza morale, economica e politica se non riusciamo a trattenere, difendere e valorizzare i pochi talenti che abbiamo?

Iglesias, 24 dicembre 2018

Giorgio Madeddu

 

30 anni di Chirurgia Pediatrica

La vigilia di Natale del 1981 la sala operatoria dell’Ospedale Pediatrico F.lli Crobu, ospitava tra l’emozione generale, il primo intervento di Chirurgia Pediatrica. Nasceva nella nostra città la più significativa realtà chirurgica regionale sul piccolo paziente ma, considerando le stravaganze della politica sanitaria sarda, quale presente e quale futuro si prevede per questo nostro “Talento sanitario”?

24 dicembre 1981

L’avvincente storia della Chirurgia pediatrica del Crobu è stata protagonista di una nostra precedente divulgazione (novembre 2006) quando i lanciafiamme regionali nella bozza del Piano Sanitario Regionale avevano cancellato il Reparto dalle risorse sanitarie della Sardegna.

I nostri interventi spesso recidivanti, vuoi perché non molliamo la presa vuoi perché orgogliosamente liberi non possediamo affinità e prossimità con i linfonodi del potere (sanitario in questo caso) ai quali ricordiamo costantemente doveri e responsabilità. Caparbi perseveriamo, fiduciosi che il tempo sia assolutamente galantuomo.

Sintesi storica

1978: L’Ente Ospedaliero F.lli Crobu di Iglesias presenta alla Regione un progetto per adeguarsi alle nuove esigenze sanitarie. Il nosocomio nacque nel 1958 per contrastare l’emergenza tubercolosi tra i bambini della nostra regione; era infatti particolarmente diffusa tra i figli dei minatori del Sulcis drammaticamente colpiti in quegli anni da silicosi e tubercolosi.

1979: La Regione accoglie la proposta e sul Lago Corsi planano: Pediatria, Chirurgia pediatrica, Anestesia e Rianimazione, Neuropsichiatria Infantile, Otorinolaringoiatria, Centro trasfusionale.

1981: In piena estate dott. Francesco Cossu primario anestesista organizza l’ equipe che affiancherà per quasi un ventennio le discipline chirurgiche del F.lli Crobu.

1981: 24 dicembre, il prof. Candido Daniele Pinna effettua il primo intervento.

Le fondamenta della Chirurgia pediatrica ad Iglesias hanno origini lontane, precedono l’applicazione in Sardegna della Riforma sanitaria e dello strapotere dei politici in sanità, prima nelle USL e dopo la legge 502 del 1992 nelle Aziende sanitarie locali. Germoglia dall’esigenza, rivendicata da più parti, di una chirurgia dedicata al bambino spesso reclutato impropriamente tra gli adulti e non certo dal famelico appetito clientelare che ultimamente rileviamo.

La Divisione diretta dal dott. Barletta, sostenuta da anestesisti dedicati all’assistenza pediatrica, conquista la fiducia dei sardi, da Teulada a La Maddalena raggiungono Iglesias piccoli pazienti e famiglie al seguito. Cresce, anno dopo anno, il numero dei ricoveri e degli interventi anche dei più impegnativi grazie alla passione, competenza e generosità di chirurghi e anestesisti che nei momenti più delicati si organizzano e condividono i dubbi e le sfide che la professione quotidianamente presenta.

Unico reparto di Chirurgia pediatrica della Sardegna ha ricevuto consensi e gratitudine dalla Comunità quanto disinteresse dagli amministratori ASL e dai politici regionali.

Nei suoi gloriosi 30 anni la Chirurgia pediatrica ha trattato oltre 15.000 bambini, negli anni ’90 si registravano 800 interventi all’anno per poi ridursi e attestarsi attualmente a 400.

L’ultimo decennio il reparto, diretto brillantemente dal dott. Licciardi, ha sperimentato il disinteresse e il dilettantismo delle intercambiabili gestioni della ASL 7.

Il primo grande attacco alla Chirurgia pediatrica?

La gestione stravagante del Servizio di anestesiologia!

Il primario dott. Cossu dal suo arrivo a Canonica sollecitava l’Azienda sanitaria a dotarsi di una Rianimazione pediatrica; lo riteneva un supporto fondamentale per il futuro non solo della Chirurgia pediatrica e della Pediatria ma anche dell’Otorinolaringoiatria che nell’’84 comincia come servizio e nell’’89 si trasformerà in reparto diretto dal dott. Medda ma anche dell’Ortopedia del CTO che negli anni 80 assisteva una buona percentuale di bambini. La proposta non verrà mai accolta e dott .Cossu avvertendo conclusa la sua missione chiederà il trasferimento a Cagliari, lo seguiranno i suoi collaboratori più anziani.

Servizio di Anestesiologia:

1998: 1 primario + 7 anestesisti. Esperienza media per medico: 13 anni

2000: 5 anestesisti. Esperienza media per medico: 4 anni

Come già denunciato nel 2006 l’Anestesiologia del Crobu, perfezionatasi prevalentemente sul bambino fu abbandonata senza ricevere rinforzi programmati. Le carenze d’organico, costantemente colmate da neospecialisti e consulenti esterni, non garantivano più il sostegno e la sicurezza del passato. Espletato il concorso per sostituire Dott. Cossu, la vincitrice chiede aspettativa ma agli inizi del 2002 rinuncia. La ASL effettua una scelta incomprensibile, smentisce se stessa, non promuove uno tra gli anestesisti idonei al primariato presenti nella stessa graduatoria ma, centralizza le anestesie dei tre ospedali cittadini preferendo ricompensare, generosamente, consulenti esterni e non investire su un primario anestesista dedicato alla Chirurgia pediatrica e all’Otorino.

2006: la bozza del Piano sanitario regionale prevedeva due U.O. di Chirurgia pediatrica inabissando, in perfetto stile battaglia navale sanitario, la divisione iglesiente, unica realtà sarda operativa allora da 25 anni. L’incomprensibile proposta dell’assessore Nerina Dirindin venne modificata da un emendamento che non decapitava la nostra Chirurgia pediatrica, ma secondo le nostre previsioni decretava la lenta agonia della Chirurgia Pediatrica Sarda. Le realistiche previsioni che comunicavamo nascevano dalla sfiducia nel sistema sanità inaffidabile e schizofrenico, poco avvezzo al rispetto e valorizzazione dei talenti autoctoni ma compulsivamente orientato a sostenere e premiare i rassicuranti portaborse in càmice.

Proposta di Amici della Vita per la Chirurgia pediatrica

Istituzione al CTO del Dipartimento pediatrico del Sulcis Iglesiente: Chirurgia Pediatrica, Pediatria, Neonatologia, Neuropsichiatria Infantile, Ginecologia e punto nascite (basta con i doppioni!)

Team di anestesisti dedicati al bambino e 2 posti letto di Rianimazione pediatrica (la ASL 7 ha 2 rianimazioni per adulti nessuna accoglienza pediatrica)

1 Cardiologo pediatra (la ASL 7 annovera 20 Cardiologi per l’Adulto, O ZERO! per i bambini),

1 Radiologo-Ecografista Pediatrico.

Pronto soccorso pediatrico.

L’investimento a sostegno di una squadra di Chirurghi validi e appassionati, sarebbe stato certamente modesto, in grado di soddisfare pienamente le richieste della Sardegna interrompendo la mobilità passiva extraregionale, sarebbe stata razionalizzazione vera!

Non pensavamo minimamente di difendere una nostra proprietà, desideravamo salvaguardare una risorsa indispensabile ai bambini della nostra regione. Ipoteticamente nell’interesse generale il personale tutto della Chirurgia pediatrica del Crobu avrebbe potuto essere trasferito a Cagliari, Oristano, Nuoro e altrove adeguatamente potenziato riconoscendogli impegno, passione e capacità, avremo applaudito chiunque avesse sposato la linea della funzionalità ed efficienza ma abbiamo rilevato invece: clientelismo, campanilismo, gassosa maldestramente mimetizzata.

Piano sanitario regionale

2007: il 19 gennaio viene approvato il Piano sanitario regionale, prevede tre Chirurgie pediatriche: Iglesias e le due Aziende Ospedaliere-Universitarie di Cagliari e Sassari ma ancor oggi dopo cinque anni non esiste un riferimento regionale alternativo alla Chirurgia pediatrica di Iglesias. Il 2007 doveva essere l’anno del trasferimento al CTO quasi pronto ad accogliere tutti i reparti per acuti di Iglesias.

L’esodo in effetti ci fu ma la carovana raggiunta Piazza Sella incocciò il semaforo che perentorio intimò: contrordine compagni, tutti al Santa Barbara dove l’anestesiologia è di ottimo livello, esperta sull’adulto ma con scarsa esperienza pediatrica. I chirurghi trovano subito limitazioni e patologie un tempo affrontabili nello storico Crobu saranno inviate a reparti della penisola con gravi disagi ai pazientini ed alle famiglie; certamente secondarie ma non trascurabili le ingenti spese regionali per i viaggi che alcuni battezzarono della speranza ma riteniamo più opportuno definirli del dilettantismo e dell’ignavia.

Il Direttore generale della ASL (dott. Benedetto Barranu) affermò pubblicamente che alcuni anestesisti avrebbero perfezionato nelle eccellenze continentali le conoscenze neonatologico-pediatriche, si sbilanciò, fece addirittura il nome della prima candidata con valigia pronta. Qualche mese dopo gli ricordammo, affettuosamente e pubblicamente, che l’anestesista aveva ottenuto un trasferimento (peraltro definitivo!!!) ad altra realtà nazionale e suggerimmo per il futuro di investire i denari della nostra Comunità per specializzare e valorizzare professionisti stanziali e non transeunti.

I risultati della Chirurgia pediatrica sono stati straordinari se consideriamo le difficoltà e gli ostacoli incontrati nei 30 anni di attività. Carenza cronica d’0rganico, salti mortali per garantire l’attività di reparto, di sala e ambulatoriale. Eterne guardie interdivisionali, prima con l’Otorinolaringoiatria poi con la Chirurgia generale e recentemente con la Pediatria, fanno pensare ad una equipe sempre in emergenza, pletora di reperibilità, impossibile l’aggiornamento e il confronto con le realtà nazionali e internazionali, riposi e ferie quasi impossibili, rischio significativo di burn-out e malpractice.

Non scordiamo che stiamo tratteggiando la storia dell’unica accoglienza di chirurgia pediatrica in Sardegna, non di un sotto utilizzato doppione sanitario, non di un’Unità operativa a mobilità passiva per la ASL 7 come tante altre (1400 visite ambulatoriali nel 2011 il 60% delle quali a provenienza extra ASL); ebbene, malgrado quanto abbiamo evidenziato è stata abbandonata al suo destino!

Come precedentemente riportato la maggioranza di centro sinistra alla regione sarda sostenne la proposta dell’assessore della Sanità per cui: Chirurgia pediatrica a Iglesias, Sassari e Cagliari.

La Dirindiniana fatica, presentata come brillante esempio di razionalizzazione sanitaria (massima efficacia a costi contenuti, eliminare i doppioni e i servizi sotto utilizzati o parassitari), al capitolo Chirurgia pediatrica si è dimostrata superficiale, irrazionale, disinformata! Le sarebbe bastato visitare il sito www.chped.it della Società Italiana di Chirurgia Pediatrica (S.I.C.P.) per evitare tanto dilettantismo. Fosse stata più umile e curiosa avrebbe appreso quanto da anni emergeva:

Italia: 57 Centri di Chirurgia Pediatrica istituiti tutti prima del 1983 in virtù del baby boom nazionale.

Il T.O.L. (tasso occupazione letti) delle Chirurgia pediatrica negli anni novanta è mediamente in Italia del 64% parametro che il legislatore considera premessa alla riduzione dei posti letto, o addirittura alla chiusura del reparto.

La S.I.C.P. prendendo atto della denatalità nazionale e dell’inappropriatezza dei ricoveri (bambini normalmente ricoverati in chirurgie per adulti in contrasto alle direttive del Piano sanitario nazionale 1994!) inviò nel marzo 1999 al ministro della Sanità un rapporto dettagliato concludendo che: istituire nuovi Centri di Chirurgia pediatrica. avrebbe favorito la dispersione delle patologie più importanti, impoverimento professionale degli Operatori e ulteriore riduzione del T.O.L.

La S.I.C.P., condividendo le conclusioni della British Association of Paediatric Surgeons sul rapporto tra numero reale e ottimale delle Chirurgia pediatrica in Europa, ritiene per l’Italia necessari 22 Centri ben organizzati: 1/2,5 milioni di abitanti.

La scelta dell’assessore Nerina Dirindin, mal si adattava a quanto sostenevano le Società scientifiche internazionali di Chirurgia pediatrica; per queste la nostra Regione avrebbe necessità al massimo di una Chirurgia Pediatrica. La singolare decisione di eliminare Iglesias e incoraggiare Sassari e Cagliari da inventare ex novo, insospettì anche quanti come noi ricercano l’essenzialità e detestano il facile campanilismo che nelle rivendicazioni sanitarie fa emergere squallidi egoismi di quartiere e condominio. Il passaggio successivo: garantire la sopravvivenza di Iglesias dopo le pressioni di un territorio sensibile più alla parrocchia che alla qualità del servizio regionale, spianò la strada a 3 Chirurgie pediatriche quindi 1 Centro/550.000 abitanti! Questa decisione, considerata una vittoria epica del centro sinistra sulcitano protagonista dell’emendamento di Pirro, portò la Sardegna alla più grande densità di Chirurgie pediatriche per popolazione del mondo che se realizzata determinerà contestualmente il ridimensionamento professionale delle tre equipe e per finire il fallimento economico dell’operazione. Le tre realtà saranno sicuramente motivo di inaugurazioni e assunzioni blindate ma numerosi saranno i letti ben rimboccati, nessuna svilupperà eccellenze e talenti (a meno che non sia stato già deciso chi deve ricevere i sostegni tecnologici e multi specialistici e chi no), i viaggi per la penisola non si arresteranno! La malinconia di assistere alla disintegrazione della straordinaria esperienza dei chirurghi del Crobu ci suggerì allora come oggi di assumere posizioni decise contestando le scelte regionali. Rinnoviamo oggi il nostro dissenso dopo aver rilevato che al Microcitemico di Cagliari sembra imminente l’avvio della Chirurgia pediatrica e in Gallura la stampa ci informa del feeling tra il San Raffaele, la giunta regionale e l’intero arco costituzionale dei politici sardi per il possibile decollo di un polo pediatrico d’eccellenza. Non è ben chiaro se nascerà la 4ª Chirurgia pediatrica lievitando a 1/400.000 abitanti (barzelletta interplanetaria) o se stiamo per convenzionarci e trasferire qualche milione di euro alle banche della sanità privata.

Abbiamo delegato la Sanità ai dilettanti!

La Sardegna ha bisogno di una sola Chirurgia pediatrica di ottimo livello capace di:

1. affrontare le problematiche delicatissime che i nostri neonati e bambini presenteranno.

2. scordare i viaggi della disperazione costosi e umilianti.

3. pensare con orgoglio di poter essere utili anche a quelle migliaia di bambini che dal nord africa si affacciano sulla nostra terra pieni di speranza.

Il polo Chirurgico pediatrico regionale non può prescindere dalla esperienza del F.lli Crobu, potrebbe non essere Iglesias la sua postazione futura ma quella storia non può essere accantonata.

Le responsabilità dei politici del passato sono evidenti ma ancora più palese è la superficialità e l’invisibile propensione alla programmazione sanitaria degli attuali governanti. Ridicoli, incoraggiano per la costante ansia clientelare la moltiplicazione di servizi (dirigenti medici, infermieri e amministrativi) destinati al fallimento assistenziale ed economico. Riteniamo ancora attuale la proposta avanzata un lustro addietro, proiettata a difendere un patrimonio professionale, culturale, umano, di accoglienza e solidarietà al bambino malato e al suo mondo. Valori ai quali non possiamo rinunciare, che travalicano il semplice campanilismo che possono eventualmente essere trapiantati altrove ma non possono andare dispersi per l’inconsistenza di quanti non hanno niente di più significativo che inaugurare intonaci, letti, soprammobili, ecografi. Crediamo si debbano festeggiare le imprese umane, le guarigioni dei pazienti, gli anni di sobrietà degli alcolisti e tossicodipendenti, la sopravvivenza dei malati tumorali. Ci emozioniamo davanti all’eroismo dei tanti operatori sanitari liberi che si impegnano in silenzio per la Comunità, insensibili al fascino mortale delle sirene, faranno certamente poca carriera ma danno significato pieno ad una nobile professione che la politica vuole subalterna e asservita ai propri interessi. Siamo disponibili a festeggiare il 100° malato terminale accolto nell’Hospice di Iglesias, il 1.000° intervento di Chirurgia pediatrica al CTO, il 1.000° bambino nato al CTO, la riapertura della Cardiologia ad Iglesias.

Si celebrano le opere realizzate dall’Amore e dall’Impegno dell’Uomo.

La sanità pubblica ha bisogno di riscoprire il senso della sua missione, accettare le sfide che la sofferenza costantemente presenta, avvicinarsi con maggiore umiltà alla malattia non sempre dominabile, ma in primo luogo deve affrancarsi dalla politica, cancro infiltrante e parassitario.

Riteniamo sempre più attuale e indifferibile prima della devastazione del Servizio Sanitario Nazionale sottrarre il controllo gestionale delle ASL ai partiti riportando alla Comunità responsabilità e autodeterminazione. Proponiamo da tempo:

Elezione popolare dei Direttori generali delle ASL (abrogazione art. 3 D.L. 502/92)

Designazione tra professionisti qualificati candidati a gestire la sanità territoriale sottoponendosi alla valutazione degli assistiti. Elezione contemporanea al presidente della Provincia e dove questa non si identifica al territorio della ASL con il sindaco della città capofila.

La Comunità elegge il proprio Direttore generale che riconfermerà o destituirà per la qualità del lavoro svolto e non per il servilismo ai partiti. Si otterrebbero due risultati straordinari:

Sanità pubblica calibrata sull’Uomo

Riportare i partiti politici, che dalla Sanità pubblica attingono il 75% del potere e della loro arroganza, alla reale percezione dei bisogni e delle necessità sociali.

In Sardegna alcuni sindaci, amministratori, partiti e associazioni giudicano i 10 referendum popolari utili a ridimensionare il potere della casta, riteniamo questi aspiranti dermatologi degli illusi, se non sottraiamo la linfa vitale del clientelismo e dell’assistenzialismo, di semplice cosmesi si tratta.

Ringraziamo tutto il personale della Chirurgia pediatrica di Iglesias per l’impegno, la professionalità e l’amore dimostrato ai Bambini sardi nei 30 anni della sua storia.

Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo.

Assistiamo passivi ad una decadenza globale del nostro tessuto sociale, la sanità pubblica è solo uno degli aspetti. La rassegnazione che i gestori della sanità vorrebbero inocularci merita reazioni composte ma decise dell’intera comunità.

Chirurgia pediatrica 2015

Nel dicembre 2012 il reparto è stato trasferito al CTO e fa sorridere che potrebbe festeggiare l’Assunta nuovamente al Santa Barbara qualora le indiscrezioni sulla “chiusura per ferie” troveranno conferma. La Chirurgia pediatrica di Iglesias ha subito negli ultimi 10 anni il più terroristico attentato politico ad un reparto ospedaliero che in Sardegna si sia mai visto:

a) Soru Dirindin; 3 Chirurgie pediatriche

b) Cappellacci De Francisci: 3 Chirurgie pediatriche + 1 (San Raffaele)

c) Pigliaru Arru: 3 Chirurgie pediatriche + 1 (Mater Olbia)

Due transumanze di operatori ma soprattutto di bambini e famiglie disorientate in 5 anni ma non escludiamo la terza nelle prossime settimane. Chi ha rallentato e ridimensionato il volume di interventi e solidarietà al Bambino è stata la gestione clientelare dei partiti orientati a premiare i grandi elettori piuttosto che i grandi talenti.

Interventi Chirurgia pediatrica: 1988/1989 media 800

2010/2011 media 400

2013: 278

2014: 248

2015: 94 (1 gennaio/31 maggio)

I risultati della Chirurgia pediatrica di Iglesias sono ancor oggi straordinari, se interpretati nel contesto del boicottaggio della Regione ma che i politici nostrani hanno alimentato. La devastazione della sanità del Sulcis è stata merce di scambio per carriere politiche, vantaggi ed equilibri di partito che non possiamo accettare né avallare.

La Chirurgia pediatrica di Iglesias è certamente la migliore realtà sarda, solo i partiti politici (tutti!!!) non sono al corrente della qualità e sicurezza che questi operatori garantiscono. Al dott. Onnis, che spesso propone numeri per avallare i sega-reparti della Regione, proponiamo una riflessione:

A fine maggio 2015, si è tenuta a Costa Rei una convention di chirurgia, dove si valutava la percentuale per reparto di trattamenti video laparoscopici nell’appendicite acuta, per le Chirurgie pediatriche i risultati sono stati: Cagliari: 11,3%, Sassari: 0, Iglesias: 43,9%.

Il reparto in Sardegna con le tecniche più all’avanguardia è quello di Iglesias, ha ridotto il numero di interventi per motivi politici non certo per stanchezza o demotivazione, mettiamoli nelle condizioni di lavorare attrezziamoli per essere competitivi (fu necessaria una sollecitazione popolare e giornalistica per acquistare lo sterilizzatore del gastroscopio), chiudiamolo se non tiene il confronto. Oggi, considerando la modestia delle Chirurgie pediatriche cagliaritana e sassarese, non sostenerlo è autentica follia, ingiustizia e danno sociale. Chiudere il reparto per ferie o come si paventa ambulatorio al CTO e 4 posti letto al Santa Barbara riducono inevitabilmente l’attività operatoria. Francamente è inaccettabile la scelta di interdire l’accesso estivo ai reparti di Ortopedia e Chirurgia pediatrica per le difficoltà oggettive che l’intero Sulcis sperimenterà, in una ASL con mobilità passiva impressionante, in una comunità dove la parola d’ordine di tutte le campagne elettorali è “avanti con il turismo” ridimensioniamo l’accoglienza sanitaria nei mesi di maggior affluenza turistica? Le scelte e le argomentazioni della ASL non convincono, del resto i rappresentanti dei medici ed infermieri del CTO sabato mattina hanno ribadito che la programmazione delle ferie non compromette la regolare attività dei reparti.

E’ arrivato il momento di assumerci responsabilità nuove e significative, impegnarci in prima linea, partecipare attivamente alla rinascita del Sulcis.

Iglesias, 13 giugno 2015

Giorgio Madeddu

Associazione AMICI della VITA – amicidellavitasulcis@gmail.com

Gruppi di Auto Aiuto per Alcol-Tossicodipendenti, Malati Tumorali, Autismo

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Un gruppo di intellettuali ha proposto un appello alla mobilitazione per impedire la disgregazione dell’Unione europea. Noi condividiamo l’obiettivo di questo appello. Nel raccoglierlo abbiamo anche reso esplicite le motivazioni di chi, come noi, considera che i principi autonomistico e federalista debbano ispirare la costruzione dell’Unione europea e lo sviluppo della democrazia in Sardegna e in Europa.

La situazione dell’Italia si sta avvitando in una spirale distruttiva. L’alleanza di governo diffonde linguaggi e valori lontani dalla cultura europea e occidentale dell’Italia. Le politiche progettate sono lontane da qualsivoglia realismo e gravemente demagogiche. Nella mancanza di una seria opposizione, i linguaggi e le pratiche dei partiti di governo stanno configurando una sorta di pensiero unico, intriso di rancore e di risentimento. Il popolo è contrapposto alla casta, con un’apologia della rete e della democrazia diretta che si risolve, come è sempre accaduto, nel potere incontrollato dei pochi, dei capi. L’ossessione per il problema dei migranti, ingigantito oltre ogni limite, gestito con inaccettabile disumanità, acuisce in modi drammatici una crisi dell’Unione europea che potrebbe essere senza ritorno.

L’Europa è sull’orlo di una drammatica disgregazione, alla quale l’Italia sta dando un pesante contributo, contrario ai suoi stessi interessi. Visegrad nel cuore del Mediterraneo: ogni uomo è un’Isola, ed è ormai una drammatica prospettiva la fine della libera circolazione delle persone e la crisi del mercato comune.

È diventata perciò urgentissima e indispensabile un’iniziativa che contribuisca a una discussione su questi nodi strategici. In Italia esiste ancora un ampio spettro di opinione pubblica, di interessi sociali, di aree culturali, disponibile a discutere questi problemi e a prendere iniziative ormai necessarie. Perché ciò accada è indispensabile individuare, tempestivamente, nuovi strumenti in grado di ridare la parola ai cittadini che la crisi dei partiti e la virulenza del nuovo discorso pubblico ha confinato nella zona grigia del disincanto e della sfiducia, ammutolendoli.

Per avviare questo lavoro – né semplice né breve – è indispensabile chiudere con il passato e aprire nuove strade all’altezza della situazione, con una netta ed evidente discontinuità, rovesciando l’idea della società liquida, ponendo al centro la necessità di una nuova strategia per l’Europa, denunciando il pericolo mortale per tutti i paesi di una deriva sovranista, che in parte è anche il risultato delle politiche europee fin qui condotte.

C’è una prossima scadenza, estremamente importante, che spinge a mettersi subito in cammino: sono ormai alle porte le elezioni europee. C’è il rischio che si formi il più vasto schieramento di destra dalla fine della seconda guerra mondiale. La responsabilità di chi ha un’altra idea di Europa è assai grande. Non c’è un momento da perdere. Tutti coloro che intendono contribuire all’apertura di una discussione pubblica su questi temi, attraverso iniziative e confronti in tutte le sedi possibili, sono invitati ad aderire.

A questo appello, proposto da Massimo Cacciari, Enrico Berti, Michele Ciliberto, Biagio de Giovanni, Vittorio Gregotti, Paolo Macrì, Giacomo Manzoni, Giacomo Marramao, Mimmo Paladino, Maurizio Pollini, Salvatore Sciarrino, apportiamo le nostre ragioni di autonomisti e federalisti.

L’Unione Europea è una costruzione ancora imperfetta, che attraversa un momento di seria difficoltà, ma non dobbiamo dimenticare il ruolo fondamentale che essa ha svolto nel promuovere la preservazione della pace e l’affermazione dei diritti di cittadinanza, lo sviluppo economico e la stabilità monetaria. La crisi attuale può essere superata soltanto con il suo rafforzamento politico, nella prospettiva di una costituzione federale, capace non solo di contemperare gli interessi dei diversi stati e nazioni, ma di porre al centro dell’azione di governo i diritti civili e sociali di tutte le popolazioni, portando inoltre a Bruxelles e Strasburgo la voce delle autonomie regionali e locali.

Delle conquiste e valori dell’Unione Europea sono buoni testimoni, anche in Sardegna, i nostri giovani, quando sono coinvolti nei programmi europei di mobilità studentesca, quando prestano servizio in Università e centri di ricerca, enti ed imprese dei Paesi dell’Unione, o quando sono comunque costretti a emigrare e si trovano a progettare il loro futuro in un orizzonte di promesse e aspettative che per loro è ormai soltanto europeo, senza che per questo debbano rinunciare a coltivare la propria identità di sardi e di italiani.

La Sardegna ha peraltro largamente beneficiato e continua a beneficiare, in molteplici forme, di finanziamenti europei erogati alle regioni più svantaggiate sulla base del meccanismo redistributivo delle risorse comunitarie previsto da quel medesimo trattato d Maastricht che ha introdotto l’euro come moneta unica dell’Unione. La battaglia da fare in Sardegna non è contro l’Unione, ma per una maggiore integrazione europea, con il riconoscimento della condizione di insularità, una più equa rappresentanza nel Parlamento europeo, e una partecipazione più diretta – nel quadro di una evoluzione in senso federale – alle varie istanze del governo comunitario.

Le prossime elezioni europee sono imminenti e decisive per il futuro dell’Unione, che può essere messo a rischio dalla saldatura che sembra profilarsi tra tutte le componenti di una destra sciovinista, xenofoba e retrograda. Noi siamo per un’Europa riformata, ispirata dai principi dell’autonomismo e del federalismo, della solidarietà e dell’equità sociale.

Paola Atzeni, Salvatore Cherchi, Giovanna Medau, Gian Giacomo Ortu, Gianmario Demuro, Cristina Deidda, Ivana Russu, Antonangelo Casula, Antonello Pirotto, Mario Pinna, Benedetto Barranu, Vasco Decet, Carlo Prevosto, Carlo Marras, Paolo Russu, Roberto Murgia, Paolo Toxiri, Francesco Carboni, Daniela Piras

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«Nonostante  le gravi difficoltà e i limiti dell’Unione Europea, emersi soprattutto negli anni più recenti,  il rafforzamento politico, in una prospettiva federale, dell’Unione europea non ha alternative, se non negative. Sono infatti regressivi i rigurgiti nazionalisti e esclusivisti emergenti in numerosi Paesi europei, Italia compresa: bisogna contrastarli innanzitutto sul piano culturale.»

E’ questo il messaggio centrale emerso in (circa duecento partecipanti) a Cagliari, coordinata da Lucetta Milani e Tore Cherchi, introdotta da tre intellettuali, Gian Giacomo Ortu, Christian Rossi e Andrea Deffenu e che ha visto un dibattito serrato con 13 interventi dalla platea e significative testimonianze con la presenza come quella di Francesco Pigliaru, presidente della Regione, a dimostrazione che il tema è sentito.

Europeisti e federalisti perché? «Senza l’Europa unita – ha detto Gian Giacomo Ortu – non avremmo avuto il lungo periodo di pace vissuto dal 1945 ad oggi e mai conosciuto prima; non avremmo avuto i grandi  progressi ottenuti nell’affermazione e nella tutela dei diritti fondamentali e la formazione di una identità transnazionale permeata di valori umanistici e solidali». A Christian Rossi, storico delle Relazioni Internazionali, è toccato il compito di analizzare la crisi politica in atto, originata da spinte egoiste di taluni Stati e ad Andrea Deffenu argomentare perché l’unione politica e federale sia la strada per superare la crisi e dare una risposta europea, la sola realmente efficace, ai problemi del presente.

“Europa dove vai?” si è chiesto don Ettore Cannavera, indignato per la situazione drammatica dei migranti alla deriva nel Mediterraneo. Un tema, quello delle migrazioni, che è ritornato negli interventi di Giulio Calvisi e della deputata Romina Mura. La politica di cooperazione nord-sud in alternativa ai nuovi muri è la strada indicata da Cristina Zuddas che di cooperazione transfrontaliera si occupa professionalmente e dall’avvocato Patrizio Rovelli. Giulio Lai, Erasmus alle spalle, testimonia lo spirito europeo dei giovani di oggi. Mauro Sarzi illustra un suo lavoro artistico ispirato ad Ernesto Rossi, coautore con Altiero Spinelli del Manifesto di Ventotene. Del linguaggio internazionale dell’arte parla Angelo Liberati. Mauro Pistis ha rivendicato una riforma elettorale che garantisca la  rappresentanza sarda nel Parlamento europeo. Remo Sizza, Benedetto Barranu, Luca Pizzuto ed il segretario della CGIL, Michele Carrus hanno rilanciato la necessità di un profondo cambio della politica economica e di welfare per fare fronte alla disoccupazione ed alle diseguaglianze crescenti: rivendicano un’Europa con un’anima sociale, attenta alle persone e non alle agenzie di rating.

Il populismo è alimentato anche dal disagio sociale. L’Unione europea deve porre al primo punto le questioni del lavoro e dell’equità sociale. Non casualmente, il programma federalista del Manifesto di Ventotene che ha ispirato la discussione, ha una forte caratterizzazione anche sociale perché si propone, oltre che la «definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani», anche «l’emancipazione  delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita». Le prossime elezioni europee saranno un referendum sul futuro dell’Europa: o si va avanti o si regredisce pericolosamente. Non stare alla finestra, è l’invito conclusivo dell’assemblea.

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Eliseo Secci, esponente del Pd, è il nuovo presidente dell’associazione degli ex consiglieri regionali. Eletto dall’assemblea che si è svolta presso il Consiglio regionale, Eliseo Secci sarà affiancato da Paolo Fois e Benedetto Barranu (vice presidenti) e da Salvatore Zucca (segretario), Maria Francesca Cherchi (tesoriere), Franco Mannoni (settore culturale) e Franco Mulas (settore economico).

Nella stessa seduta è stata completata la composizione degli altri organismi associativi: Consiglio direttivo, Collegio dei revisori, Collegio dei probiviri.

Eliseo Secci è nato a San Nicolò Gerrei nel 1948. Risiede a Decimomannu.

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Organizzata dall’Associazione degli ex consiglieri regionali della Sardegna in collaborazione con la Fondazione Sardegna, si terrà domani a Cagliari nella sala convegni “T3” del T-Hotel, con inizio alle 16.30, una tavola rotonda sul tema: “Verso il referendum costituzionale – Opinioni a confronto”.

Ai lavori, presieduti da Maria Rosa Cardia, presidente dell’Associazione ex consiglieri regionali, interverranno Omar Chessa dell’Università di Sassari, Gianmario Demuro dell’Università di Cagliari, l’on. Romina Mura del Pd, la vice capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale Alessandra Zedda, Benedetto Barranu e Paolo Fois, in rappresentanza dell’Associazione ex consiglieri regionali.

THotel 42 copia

Maurizio Calamida.

Maurizio Calamida, Direttore Generale della Asl 7 di Carbonia.

 

Come è praticamente noto alla stragrande maggioranza dei dipendenti del Comparto della ASL n° 7, è oramai da anni in piedi la vicenda delle fasce retributive attribuite negli anni 2004 e 2008; come è altrettanto noto, dal mese di settembre 2010, l’attuale Direzione provvide a sospendere il pagamento di una fascia retributiva perché vennero sollevati pesanti dubbi sulla legittimità della determinazione dei fondi contrattuali da parte dell’allora Direttore Generale Dott. Pietro P. Chessa. Anzi, per meglio dire, l’allora Direttore Generale con atto formale (delibera n° 920 del 20/08/2009) dichiarò espressamente nulle le deliberazioni con le quali i precedenti Direttori Generali, nel 2005, Dr. Emilio Simeone (delibera n° 1280 del 05/07/2005) e nel 2008, Dr. Benedetto Barranu (delibera n° 1714 del 31/12/2008), avevano modificato ed incrementato i fondi per il finanziamento delle fasce retributive. Il motivo della dichiarazione di nullità era dettato dal “contrasto con i vincoli e limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali e che le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”. Di fatto, quindi, venivano dichiarati nulli anche gli accordi decentrati stipulati tra Azienda ed Organizzazioni Sindacali. Successivamente anche il Collegio dei Sindaci (ovvero i Revisori) della ASL in più occasioni mise in discussione le operazioni sulla rideterminazione dei fondi, ed in epoca ancora successiva gli stessi Revisori – con un esposto del 23/02/2011 – informavano la Procura Regionale della Corte dei Conti circa le gravi irregolarità amministrative e contabili della vicenda. Il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza ha effettuato approfonditi accertamenti al termine dei quali la Procura della Corte dei Conti, nei suoi atti conclusivi, ha affermato la invalidità dei ripetuti contratti collettivi aziendali. 

Poiché la conseguenza è la invalidità dell’attribuzione delle due fasce retributive avvenute con decorrenza 1 aprile 2004 e 1 febbraio 2008, la scrivente Azienda, pur non avendo avuto mai nessun ruolo attivo nei fatti, né aver certamente causato danni, si trova oggi nella spiacevolissima posizione di dover obbligatoriamente porre rimedio alle denunciate irregolarità. Ciò impone di:

1) rivedere l’assegnazione delle fasce retributive fino ad oggi attribuite;

2) procedere al recupero delle somme erogate a titolo di fasce retributive per il passato.

La Direzione Generale è molto consapevole delle conseguenze particolarmente spiacevoli che ci saranno per i dipendenti, ma, con tutta evidenza, di fronte a precise conclusioni dell’Autorità Giurisdizionale Contabile, non ci sono alternative. I Revisori e la Corte dei Conti hanno dichiarato l’obbligo del recupero delle somme. Non si può purtroppo fare altrimenti. Ma l’Amministrazione, questa Amministrazione, è anche consapevole che i Dipendenti non hanno alcuna responsabilità su quanto accaduto; i Dipendenti hanno percepito in buona fede quanto loro attribuito in base agli accordi Azienda-Sindacati rivelatisi poi illegittimi. Ed è proprio per questo che l’Amministrazione sta facendo e farà di tutto per rendere il meno amaro possibile il percorso di normalizzazione del sistema. Questo è un impegno solenne che l’Azienda assume nei confronti di tutti i Lavoratori. In questa ottica è doveroso quindi informare che, se da una parte si procederà nel mese di novembre p.v. a sospendere il pagamento della fascia del 2004 (con un valore medio di €. 50,00 lordi e circa €. 35,00 netti), da un’altra parte si potrà prevedere una forma di compensazione tra quanto oggetto di restituzione per il passato ed i crediti retributivi a vario titolo che verranno a maturare nel prossimo futuro. Su quest’ultimo aspetto si potrà avviare un confronto per un piano di rientro il più possibile condiviso. Tutto quanto sin qui esposto è stato anche riferito ai Rappresentanti Sindacali che proprio oggi sono stati informati della grave situazione in un apposito incontro; dopo ampia discussione i Rappresentanti Sindacali hanno manifestato il loro dissenso sulle posizioni e proposte dell’Amministrazione.

Ma purtroppo, come detto in precedenza, non ci sono alternative e la Direzione spera fermamente in qualche forma di collaborazione. Si informano inoltre i Lavoratori che in questi giorni la Direzione invierà a ciascun Dipendente una lettera con la quale verrà formalmente – come prevede la legge – comunicato il procedimento attivato. Si comunica, infine, che ogni nuova notizia o comunicazione al riguardo verrà tempestivamente diffusa dall’Azienda, la sola ad averne titolo nel merito della questione. Con il presente comunicato la ASL spera di avere in qualche maniera chiarito i gravi problemi riguardanti la vicenda delle fasce retributive e conferma la piena disponibilità ad eventuali ulteriori informazioni o chiarimenti.

Il Direttore Generale

Dott. Maurizio Calamida