21 December, 2025

I vigili del fuoco di Arzachena, con il supporto della botte da Olbia, sono intervenuti in località Lu Banconi, nei pressi di Porto Pozzo, per l’incendio di due auto e una moto custodite sotto un parcheggio in legno. Le fiamme alimentante da un forte vento hanno letteralmente distrutto le auto e gravemente danneggiato la struttura. Sulle cause sono in corso gli accertamenti. Sul posto sono arrivati anche i carabinieri della compagnia di Tempio Pausania.

Antonio Caria

Il disastro sanitario ed economico del Sulcis Iglesiente non è nato dal nulla. Ha radici nei fatti politici del 1992. E’ utile fare un viaggio nella storia di quegli eventi sia per capire e, forse, per porre qualche riparo.
Lo stato di salute della sanità pubblica è oggi talmente grave e la sua gravità è talmente complessa che, a questo punto, è difficile anche il solo sospettare che veramente esista fisicamente qualcuno che abbia programmato tanto degrado. Dovrebbe essere un genio fornito di una maligna intelligenza superiore.
Ammesso che esista un soggetto del genere, a che scopo lo avrebbe fatto? C’è chi sostiene che il danno al servizio sanitario nazionale sia stato progettato da un’ignota organizzazione al fine di favorire la sanità privata. Sarebbe un’organizzazione di matti veramente sciocchi perché sostituirsi del tutto alla Sanità pubblica non conviene a nessuno. Per esempio: a chi converrebbe accollarsi i malanni di tutti i vecchi d’Italia, soli, inguaribili e con in tasca i pochi soldi per la sopravvivenza? A chi converrebbe l’onere di assistere tutti i malati di cancro, debilitati nel fisico, nella famiglia e, soprattutto, nel conto in banca? Chi glielo farebbe fare ad assumersi l’impegno di prendersi in cura i pazienti in Rianimazione in uno stato di coma più o meno profondo? Perché dovrebbero pagare le ingenti spese dei trapianti d’organo a pazienti senza speranza e non solvibili? E gli infarti del miocardio? E tutti i casi di diabete ai limiti della invalidità? E i tossicodipendenti? E le malattie rare? I morti sul lavoro? E gli psichiatrici? E gli incidenti stradali? Chi glielo farebbe fare ad assumersi il compito costosissimo di affrontare le epidemie tipo Covid-19 o le campagne vaccinali, o le spese dell’Inail e dei Pronto soccorso?
Gli imprenditori privati non sono matti. A sé riservano le cliniche dove si curano le malattie, tutto sommato, più semplici, facili, guaribili e, soprattutto, di pazienti solventi. Ciò che compete alla Sanità pubblica è diversissimo da ciò di cui si occupa la sanità privata.
E’ assolutamente vero che negli Stati Uniti d’America esistono le assicurazioni private costosissime che si limitano a poche malattie e per tempi di cura molto limitati; in genere non pagano le spese del pronto soccorso o fanno dimettere i malati dopo tre giorni da un intervento a cuore aperto, per risparmiare sulla degenza in ospedale. Bisogna sapere che in America esiste anche una Sanità pubblica, che si chiama “Medicare”, a beneficio di chi non può pagarsi l’assicurazione privata e che, oltre ad essere molto carente, costa allo Stato il doppio di quanto costa il Sistema sanitario italiano. A questo punto, oltre al sospetto che dietro ci sia l’interesse di qualcuno, potremmo anche considerare il sospetto che dietro il nostro disastro sanitario ci sia in realtà qualche grosso errore commesso da politici poco accorti. Può anche essere accaduto che la grande Riforma sanitaria varata col DPR 833 del 1978 si sia inceppata a causa di leggi successive fatte male; può anche darsi che quelle nuove leggi non siano state lette con attenzione e che i votanti abbiano votato senza vedere gli errori che hanno prodotto queste conseguenze.
Anche questo sospetto, paradossalmente, è sommamente ingiusto, perché è anche vero che i politici italiani furono i primi al mondo a riconoscere nella Costituzione del 1948, all’articolo 32, il diritto di tutti alla salute. Quell’articolo, nella sua semplicità e completezza, fu uno degli elaborati intellettuali più geniali che un Costituente potesse generare: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Fu una frase rivoluzionaria contenente due principi: l’inviolabilità assoluta del diritto alla salute e la certificazione che tale bene è di rilevanza collettiva. Così fu sancita la solidarietà nazionale. Altro che privatizzazione! Altro che svantaggio a danno dei molti che non possono permettersela! Tutte le leggi che vanno contro questo principio sono incostituzionali e, se qualcuno avesse votato nuove norme contrarie a questo principio per disattenzione, sarebbe gravemente colpevole.
Esaminiamo cosa è avvenuto nella storia delle Riforme sanitarie italiane. Nell’anno 1968 la legge Mariotti istituì gli “Enti ospedalieri” che sostituirono gli ospedali caritativi provenienti dalla tradizione ospedaliera medioevale. La stessa legge istituì il “Fondo ospedaliero nazionale” e attribuì la competenza di gestione degli ospedali alle Regioni. Quel Fondo e quella legge ospedaliera furono la base su cui si costruì la Grande Riforma sanitaria con la legge 833 del 1978, concepita dalla Commissione parlamentare di Tina Anselmi. Ella raccontò in quei giorni che quell’idea era nata da discussioni e progetti formulati da gruppi partigiani riuniti intorno ai fuochi dei bivacchi di montagna. La legge 833/78 rappresentò un’utopia che si concretizzava in un documento scritto. Il sogno prese forma nella premessa della legge nel cui testo sta scritta la frase: «…Il Sistema sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture (ospedali), dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento, e al recupero della salute fisica e della salute psichica di tutta la popolazione». In nessuna legge del mondo era mai stata scritta questa premessa.
Mentre gli ospedali, dal medioevo al ‘900, erano stati sempre amministrati da comitati caritativi religiosi o filantropici, nella nuova legge si volle che gli ospedali fossero amministrati da rappresentanti popolari democraticamente eletti. Fu una rivoluzione. I cittadini, dopo 1.500 anni dall’istituzione degli ospedali dai tempi di San Benedetto e San Basilio, divennero per la prima volta i proprietari e gestori diretti degli ospedali. La comunicazione fra cittadino e gestore divenne immediata perché il Sistema venne dato in mano ai sindaci e ai consiglieri comunali. Essi avevano il compito di eleggere l’”Assemblea generale” che era formata da consiglieri comunali e l’Assemblea eleggeva il presidente della Usl (Unità sanitaria locale). Furono gli anni più produttivi della storia sanitaria italiana.
Scomparvero le Casse mutue e comparve il Ssn (Sistema sanitario nazionale), finanziato dal sistema fiscale universale. Ne conseguì anche che ai grandi miglioramenti si associò il crescere della spesa pubblica dello Stato. Per contenerla il ministro Carlo Donat Cattin nel 1987 abolì l’Assemblea generale ma mantenne il presidente della Asl e il Comitato di gestione, eletto dai sindaci dei Comuni del territorio.
Secondo gli indicatori economici internazionali, l’Italia godeva di un generale benessere economico tanto che nell’anno 1991 venne dichiarata quarta potenza industriale del mondo e il PIL pro capite risultava superiore a quello dell’Inghilterra.
Appena un anno dopo, la Repubblica entrò nel suo “annus horribilis”: il 1992. La commissione governativa presieduta dall’economista Piero Barucci rivelò che l’economia era al collasso a causa di un imponente debito pubblico causato dalle Partecipazioni statali. Eni, Enel, Iri, Ina, Efim, stavano portando al tracollo lo Stato. L’indebitamento aveva messo in crisi il Governo espresso dal CAF (Craxi-Andreotti-Forlani). Caduto il Governo Andreotti II e dimessosi Francesco Cossiga, si andò a nuove elezioni sotto l’effetto dell’esplodere dello scandalo di Tangentopoli. A febbraio era iniziata l’indagine della procura di Milano diretta da Francesco Saverio Borrelli e condotta da Antonio di Pietro, in seguito alle rivelazioni di Mario Chiesa, il direttore del Pio Albergo Trivulzio. Oscar Luigi Scalfaro, sostenuto dalla corrente dei “moralizzatori”, venne eletto presidente della Repubblica e immediatamente indisse le nuove elezioni; queste avvennero ad aprile contemporaneamente all’esplosione della sfiducia popolare nei partiti storici, in un clima di forte instabilità politica. I partiti tradizionali crollarono ed emerse la Lega Nord che passò da 2 a 80 parlamentari. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro si rifiutò di concedere incarichi di Governo a Bettino Craxi e nominò presidente del Consiglio il deputato Giuliano Amato. La Prima Repubblica era finita con un’ondata di arresti e di avvisi di garanzia. A maggio, ad opera della mafia, avvenne la strage di Capaci, seguita due mesi dopo da quella di via d’Amelio. Lo Stato era preso fra molti fuochi. Giuliano Amato si trovò ad affrontare una condizione di dissesto economico più grave dal dopoguerra ad allora. Si correva il rischio di non poter pagare gli stipendi pubblici. La Nazione si sarebbe fermata.
La Banca d’Italia fu costretta a vendere 48 miliardi di dollari per difendere il cambio e la lira fu svalutata del 30%. La lira uscì dallo Sme (Sistema monetario europeo); era il 16 settembre 1992, il “mercoledì nero”. Giuliano Amato per sostenere le casse dello Stato procedette al “prelievo forzoso” retroattivo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani e, in base alle indicazioni del ministro del Tesoro Piero Barucci, dette avvio ad una grande operazione di privatizzazione delle Partecipazioni statali (banche, energia elettrica, trasporti pubblici, Alitalia, industrie manifatturiere, industrie dell’acciaio, comunicazioni, poste, idrocarburi, assicurazioni, agroalimentare, etc.). Lo Stato si spogliava di tutte le sue pregiate proprietà, nell’intento di allontanare la politica dalla gestione delle imprese statali. Su tutta la gestione pubblica, sotto l’effetto delle indagini di Tangentopoli, cadde il sospetto di possibile collusione con la corruzione e vennero varate leggi e norme fortemente restrittive nell’intento di arginare l‘idea che il malaffare fosse in agguato ovunque ci fosse la gestione del politico. In questo crollo finirono anche le miniere del Sulcis Iglesiente e le industrie di Portovesme espressione dell’Eni. Gli operai di Portovesme, per fermare i licenziamenti in massa di oltre 20mila operai promossero la famosa “Marcia per lo sviluppo”. Gli operai iniziarono a marciare il 19 ottobre e, al suono di tamburi di latta, saltarono il mare. Raggiunta Civitavecchia, percorsero a piedi le vie del Lazio fino a Roma, dove vennero accolti da Papa Woytila ma non da Giuliano Amato.
A fine anno, il vortice autodistruttivo coinvolse anche il Sistema sanitario nazionale quando il ministro della Sanità Francesco di Lorenzo il 31 dicembre varò il decreto che iniziò la “privatizzazione” del Sistema sanitario pubblico col DPR 502/1992. Le Unità sanitarie locali (Usl), rette dai sindaci, vennero trasformate in entità rette dai “Direttori generali con autonomia gestionale di diritto privato” nominati dalla Regione all’interno di un elenco di idonei. La “mission” del Sistema sanitario cambiò in modo radicale per due motivi. Primo, i sindaci, che rappresentavano la parte politica, vennero espulsi dalla gestione del sistema sanitario locale; secondo, l’obiettivo dei nuovi amministratori non fu più quello di soddisfare le richieste della popolazione locale ma venne sostituito dall’“equilibrio di bilancio”.
Questo dava ai direttori generali l’opportunità di poter modificare la risposta alle richieste provenienti dal territorio, ignorandone la soddisfazione globale e mettendo al centro il calcolo ragionieristico della salute che doveva ora attenersi a un nuovo criterio: i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Oggi, a distanza di 32 anni, sappiamo che tutte le premesse alla legge, che promettevano Uguaglianza, Equità e Prossimità dell’assistenza sanitaria in tutto il territorio nazionale non sono state rispettate. Ciò avvenne a causa della mancanza del “controllore”, cioè la parte politica elettiva rappresentata dai sindaci. Al ministro Francesco di Lorenzo, seguirono le ministre Maria Pia Garavaglia e Rosy Bindi che perfezionarono l’“aziendalizzazione delle Asl”.
Nell’anno 2003 il Governo Berlusconi dettò regole per ridurre la spesa sanitaria dello 0,5% l’anno; ciò comportò il blocco del turn-over del personale andato in pensione e portò all’assottigliamento e disgregazione dei reparti ospedalieri. Col Governo Monti, il ministro Balduzzi emanò norme restrittive per i reparti ospedalieri che, ridotti in povertà di personale dalle norme precedenti, non potevano più funzionare. Ne conseguì la chiusura di ospedali.
Nel 2015 il DM 70 del Governo Renzi pose regole stringenti, basate anch’esse sul risparmio; ne conseguì un peggioramento ulteriore degli ospedali provinciali che portò alla desertificazione del sistema sanitario territoriale a vantaggio della centralizzazione della Sanità. In Sardegna la Sanità pubblica venne centralizzata a Cagliari e Sassari.
Nel 2017 la regione Sardegna, presidente Francesco Pigliaru e assessore della Sanità Luigi Arru, istituì la Ats (Azienda tutela salute). Con tale legge le 8 Asl sarde vennero ridotte a 1 soltanto, che assunse tutte le funzioni delle altre 7. Sopravvissero:
– l’Ats (a Cagliari e Sassari)
– il Brotzu di Cagliari
– il Policlinico Universitario di Cagliari
– il Policlinico Universitario di Sassari
Alle altre 7 Asl venne tolto il nome di “Azienda” e divennero “Aree sanitarie locali”. Erano diventate periferie sanitarie e persero l’autonomia programmatoria e amministrativa precedente. Ne conseguì l’esplosione delle “liste d’attesa” e l’insoddisfazione popolare. Alle elezioni del 2019 la popolazione sarda mandò a casa la Giunta Pigliaru e promosse una nuova maggioranza guidata dalla “Lega” di Matteo Salvini che, capeggiata da Christian Solinas, prometteva di restituire le vecchie ASL alle 8 province sarde. In effetti, la Giunta Solinas produsse rapidamente una sua riforma sanitaria regionale e l’assessore Mario Nieddu varò la legge regionale 24/2020 con cui istituì la Ares (Azienda regionale salute). In realtà però le vecchie Asl non vennero integralmente ricostituite; al posto delle “Aree territoriali sanitarie” vennero identificate le Asl 1-2-3-4-5-6-7-8 che, a parte il nome, non hanno nulla delle precedenti Asl; infatti, non hanno il diritto né di assumere personale, né di far acquisti e programmare. In sostanza non esistono; l’unica vera Azienda capace di programmare e gestire, centralizzando tutti i poteri gestionali, è la Ares di Cagliari e Sassari. Oggi lo stato di degrado direzionale e amministrativo nelle Province è ulteriormente peggiorato e l’insoddisfazione e infelicità dei cittadini sono esplose nelle elezioni regionali del 25 febbraio 2024 con la bocciatura del Governo regionale sardo.
Recentemente un politico esperto ha suggerito di cercare nella legge 833/78 gli strumenti per uscire dalla crisi sanitaria. Quale può essere lo strumento?
Lo strumento che si deve utilizzare nella pubblica amministrazione è sempre lo stesso: il rispetto delle regole democratiche. Queste regole prescrivono che la volontà popolare sia affidata ai propri rappresentanti eletti e, nel territorio, i rappresentati ufficiali dello Stato sono i sindaci. E’ certo che i sindaci non possono entrare nel merito di tutto, ma possono essere i “custodi” degli interessi della gente. Fra questi, oggi, l’interesse più sentito è la Sanità. Dare un nuovo ruolo ai sindaci nelle Asl è fortemente indicato.

Mario Marroccu

“La salute della donna: garantire qualità, equità e appropriatezza dei servizi sanitari e sociali”, è il tema al centro dell’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio, venerdì 8 marzo, a Casa Fenu, a Villamassargia, frutto della collaborazione tra la Asl Sulcis Iglesiente e il comune di Villamassargia, con l’obiettivo di fare il punto sui bisogni assistenziali della donna, partendo dalle sue specificità non solo biologiche, ma anche relative alla dimensione sociale e culturale. Un’opportunità di riflessione e di informazione a tutto tondo sulla medicina di genere a cui si è giunti anche grazie al contributo di quella che fu tre anni fa una vera e propria class action da parte delle Amministratrici di tutta la Sardegna, a partire dalla sindaca di Villamassargia Debora Porrà, con la richiesta alla Regione di introdurre il parto indolore anche nel Sulcis Iglesiente.
«In questa giornata così importante cogliamo l’occasione per delineare programmi ed azioni, illustrare l’offerta dei servizi creati attraverso percorsi clinico-assistenziali orientati alla medicina di genereha spiegato nell’introduzione la direttrice della ASL Sulcis Iglesiente Giuliana Campus -. Oggi il concetto di salute è più ampio, necessita di strumenti integrati, della centralità del paziente come persona con esigenze psico-emotivo e relazionali, oltre che fisiche e funzionali. La partoanalgesia è parte di questo processo così come l’umanizzazione dei luoghi di cura che deve garantire il benessere di pazienti, famiglie e curanti: il nostro obiettivo è far ‘partorire col sorriso’.»
Un focus particolare è stato dedicato, infatti, al parto in analgesia recentemente introdotto al CTO di Iglesias, dove un team multidisciplinare di professionisti accompagna le donne lungo il percorso di conoscenza e scoperta della maternità: dai primi controlli alla preparazione al parto, fino alla nascita e al primo anno di vita del bambino.
«Il parto indolore nel punto nascite del CTO è il regalo più gradito per questo 8 marzoha esordito la sindaca Debora Porrà che ha ricordato l’appello del 2021 nato a Villamassargia e diventato immediatamente collettivo con il coinvolgimento di 34 sindache sarde in testa ad 80 amministratori di tutta l’isola, per ribadire il diritto delle donne di poter scegliere -. La partoanalgesia è la punta dell’iceberg della medicina di genere e l’assenza dei LEA, i livelli essenziali di assistenza, è la principale causa di mobilità passiva e di riduzione del numero di prestazioni nei presidi sanitari periferici che rischiano così la chiusura: le donne che vivono nel Sulcis Iglesiente o in altri territori marginali devono avere le stesse possibilità di tutela della salute di quelle che vivono in un grosso centro.»
Debora Porrà ha ringraziato la Asl Sulcis per la collaborazione e per aver aperto un canale per migliorare i servizi sanitari che riguardano tutta la medicina di genere e l’integrazione ospedale-territorio.
Parte fondamentale di un percorso integrato, la partoanalgesia prevede, infatti, la collaborazione tra strutture ospedaliere (Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia, di Pediatria, di Anestesia) e territoriali (Consultori familiari) e ha la finalità di valorizzare la qualità dell’esperienza della gravidanza, del parto e di una nascita serena, in un ambiente idoneo a salvaguardare il benessere della madre e del nascituro, così come è stato spiegato dettagliatamente nelle varie fasi da un’equipe di professionisti: Ilario Serra, Aldo Clemenza, Ciro Clemente e Beatrice Frau, presenti all’incontro moderato dalla giornalista Carmina Conte.
«Anche il consultorio familiare è un luogo privilegiato per la medicina di genere», hanno evidenziato Eliana Marini e Katia Palmas, rispettivamente ginecologa e psicologa che ivi lavorano. Realtà che hanno lo scopo di promuovere la salute sessuale, riproduttiva e relazionale del singolo, della coppia e della famiglia attraverso interventi socio-sanitari che si realizzano anche in collaborazione con gli Enti e le Istituzioni locali e che sono il principale presidio sanitario di prevenzione sul territorio, fornendo anche prestazioni specialistiche, integrate con i servizi ospedalieri. A questo si unisce il prezioso contributo del mondo del volontariato, rappresentato in questo caso da Luisella Colombano dell’ODV “Consultiamoci” che ha raccontato le attività intraprese dall’organizzazione.
In ultimo, ma non meno importante da ricordare, la ASL Sulcis garantisce, attraverso il Centro screening, programmi dedicati alle donne. Nel dettaglio: lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario rivolto alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e lo screening del tumore del collo dell’utero per le donne che hanno dai 25 ai 64 anni: individuare i tumori in un fase iniziale riduce mortalità, morbilità e in generale migliora aspettative e qualità di vita.
Nel corso della tavola rotonda, l’artista Marta Dessì ha realizzato in diretta un disegno sul tema, a ricordo della giornata.
Allegati due brevi stralci degli interventi della sindaca del comune di Villassargia, Debora Porrà, e della direttrice della ASL Sulcis Iglesiente Giuliana Campus

Sono prossimi alla conclusione, a Buggerru, i lavori sull’Ex Magazzino minerario ora denominato La Casa del Surf.
Lo stabile, ultimo in ordine cronologico tra i fabbricati ex minerari ad essere ristrutturato, sarà adibito a palestra e dato in concessione. La ristrutturazione è stata effettuata attraverso un finanziamento della regione Sardegna (Assessorato dei Lavori pubblici) di € 790.000 e, oltre allo stabile, permette la rivisitazione delle aree esterne adiacenti.

«Il progetto di riconversione a fini turistici del patrimonio ex minerario, nella disponibilità dell’Amministrazione è pressoché portato a compimentodice la sindaca del comune di Buggerru, Laura Cappelli -. Con la concessione dello stabile permetteremo a chi soggiorna nel nostro paese per praticare lo sport, di potersi allenare anche quando il meteo non consente di farlo all’esterno. Questo rappresenta un ampliamento dell’offerta che renderà il soggiorno a Buggerru sempre più appetibile.»

Pesanti sanzioni del giudice sportivo per il presidente e i calciatori della Verde Isola espulsi nella partita persa con il Guspini.

Il presidente Giuseppe Buzzo è stato inibito sino al 10 giugno 2024 con la seguente motivazione: «Dirigente con funzioni di addetto all’arbitro, dopo il termine della gara, contestava l’arbitro rivolgendogli espressioni ingiuriose e minacciose. Successivamente, mentre il direttore di gara era intento nel suo spogliatoio a compilare il rapporto di fine gara, il Buzzo bussava con violenti colpi alla porta dello spogliatoio e, trovandola chiusa, ne forzava la maniglia tanto da romperla e lanciarla verso l’assistente arbitrale n. 2 che si trovava nei pressi, come riferito dalla medesima nell’allegato di rapporto. L’arbitro, aperta la porta dall’interno, veniva aggredito verbalmente dal Buzzo che reiterava il suo comportamento ingiurioso e con ulteriore fare minaccioso reclamava la consegna dei documenti che, tra l’altro, non erano ancora stati compilati completamente. Infine, alla presenza dei carabinieri, contattati sia dall’assistente sopracitato che dallo stesso Buzzo, l’arbitro poteva consegnare i documenti di rito. Sanzione ai sensi dell’art. 36 comma 2/a del C.G.S., valutata l’aggravante della reiterazione della condotta ingiuriosa e contestatoria».

Ivan Cordero Cabanero è stato squalificato per sei giornate, «per aver rivolto all’assistente dell’arbitro n.2 espressione ingiuriosa costituente grave offesa personale. Successivamente, dall’esterno del recinto di gioco, ripeteva le espressioni ingiuriose. Sanzione ai sensi dell’art.36 del C.G.S. valutata l’aggravante della reiterazione della condotta ingiuriosa e della natura delle offese».

Alberto Graziano Arrais è stato squalificato per quattro giornate, perché «subito dopo essere stato ammonito rivolgeva al direttore di gara espressione manifestamente ingiuriosa. Sanzione ai sensi dell’art. 36, comma 1/a del Codice di Giustizia Sportiva».

Un terzo calciatore della Verde Isola, Leandro Cobas Ladrero, è stato squalificato per una giornata, per recidività in ammonizioni (V infrazione).

Il giudice sportivo, infine, ha inflitto un’ammenda di 250,00 euro alla Verde Isola, per «intemperanze dei suoi sostenitori, per tutta la durata della gara, nei confronti della terna arbitrale ed in particolare per le espressioni offensive e di derisione rivolte all’assistente arbitrale n. 2. Al termine della gara, la terna arbitrale, veniva fatta oggetto, dagli stessi sostenitori, di insulti ed espressioni ingiuriose».

Per l’8 Marzo ricordiamoci di un giovane donna, Federica Pilloni, cernitrice, rivoluzionaria e femminista! Federica Pilloni fu protagonista delle rivolte popolari di Gonnesa e di Bacu Abis, fu uccisa dai gendarmi dell’esercito regio mentre sventolava un drappo rosso simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Tutto ciò accadde nei moti di Gonnesa del maggio 1906, che fu un mese di lotte in Sardegna e della rivolta popolare dovuta alla crescita dei prezzi degli alimenti. Una rivolta spontanea che si estese in tutti i centri principali dell’isola.

Nel Sulcis, specialmente a Gonnesa, per sedare le dure proteste, fu impiegato addirittura l’Esercito. Era il 21 maggio, una data passata alla storia e che ancora oggi viene ricordata per via dell’alto tributo di sangue versato da chi si ribellò rivendicando il diritto di sfamare i propri figli. Pagarono con la vita Giovanni Pili e Angelo Puddu. Con loro la giovane Federica Pilloni, uccisa dal piombo dei gendarmi perché sventolava un drappo rosso, simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Gli scioperanti, in maggioranza minatori e lavoratrici delle miniere, presero di mira le cantine gestite dalle società minerarie, simbolo dello strozzinaggio operato dai datori di lavoro. Gli operai venivano obbligati dai padroni al rispetto del vincolo del “Ghignone”, il buono d’acquisto che si poteva utilizzare solamente nei negozi dei proprietari delle miniere, dove si vendeva la merce a prezzi più alti. Merce scadente e cara che portava i minatori all’indebitamento e al ricatto giornaliero, pena il licenziamento e l’inclusione nelle famigerate liste nere che negavano la possibilità di essere assunti negli altri cantieri.

Per alcuni giorni a Gonnesa e dintorni divampò una vera e propria battaglia. Dopo il tragico episodio di sangue, la rabbia scoppiò e si impadronì della folla. Con disordini anche nei cantieri dei villaggi vicini. Ma le forze di polizia ebbero la meglio e per i rivoltosi ci furono punizioni e rappresaglie. Le società minerarie procedettero al licenziamento di centinaia di lavoratori, a cui seguirono gli arresti di massa: 103 minatori furono portati nel penitenziario di Iglesias, per poi essere trasferiti nel carcere cagliaritano di Buoncammino in attesa del processo, che si svolse nel novembre dello stesso anno. Chiedevano pane, latte e generi di prima necessità. Quei moti portarono all’attenzione generale la situazione gravissima e le condizioni di vita al limite della civiltà in cui erano costrette a vivere la maggior parte delle famiglie delle aree minerarie. Molti di quei lavoratori furono scagionati, mentre i condannati subirono pene molto inferiori rispetto alle richieste dell’accusa. Quel maggio del 1906 diede il là al Parlamento italiano per varare un disegno di legge che istituì una commissione d’inchiesta con il compito di indagare sulle condizioni dei minatori sardi.

Le cronache dell’epoca sono abbastanza scarne, ma i fatti di quel maggio sono ben conservati nella memoria collettiva di quei territori, oltre che nei racconti popolari e in alcune poesie a ottave dei poeti improvvisatori sardi. Quella sommossa popolare di 118 anni fa, il ruolo delle donne in testa ai cortei, l’assalto alle cantine e ai forni, ebbero un ruolo importante nella storia del movimento dei lavoratori dell’isola e ancora oggi sono ricordati ogni anno.

Mauro Pistis

Si è svolto oggi in Sardegna lo sciopero dei lavoratori Enel indetto dalle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL «per protestare contro le politiche dell’azienda sui tentativi di esternalizzare attività strategiche e tagliare gli investimenti per la transizione energetica mettendo a rischio i lavoratori diretti e degli appalti». La mobilitazione è scattata a livello nazionale ma la Sardegna è una delle regioni dove è più forte la preoccupazione per il futuro dei lavoratori.

Stamane, davanti all’ingresso della Centrale Grazia Deledda, a Portovesme, abbiamo intervistato il segretario generale della Cisl del Sulcis Iglesiente, Salvatore Vincis, e don Antonio Mura, responsabile dell’Ufficio della Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Iglesias.

«L’annuncio del ministro Pichetto Fratin che la Sardegna sarà l’unica regione a non garantire l’uscita dal carbone entro il 2025 non è una sentenza di condanna inappellabile. Se siamo arrivati a questo punto ci sono delle precise responsabilità: si sono persi due anni a causa della Regione, per il suo ricorso contro il DPCM energia e per la totale assenza di interlocuzioni con le istituzioni nazionali e con le imprese di produzione di energia. Mentre Enel non ha ipotizzato negli ultimi anni una conversione della centrale del Sulcis, le proposte di riconversione con un investimento di oltre un miliardo di euro della centrale di Fiumesanto sono ormai di tre anni fa e non hanno mai ricevuto risposte né convocazioni da parte della Regione.»

Lo scrive, in una nota, il deputato del Partito democratico Silvio Lai.

«Nelle altre regioni italiane la riconversione delle ultime 4 centrali a carbone, per altro con gli stessi proprietari di quelle presenti in Sardegna, sono state garantite in meno di 18 mesi aggiunge Silvio Lai -. Questo significa che nonostante i 5 anni persi con la giunta regionale c’è ancora il tempo perché il phase out dal carbone non debba attendere, come dice Pichetto Fratin il 2028 ma si può concludere entro il 2025. Serve naturalmente che la nuova giunta regionale non ancora insediata recuperi il tempo perduto nell’interlocuzione con le imprese di produzione di energia, e di questo sono sicuro che il nuovo esecutivo se ne farà carico, ma serve soprattutto che venga pubblicato il nuovo Dpcm Energia da parte del governo, solo annunciato nelle settimane precedenti le elezioni dopo che lo stesso Governo e la regione avevano perso un altro anno e mezzo», conclude Silvio Lai.

Si accendono i motori. Il 16 e 17 marzo il territorio ospiterà la seconda edizione del Rally Sulcis Iglesiente, i cui contenuti sono stati presentati nel corso di una conferenza stampa tenutasi ieri nella sala “Remo Branca” di Iglesias, alla quale hanno partecipato anche il sindaco di Carbonia Pietro Morittu e l’assessora dello Sport Giorgia Meli.
L’evento, che mira a bissare e a superare il successo della prima edizione, è organizzato dalla scuderia Mistral Racing con il supporto della Regione Sardegna, della Fondazione di Sardegna, dell’ACI Cagliari e l’adesione di 12 Comuni del Sulcis, tra i quali il comune di Carbonia.
Carbonia sarà ancora una volta protagonista, nella giornata di domenica 17 marzo, come parco assistenza per le vetture che parteciperanno alla corsa. I box assistenza saranno ospitati attorno a Piazza Roma, segnatamente in via Fosse Ardeatine, piazza Matteotti e via San Ponziano. Gli appassionati e i semplici curiosi potranno ammirare da vicino le auto da corsa e il lavoro dei meccanici durante le assistenze, vere e proprie prove speciali in cui si possono effettuare interventi sui mezzi. Le vetture entreranno nel parco assistenza per 2 volte, esattamente alle ore 8.20 e alle 12.13.

Il comune di Carbonia aderisce convintamente alla Giornata internazionale internazionale della donna nella ferma consapevolezza dell’importanza del riconoscimento dei diritti delle donne e della loro emancipazione, valorizzando nel contempo tematiche quali l’uguaglianza di genere, le pari opportunità, la lotta contro la violenza sulle donne e contro ogni qualsivoglia forma di discriminazione.
Una ricorrenza che si celebra specificatamente nella data dell’8 marzo, ma che lancia un monito a tutti noi: la donna va rispettata, amata e festeggiata sempre, tutti i giorni dell’anno.
Sono numerosi gli appuntamenti previsti nell’ambito della Giornata internazionale della donna in città e nel territorio.