26 April, 2024
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Ritorna Aspettando NurArcheoFestival, il cartellone di spettacoli nato con l’obiettivo di estendere la partecipazione alla rete delle aree archeologiche e di interesse storico paesaggistico che intendono creare un dialogo vivo con il teatro, anche al di fuori del periodo canonico di svolgimento del festival, organizzato da Il crogiuolo con la direzione artistica di Rita Atzeri.

Sottotitolo significativo quello proposto nell’edizione 2020, “Viaggio in Sardegna: Sulcis da scoprire”. Viaggio in Sardegna perché dopo la quarantena e con le restrizioni ancora in atto in forma di prevenzione al Covid-19, abbiamo pensato che un aiuto concreto a far ripartire il turismo nella nostra isola, fosse quello di promuoverne la conoscenza anche e soprattutto fra i suoi abitanti. Sulcis da scoprire, perché le prime amministrazioni a confermare la loro partecipazione e ad avere la forza di organizzare sono state quelle di Sant’Anna Arresi e Teulada, supportate dall’associazione Sarditinera.

Sono tre gli appuntamenti programmati: il primo, lunedì 27 luglio a Sant’Anna Arresi, dove in piazza Nuraghe, andrà in scena, alle 21.00, Su Connottu – un classico del teatro sardo, scritto nel 1972 dal poeta, romanziere, drammaturgo nuorese Romano Ruju e portato in scena per oltre 300 recite dalla cooperativa Teatro di Sardegna – il primo spettacolo in cartellone a essere rappresentato.

A qualcuno il nome di Pasqua Selis Zau, nota Paskedda Zau, non dirà nulla. Eppure è lei la popolana nuorese, madre, vedova, di dieci figli, che il 26 aprile del 1868 scatenò la sommossa popolare contro gli effetti della Legge delle Chiudende (il provvedimento legislativo emanato nel 1820 durante la dominazione sabauda in Sardegna, che autorizzava la recinzione dei terreni fino ad allora considerati, per tradizione, di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata), quando contadini e pastori  protestarono contro la volontà del Consiglio comunale di Nuoro di voler privatizzare le terre pubbliche. Quella rivolta  è passata alla storia come “Su Connottu”, dal grido levato da Paskedda, “A su connottu, torramus a su connottu!”, al “conosciuto”, alla consuetudine. Nell’opera di Romano Ruju, poi arricchita dalle ballate di Francesco Masala e riscritta per la scena dal regista Gianfranco Mazzoni, la narrazione è affidata principalmente agli uomini. Nel racconto al femminile pensato dal Crogiuolo, a dare lettura  del testo, adattato, saranno Rita Atzeri, Maria Grazia Bodio, Isella Orchis, due attrici storiche del Teatro di Sardegna, Gisella Vacca e il fisarmonicista Stefano Minnei: “Un tentativo, senza stravolgere i contenuti della narrazione, di riportare equilibrio alla vicenda, almeno sul piano interpretativo delle voci in scena”, specifica Atzeri.

Alcune note storiche. Il 26 aprile del 1868 i moti popolari nuoresi culminarono nella sommossa di Su Connottu, dal grido di battaglia della popolazione ormai esasperata, a distanza di 80 anni dal 1796, quando i sardi scesero in piazza per protestare contro la tirannia feudale al canto di “Procurad’ ‘e moderare Barones sa tirannia”. Allora a guidarli fu Giovanni Maria Angioi, a Nuoro invece il popolo scese in piazza guidato da una popolana, Paskedda Zau. Il motivo scatenante fu dato dall’amministrazione comunale, che, ispirandosi alla Legge delle Chiudende, fu autorizzata ad abolire i diritti di uso comune dei territori comunali da parte dei cittadini residenti e a mettere in vendita al migliore offerente i terreni interessati. Tutto ciò doveva anche concorrere a finanziare gli inglesi della Compagnia della Ferrovie che allora realizzavano le prime strade ferrate sarde. Questo provvedimento comportò di conseguenza a pastori e contadini il non poter più usufruire dei terreni destinati al pascolo e alle coltivazioni, facendo mancare loro l’unica fonte di reddito e di sostentamento.

Il 7 agosto, sempre ore 21.00, ci si sposta nella casa baronale di Teulada, con “La vedova scalza” da Salvatore Niffoi.

Con Carla Orrù protagonista e la regia di Virginia Siriu (produzione Theandric), la messa in scena, tratta dall’omonimo romanzo di Salvatore Niffoi, vincitore del Premio Campiello 2006, accompagna gli spettatori lungo un percorso catartico che dalla cieca violenza sfocia nel suo rifiuto. La vendetta, la sopraffazione, l’onore da lavare col sangue sono gli ingombranti concetti che vengono messi in dubbio.

Siamo nella Barbagia degli anni ’30, popolata di piccoli paesi in cui la vita è regolata dai podestà fascisti e dalle leggi non scritte della società tradizionale. La violenza è ovunque: nello strapotere fascista, nelle angherie delle forze dell’ordine, nel sistema di usi e consuetudini che fossilizza i membri della società in una serie di ruoli prescritti e azioni comandate. La donna ne fa parte in quanto essere quasi annichilito: dedita alla vita rurale, è destinata solo alla preghiera e alla procreazione. La protagonista, Mintonia, appare da subito come il personaggio adatto a rompere questo circolo vizioso: al contrario delle donne del suo paese, si istruisce, legge Grazia Deledda e Tolstoj, è recalcitrante all’idea di subire dei soprusi. Sceglie da sé il proprio marito, Micheddu, a dispetto della contrarietà dell’intero paese che lo guarda con sdegno a causa del suo carattere ribelle. Micheddu, come Mintonia, non ama sottomettersi al potere, e presto finisce nel mirino del brigadier Centini. Il concatenarsi degli eventi costringe Micheddu alla latitanza. Infine, verrà ucciso in modo crudele. Rimasta sola con un figlio da crescere, Mintonia brucia dal desiderio di vendicarsi uccidendo il mandante, Centini. Riesce a introdursi nella casa del brigadiere e, dopo averlo sedotto, lo accoltella a morte. Subito dopo, scappa in Argentina. Ma la violenza non trionfa. Mintonia, seppur colpevole, diventa il motore del cambiamento: accortasi di essere rimasta incinta di Centini, decide di tenere il bambino. Cresce dunque i suoi due figli, l’uno del marito vendicato, l’altro del mandante ucciso, come fratelli. La vendetta non ha più senso, il peso del rimorso è un

prezzo troppo caro da pagare: il perdono rappresenta l’unica via di fuga dalla spirale di sangue. Mintonia si sporca le mani di sangue, ma si redime, dando la vita dopo averla levata. È una dispensatrice di morte che alla fine si converte alla vita.

Il 17 agosto, si torna a Sant’Anna Arresi, ore 21.00, con lo spettacolo “Corpi al vento”, in prima regionale, messo in scena proprio nello spazio antistante il nuraghe. In scena Ilaria Gelmi e Antonella Ruggiero messa a punto del lavoro delle attrici: Roberto Anglisani.

Una storia antica narrata da due corpi e due voci che si impastano, disgiungono, intrecciano, sovrappongono, fino a diventare un solo corpo e una sola voce.  Una madre, Pasifae, la madre del Minotauro, Arianna; la prima figlia, famosa per il filo con il quale portò Teseo in salvo dal labirinto; Fedra, la seconda figlia, una donna che non può trattenere una passione che le sgorga da dentro.  Donne cretesi, “le luminose” le chiamavano, tutte accomunate dallo stesso destino. Tutte fragili di fronte alle passioni d’amore, tutte vittime della stessa maledizione. Fragili, come la creta. Noi, donne, siamo tutte fatte di creta.  Un mito classico in chiave personale, femminile, ironica e contemporanea.

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Prima Paskedda Zau, eroina del popolo nei moti nuoresi di Su Connottu nel XIX secolo, poi Paska Devaddis, vittima, probabilmente innocente, di una lunga faida che sconvolse Orgosolo agli inizi del 900, infine Maria Lai, grande maestra d’arte ogliastrina scomparsa nel 2013. Donne forti, ciascuna a suo modo simbolo, tre “ribelli”, alle quali Il Crogiuolo ha voluto dedicare una mini rassegna intitolata, appunto, Trittico delle Ribelli. Che si chiude proprio con un omaggio all’opera dell’artista di Ulassai, che ha ispirato “La capretta di Maria“, una nuova produzione di teatro per l’infanzia della storica compagnia – fondata da Mario Faticoni – diretta da Rita Atzeri. Lo spettacolo andrà in scena mercoledì 26 dicembre, alle 17.00, nella Sala Bancri dello spazio Fucina Teatro, nel centro culturale La Vetreria di Pirri. L’ideazione, l’elaborazione drammaturgica e la regia sono della stessa Rita Atzeri, Marta Gessa, Antonio Luciano, Daniela Vitellaro, con la danzatrice Giulia Cannas, gli interpreti.

«”La capretta di Maria” è uno spettacolo pensato per parlare ai più piccoli dell’opera di Maria Lai e permettere loro di fare un viaggio alla scoperta del valore e dei significati dell’arte nella nostra vita – spiega Rita Atzeri -. In questo percorso poetico abbiamo fuso alcuni elementi biografici della vita di Maria con la narrazione di alcune fiabe da lei rivisitate. Abbiamo immaginato che la nostra ‘scatola teatrale’, privata dei neri e resa bianca per l’occasione, fosse un teatrino con il quale la stessa Maria, bambina, gioca a far prendere forma alle immagini del suo sguardo che trasforma la realtà.»

Lo spettacolo, fatto di sogni e visioni della durata di quaranta minuti, si apre con Maria Lai bambina, che descrive la nascita in lei del pensiero artistico con l’immagine di un pettine che vela il suo occhio destro di capelli ribelli: un’azione che si specchia nei gesti simmetrici delle attrici in scena. Da qui si dipana, con il tessuto metaforico della danza, che simboleggia l’arte, la narrazione delle fiabe “La capretta”, “Cuore mio”, “Il dio distratto”. Delle installazioni ambientali, site specific, di Maria Lai, Atzeri ha scelto di dare corpo in scena alla sua più nota, “Legarsi alla montagna”.

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Secondo appuntamento per “Il trittico dei ribelli”, la mini rassegna proposta da Il Crogiuolo, sotto la direzione artistica di Rita Atzeri. Dopo Paskedda Zau, eroina popolare di “Su Connottu”, oggi alle 21.00, nella Sala Bancri dello spazio Fucina Teatro nel centro culturale La Vetreria di Pirri, sarà “Paska Devaddis” di Michelangelo Pira, in un adattamento per voce e launeddas con Rita Atzeri e Nicola Agus. La narrazione scenica della storia della giovane di Orgosolo, vissuta e morta nel 1913 in latitanza per le sue cagionevoli condizioni di salute, vittima, probabilmente innocente, di una faida sanguinosa che per dodici anni, dal 1905 al 1917, sconvolse il paese barbaricino a causa della disamistade fra le famiglie dei Cossu e dei Corraine.

“Paska Devaddis” è il testo teatrale scritto per l’ascolto radiofonico (venne registrato per Radio Cagliari) da Michelangelo Pira, giornalista, antropologo, scrittore bittese scomparso nel 1980, e pubblicato postumo nel 1981 dalle Edizioni Della Torre nel volume “Paska Devaddis – Tre Radiodrammi per un Teatro dei Sardi”. Una figura, quella della giovane donna orgolese, dolente e coraggiosa insieme, più fragile fanciulla che banditessa, che ispirò una leggenda popolare e Pira, profondo studioso del mondo barbaricino e cantore della società pastorale. L’opera è stata più volte trasposta sulla scena: importante e simbolica rimane la rappresentazione creata nel 1999 da Theodoros Terzopoulos, regista greco di fama internazionale, per il Teatro di Sardegna, con Lia Careddu protagonista.

«La nostra operazione – spiega Rita Atzeri – è nata volendo creare una nuova drammaturgia tratta dai tre radiodrammi di Michelangelo Pira, di cui abbiamo cercato di fondere diverse situazioni narrate, riconducendole a un unico filo conduttore dove a parlare è Paska in prima persona, che racconta le sue vicende. La musica di Nicola Agus – suonatore di launeddas che sposa la tradizione del suo strumento con l’innovazione delle sonorità contemporanee – sottolinea e accompagna questo percorso. Raccontiamo – conclude Rita Atzeri – una storia che mostra come il conflitto fra un contesto sociale, complesso, e le leggi dello Stato possa portare, condizionando anche il ruolo e il destino degli individui, ad atti di forte ribellione.»

Per 12 anni, dal 1905 al 1917, Orgosolo visse una sanguinosa faida che vedeva contrapposte le famiglie Cossu e Corraine. Nel paese barbaricino si formarono due fazioni, facendo scaturire una lotta violenta costellata di omicidi, che lo Stato, per assenza o debolezza, non riusciva a fermare. In questo contesto crebbe Paska, ancora bambina quando iniziò la faida. Apparteneva a una famiglia benestante, quella dei Devaddis, alleata con i Corraine. Quando era giovanissima suo fratello venne accusato dell’omicidio di un uomo appartenente alla fazione dei Cossu. Alcuni testimoni raccontarono che anche Paska era presente sul luogo del delitto. Per questo fu spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti, anche se quasi sicuramente era innocente, e così i Devaddis furono costretti a darsi alla macchia. La giovane, non ancora venticinquenne, seguì i familiari nella latitanza insieme al suo fidanzato, ma, già ammalata, dopo pochi mesi morì, forse di stenti, probabilmente di tubercolosi. Era il 1913. I suoi compagni di latitanza per rispettare il loro codice d’onore (secondo quello barbaricino chi moriva latitante senza fare ritorno alla propria casa era condannato in eterno al disonore) trasportarono, molto audacemente, il suo corpo fino alla casa natale, attraversando Orgosolo asserragliato dagli uomini della fazione opposta e presidiato dalle forze dell’ordine. Vestirono Paska con l’abito da sposa, la distesero sul suo letto, salvandola dal disonore. L’autopsia svelò che era ancora vergine.

Nel 1917 si tenne a Sassari il cosìddetto “Processone”, che vide sfilare una lunga serie di imputati e testimoni, per tentare di dirimere la disamistade di Orgosolo. La sentenza fece scalpore: nessun colpevole. Nonostante la catena di omicidi che insanguinò il paese, gli imputati vennero tutti assolti. “Paska Devaddis”, se fosse sopravvissuta, sarebbe stata dichiarata innocente.

La rassegna “Trittico delle ribelli” è finanziata dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione della Regione Autonoma della Sardegna.

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Sarà “Su Connottu” – un classico del teatro sardo, scritto nel 1972 dal poeta, romanziere, drammaturgo nuorese Romano Ruju e portato in scena per oltre 300 recite dalla cooperativa Teatro di Sardegna – il primo spettacolo in cartellone a essere rappresentato domani, sabato 3 novembre, alle 21.00, nella Sala Bancri dello spazio Fucina Teatro nel centro culturale La Vetreria di Pirri.

A qualcuno il nome di Pasqua Selis Zau, nota Paskedda Zau, non dirà nulla. Eppure è lei la popolana nuorese, madre, vedova, di dieci figli, che il 26 aprile del 1868 scatenò la sommossa popolare contro gli effetti della Legge delle Chiudende (il provvedimento legislativo emanato nel 1820 durante la dominazione sabauda in Sardegna, che autorizzava la recinzione dei terreni fino ad allora considerati, per tradizione, di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata), quando contadini e pastori  protestarono contro la volontà del Consiglio comunale di Nuoro di voler privatizzare le terre pubbliche. Quella rivolta  è passata alla storia come “Su Connottu”, dal grido levato da Paskedda, “A su connottu, torramus a su connottu!”, al “conosciuto”, alla consuetudine. Nell’opera di Ruju, poi arricchita dalle ballate di Francesco Masala e riscritta per la scena dal regista Gianfranco Mazzoni, la narrazione è affidata principalmente agli uomini. Nel racconto al femminile pensato dal Crogiuolo, a dare lettura del testo, adattato, saranno Rita Atzeri, Maria Grazia Bodio, Isella Orchis, due attrici storiche del Teatro di Sardegna, e Gisella Vacca: «Un tentativo, senza stravolgere i contenuti della narrazione, di riportare equilibrio alla vicenda, almeno sul piano interpretativo delle voci in scena”», specifica Rita Atzeri.