15 December, 2025
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Un successo di pubblico e di emozioni. Si è conclusa con un grande riscontro personale da parte di Emanuele Riemma, la terza edizione del festival gastronomico “Fun·Go – Cooking, Art & More”, che l’8 e 9 novembre ha animato il centro di Iglesias con show cooking stellati, laboratori, talk scientifici, musica e street food dedicati al mondo del fungo e alla sua biodiversità.
Tra i protagonisti più attesi della manifestazione, Emanuele Riemma ha conquistato il pubblico durante lo show cooking sul Palco Centrale di Piazza Sella, con la sua creazione esclusiva: la pizza “Mush-Rum”, un perfetto connubio tra tecnica, emozione e racconto del territorio.
La “Mush-Rum”, base fritta e poi passata al forno, impreziosita da funghi porcini trifolati al rum, provola affumicata di Gragnano, nocciole sbriciolate, maionese alle nocciole e un filo di olio extravergine d’oliva, ha saputo stupire per equilibrio e originalità, raccontando in un solo morso il legame tra innovazione e tradizione che da sempre caratterizza la filosofia culinaria di Riemma.
L’esibizione è stata accolta da un grande entusiasmo da parte del pubblico, che ha partecipato numeroso alla degustazione con calice di vino locale in abbinamento.
«Portare la mia pizza sul palco del Fun·Go è stata un’emozione intensaracconta Emanuele Riemma -. Ho sentito un’energia speciale, quella che nasce quando il pubblico entra davvero in connessione con ciò che fai. Questa pizza rappresenta per me un ritorno alle origini, ma anche la voglia di guardare avanti: un ponte tra i sapori della terra e le esperienze che la vita mi ha regalato. Ringrazio Iglesias per l’accoglienza e per aver reso questo momento indimenticabile.»

Con la sua partecipazione al Fun·Go, Emanuele Riemma conferma il suo ruolo di ambasciatore dell’arte bianca contemporanea, capace di trasformare ogni impasto in un racconto di territorio, memoria e innovazione.

I pareri sulla Sanità che vengono quotidianamente diffusi agli italiani sono come i racconti di Storia: dipendono da chi li racconta. Da oltre 30 anni i pareri provengono dai burocrati e dai politici. Essi si limitano a fornire la descrizione dei guasti alla sanità pubblica e non forniscono mai progetti per risanarla. All’inizio non fu così: la Sanità pubblica fu un progetto esclusivo concepito da tre medici, deputati dell’Assemblea Costituente, che stavano preparando la nascita della nuova Repubblica.
Il 1° gennaio 1948 per la prima volta nella storia si parlò di Sanità pubblica a carico dello Stato. Nell’ articolo 32 della Costituzione sta scritto: «La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo…». L’articolo venne concepito e scritto da quei tre Medici che gli avevano dedicato l’intero anno 1947 con studi e discussioni. Essi erano  il dottor Giuseppe Caronia, clinico pediatra a Roma, democristiano; il dottor Mario Merighi, primario di medicina a Mirandola, socialista; il dottor Alberto Cavallotti, primario di un nosocomio milanese, comunista. Essi spiegarono che la qualifica di “diritto fondamentale” dato alla salute era giustificata dal fatto che qualunque essere umano si trovi in stato di malattia è equiparabile ad un essere in stato di schiavitù o di dipendenza da altri, correndo il rischio di perdere la dignità e di non poter esercitare i propri diritti. Da questa considerazione i Costituenti hanno derivato il principio che la Sanità Pubblica deve essere basata sulla “solidarietà” e nessuno deve vivere l’esperienza d’essere trascurato e offeso dall’abbandono sociale nel momento della sofferenza. Tina Anselmi, che fu ministro della Sanità nel biennio 1978/1979 costruì la sua legge 833/78 ispirandosi ai documenti lasciati ai posteri da quei tre medici nell’anno 1947. Nel ventennio tra il 1992 e il 2009 quel principio venne modificato a fondo. L’ultimo colpo gli venne dato dal tracollo economico internazionale iniziato con la crisi dei “subprime”, e il fallimento di Lehman Brothers negli Stati Uniti, che coinvolse anche l’Europa; l’Italia finì sull’orlo del fallimento. In quel ventennio i principi solidaristici dei tre medici costituenti italiani vennero radicalmente modificati. Si passò da una gestione della sanità basata sui valori umani della Costituzione ad una gestione basata sul diritto aziendale . Si passò dal principio della solidarietà al principio del bilancio fondato sull’interesse economico. Il cittadino passò dallo stato di titolare di un “diritto fondamentale “ allo stato di “cliente” di un’azienda (ASL).
In questa storia di sanità pubblica, iniziata dai tre medici Costituenti, le figure dei medici pubblici in qualità di programmatori vennero fatte drasticamente scomparire e in quella funzione vennero sostituiti da esperti burocrati. Perciò da circa 30 anni la Sanità è in mano ai “manager”. Essi sono liberi professionisti, abilitati a gestire aziende, incaricati dal potere politico regionale, e non sono tenuti a rendere conto del loro operato alle amministrazioni comunali e provinciali.
Dopo 33 anni di tale gestione, e dopo i risultati fallimentari conseguiti, dati i giganteschi problemi demografici ed economici che si prospettano, è lecito pensare di tornare ai valori dei tre medici costituenti.
Ciò implica il dover cambiare la visione attuale sulla Sanità pubblica e riprogrammarla secondo principi diversi da quelli adatti a gestire una impresa economica.

Ipotesi di proposta.

Il problema strutturale globale riguarda l’intero apparato sanitario “su campo”. Esso è costituito da:
– Gli ospedali per acuti,
– Gli ospedali per cronici,
– L’organico dei medici,
– L’organico degli infermieri e dei tecnici,
– La medicina di base,
– Le case della salute,
– Gli ospedali di comunità.

E’ necessario ridefinire la natura di ognuna di queste entità ridefinendo anche i rapporti fra di esse. Il nuovo contesto globale deve favorire la comunicazione fra: ospedali, apparato tecnico amministrativo, i professionisti, le loro gerarchie e la sanità territoriale.

Gli ospedali.

Le leggi emanate dal Governo Amato I e II , e la riforma del titolo V, parte II della Costituzione hanno avuto l’effetto di:
a – depotenziare e chiudere gli ospedali provinciali di I livello.
b – Accentrare le funzioni diagnostiche e terapeutiche negli ospedali regionali di II livello.
Il depotenziamento della sanità provinciale ha provocato l’iper-affluenza dei pazienti dalle province agli ospedali regionali.
Gli ospedali regionali di II livello (come Brotzu e Santissima Annunziata) furono concepiti per le ultraspecializzazioni mediche ma, a causa della riduzione del sistema sanitario nelle province, essi sono stati costretti ad assumersi anche le funzioni degli ospedali provinciali. La nota crisi che ne è nata, e che ha visto pochi mesi fa anche la necessità di chiudere temporaneamente il Brotzu, per sovraccarico, impone di restituire, gli ospedali regionali di II livello, alle funzioni ultraspecialistiche per cui erano nati.
Di conseguenza si devono restituire gli ospedali provinciali di I livello (come Carbonia e Iglesias) alle funzioni che avevano in passato a servizio dei malati del territorio.
Gli ospedali provinciali di I livello devono tornare ad occuparsi pienamente di tutte le patologie chirurgiche e internistiche, riservando a quelli di II livello (di Cagliari e Sassari) la cardiochirurgia, la
neurochirurgia, e i trapianti d’organo.
Negli ospedali di I livello provinciali vanno riattivate tutte le chirurgie di base e i Servizi di Anatomia Patologica, Radiologia, Endoscopia digestiva e respiratoria, Radioterapia, Chemioterapia. Se questa riattivazione degli ospedali avverrà contestualmente a una riorganizzazione della medicina di base, ne conseguirà il crollo immediato delle liste d’attesa per i ricoveri e gli interventi. Dato il quadro demografico attuale ne beneficerà l’utenza costituita da ultra-cinquantenni e, sopratutto, da anziani non autosufficienti. Per essi è urgente la rapida riattivazione dei centri ospedalieri vicini al fine di contrastare il fenomeno di rinuncia alle cure derivato dalla difficoltà e onerosità del trasporto dei malati.
Un beneficio collaterale certo sarà la ricostituzione di una efficiente rete di medici di base del territorio, ben supportata dalla disponibilità degli ospedali provinciali restituiti alla loro operatività.
Gli attuali ospedali provinciali, nati nel dopoguerra, destinano oggi i pochi posti letto rimasti (20-25 per U.O.) per i pazienti acuti.
Bisogna sapere che gli stessi ospedali vennero progettati per almeno il triplo dei posti letto. Questo fatto è purtroppo sconosciuto sia ai cittadini che ai politici.
Gli ospedali di Carbonia e Iglesias, ai quali il piano ospedaliero destina 250 posti letto, fino a 30 anni fa avevano 750 posti letto (500 in più).
Considerata la maggiore capienza potenziale, sarebbe possibile l’apertura di nuove Unità Operative per pazienti cronici (geriatrici), a fianco alle Unità Operative per acuti. Tale riutilizzo avrebbe importanti effetti sulle liste d’attesa e sulla famiglie.

Per avviare il progetto di nuova responsabilizzazione della politica locale territoriale all’interno della ASL e, contemporaneamente, valorizzare il personale si deve convenire su un punto fermo: la struttura sanitaria e la struttura amministrativa necessitano di due gerarchie fra loro indipendenti.

I medici.

I medici rappresentano la componente professionale essenziale per l’assistenza ospedaliera e territoriale. Sono irrinunciabili per il riavvio del Sistema sanitario. L’organico dei medici di ogni Unità Operativa ospedaliera deve avere una struttura gerarchica ben definita. La gerarchia è la catena di comando che muove simultaneamente tutti i pezzi del motore della Sanità.
Fino alla riforma di Francesco Di Lorenzo del 1992 gli organici dei medici ospedalieri erano formati da:

– un orimario: con funzioni di capo della scala gerarchica.
– due aiuti: medici esperti idonei ad assumere funzioni primariali, soggetti alla autorità del primario.
– setto-otto assistenti (medici soggetti all’autorità degli aiuti e del primario).
Il DPR 229/1992 di Francesco Di Lorenzo abolì la figura gerarchica del primario della Divisione ospedaliera e quella degli Aiuti. Scomparvero così la scala delle responsabilità e anche quella del merito. Prima d’allora il funzionamento della gerarchia dei medici era regolata dalla legge 128/69. Essa legge, all’articolo 7, definiva il ruolo del primario. Egli, oltre al compito di direttore della Divisione, aveva la funzione di legale responsabile della compilazione e della sorveglianza delle cartelle cliniche; aveva, inoltre, il compito di “vigilare” sul personale medico e infermieristico; era il responsabile del benessere e della cura dei malati. Per “compito di vigilanza” si intendeva l’obbligo di di fare verifiche sulla qualità dell’attività professionale dei medici e di sorvegliarne la disciplina. Curava con rigore la disciplina degli infermieri, dei tecnici, e del personale ausiliario. Egli era tenuto a prendersi cura della formazione continua e dell’addestramento dei medici. Essendo il responsabile della accuratezza delle cure ai malati, doveva sempre verificare:
1. L’esattezza delle diagnosi e approvarle;
2. L’appropriatezza delle cure e approvarle;
3. La conformità morale e professionale nei rapporti fra il personale e i malati.
Di fatto svolgeva la funzione di “Maestro” addestratore alla professione sanitaria.
La divisione ospedaliera (attuale Unità operativa) aveva funzioni di cure , e di scuola di formazione post-universitaria per i giovani medici.
Non esisteva il problema che oggi lamentano i medici ospedalieri : cioè l’assenza di prospettive di carriera. Era possibile avanzare di grado diventando prima aiuto e poi primario, acquisendo titoli professionali e idoneità nazionali ministeriali.
Gli ospedali che avevano in organico i primari migliori formavano i medici migliori. Essi erano la sede in cui nascevano e crescevano quei chirurghi e quegli internisti che nel tempo sarebbero subentrati ai medici anziani nelle funzioni di primari e vice-primari. All’uscita di scena di un primario non si creava mai il vuoto gerarchico. Il primario usciva di scena quando era pronto il suo sostituto, che era sempre un aiuto già formato per fare il primario. In Germania tutt’oggi il primario che si prepara alla pensione indica il successore due anni prima della sua uscita di scena, e per due anni concentra su di lui tutti gli sforzi per trasferirgli le sue competenze.
L’ospedale italiano fino al 1992 era, globalmente, una scuola di formazione continua. I medici che entravano in quella scuola ne ereditavano cultura, esperienza, professionalità, e avevano la possibilità di carriera primariale. Gli stipendi fra questi tre gradi (assistente, aiuto, primario) erano differenziati in progressione. Il miglioramento del trattamento economico era sincrono col miglioramento delle capacità professionali e dei titoli acquisiti con concorsi nazionali, fino alla posizione apicale.
Tutti i Primari erano componenti del Consiglio dei sanitari; fra di essi veniva eletto il Direttore sanitario.
Era un meccanismo di valorizzazione che consentiva ai medici di produrre le scelte programmatiche da affidare poi alla parte amministrativa perché potessero essere realizzate.
Attualmente non è così: oggi il Direttore sanitario viene scelto dal Direttore generale della ASL. Questa soggezione di nomina genera scarsa autonomia di giudizio; inoltre il parere espresso sia dal Direttore sanitario che dal Consiglio dei Sanitari non ha peso o non viene neppure richiesto. Questo meccanismo demotiva i medici che, sviliti ed estraniati dalle scelte, sono impediti dal partecipare attivamente alla programmazione.
Oggi il Direttore generale della ASL viene designato da organismi politici regionali lontani dai territori provinciali, mentre in passato veniva nominato, con incarico di presidente, dai Consigli comunali del territorio. Tale differenza comporta che le decisioni prese allora col sistema precedente corrispondevano alle istanze dei cittadini del territorio; oggi no.
Questa “estraneità” al territorio, dell’attuale Direttore generale rispetto ai precedenti presidenti di USL, è una delle cause del distacco fra cittadini e sanità pubblica, e anche fra medici dell’ospedale e medici del territorio. Dapprima i medici dell’ospedale e quelli del territorio erano in rapporto diretto fra di loro perché avevano al di sopra un’unica autorità territoriale locale unificante. Ne conseguiva che il medico di base che curava un paziente, di fatto, continuava a seguirlo attraverso i medici dei reparti che erano la proiezione ospedaliera della medicina di base. Questo “continuum” tra medici di base e ospedalieri era una garanzia di sinergia delle cure e di sostegno interno fra i due sistemi.
La legge di Francesco Di Lorenzo comportò tre trasformazioni:

1 – Tutti i medici vennero classificati allo stesso livello gerarchico; ne conseguì la scomparsa dello “avanzamento” nella carriera direttiva e da allora si ignorarono le diverse competenze professionali e il merito.
2 – La scomparsa degli aiuti comportò la scomparsa delle figure professionalmente autorevoli che potevano sostituire il primario in sua assenza.
3 – Colla scomparsa del primario (quello della legge 128/69) scomparve il capo-scuola ospedaliero, e cessò l’esistenza di chi doveva, per legge, formare i medici destinati a divenire i futuri primari.
L’esperienza che stanno vivendo oggi gli ospedali dimostra che l’uscita di scena del primario comporta la fine dell’Unità 0perativa. I medici più giovani che intendono continuare a lavorare ad un alto livello
professionale, una volta privati del primario, sono costretti a trasferirsi in altri ospedali ancora dotati di primari.
Da questa esposizione emerge l’evidenza che l’organico dei medici è vario ed è composto da diverse figure a diversi livelli di formazione. Esistono i medici appena laureati dalle Università, ed esistono i medici con un grado di formazione professionale più avanzato. Dal momento dell’uscita dall’Università i medici vanno considerati “medici in formazione per sempre”.
La formazione avviene per gradi solo all’interno degli ospedali. Qui essi vengono culturalmente costruiti attraverso l’esperienza nell’applicazione delle regole riconosciute dalle Società scientifiche. La loro esperienza avviene attraverso l’imitazione dei medici più anziani.
I medici vengono formati da altri medici e, una volta lasciata l’Università per l’ospedale, il nuovo campo di studio è costituito dal malato e dall’apparato che lo cura. L’apparato di cura ospedaliero è formato
dalla équipe di specialisti, dai servizi di laboratorio, Radiologia, Anatomia patologica, dal personale Infermieristico, dal Pronto soccorso, e dagli altri reparti ospedalieri. Ogni giorno di lavoro in ospedale è una giornata di studio e formazione. All’apice della piramide docente è il primario. Egli è il riferimento concreto per l’applicazione della scienza, per la formulazione della diagnosi definitiva e per la programmazione terapeutica.
Ne consegue che l’Amministrazione che programma l’assunzione di nuovi medici per le Unità operative non può esimersi dall’arruolare per primi i medici formatori di altri medici: i primari.

Infermieri.
Vengono distinti, in base alla formazione, in:
– Infermieri laureati,
– Infermieri diplomati,
– Capo sala.
L’infermiere Capo sala di un reparto di degenza è il capo di tutti gli infermieri della stessa Unità operativa. Deve avere competenza organizzativa e autorità professionale e disciplinare su tutto il personale infermieristico. La sua autorità gli deriva direttamente dal primario.
Agli infermieri vengono affiancati gli OSS.
Oggi si lamenta la scarsità di personale infermieristico. In realtà l’ospedale può risolvere il problema della carenza di personale assumendo le funzioni di scuola infermieristica e generare infermieri diplomati e anche OSS.
Gli infermieri che vogliono acquisire la laurea devono rivolgersi alle scuole di formazione in Scienze Infermieristiche dell’Università.
Quanto detto per i “medici in formazione per sempre” vale anche per gli infermieri. I nuovi infermieri diplomati e laureati, acquisiscono le capacità della professione pratica imitando gli infermieri professionalmente più anziani posti ad uno scalino gerarchico più elevato.
E’ necessario che anche tra di essi esista una rigorosa gerarchia in cui il capo è tenuto alla verifica costante della qualità delle prestazioni assistenziali e abbia autorità disciplinare e premiante.
Un capitale umano d’alto livello infermieristico diventa un capitale sociale che estenderà il beneficio professionale maturato anche ai malati del territorio extraospedaliero.

Conclusione.

E’ illogico che gli ospedali siano in mano a esperti di amministrazione che conoscono bene i conti ma non conoscono cosa sia la Sanità. Il pubblico che si lamenta coi suoi politici della Sanità di oggi non può perdere tempo nel piagnisteo quotidiano sui giornali ma deve fornire argomenti concreti che dimostrino lo stato di abbandono politico amministrativo persistente. Dalla nostra provincia devono nascere richieste concrete come il raddoppio dei posti letto nei nostri ospedali. Oggi gli ospedali hanno posti letto solo per “acuti”, come infartuati, emorragici o incidenti della strada. Per questo hanno pochissimi posti letto. In realtà è necessario che possano accogliere, in posti dedicati, anche i pazienti sub-acuti, per esempio: anemici, portatori di dolore cronico, sofferenti di deperimento per tumori avanzati. Pazienti, questi, che sono abbandonati alle famiglie. I casi di pazienti cronici non autosufficienti verranno seguiti dalle RSA. Abbiamo bisogno di primari da assumere, medici da mettere sotto la guida di Primari, personale medico e infermieristico sotto una chiara gerarchia. Ci servono soldi per aumentare le entrate del personale che si dedichi, senza lungaggini temporali, a diagnostica strumentale impegnativa come: le procedure radio ed ecoguidate, le colonscopie, le gastroscopie, le broncoscopie e le cistoscopie, e a far funzionare le sale operatorie, le radiologie, e tutti servizi tecnologici. Ci serve aggiornamento tecnologico come risonanza magnetica avanzata, anatomia patologica, virologia, PET e chirurgia robotica.
Vogliamo scommettere che ridurremo le fatiche compensatorie delle case di cura private e che i giovani medici faranno a gara per venire nei nostri ospedali a lavorare e imparare?

Mario Marroccu

E’ stato inaugurato in via Europa, a Rio Murtas, il terzo murale realizzato dall’artista Stefano Pani, nell’ambito di un progetto culturale di valorizzazione del territorio avviato dall’Amministrazione comunale, rappresentata questa mattina dal sindaco Antonello Cani, il vicesindaco Maurizio Portas e gli assessori Gianni Lai e Carolina Piliu. Hanno partecipato alla cerimonia: il parroco di Rio Murtas, don Diego Cerniglia; l’artista Stefano Pani; il dirigente dell’Istituto Comprensivo Santadi Narcao, dott. Paolo Meloni; i giovani scolari della scuola dell’infanzia di Rio Murtas con le loro insegnanti; Lillino Pisci, 86 anni, uno degli ultimi tre minatori rimasti testimoni della cultura mineraria di Narcao e Rio Murtas, fedelmente rappresentata dal murale che ritrae un minatore che spinge un vagoncino carico del minerale estratto in sottosuolo. Il significato dell’opera è stato concentrato dall’artista anche nella poesia in lingua sarda “Su minadori” riportata nella stessa parete (messa generosamente a disposizione del comune di Narcao da una famiglia privata), sotto il murale: «Una vida as passau, cun picu e pàlia trumentendi, e sa saludi as ispaciau, cun onori traballendi. Zincu e prumu as cicau, càrrigas de esprosivus intendendi, su tempus as passau, su soli nostu abetendi. Cun sudori una vida a istentu, arregordai oi su minadori unu monumentu».

 

Fabio Geda, Francesco Pala, Antonio Boggio, Cristina Caboni, Claudio Bagnasco, Franco Arba, Vindice Lecis, Giuliana Sgrena, Gianni Caria e Francesca Spanu. Sono i protagonisti della rassegna “Ogliastra pagina su pagina. Incontri con la scrittura e il teatro”, promossa da Lìberos e che si svilupperà, dal 14 novembre al 13 dicembre, tra Lanusei, Villagrande Strisaili, Santa Maria Navarrese, Baunei, Arzana, Villanova Strisaili, Elini, Ilbono, Triei e Barisardo.
Le attività sono realizzate con il contributo del comune di Baunei per il sostegno alle attività del Sistema Bibliotecario Integrato dell’Ogliastra da parte della Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport e in collaborazione con la cooperativa Oleaster.
Antonio Caria

Alle 15.00 l’andata delle semifinali della Coppa Italia di Eccellenza: Villasimius-Iglesias e Atletico Uri-Tempio. Nell’Iglesias Giampaolo Murru ha scelto la strada del mini turn over, tenendo inizialmente in panchina Fabrizio Frau e Nicolas Capellino, per Alberto Piras e Antony Cancilieri. La squadra affronta l’impegno con grande entusiasmo dopo gli ultimi risultati conseguiti in campionato, la larga vittoria sul Sant’Elena e il primo successo esterno di Tortolì, che l’hanno lanciata al terzo posto in classifica. Il Villasimius, viceversa, vuole dimenticare subito il pesante ko subito a Carbonia, dove domenica scorsa ha perso 3 a 0 con la squadra di Graziano Mannu. Anche Antonio Prastaro ga scwelto il turn over, tenendo inizialmente in panchina Forzati, Kiwobo e Ragatzu.

Le formazioni.

Iglesias: Daga Riccardo I, Crivellaro, Arzu, Di Stefano, Abbruzzi, Alvarenga, Piras Alberto, Salvi Costa, Piras Edoardo, Cancilieri. A disposozione: Slavica, Pintus, Corrias, Leroux, Daga Riccardo II, Tiddia, Frau, Capellino. Allenatore: Giampaolo Murru.

Villasimius: Gonzalez, Muzzo, Scarpato, Sinha Filho, Bulala, Garau, Saba, Scioni, Dambros, Magli, Beugre. A disposizione: Forzati, Zedda, Concas, Kiwobo, Caferri, Cogoni, Isaia, Ragatzu, Marras. Allenatore: Antonio Prastaro.

«Siamo stanchi di vedere i diritti dei lavoratori trattati come merce di scambio. La FP CGIL SSO e la UIL FPL Sulcis Iglesiente non possono accettare l’ennesimo tentativo di escludere due organizzazioni che, insieme, rappresentano quasi la metà del personale sanitario e 12 RSU su 21, cioè oltre il 50% della rappresentanza aziendale. La Direzione della ASL Sulcis ha deciso di convocare per il 10 novembre scorso solo alcune sigle sindacali, ignorando deliberatamente chi ogni giorno è al fianco dei lavoratori, ascolta i problemi nei reparti, negli ambulatori, nei servizi, e si batte per una sanità pubblica più giusta e trasparente.»

Lo si legge in una nota diffusa da Monica Secci – Segretaria FP CGIL SSO ed Efisio Aresti – Segretario UIL FPL Sulcis Iglesiente.

«Non si tratta solo di un problema tecnico o contrattuale dichiarano Monica Secci ed Efisio Aresti -. È una questione di rispetto, di democrazia e di pluralismo. L’ASL non può scegliere chi rappresenta i lavoratori: deve riconoscere la voce di chi i lavoratori li rappresenta davvero.»

«Negli ultimi giorni, alcune sigle firmatarie del CCNL hanno diffuso note e pressioni per chiedere l’esclusione di CGIL e UIL dai tavoli di confronto. È un comportamento grave e divisivo, che rischia di minare la coesione e la fiducia dentro la sanità pubblica», si legge nella nota.

«Chi ha paura del confronto, ha paura della trasparenzaaggiungono le due organizzazioni -. Noi non accetteremo tavoli chiusi, accordi di comodo o interpretazioni forzate dei contratti. Le relazioni sindacali devono essere aperte, corrette e leali, come stabilito anche dal Protocollo Regionale sulle Relazioni Sindacali del 4 agosto scorso e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 30 ottobre 2025.»

«Le relazioni sindacali non sono un privilegio per pochi, ma un diritto per tutti. Lo dicono la Costituzione, lo afferma il D.Lgs. 165/2001, lo confermano l’ARAN e la giurisprudenza: ogni organizzazione rappresentativa deve poter partecipare al confronto su produttività, organizzazione del lavoro, fondi e politiche del personale», si legge ancora nella nota.

«Escluderci significa togliere voce a centinaia di lavoratrici e lavoratori che si affidano alla CGIL e alla UIL per essere rappresentatiricordano le due sigle -. Noi non parliamo per noi stesse, ma per chi ogni giorno lavora nei reparti, nei laboratori, nei servizi di emergenza, nelle strutture territoriali. Per chi manda avanti la sanità del Sulcis.»

La FP CGIL e UIL FPL chiedono il rispetto dei diritti di tutti estendendo le convocazioni a tutte le sigle rappresentative. «Se la Direzione non cambierà rottaannunciano le due organizzazioni -, procederemo con una diffida formale ai sensi dell’art. 700 c.p.c. e dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori per comportamento antisindacale, e segnaleremo la condotta all’ARAN e alla Funzione Pubblica. La libertà sindacale non si baratta, la dignità dei lavoratori non si tocca. E noi continueremo a difenderla, dentro e fuori dai tavoli.»

 

Rafforzare l’autonomia dei cittadini e supportarli nelle ormai quotidiane operazioni on line. Il comune di Villamassargia entra nella rete dei servizi di facilitazione digitale, realizzata in ambito regionale e nazionale attraverso la misura PNRR 1.7.2. Grazie allo stanziamento di 51.724 euro, sarà attivato uno sportello pubblico dedicato all’assistenza di chi ha difficoltà a fruire dei servizi digitali attraverso alcune APP, usare lo SPID e il CIE, consultare il Fascicolo sanitario elettronico e molto altro come visitare i portali per le offerte di lavoro.
«I punti di facilitazione digitaleha spiegato la sindaca di Villamassargia Debora Porrà nascono per ridurre il cosiddetto ‘digital divide’ e per promuovere la partecipazione attiva nella società tecnologica di ciascun cittadino di ogni fascia d’età, dai più giovani in cerca di occupazione agli anziani che spesso sono in difficoltà a usare i dispositivi elettronici.»
«Questo supporto gratuito che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie che assistono un anziano e di offrire a tutti indistintamente un sostegno per l’accesso ai servizi digitaliha continuato la prima cittadina nasce per stare al passo con un mondo in continua evoluzione.»
Il servizio, infatti, è pensato per le persone che hanno poca dimestichezza con computer, smartphone e Internet, in particolare gli over 65.
Per questo motivo, lo sportello, allestito presso lo smart center, al piano terra del palazzo comunale, sarà tra le attività previste al centro diurno per gli anziani ormai prossimo all’inaugurazione. I facilitatori potranno infatti offrire assistenza personalizzata agli utenti per utilizzare, per esempio, la posta elettronica, navigare in sicurezza su Internet, accedere ai servizi pubblici e sanitari on line e prenotare visite mediche. Un servizio pensato anche per alleggerire il carico di chi accudisce un proprio caro in condizioni di fragilità e, in generale, di tutti i care giver.

I 24 sindaci della provincia del Sulcis Iglesiente hanno chiesto un incontro urgente all’assessore regionale della Sanità, Armando Bartolazzi, e un intervento urgente di Asl Sulcis Iglesiente e Regione Sardegna sulla grave situazione della sanità territoriale. La richiesta è stata inviata per conoscenza al prefetto di Cagliari, dottor Giuseppe Castaldo.

«I sindaci dei Comuni della Provincia del Sulcis Iglesiente, riuniti in forma congiunta, intendono esprimere profonda preoccupazione per la situazione sempre più grave che riguarda la sanità territoriale del nostro territoriosi legge nella nota inviata alla Asl, all’assessore della Sanità e al prefetto di Cagliari -. Negli ultimi mesi – e in modo ancor più evidente durante i periodi festivi – si sono moltiplicate le chiusure temporanee delle guardie mediche, con comunicazioni improvvise che lasciano intere comunità prive di assistenza sanitaria, spesso nei momenti di maggiore necessità. Questa condizione, ormai divenuta ordinaria, mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e compromette la continuità di un servizio che dovrebbe essere essenziale e costante. Particolarmente allarmante è la situazione dei centri che non dispongono di un medico di base: in tali contesti, l’assenza contemporanea di medico di base e guardia medica espone la popolazione – in particolare anziani, bambini e persone fragili – a rischi inaccettabili, negando di fatto il diritto costituzionale alla tutela della salute.»

I sindaci della provincia del Sulcis Iglesiente chiedono con urgenza:

– chiarimenti ufficiali in merito alle cause, ai criteri e alle responsabilità che hanno determinato tali sospensioni;

– un piano straordinario di reclutamento e assegnazione di medici e personale sanitario nei distretti e nei comuni più in difficoltà;

– la riattivazione immediata dei presidi di guardia medica attualmente in regime di temporanea sospensione anche solo per 24h;

– l’istituzione di un tavolo di confronto permanente tra Regione, ASL, Enti locali e rappresentanti delle comunità territoriali, da convocare nel più breve tempo possibile per definire misure concrete e tempi certi.

«Poiché la tutela della salute dei cittadini del Sulcis Iglesiente non può più attendere, chiediamo che sia restituita ai nostri territori la dignità e la sicurezza di un servizio sanitario accessibile, efficiente e umanoconclude la nota -. Nel ribadire la piena disponibilità dei Sindaci a collaborare in modo costruttivo e unitario, confidiamo che l’urgenza della situazione venga riconosciuta e affrontata con la massima attenzione.»

 

La consigliera comunale di Iglesias Gianna Concu ha aderito al Partito Sardo d’Azione. L’adesione verrà annunciata sabato 15 novembre, alle ore 10.30, presso la sala riunioni del ristorante Oasis da Antonello, in via Fadda civico 6 (Fianco Lidl), a Iglesias, nel corso di una conferenza stampa, alla quale parteciperà il segretario nazionale del Partito, Christian Solinas. Interverranno: Riccardo Aru, segretario cittadino del partito; Gianna Concu, consigliera comunale del comune di Iglesias; Christian Solinas, segretario nazionale del PSd’Az. Nel corso dell’incontro, saranno proiettati alcuni docufilm sulla storia e sul ruolo del Partito Sardo d’Azione nell’evoluzione della coscienza collettiva della Nazione Sarda.

Sostegno unanime e piena disponibilità a essere in prima linea con i lavoratori e le lavoratrici in tutti i passaggi della vertenza. E’ questo ciò che è emerso oggi pomeriggio a Uta nell’incontro organizzato dall’amministrazione comunale per discutere la crisi della Bekaert, il colosso olandese produttore di cordicelle per pneumatici che a settembre ha annunciato la volontà di vendere la sua fabbrica di Macchiareddu, mettendo a rischio 300 lavoratori tra dipendenti e indotto.

All’appuntamento protagonisti assoluti sono stati i lavoratori con le loro rappresentanze sindacali, che hanno ripercorso la storia della Bakaert (quella di Macchiareddu è l’unica sede rimasta in Italia) dal suo insediamento più di cinquant’anni fa, nella zona industriale di Cagliari, a oggi, con la decisione di vendere a causa della crisi del settore automotive e della concorrenza cinese, ma hanno ribadito anche ansie e preoccupazioni per il futuro loro e delle loro famiglie.

Pieno appoggio da parte degli amministratori e rappresentanti istituzionali intervenuti: sindaci della Città Metropolitana di Cagliari e non solo, i consiglieri regionali Giuseppe Frau, Luca Mandis e Walter Piscedda, la senatrice Sabrina Licheri, il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, e l’assessore regionale all’industria Emanuele Cani. Presente anche la presidente del Cacip, il Consorzio industriale provinciale di Cagliari, Barbara Puddu.

«Quello posto oggi un ulteriore tassello che dimostra quanto tutta la Sardegna sia unita nel sostenere questa battaglia e quanto le istituzioni siano al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici afferma il sindaco di Uta, Giacomo Porcu -. Se la politica non si interessa dei lavoratori non può chiamarsi tale.»