21 December, 2025

Efficientamento energetico degli immobili comunali, a Sant’Antioco è il turno delle strutture in cui hanno sede la Polizia locale, in via Iglesias, e i Servizi Sociali, via Risorgimento. I due interventi, per i quali il Comune ha incassato 1,8 milioni di euro grazie alla partecipazione ai bandi dedicati della Regione Sardegna, rientrano nell’ambito dell’ampio programma di riqualificazione degli immobili comunali promosso dall’Amministrazione, che in questi otto anni ha già interessato l’intero patrimonio comunale.

«La nostra capacità di attrarre risorse con l’obiettivo di proseguire nel poderoso programma di efficientamento e riqualificazione del patrimonio antiochensecommenta il sindaco Ignazio Locciè il frutto dell’impegno congiunto dell’Amministrazione e dell’Ufficio Lavori pubblici e Appalti, che da anni ci consente di reperire fondi e avviare cantieri, ammodernando e rendendo più sicura ed efficiente la nostra città. Questi ultimi due interventi, sede della Polizia Locale e quella dei Servizi delle Politiche sociali, non solo ci consentono di rifare il look alle due strutture, ma ci permetteranno di raggiungere risparmi energetici considerevoli, dato che su entrambe verranno installati gli impianti fotovoltaici per l’approvvigionamento. Mentre portiamo a casa queste risorse, attendiamo fiduciosi l’istruttoria della Regione Sardegna sugli ulteriori undici bandi a cui abbiamo partecipato nelle scorse settimane.»

L’assessore ai Lavori pubblici Francesco Garau, spiega le lavorazioni previste: «Intanto, disponiamo per entrambi della progettazione esecutiva, pertanto gli uffici possono avviare le procedure di gara per l’affidamento dei lavori. Questo significa che i cantieri verranno avviati nel breve periodo. Quanto alle opere, semplificando prevediamo di raggiungere livelli elevati di efficientamento energetico, partendo dall’installazione degli impianti fotovoltaici per l’autoproduzione di energia, fino alla realizzazione del cappotto termico e la sostituzione degli infissi. E ancora, nuovi impianti di climatizzazione, ventilazione e di produzione di acqua calda. Tutto all’insegna del risparmio, della salvaguardia ambientale e dell’efficientamento».

Sono state premiate ieri, nella sala consiliare, a Carbonia, le società che hanno vinto i campionati provinciali di calcio 2024/2025, alla presenza del presidente regionale della Lega nazionale dilettanti, Gianni Cadoni, del delegato provinciale Renato Serra e dell’assessora dello Sport del comune di Carbonia, Giorgia Meli.

A ricevere i riconoscimenti, coppe e targhe, sono state: ASD Villaperuccio 2024, campione provinciale del girone A di Terza categoria; APD Carloforte Calcio, campione provinciale Allievi “Under 17”; APD Carloforte Calcio, campione provinciale Giovanissimi “Under 15”.

Coppa disciplina: Terza categoria, girone A, ASD Villaperuccio 2024; Campionato provinciale Allievi “Under 17” Polisportiva Villamassargia; Campionato provinciale Giovanissimi “Under 15” Iglesias Calcio.

Le vincenti della 61ª Coppa Santa Barbara, Iglesias Calcio, della 33ª Coppa Capodanno, Marco Cullurgioni Giba, e dell’attività di base, distintesi nelle categorie Esordienti, Pulcini, Piccoli amici e Primi calci, sono state premiate sui campi di gioco.

Nel corso della serata, è stato presentato anche il girone C del campionato di Terza categoria 2025/2026.

Vediamo l’intervista realizzata con il presidente regionale della Lega nazionale dilettanti, Gianni Cadoni.

Da qualche giorno il centro Dialisi di Iglesias ha a disposizione un nuovo ed importante strumento diagnostico: un bioimpedenziometro. In questo caso la lungimiranza diagnostica non è dovuta alla, purtroppo, carente presenza pubblica ma, in parte, alla solidarietà e alla generosità di comuni cittadini che si sono, è proprio il caso di dirlo, messi in gioco, ed in parte al sempre importante contributo di una associazione di volontariato.
L’antefatto. Tutto è partito dal Fantacalcio, un gioco sociale imperniato sul calcio, nel quale l’abilità consiste nell’organizzare e gestire squadre virtuali formate da calciatori reali scelti nei vari tornei nazionali ed internazionali. In Italia, secondo le statistiche, il gioco ha contagiato qualcosa come 6 milioni di appassionati del gioco del calcio. Alla fine dello scorso anno, a Iglesias, in uno di questi tornei, intitolato “I campioni della solidarietà”, si sono confrontati diversi amministratori locali pubblici, tra consiglieri comunali, regionali, assessori, e perfino sindaci del nostro territorio.
Ne è uscito vincitore l’ex assessore dei Lavori pubblici del comune di Iglesias Alberto Cacciarru totalizzando il punteggio maggiore, certamente per bravura ma anche con un pizzico di fortuna. Vincita resa pubblica a dicembre nell’ambito della manifestazione di solidarietà “Il Miracolo di Natale” 2024.
La donazione. L’ex assessore, a suo tempo, dichiarò di voler devolvere l’eventuale vincita del torneo all’A.N.E.D. Sardegna, Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto, la quale associazione avrebbe utilizzato la somma per l’acquisto di alcune pedaliere per favorire la fondamentale attività fisica dei dializzati. Questi gli accordi. Cosa che è realmente avvenuta con la donazione della vincita, pari a € 1.400, da parte degli organizzatori del Fantacalcio di Iglesias, Fabrizio Vinci ed Alessandro Floris, all’Aned Sardegna. A quel punto il segretario regionale dell’Aned Sardegna, Annibale Zucca, per non scontentare nessuno, decise di coinvolgere tutti i centri dialisi della Sardegna per fornire loro alcune di queste pedaliere che si sarebbero acquistate.
A tale richiesta, però, solo il centro dialisi di Alghero ha risposto positivamente al quesito di Annibale Zucca, ma solo dopo diversi mesi.
A caval donato… L’antico adagio è maestro di vita. Un regalo, si dice, non si rifiuta mai. Ed è proprio quello che è avvenuto. Infatti dopo circa sei mesi il buon Annibale Zucca, visti i silenzi immotivati dei centri dialisi della Sardegna interpellati per la donazione di alcune pedaliere, decide di restituire la somma avuta in donazione al legittimo benefattore, ossia il Fantacalcio di Iglesias.
Entra in gioco l’A.V.E.N.T.I. A questo punto, vista la situazione, gli organizzatori del Fantacalcio di Iglesias, in accordo con Cacciarru, prendono un’altra decisione: devolvere la vincita, nel frattempo nuovamente incamerata, all’associazione AVENTI, Associazione Volontari Emodializzati Nefropatici e Trapiantati, di Iglesias. L’associazione, attualmente presieduta da Anna Rita Pala, decide, senza indugio, di utilizzare la somma di € 1.400 per l’acquisto di uno strumento molto importante per il monitoraggio e la misurazione della composizione corporea, come la massa grassa, la massa magra, il livello di idratazione e, in generale, lo stato di salute. La somma donata, però, non è sufficiente per coprire la spesa. Quindi l’associazione prende un’altra, importante, decisione: aggiungere la differenza, circa € 2.300 per acquistare lo strumento diagnostico che dal 7 ottobre è in uso nel Centro Dialisi di Iglesias. Anche i pazienti, ovviamente, ringraziano.
Il Centro Dialisi di Alghero. Si dirà, però il Centro di Alghero ha risposto che accettava le pedaliere. «Ebbeneafferma Annibale Zucca -, a questo ci ha pensato l’Aned Nazionale, attualmente presieduta da Giuseppe Vanacore, a cui va il mio personale ringraziamento, per aver acquistato alcune pedaliere proprio per il Centro Dialisi di Alghero che, a suo tempo, ha accettato la nostra donazione. La mia più sincera riconoscenza, sia personale che come rappresentante Aned, va, ovviamente, anche ad Alberto Cacciarru, al Fantacalcio di Iglesias e all’Associazione A.V.E.N.T.I. di Iglesias.»
Insomma una storia a lieto fine dove, davvero, l’unione ha fatto la differenza, tra diverse anime, accomunate, però, da un sentimento profondo: la solidarietà verso i più bisognosi.

Nelle foto una parte del team medico e infermieristico del centro Dialisi di Iglesias, Annibale Zucca ed alcuni volontari con il nuovo strumento e Alberto Cacciarru. Nel video la pedaliera per i pazienti dializzati.

Carlo Martinelli

Il 7 ottobre scorso ha preso avvio il corso di formazione manageriale in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria per Direttori Generali degli Enti del Servizio Sanitario Regionale, promosso da ARES Sardegna e organizzato da Poliste Società Benefit B Corp, alla Ex Manifattura Tabacchi di Cagliari.
Il corso è rivolto all’acquisizione di competenze manageriali avanzate in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria ai sensi del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 e s.m.i.
Un percorso concentrato tra ottobre 2025 e marzo 2026, pensato per rafforzare la direzione strategica delle aziende sanitarie e il governo del sistema sanitario regionale: trasformare gli indirizzi regionali in obiettivi misurabili, guidare persone e processi in contesti complessi, valorizzare relazioni istituzionali e comunicazione, con attenzione a qualità, innovazione e sostenibilità organizzativa. Inquadrato nell’Accordo Stato-Regioni n. 79/CSR (2019), il percorso prevede il rilascio di attestazione conforme e si avvale del patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna.
Il percorso didattico del corso prevede 200 ore complessive, di cui 136 di attività formative in aula di tipo teorico e teorico-pratico con eventuali visite aziendali, 40 di attività di formazione a distanza (preferibilmente nelle aree Privacy, Anticorruzione e Trasparenza, Assistenza sanitaria nell’UE, Fondi Comunitari), 24 ore per il Project management e Project Work (16 oer di PM/PW e 8 ore di assistenza sul PW).
Poliste cura progettazione didattica, organizzazione e accompagnamento metodologico in aula e online, garantendo un ambiente di apprendimento rigoroso e concreto, orientato ai risultati e costruito per trasformare le sfide del sistema sanitario in leve di miglioramento organizzativo.
Questi i 30 partecipanti ammessi a frequentare il corso, provenienti da diverse Aziende Altana Mario Giovanni, Baccoli Alessandro ASL MEDIO CAMPIDANO, Biagini Marco AREUS, Boi Barbara AREUS, Borelli Gianluca ARNAS BROTZU, Cocco Cristian AOU CAGLIARI, Cossu Antonello ASL OGLIASTRA, Cuccuru Antonello ASL SULCIS IGLESIENTE, Galisai Marco ARES SARDEGNA, Manca Roberto Gino AOU SASSARI, Manutza Roberta AOU CAGLIARI, Marcia Stefano ASL CAGLIARI, Marinelli Cristiana ARNAS BROTZU, Mereu Eugenio ASL MEDIO CAMPIDANO, Muscas Rosalba ASL ORISTANO, Negri Annarosa ASL SASSARI, Oppo Massimiliano AREUS, Paffi Peppino ASL NUORO, Passetti Tiziana ASL OGLIASTRA, Pau Maria Milena ASL SULCIS IGLESIENTE, Pelagatti Carlo Loris ASL CAGLIARI, Pillai Federica IZS (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna) Pinna Raimondo ARNAS BROTZU, Piras Stefano RAS ASSESSORATO SANITA, Podda Antonello ARES Riu Cristian Filippo ASL SASSARI, Sau Stefano AREUS, Serra Paolo ARES, Tucconi Alessandro ASL SASSARI, Urrai Lorena Paola ASL OGLIASTRA.

In occasione dell’undicesima edizione delle Giornate Internazionali de I Parchi Letterari, la Fondazione Giuseppe Dessì di Villacidro propone un appuntamento dedicato alla scoperta dei luoghi e delle parole di Giuseppe Dessì, per rinnovare il legame tra territorio e letteratura.

L’iniziativa si terrà sabato 19 ottobre a Villacidro e si articolerà in due momenti principali: una passeggiata letteraria nei luoghi emblematici dello scrittore e, a seguire, un incontro con Pierluigi Vaccaneo, direttore della Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo.

Alle 16.30 prenderà il via la passeggiata letteraria con partenza da Casa Dessì (ritrovo alle 16.00). L’iniziativa, a cura di Veronica Murgia, sarà arricchita dalle letture della scrittrice Melania Muscas, tratte dal romanzo Paese d’ombre.

Il percorso urbano, della lunghezza di circa 2,5 km, toccherà alcuni luoghi simbolo della Villacidro dessiana: Piazza Frontera, Piazza Zampillo, Lavatoio Storico. Durante ogni tappa, le narrazioni si intrecceranno alle letture, per restituire al pubblico l’atmosfera letteraria e umana del “Paese d’ombre”.

Al termine della passeggiata, alle 18.00, a Casa Dessì, si terrà l’incontro con Pierluigi Vaccaneo, direttore della Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo.

Il Circolo del Partito Democratico e il Partito Progressista di Sant’Antioco hanno organizzato il convegno pubblico “Rilancio Sulcis Iglesiente – Obiettivo 2030”, dedicato ai temi dell’ambiente, delle bonifiche e dello sviluppo locale.
L’incontro si terrà venerdì 17 ottobre 2025, alle ore 17.30, presso la sala del Comando di Polizia locale, in via Iglesias 3 a Sant’Antioco.
L’iniziativa rappresenta il primo appuntamento di un ciclo di incontri pensati per avviare un confronto costruttivo sul futuro del territorio.
Obiettivo del convegno è promuovere il dialogo e la condivisione di idee per delineare strategie concrete di rilancio del Sulcis Iglesiente, grazie a proposte sostenibili e innovative di sviluppo territoriale.
Il dibattito sarà aperto al pubblico e vedrà la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni, esperti del settore ambientale e protagonisti del mondo economico e sociale locale.
Interverranno:
• Francesca Ghirra – Deputata, X Commissione Attività Produttive
• Emanuele Cani – Assessore Regionale all’Industria
• Rosanna Laconi – Assessora Regionale all’Ambiente
• Salvatore Mattana – Amministratore Unico IGEA
• Fausto Durante – Segretario Generale CGIL Sardegna
• Rolando Marroccu – Comitato Tecnico per la Transizione Sostenibile
• Graziano Bullegas – Presidente Regionale Italia Nostra
• Emanuele Madeddu – Segretario Generale FILCTEM CGIL Sardegna Sud Occidentale

Parteciperanno:
• Mauro Esu – Segretario PD Sulcis Iglesiente
• gli onorevoli Antonello Cabras e Luciano Uras
• Amministratori e consiglieri regionali del territorio.

 

«Una memoria impressa nell’identità di Villamassargia, con la rievocazione di antichi fasti descritti nella celebre opera firmata da Vittorio Angius che racconta di una fiera di quattro giorni, in grado di attrarre gente da tutta la Sardegna», ha dichiarato la sindaca Debora Porrà.
E così è stato: Villamassargia ha ritrovato la sua festa.
Dopo la spettacolare corsa dei Barberi svoltasi sabato, ieri traccas e trattori adornati a regola d’arte hanno scortato le statue della Madonna del Pilar e di San Ranieri e i gruppi folk provenienti da tutta l’isola che hanno riempito le vie del paese per la processione. Una folla di persone ha partecipato alle manifestazioni popolari e religiose, in occasione della festa della Madonna del Pilar e di San Ranieri di cui oggi, lunedì 13 ottobre, è la ricorrenza che conclude la manifestazione tornata a vivere dopo sessant’anni.
«Il legame dei massargesi con la Madonna del Pilar e San Ranieri, summa della nostra storiaha commentato la sindaca Debora Porràè un legame antico che si è rafforzato nel tempo e siamo davvero lieti di essere riusciti a riportare in paese questa viva testimonianza di storia e cultura sarda.»
Come in una cartolina d’autore, nella piazza, addobbata con bandierine multicolori, a richiamo della tradizione spagnola con cui la storia di Villamassargia si intreccia, si sono allineati i meravigliosi abiti dei gruppi Folk provenienti da Sassari (gruppo folk San Nicola); Assemini (associazione culturale gruppo folk di Assemini); Cabras (associazione culturale Folkloristica Sa Crabarissa); Tortolì (associazione Tradizioni Popolari Sant’Anna); Sanluri (gruppo Polifonico Folkloristico); Usini (gruppo folk San Giorgio); Burcei (associazione culturale Passu Antigu) e Nuoro (associazione gruppo folk Saludos Pro Loco). Ad aprire il corteo il gruppo folk Pilar di Villamassargia che con il presidente Luigi Usai ha affiancato il Comune, e in particolare l’assessorato alla Cultura di cui ha la delega Sara Cambula, nella organizzazione dell’evento, insieme al Comitato parrocchiale Madonna della Neve, Madonna del Pilar e San Ranieri.
Come sapientemente raccontato da Emanuele Garau, speaker d’eccezione della manifestazione, nella ricca e antica storia di Villamassargia non c’è solo la Spagna, ma anche Pisa. Alla messa, nella quale i fedeli, le autorità civili e religiose hanno accolto calorosamente il vescovo della diocesi di Iglesias mons. Mario Farci, ha partecipato, in rappresentanza del Priore, anche una delegazione proveniente da Pisa, di cui è patrono San Ranieri e al quale è stata dedicata la Luminara posta sulle facciate del Comune e della chiesa a lui originariamente intitolata durante la dominazione pisana.
Fuochi d’artificio, tanto buon cibo e musica hanno concluso un pomeriggio ricco di emozioni e devozione.
Il prossimo appuntamento è per sabato e domenica 18 e 19 ottobre con la Festa dessu Pilaieddu a S’Ortu Mannu, in coincidenza con la Sagra delle Olive per la quale  fervono già i tanti preparativi.
 

E’ stato presentato stamane, nella sala polifunzionale di piazza Roma, a Carbonia, l’evento “Carbonia Destination Hub – Valorizzare il presente, costruire il futuro”, in programma venerdì 17 ottobre, al Teatro Centrale di Carbonia.
Promosso dal comune di Carbonia e coordinato dall’associazione Extra, il progetto nasce per raccontare il percorso di crescita e di innovazione del territorio, e per condividere con cittadini, operatori, imprese e stakeholder le nuove sfide legate allo sviluppo turistico inclusivo e partecipato.
Durante la giornata, dalle 9.00 alle 18.30, saranno presentati i risultati raggiunti dall’amministrazione e le nuove iniziative in corso, con testimonianze, progetti e idee dedicati alla promozione di Carbonia ma anche alla cooperazione tra istituzioni, operatori e cittadini per uno sviluppo condiviso del territorio.
A seguire, dalle 18.30 alle 19.00, si terrà anche l’inaugurazione del nuovo Infopoint Turistico presso la Torre Civica di Piazza Roma, con visita guidata e taglio del nastro: un ulteriore passo avanti nella valorizzazione dell’accoglienza in città.
Il percorso proseguirà poi con Carbonia Destination Hub | Academy, un ciclo di 5 appuntamenti formativi presso il Co-Working Sebariu, dedicati agli operatori turistici e culturali del territorio.
Temi centrali: esperienze immersive, comunicazione digitale, posizionamento dell’offerta, costruzione di pacchetti e collaborazioni.
Carbonia Destination Hub è un progetto che guarda al futuro con fiducia, unendo amministrazione, comunità e operatori per fare della nostra città una destinazione accogliente e attrattiva orientata al mercato turistico attuale.
Allegate le interviste al sindaco di Carbonia, Pietro Morittu; all’assessore del Turismo, Michele Stivaletta; al presidente dell’associazione Extra, Maurizio Battelli.

Le mie riflessioni nel quadro dell’antropologia mineraria non possono prescindere da un asse, tematico e concettuale, che riguarda i saper fare minerari vitali. Tale asse s’inquadra nello sviluppo dell’antropologia mineraria, diventata vigorosamente specialistica soprattutto a partire dal 2003 con Ballard e Banks, le cui critiche alla precedente letteratura antropologica sul piano teorico e le cui proposte di rinnovamento nell’antropologia assumono il piglio di una complessiva svolta mineraria.
L’antropologia mineraria vive attualmente uno straordinario sviluppo scientifico in cui gli studi realizzati in Sardegna hanno acquisito importanti riconoscimenti: di essere pionieristici in Italia; di essere stati attenti alla formazione di soggetti autonomi tenendo conto dei generi che partecipano all’industrializzazione mineraria; di aver collocato gli studi minerari in una prospettiva di storici rischi che parlano ai rischi del presente.
Per quanto riguarda i rapporti tra i saper fare minerari e il vitale, tali rapporti si possono ricondurre, sul piano dell’antropologia filosofica, a quanto aveva scritto Husserl negli anni che vanno dal 1935 al 1937, quando aveva indicato la crisi dell’Europa e delle scienze europee nell’aver creato mondi di verità scientifica come scienze di fatti, avulsi dalle relazioni con il mondo della vita, con le forme di esistenza umana e con i soggetti che lottano per l’esistenza. I semi delle riflessioni sul mondo della vita si trovano in alcuni suoi scritti di ricerca degli anni Trenta, pubblicati in italiano nel 2025, dati i rinnovati interessi sui temi del vitale. In Francia, importante filosofo della vita fu Canguilhem che ne scrisse nel 1965 e fu maestro di Foucault il quale giunse poi a individuare i biopoteri. Nella cultura filosofica italiana, la questione delle forme di vita e dei modi di vita ha un filone di rilevante interesse che parte da Bruno e arriva a Gramsci. L’opzione gramsciana su pensiero e vita consente di comprendere un ambito di studi non limitatamente eurocentrici, data la diffusione e l’elaborazione del pensiero gramsciano sia in Oriente e sia in America Latina. Richiamo tre filoni di pensiero e tre paesi europei (Germania, Francia, Italia) in cui il vitale ha assunto rilevanza culturale, limitandomi a lasciare sullo sfondo tali concettuali nei quadri d’epoca in cui i saper fare minerari vitali possono mostrare particolare significatività.
Rapportando il vitale al culturale nel rapporto fra storia naturale e storia umana, e fra scienze naturali e scienze umane, pare necessario riprendere e mettere a fuoco ancor più l’esperienza dell’ominazione, dalla posizione eretta alla produzione dei ciottoli che diventano strumenti e poi strumenti per fare altri strumenti (metastrumenti). André Léroi-Gourhan, antropologo e archeologo francese, ne parla nella sua opera Il gesto e la parola (1964) a proposito dell’evoluzione tecnica nelle fasi in cui la specie umana non aveva ancora conquistato la completa padronanza tecnica e di linguaggio. Nelle vicende dell’homo sapiens, vissuto tra il 30.000 e l’8.000 prima della nostra era egli situa l’esperienza dell’industria litica, l’insieme della produzione di utensili di pietra costituito da arnesi da taglio destinati a tagliare, a grattare, a trafiggere. Si tratta del primo collegamento fra la specie umana e le risorse del sottosuolo. I primi tagli sono sommari.
Percuotendo perpendicolarmente la pietra si ottiene un’estremità tagliente, perfezionata con una serie di schegge supplementari sulle due facce della punta. A partire da questo utensile molto grossolano, troviamo l’amigdala, una sorta di coltello di pietra a forma di mandorla che subisce una lenta evoluzione, forse per quattrocentomila anni. Al termine della sua evoluzione l’amigdala è diventata una mandorla di selce, spessa ed equilibrata. Fra l’8000 e il 6000 prima della nostra era, le lavorazioni si specializzano e si afferma una tendenza verso la produzione di piccoli pezzi, verso un generale microlitismo, in cui la lama serve a sua volta a creare altri prodotti. La pietra grezza diventa chopper che è pietra tagliata e anche pietra tagliente per le macellazioni e per le produzioni delle pelli. Nel Neolitico l’esperienza dell’agricoltura presenta nuove necessità tecniche. L’accetta e l’ascia hanno bisogno di un peso elevato per le lavorazioni del terreno. Si realizza un’importante differenziazione dei prodotti nell’industria litica del Paleolitico superiore.
Nella storia della specie umana i Paleantropi presentano tecnici di valore, capaci di progettare e realizzare strumenti litici con precise forme e funzioni, abili nell’unire il mondo delle cose al mondo delle idee. Sul piano delle differenziazioni culturali nella specie umana, in Sardegna l’esperienza dell’antropologia mineraria più lontana, a partire dall’industria litica, deve affiancarsi alla paleontologia umana. Può giungere pertanto all’archeologia delle frecce di ossidiana, ripensando esperienze locali sia per la solidarietà del cibo condiviso e sia per le crudeltà delle guerre con altri esseri viventi, umani e non umani. I fatti e le tendenze tecniche delle estrazioni di pietra, anche a cielo aperto, appaiono fin dai primi passi dell’umanità strettamente connessi alla produzione di oggetti e insieme di modi di vita, o meglio di modi d vivere e di convivere con altri esseri vitali, umani e non umani. Il poter vivere e il poter far vivere appaiono come lunghi obiettivi di un cimento vitale a varie dimensioni e relazioni con sé stessi e con altri viventi: beni da acquisire in antagonismi e in solidarietà, ristrette o ampie.
Nell’antropologia mineraria della modernità industriale, la prima questione che si pone riguarda l’individuazione di saper fare minerari vitali i quali, distinguendosi dall’efficienza in tante attività lavorative, si caratterizzano per efficacia nel produrre vita in situazioni di rischio, istituendo specifici valori culturali vitali. Ne propongo, pertanto, una necessaria definizione che ritengo utile per definire il perimetro concettuale, epistemico e trasformativo, di questo contesto di ricerca e di documentazione. I saper fare minerari vitali si distinguono da altri ordinari saper fare tecnici in quanto il loro risultato, oltre l’efficienza tecnica estrattiva, garantisce un’efficacia che salvaguarda le persone protagoniste di azioni tecniche in particolari condizioni di rischio, assicurandone la vita.
I saper fare minerari vitali si individuano in un doppio registro produttivo, economico e vitale. Riguardano fatti e relazioni, azioni tecniche e discorsive con cui e in cui persone e gruppi, protagonisti in situazioni di rischio, realizzano e affermano nuove condizioni di vita sicura.
Costituiscono un filone portante dell’antropologia mineraria. Offrono modelli operativi creativi iì quali trasformano luoghi e spazi, territori e paesaggi, da mortali in vitali, da degenerativi in generativi, da depotenzianti in potenzianti. Concernono gli universali investimenti del corpo umano negli spazi e nelle occasioni di rischio. Riguardano le grandi opere infrastrutturali di ingegneri e tecnici, per esempio di aerazione di eduzione delle acque nelle miniere.
Nell’antropologia mineraria del quotidiano industriale toccano minatori e cernitrici, queste ultime non immuni dai rischi mortali di mine inesplose nei minerali grezzi di cernita.
La nozione di saper fare minerari vitali è ancorata ai rischi, nell’antropologia mineraria quotidiana dello spazio e del tempo industriale. Tale nozione coglie il doppio registro culturale delle tecniche estrattive e delle tecniche di vita, operanti in congiunzione e in congiuntura nelle attività volte alla sicurezza vitale. Tale nozione riguarda rischi di fragilità e di limitazioni di salute e di vita alimentare, sanitaria, di istruzione, i quali incombevano nella vita sociale mineraria sia sopra e sia sotto la terra, con particolari correlazioni secondo i luoghi e i tempi.
Delle tormentate condizioni di lavoro e di vita mineraria esiste un ampio repertorio poetico in lingua sarda, sia orale e sia scritta. La poetica popolare, nelle forme scritte documentate per le zone minerarie in Sardegna, è nota in Europa nelle edizioni storiche di fogli volanti e libriccini di letteratura ambulante, come letteratura di colportage o letteratura da muricciolo. Oltre i 14 componimenti inediti da me pubblicati (Atzeni 1978 e 1980), le poesie in fogli volanti sono interessanti per quantità e qualità. Se vogliamo evitare riferimenti che possono apparire limitatamente eurocentrici, possiamo riferirci alla poetica orale che ha diffusione nel mondo islamico dove ha affiancato la recitazione di versetti del Corano, nel mondo dei Beduini dell’Egitto e dei Berberi del Marocco. Il patrimonio poetico minerario è a tutt’oggi sottovalutato. Diversi anni fa offrii la mia raccolta di letteratura orale mineraria al Parco Geominerario che ignorò l’offerta, poi la donai al Museo della Grande Miniera di Serbariu dove è rimasta inerte perché non è stato richiamato all’attività il Comitato scientifico, nonostante le mie benevole e recenti sollecitazioni all’autorità competente. Ho accumulato anche un prezioso materiale di registrazioni sonore realizzato molti anni fa con persone anziane che risalivano indietro nei tempi delle loro esperienze minerarie. Non ho raccolto manifestazioni d’interesse da parte delle istituzioni neanche per questi documenti. I musei, minerari e rurali, senza un adeguato comitato scientifico che elevi i lavori delle cooperative, per quanto eccellenti data anche la presenza di allievi e allieve di antropologia, in tutta evidenza non pare possano raggiungere uno standard culturale nazionale e ancor meno europeo o internazionale.
Il considerevole patrimonio poetico minerario, trascritto e scritto, colpevolmente trascurato, può essere invece assai utile da molti punti di vista e in molti modi da puntualizzare. I testi possono essere informatizzati, organizzati e tematizzati ed esposti in varie mostre permanenti e temporanee, secondo repertori di fruizione attiva, di ricerca-azione non solo scientifica ma anche artistica. In particolare, i repertori di produzioni poetiche possono essere proposti sia in collegamento con le produzioni letterarie sulle miniere della Sardegna, sia per creare reti con i paesi di provenienza dei poeti di miniere, allargando la rete dei Comuni interessati alla valorizzazione di tale patrimonio culturale poetico minerario. Inoltre, la traduzione dal sardo in italiano e in lingue europee di selezionate strofe delle poetiche minerarie può favorire nuovi scambi culturali creativi fra i giovani, e perfino innovative forme di turismo scolastico e familiare, europeo e non solo. I due versanti di iniziative, quello poetico e quello delle interviste, consentirebbero di attestare ulteriormente la ricchezza del patrimonio culturale minerario e di presentarlo maggiormente qualificato nelle occasioni di riconoscimenti internazionali.
I complessivi saper fare minerari vitali emergono con una portata transdisciplinare, come unitaria linea operativa e cooperativa. Questa è la prima questione importante che voglio porre sul piano scientifico e istituzionale.
La seconda questione che vorrei sollevare concerne la rilevanza degli spazi e dei paesaggi nell’antropologia mineraria. Noto subito che la documentazione e l’analisi dell’esperienza mineraria in ambiti spaziali e paesaggistici non può essere ridotta, per l’antropologia mineraria, a quanto delle esperienze passate rimane in luce e in superficie, palese e visibile, oggettualizzato e monumentalizzato, in rispondenza a una prevalente cultura architettonica. Certe monumentalizzazioni, con tutta la loro rilevanza, possono infatti rimanere disarticolate da certe opere di edilizia minore che, nella scala della quotidianità dell’antropologia mineraria, storicamente favorivano esistenze vitali individuali e comuni, mentre offrivano punti abitativi o di destinazione, con percorsi socialmente aggreganti. Un esempio vistoso di edilizia minore sistematicamente sottovalutata, o negletta rispetto ad altre opere edilizie nel patrimonio culturale minerario, è rappresentato dalle cantine, aziendali e non solo. Poco importarti dal punto di vista della cultura architettonica, hanno invece un rilievo non trascurabile per gli approvvigionamenti dei generi di prima necessità nelle reti di relazioni vitali e sociali, nei quadri d’epoca dell’antropologia mineraria.
Spazi e paesaggi, lavorativi e abitativi, esigono di essere assunti propriamente come contesti sia naturali e sia culturali, umanizzati e temporalizzati variamente e storicamente nei percorsi delle persone umane e dei loro corpi. I percorsi umani della storica vita mineraria, sotto e sopra la terra, richiedono primariamente di essere resi visibili e noti nella loro duplice correlazione per le esperienze di vita e per la vita, sopra e sotto la terra unitariamente. Nelle esperienze della Sardegna, la tesi qui prospettata di duplicità spaziale dei paesaggi minerari implica un’affermazione di rilevante portata. Si tratta di una imprescindibile correlazione, non di una semplice giustapposizione fra il sopra e il sotto della terra, in cui avvennero le umane esperienze minerarie vitali. Tali duplici e correlate realtà dello spazio minerario riguardano luoghi e tempi nei modi di farsi umani autonomamente, per dirla un po’ nel solco dell’antropologia dello spazio di Choay (2006).
In terza battuta la questione da approfondire attiene ai beni, detti materiali e immateriali, del patrimonio culturale minerario. I saper fare minerari vitali sono beni culturali particolari e particolarizzanti, creativi e inventivi. Mettono in vista modelli culturali operativi, nuovi e unici, di problem solving. Dal disgaggio delle rocce instabili al sistematico posizionamento delle mine secondo le tipologie delle rocce, i saper fare vitali risolvono rischi vitali e assicurano spazi e tempi lavorativi, potenzialmente mortiferi, trasformati in spazi e tempi assicurati per la vita. Ogni trasformazione di rischio mortale minerario, diventata creazione di ambiente vitale nella quotidianità lavorativa, si presenta come novum e unicum congiunti. La modifica vitale emerge come congiunzione inedita e temporalizzante, che fa storie e Storia. Inoltre, appare umanamente aperta a nuove sperimentazioni innovative di prove vitali e securitarie. Si tratta di esercizi vitali ogni volta sperimentabili, comunicabili e trasmissibili per principi finalizzanti il vitale come novum e unicum, ma non sono replicabili e trasmissibili per algoritmi, in sequenze e modalità fissistiche.
Le pratiche degli storici saper fare minerari vitali, oltre gli spazi e i tempi lavorativi securizzati, creavano persone abili a dare vita e a fare vita, con e nei lavori minerari. Nelle storiche miniere della Sardegna avvenivano esercizi di produzioni di vita e di produzione di sé che qualificavano le persone in quanto donatrici di vita a sé e agli altri. Erano produzioni di soggetti assoggettati che diventavano nuovi e autonomi, maggiormente abili rispetto a ciò che erano prima di cimentarsi efficacemente nel governo dei rischi.
Nell’antropologia mineraria ogni trasmutazione dei rischi in inventiva produzione di vita, autonomamente securizzata da lavoratori e lavoratrici per essere condivisa democraticamente, presenta caratteri di innovatività e di unicità come personale opera d’arte, d’arte di vita. Tale trasmutazione espone caratteri esclusivi che risolvono rischi di salute e di vita, senza suscitare una riproducibilità identica e di tipo seriale. Costituisce, di volta in volta, veri capolavori in quanto saggi di abilità professionale, nella cultura mineraria, specialmente popolare. Tali pratiche estrattive- vitali, produttive congiuntamente di minerali e di vita in situazioni con alti coefficienti di rischio, e di persone abili nel governare i rischi, hanno svolgimenti e pratiche materiali, unite a contenuti di pensiero intenzionale, progettuale, ideale. Il patrimonio culturale minerario assunto nell’antropologia mineraria è pertanto affermato nella sua doppia componente culturale, materiale e immateriale, nel solco di Godelier (1984). I saper fare minerari vitali, come pensieri in atto per dirla con Gramsci, sono materiali e immateriali insieme.
Complessivamente, il patrimonio culturale minerario dei saper fare minerari vitali, in quanto storico, non è fissista ma mobile. Il patrimonio culturale fissista si sottrae alla storicità dei cambiamenti, tramandandosi semplicemente e affermando esclusivamente la propria identica continuità. Invece, le soluzioni sicuritarie prodotte dai saper vivere minerari vitali sono mobili negli spazi e nei tempi, unite solo dal carattere dell’intenzionalità vitale.
I saper fare minerari vitali, pratici e di pensieri in atto, beni materiali ed insieme immateriali, incrociano la questione delle varie temporalità minerarie che addensa elementi di un quarto punto analitico, in realtà di primaria importanza. D’angelo e Pijpers nel 2018 usarono l’espressione temporalità minerarie, mining temporalities, per sottolineare come le risorse estrattive possono essere capite in un complesso di multiple temporalità e durate, ritmi e cicli, con differenti velocità, intensità, estensioni che diversi protagonisti cercano di conoscere e di manipolare, di sincronizzare e di de-sincronizzare, in linea con contingenti e spesso conflittuali interessi strategici. Essi sostennero, assai opportunamente, che gli ordini temporali sono costruiti socialmente e culturalmente, nei contesti economici e politici. Nella concezione di temporalità multiple, i protagonisti lavorano per stabilire o mantenere specifici regimi temporali minerari: ritmi di produzione, livelli temporali di lavoro e di vita, contesti temporali pratici e narrativi, percezioni e rappresentazioni temporali, discorsi e politiche del tempo.
Dai visuali spaziali ai visuali temporali, from landscapes to timescapes, le temporalità comprendono attività e corpi con le loro materializzazioni del tempo e con implicazioni di storicità che interessano passato, presente e futuro. Le temporalità minerarie toccano inuguaglianze di poteri temporali nelle politiche del tempo minerario, costruite e negoziate nei divergenti interessi dei protagonisti. Le politiche del tempo mostrano diverse facce nei casi presentati. Gli esempi più significativi di temporalità minerarie in drammatici conflitti nel corso delle storiche esperienze minerarie della Sardegna riguardano sia la riduzione del tempo di riposo a Buggerru nel 1904, sia le accelerazioni di lavoro diffusamente imposte con vari cottimi, e particolarmente con il sistema tayloristico Bedaux di matrice americana, specialmente dagli anni Trenta del Novecento.
Le storiche temporalità minerarie vincolano il presente, esigendo interventi attuali con coerenze, anche stilistiche, adeguate ai contesti storici pertinenti. Per esempio, non si possono usare tipi di lampioni da parco urbano contemporaneo che, per quanto pregevoli, non risultino possedere forme compatibili con certi contesti storici minerari. Occorrerebbe un serio e coraggioso inventario di quanto qualifica o squalifica il livello di ciò che è stato realizzato negli interventi culturali sui contesti minerari, per rimuovere e correggere gli errori più vistosi.
La nozione delle temporalità minerarie risulta assai efficace per le analisi e per le scoperte scientifiche, euristicamente. Consente di vedere e di capire tempi fratturati e complessi, di individuare soggetti in divenire e in cambiamento. Ciò può accadere attraverso particolari incontri minerari, come quelli sostenuti da Pijpers ed Eriksen nel 2019.
Gli incontri minerari tematizzano una quinta questione di antropologia mineraria, in quanto incontri che avvengono anche nello spoglio documentario. Nei casi studiati in Sardegna si incontrano informatori che rappresentano alcuni ceti dominanti. Essi offrono dal loro punto di vista preziose informazioni sul processo di industrializzazione mineraria nell’Isola con elitari modi discorsivi. Sono modi tecnici come fa l’ingegner Goüin per la mostra universale del 1867; modi istituzionali e propositivi come il deputato Sella nella sua inchiesta del 1871; modi imprenditoriali e propagandistici, come fa la mineraria Société Malfidano per la mostra universale del 1878. Le loro informazioni marcano la temporalità mineraria della seconda metà dell’Ottocento in Sardegna. Si situano in un insieme di vicende i cui protagonisti, da titolari di permessi di ricerca, diventano concessionari di permessi di estrazione.
Il passaggio dalla temporalità del regime permissorio a quella del regime concessorio introduce una nuova fase di insediamenti aziendali e societari minerari, italiani ed europei in Sardegna. Le attività delle aziende minerarie, con i loro passaggi e paesaggi umani, costituiscono un novum e unicum culturale in differenti scale spaziali temporalizzate. Nei discorsi dominanti compare, accanto ai migliori Piemontesi e Bergamaschi, la manodopera «indigena», che durante la temporalità della sua formazione industriale è abbondante e docile.
Entriamo invece nel vivo dei conflitti minerari facendo un sesto passo nelle conflittuali temporalità del Novecento minerario. I ceti subalterni si differenziano e si staccano dai ceti dominanti promuovendo nuove esperienze nelle loro relazioni di lavoro e di vita. Si confrontano e criticano, imputano e rivendicano, chiedono e propongono, progettano e manifestano pubblicamente. Subiscono e nel contempo agiscono autonomamente, trasmutandosi in figure culturali bifacciali. Si muovono facendosi gruppi e cortei, dicendosi un ‘noi’ e divenendo un noi minerario di contrattazione, per creare nuovi tempi di condizioni e di relazioni umane minerarie vitali condivise. Pur con certi limiti, quelle lotte furono cruciali esperienze culturali vitali, per poter vivere ma anche di saper vivere, per trasformare i limiti di salute subiti in diritti universali alla vita.
Il passaggio temporale che segna il cambiamento di masse amorfe, frammentate e disperse, che divengono i ‘noi’ conflittuali e in espansione, emergenti in superficie nelle miniere, nei paesi e nelle città minerarie, marca il Novecento a lungo agitato in vari casi e in vari centri della Sardegna.
La costellazione di casi che illustra i saper vivere minerari esercitati in Sardegna si manifesta assai prima del Novecento. Prende avvio, infatti, dall’urbanità mineraria medioevale di Iglesias. Si realizza con la magistratura dei Maestri del Monte per sanare contenziosi e conflitti, con le norme dei soccorsi nei rischi minerari e con le loro inappellabili parole sentenziali: inappellabilità come novum e unicum rispetto ad altri statuti comunali e allo stesso codice di Massa. Iglesias, esempio illustre nel panorama minerario italiano del suo tempo, è seguita da altri casi localizzati e temporalizzati di saper fare minerari vitali ben praticati nell’Isola. Nel Novecento emergono nuovi fatti, nuovi centri e nuovi protagonisti. Guspini nel 1903 con la creazione di ‘noi’ aggreganti e mobilitanti protagonisti nello sciopero e nella stampa locale. Buggerru nel 1904 e nel 1908 con minatori che s’impegnano per la produzione di diritti umani, anticipando di 40 anni la dichiarazione internazionale del 1948. Gonnesa nel 1906 con la marcia della popolazione nei centri vicini fino Barega, dove furono fermati dalle forze dell’ordine, per estendere nel territorio le alleanze popolari nelle lotte per poter vivere. Carbonia dal 1938 per l’antifascismo diffuso e rivolto alla rigenerazione urbana, per gli impegni democratici verso le periferie nella seconda metà degli anni Settanta con l’istituzione politica delle Circoscrizioni Comunali. Silius dal dopoguerra per l’estensione del saper fare tecnico minerario in altri settori produttivi di vita. Gadoni dal dopoguerra per la capacità di creare amicizie democratiche, che innovavano il tradizionale codice barbaricino, a partire dalle autonome condotte d’amicizia onorevole, promosse nelle solidarietà minerarie. Lula per le opposizioni contro le autorità ingiustamente impositive, anche quando femminili.
I territori del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, del Sarrabus-Gerrei, della Barbagia, offrono una variegata costellazione di casi in cui si realizzano saper fare minerari vitali con caratteristiche di novum e di unicum di straordinario interesse antropologico. Presentano, a ben vedere, anche obiettivi di diritti culturali non raggiunti o aggirati, traditi o ridimensionati, vanificati o ignorati. Tuttavia, il percorso culturale delle masse minerarie subalterne del Novecento dalle sottomissioni subite alle affermazioni della propria autonomia è di straordinaria rilevanza antropologica. Fatti, discorsi, relazioni, indicano formazioni di gruppi e di movimenti che diventano soggetti collettivi di rappresentanza democratica nei conflitti vitali. Tali soggetti, individualmente e collettivamente, costituiscono un preziosissimo e inestimabile patrimonio culturale di sperimentazioni, localizzate e temporalizzate, che offrono sapienti realizzazioni del fare vita e del fare umanità democraticamente condivisa, insieme alle produzioni di minerali. Donano sperimentati esercizi del saper vivere e del saper far vivere creando un comune orizzonte democratico di condivisione vitale. Si tratta di una particolare rete di unità culturale che lega persone e gruppi che, perfino quando sconfitti nelle controversie democratiche delle storiche esperienze minerarie, sanno parlare nei rischi e nei conflitti vitali del presente. Tali esperienze attraversano il cruciale tema gramsciano delle masse disperse e inerti che si fanno gruppi e movimenti autonomi di emancipazione e di liberazione. Siamo di fronte a un tema che registra un rinnovato interesse di studio nell’attualità con le sue contrastate crisi frammentarie e divisive, come indica gramscianamente Chalcraft (2025).
L’autonoma capacità di farsi umani, scientificamente detta autopoiesi, in miniera aveva una forma assai differente dalle esperienze riferite da Remotti (2013). In miniera la trasformazione di sé era connessa a quella di vari luoghi e relazioni, secondo differenti livelli della produzione di sicurezza vitale. Tale configurazione costituisce il settimo passo dei saper fare minerari vitali.

Trasformando vari luoghi e relazioni a differenti scale di rischio in varie temporalità minerarie, appare come un patrimonio di sperimentazione per nuove territorializzazioni. Pertanto, possono apparire realistiche eterotopie, cioè cambiamenti di luoghi e territori, capaci di suscitare nuove soggettivazioni, nuove umanizzazioni, nuova umanità
Un innovativo eco-territorialismo e un neo-patrimonialismo, entrambi minerari e vitali, possono essere realizzati da nuovi e innovativi saper fare minerari vitali per praticare soluzioni dei danni ambientali minerari e industriali. Bonifiche, rigenerazioni e riabilitazioni territoriali e ambientali possono suscitare nuovi paesaggi vitalmente securizzati e volti al futuro con un’ampia creatività di benessere vitale condiviso, a partire dai corpi e dalle persone. Queste ultime possono assumere nuovo valore, partecipando a innovative soluzioni dei storici rischi territoriali, diventando soggetti capaci di trasformare luoghi malsani rendendoli vitali, e nel contempo modificando e abilitando sé stesse.
I moti emancipativi del primo Novecento presero avvio dalle penurie di cibo connesse ai salari insufficienti per garantire minimi vitali alle persone e ai loro corpi, in tempi in cui il difficile poter vivere costituì una specifica soglia di intollerabilità, sia fisica e sia culturale.
Era un mondo che diventava teatro di eccezionali violenze ed eccidi: lo sciopero e l’eccidio di Buggerru del 1904 con 4 morti; quello di Gonnesa del 1906 con tre morti fra Gonnesa e Nebida, in cui perse la vita una popolana, Federica Pilloni; i fatti di Iglesias nel 1911 con sette minatori uccisi. Nell’arco di sette anni si contano 14 morti, minatori e persone del popolo. A tali violenze si aggiungono, a marcare le temporalità delle morti sul lavoro fino al fascismo, 649 morti in Sardegna, comprendendo poi la modernità di Carbonia se ne contano lì almeno atri 312, secondo le preziose rilevazioni dell’Associazione Minatori e Memoria. I morti in miniera parlavano in quei tempi e parlano al drammatico presente dei morti sul lavoro. Hanno temporalità multiple che giungono all’oggi.
Operai e operaie erano vincolati in un sistema di consumi, organizzato dalle stesse aziende minerarie, imperniato su aziendali cantine privilegiate dove si acquistava con buoni o con moneta aziendali. Tale sistema aziendale aveva una genealogia culturale di riferimento inglese, nota come truck-system. Su Bacu Abis, nel corso degli interrogatori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta nel 1908, un operaio fornì un esemplare di ghignone, il buono emesso dall’azienda con funzione monetaria nella cantina aziendale. Succedanei a Carbonia ne furono, durante il dopoguerra, i cosiddetti ‘boni fidus’. Nel sistema aziendale di monopolio del commercio minuto i viveri erano più cari, i generi scadenti e la circolazione monetaria avveniva con collaterali sistemi di prestiti ad altissimi tassi d’interesse, che erodevano i salari già insufficienti per vivere. Alcuni storici chiamarono “battaglie per il pane” i vari moti rivendicativi di quei tempi, altri li identificarono come “lotte salariali”. In uno schema evolutivo, quelle prime esperienze contestative e rivendicative dei movimenti operai sono state considerate deboli perché precedevano l’azione dei sindacati e dei partiti. In realtà cominciavano a sorgere le Leghe operaie e il partito socialista si muoveva già nelle zone minerarie dell’Isola e fra i battellieri di Carloforte.
Le lotte del primo Novecento, a ben vedere, furono collettive azioni vitali. Operai e operaie collegavano concettualmente le penurie di cibo e i difficili accessi al cibo sia agli alti prezzi dei generi di prima necessità e sia alla esiguità dei salari. Le loro ripetute richieste di un minimo salariale garantito documentano il legame stabilito, in quei luoghi e in quei tempi, fra salario e vita.
Quelle lotte salariali si situano nei movimenti storici per il diritto alla vita e in un arco rivendicativo e affermativo di diritti umani che anticipa penurie e crisi dell’attuale modernità. Visti con lenti gramsciane quei movimenti mostrano ancor di più. Presentano il passaggio di masse passive e dominate che divengono masse attive e autonomamente emancipative. Indicano la formazione di raggruppamenti, di movimenti e di consensi in espansione rivendicativa di diritti vitali durante contrasti aziendali e istituzionali, sia a livelli locali e sia a livelli territoriali più ampi, fino al territorio nazionale. Segnalano soggettivazioni collettive di gruppi e movimenti. Designano nuovi soggetti in formazione culturale e sociale.
Il percorso concettuale che ho prospettato è partito dalla prima questione dei saper fare minerari vitali come asse transdisciplinare. La seconda questione ha messo in luce la correlata duplicità dei paesaggi minerari sopra e sotto la terra e l’ineludibile importanza di certa edilizia minore nei paesaggi minerari. La terza tappa ha indicato nel patrimonio minerario caratteristiche congiunte di elementi materiali e immateriali. Il quarto punto ha riguardato le multiple temporalità minerarie e i conflitti per il governo democratico del tempo di lavoro e di vita. Il quinto passo ha toccato l’incontro con le élite minerarie, i loro discorsi e le loro informazioni. Il sesto tema ha interessato i conflitti minerari del Novecento e il loro carattere anticipatorio di modernità culturale democratica nell’orizzonte dei diritti umani. Il settimo ha riguardato la formazione di soggetti autonomi, le soggettivazioni individuali e collettive durante le sottomissioni. L’ottavo argomento parte dai soggetti del Novecento per sollecitare la formazione di nuovi soggetti produttori di vita nei territori minerari inquinati del 2000. Giunge agli attuali lasciti del malsano minerario e all’esigenza di una complessiva rivitalizzazione di luoghi e persone, in nuovi territori e paesaggi per farli diventare salutari.

Considerazioni provvisorie
Nelle temporalità di quest’epoca di de-territorializzazioni, favorite anche dalla rivoluzione informatica, un patrimonio di storiche umanizzazioni minerarie di grande rilevanza dal punto di vista antropologico e culturale è disponibile per incitare a dare nuovo senso culturale e antropologico agli storici territori minerari, investiti da nuovi rischi dopo le dismissioni estrattive. Il patrimonio degli storici saper fare minerai vitali incoraggia a trasformare gli storici territori minerari inquinati con innovative pratiche, capaci di fare e dare nuova vita durevole e democraticamente condivisa agli spazi industriali dismessi. Tale storico patrimonio culturale minerario giunge ora fino alla nostra contemporaneità. Costituisce un innovativo e originale lascito patrimoniale culturale, sostenuto da storici impegni vitali che toccano unitariamente i generi e il genere umano.
Il lascito dello storico patrimonio culturale dei saper fare minerari vitali, esercitati quotidianamente e diffusamente dai ceti subalterni nelle storiche miniere attive, si unisce nella contemporaneità a un’altra imponente eredità proveniente dalle aziende minerarie, private e pubbliche. L’eredità, incombente e onerosa, è costituita da discariche e da rischi ambientali, monumentali o impercettibili. Gli aspetti socio-tecnici della storica esperienza mineraria anticipavano rischi vitali i quali, con fenomeni e forme differenti, indicavano oscurità del presente.
Il complessivo lascito ambientale di storico malsano minerario s’intreccia, nel presente delle storiche comunità estrattive, anche con i rischi economici e sociali di una complessiva e dominante de-industrializzazione dei territori minerari. È accompagnata dalle fragilità storiche della generale mancata integrazione industriale delle zone agricole, interne o limitrofe agli storici territori minerari. S’intreccia anche con le emigrazioni giovanili e con gli spopolamenti che invecchiano, incupiscono e spengono centri minerari e produzioni culturali territoriali.
Urgono, in tutta evidenza, nuovi impegni innovativi e creativi di altissimo profilo culturale, con inedite e onorevoli qualità di novum e di unicum per realizzare nuove temporalità vitali, durevoli e democraticamente condivise, nei rischi e nelle fragilità del presente e del futuro negli storici centri e territori minerari della Sardegna. Urge un nuovo patto fra discipline scientifiche e fra queste e le istituzioni.
Nell’incombente de-territorializzazione appare necessario, nei centri minerari connessi a scala zonale e regionale, creare un’estesa dimensione territoriale di creativi cambiamenti vitali di nuovo benessere eco-territorializzato e soggettivizzante. Tale impegno diffuso e unitario pare ineludibile per la produzione di nuovi paesaggi capaci di esibire inedite estetiche paesaggistiche: nuove armonie di rigenerazioni che contengono il malsano storico, bonificato e risanato, malsano sostituito con inediti saper fare minerari vitali, scientifici e innovativi, capaci di rigenerazioni vitali spaziali e temporali degli storici territori minerari inquinati. Estetiche di nuovi esercizi di umanità che diventa accudente creando nuove temporalità, inclusive di nuove relazioni vitali tra territori e paesaggi, fra corpi e paesaggi, fra vite e paesaggi.
La produzione di nuovi territori e paesaggi vitali implica un importante cambiamento del ruolo e dello statuto culturale delle persone stesse, residenti o non residenti, che frequentano i territori minerari come territori d’affezione e di cura, impegnandosi in vari modi per renderli rigenerativi di vita. Pensiamo alle varie forme di riuso scientifico dei siti minerari, per esempio a Gonnesa e a Lula, in cui sono state dismesse le attività estrattive e in cui le duplici relazioni fra il sotto e il sopra della terra, con nuovi passaggi e paesaggi, segnano tempi di metamorfosi culturali e antropologiche nell’antropologia mineraria della contemporaneità.
Il turismo culturale, rigenerativo sul piano delle conoscenze e delle esperienze in sito, potrà assumere una nuova dimensione con la realizzazione di un innovativo modello sanitario che caratterizzi i centri minerari per una specifica connessione con i diritti alla vita attraverso la prevenzione dei rischi di salute che toccano non solo gli abitanti, ma anche la salute delle persone ospitate nei soggiorni turistici.
Nuovi impegni, di alto profilo scientifico e istituzionale democraticamente partecipato, possono essere realizzati nel solco culturale dei saper fare minerari vitali traducendone il senso, i principi, la democratica intenzionalità vitale. In tali modi potremo presentarci per nuovi riconoscimenti di valore, anche internazionali, per qualificare ampiamente il patrimonio antropologico e culturale del mundus e del tempus minerario, umanizzante in modi durevoli e democraticamente condivisi, che dalla Sardegna si volge all’Umanità.

Paola Atzeni

* Questo testo costituisce la conclusione delle mie riflessioni che compongono la prima parte di un Dossier di Antropologia Mineraria, attualmente in gestazione, che probabilmente uscirà in forma iniziale di pre-print. Una sintesi di questo scritto è stata presentata in occasione del Convegno su I valori del Patrimonio storico minerario della Sardegna per il mondo, tenutosi il 2 settembre 2025 a Carbonia. Si offre qui una parziale anticipazione del testo complessivo per favorire conoscenze, ampliamenti di riflessioni e impegni che possano diventare diffusamente molecolari nei territori minerari.

Si terrà il 17 ottobre, alle ore 11.00, presso il parco di S’Ortu Mannu a Villamassargia, l’evento finale della prima annualità del progetto “Three: Open Space Activities for Children, Families and Teachers”. Sarà l’occasione per condividere i risultati con la cittadinanza e presentare il Patto Educativo di Comunità, un documento condiviso dai partner e aperto alla collaborazione di ulteriori associazioni e enti, con il fine di avere un quadro di principi condivisi volti alla promozione dei diritti e delle opportunità formative e culturali per tutti i minori del territorio.
Il progetto “Three: Open Space Activities for Children, Families and Teachers” – ideato dall’associazione Elda Mazzocchi Scarzella e dedicato ai minori delle scuole materne, elementari e medie – è sostenuto dalla  Fondazione di Sardegna, attraverso il Bando Scuola, edizione 2024 e ha come obiettivo generale la promozione delle attività didattiche all’aria aperta, attraverso la valorizzazione delle peculiarità naturalistiche e produttive dei tre comuni interessati Villamassargia, Musei e Domusnovas.
Le attività, partite il mese di ottobre 2024,  si sono alternate tra uscite didattiche, laboratori musicali, incontri con professionisti del mondo dello sport e della cultura, appuntamenti formativi per famiglie e docenti.
Cuore del progetto sono state le attività di orientamento precoce, con vari professionisti e docenti universitari delle materie STEM, che hanno incontrato i bambini e le bambine, raccontando il loro percorso formativo e lavorativo e proponendo dei laboratori pratici. A titolo di esempio a seguito dell’incontro con l’architetto è stato organizzato un laboratorio di progettazione urbana, mentre grazie all’incontro con l’agronomo i minori si sono sperimentati nell’ideazione di un’impresa agricola.
Tra i partner del progetto anche l’Università degli Studi di Cagliari, che a seguito della firma del protocollo di intesa tra il dipartimento di Pedagogia, psicologia, filosofia e la capofila l’associazione Elda Mazzocchi Scarzella, ha promosso la visita dei bambini e delle bambine in rettorato, lo scorso luglio. Afferma la prof.ssa Gola coordinatrice del Dipartimento: «I bambini e le bambine hanno avuto modo di dialogare con il rettore e di visitare le stanze del palazzo Belgrano con delle guide molto speciali. Un incontro che ci ha fatto capire ancora di più quanto sia importante anticipare le attività di orientamento all’età infantile».
 A seguito di questa proficua collaborazione, l’obiettivo per la prossima annualità è l’ideazione della guida universitaria a misura di bambino/a.
Sono partner del progetto: I comuni di Musei, Domusnovas e Villamassargia, L’Istituto Comprensivo F.Meloni, L’I.P.A.A Villamassargia, La cooperativa sociale “Le Api”, la Banda Musicale P.Mascagni di Domusnovas, Il Consorzio Natura Viva Sardegna, La vibraf, I Thurpos, l’Associazione Rete Donne Musei.