28 March, 2024
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I nostri Ospedali sono in stato di solitudine. Molti cittadini del Sulcis Iglesiente stanno perdendo il diritto a godere dei “Livelli Essenziali di Assistenza”.

Leggendo i titoli di apertura dei giornali di queste settimane si ha la sensazione che la storia, non solo quella sanitaria contemporanea, vada proprio male. Oltre alla vicenda della Salute pubblica ci angoscia la questione della guerra, dell’approvvigionamento di gas e benzina, del grano, e della corsa dell’inflazione. In realtà la Storia non è impazzita, è solo un “Sistema Complesso”, apparentemente caotico.

Il professor Giorgio Parisi ha meritato il Nobel della Fisica, dimostrando che anche il “caos” ha un suo ordine prevedibile nella ripetizione delle sue imprevedibilità. Noi ci siamo dentro.

Se osserviamo, nella storia dell’ultimo secolo, come si sono sviluppati i servizi sanitari locali del Sulcis Iglesiente ci accorgiamo che tra guerre, spopolamenti, epidemie, inflazioni, sconvolgimenti politici, la nostra storia sanitaria ha un suo percorso logico. Storicamente il Sulcis Iglesiente non ha mai avuto una sua Sanità ospedaliera. Questa è stata un miracolo sociale nato nel ventesimo secolo, e oggi è insensato pensare di perderla. Sappiamo che nell’anno 1904 esisteva un ospedaletto a Buggerru, voluto dalle Società minerarie francesi, per curare gli operai sardi vittime di incidenti in galleria. Allora esisteva anche un ospedale un po’ più attrezzato ad Iglesias. Carbonia non esisteva ancora. L’unico ospedale degno di questo nome si trovava a Cagliari: il San Giovanni di Dio. Era lontanissimo, e le strade per arrivarci erano adatte ai carri trainati da animali. I treni comparvero dopo. Erano anni in cui l’assistenza sanitaria si limitava a legare i “matti”, a isolare i lebbrosi, ad amputare gli arti, a raddrizzare le ossa ai fratturati, e basta. Non esisteva la chirurgia ginecologica, e la chirurgia ostetrica si limitava al cesareo a ”mamma morta”. Le donne del Sulcis che avevano un parto difficile dovevano morire in casa, col bambino dentro, consolate dall’affetto dei parenti. La comparsa degli ospedali di Iglesias e di Carbonia fu un improvviso miracolo della storia.

Quegli ospedali non sorsero per noi. Sorsero per una combinazione di interessi. Furono il risultato di una trattativa della Storia: Sulcis vs/ Stato italiano. Il Sulcis voleva lavoro e servizi, e lo Stato voleva il sottosuolo del Sulcis. Il cuore dello Stato cominciò a battere per il Sulcis quando si scoprì che qui c’era il carbone. Eravamo entrati nell’era dei combustibili fossili. Vi eravamo entrati già nel 1800, però l’importanza del carbone arrivò ai vertici della classifica quando, nel corso della Prima Guerra Mondiale, si capì che l’avrebbe vinta chi aveva più benzina per i mezzi corazzati. Nel 1918, in piena offensiva tedesca, la società petrolifera americana Standard Oil interruppe le sue consegne di carburante alle parti in conflitto. La Germania per un po’ ebbe la meglio perché dall’anno 1913 aveva iniziato a produrre benzina sintetica estratta dal carbone. Poi le cose si invertirono quando gli americani intervennero portando la loro benzina estratta dal petrolio. Questo fatto costrinse i futuri protagonisti della Seconda Guerra Mondiale ad ideare possibili alternative alla benzina estratta dal petrolio. Era chiaro che da allora in poi tutti gli scontri bellici sarebbero stati decisi, soprattutto, dalla disponibilità di fonti di combustibili fossili e quindi dall’approvvigionamento di benzina e gasolio.

Nell’intervallo fra le due guerre le nazioni che detenevano il commercio del petrolio erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e la Russia. La Germania, l’Italia ed il Giappone non possedevano risorse proprie di petrolio e dovevano acquistarlo proprio dai potenziali avversari. La Germania continuò ad approvvigionarsene dagli Stati Uniti fino al 1940, mentre il Giappone continuò a comprarlo dagli Stati Uniti fino alla battaglia di Pearl Harbor nel 1941. La fornitura di petrolio poteva essere interrotta in qualsiasi momento dai paesi produttori. L’Italia aveva vissuto quell’esperienza nel 1936, con le “inique sanzioni”. Le sanzioni all’Italia, volute da Francia ed Inghilterra, consistettero proprio nell’interruzione di fornitura di combustibili fossili.

L’Italia era colpevole per aver avviato la O.M.S. (Operazione Militare Speciale) contro l’Etiopia, membro della Società delle Nazioni. Per questo motivo già un anno prima, in previsione dell’annessione dell’Etiopia, e della sanzione energetica, Benito Mussolini visitò la miniera di Bacu Abis. Da quella visita nacque il progetto di produrre carburanti per la Nazione dal carbone del Sulcis. L’interesse per il nostro carbone derivava dal fatto che in Germania già si produceva benzina sintetica dal carbone dalla Ruhr. Anzi, si faceva di più. Nel 1913 il dottor Bergius aveva messo a punto un metodo di raffinazione del carbone ottenendone benzina sintetica, gasolio, olio per motori e catrame.

Nell’Alta Slesia erano sorte raffinerie che avevano lo scopo di rendere la Germania indipendente dal petrolio americano e russo. Nel 1939 l’azienda tedesca IG Farben era già arrivata al massimo della produzione di carburante sintetico. Tuttavia, allo scopo di aumentare la disponibilità di carburante per la guerra i nazisti avevano predisposto un piano per occupare i pozzi petroliferi di Baku in Azerbaijan. Un metodo simile per l’ottenimento dell’autonomia energetica venne adottato dal Giappone. Qui si distillò benzina dal carbone e si predispose un piano per l’occupazione dei pozzi petroliferi in Manciuria. L’Italia aveva il più vasto bacino carbonifero nel Sulcis ed allestì a Sant’Antioco, in località Ponti, gli impianti per una raffineria di benzina a partire dal carbone. Il direttore generale del progetto fu l’ingegner Guido Segre.

Il Sulcis divenne la nuova frontiera per l’Italia. Guido Segre progettò la miniera di Serbariu, l’ampliamento del porto di Sant’Antioco, un vasta rete ferroviaria, la raffineria della A.Ca.I.* a Ponti, una rete stradale efficiente, la centrale elettrica di Santa Caterina, la città di Carbonia con tutti i Servizi adeguati ad una nuova città industriale. Tra essi spiccò l’Ospedale Sirai. Il Sulcis, che per secoli era stato lontano dagli interessi dei Governi, improvvisamente divenne il luogo fisico più vicino al cuore dello Stato. Il potere politico volle una città modernissima ed una Sanità eccellente. Il merito di questo forte interesse stava nel progetto di fare del Sulcis la fonte di energia per una Nazione che entrava in guerra.

Data l’enorme importanza strategica dell’approvvigionamento energetico, il porto Ponti, lo stabilimento dell’A.Ca.I., e la centrale di Santa Caterina divennero ripetutamente bersaglio dei bombardieri della RAF, alla pari delle città tedesche di Bleckammer e di Oderstal, in alta Slesia, anche esse sedi di raffinerie di benzina sintetica.

Nel 1943, dopo l’Armistizio, l’amministrazione militare americana e inglese decisero la chiusura dello stabilimento della benzina sintetica a Ponti. Ciò fu deciso per un motivo puramente commerciale. Il consumo della benzina italiana doveva dipendere dall’esclusivo mercato anglo-americano. Con la fine dell’economia mineraria del Sulcis, iniziò il decadimento del sistema sanitario locale. Per un paio di decenni questo venne attenuato dalla nuova industrializzazione di Portovesme e dalla legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978. Caduto anche il polo industriale, cadde l’interesse per il Sulcis Iglesiente.

La Storia non è mai uguale a se stessa, tuttavia esistono dinamiche socio-economiche che, seppur apparentemente caotiche, possono essere utilizzate come esempio, col rischio di sbagliare, per interpretare il presente ed il futuro possibile. Ecco alcune similitudini storiche da cui vale la pena attingere informazioni per tentare di capire cosa sta avvenendo.

Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente iniziò il decadimento politico e iniziò la povertà secolare dell’Italia. Durante la dominazione bizantina in Sardegna nacquero i Giudicati altomedioevali. Il Medio-Evo portò lo spopolamento dei territori, la nascita di piccoli potentati locali, e l’accentramento della scarsa popolazione nei borghi intorno ai castelli. Ciò avveniva perché il popolo aveva necessità sia della giustizia che della sicurezza sociale, dei commerci e di alcuni servizi basilari.

Quanto sta avvenendo oggi non è una replica della Storia passata, tuttavia esistono gli elementi che stanno alla base dello spopolamento dei territori e del loro impoverimento: sono i fattori politico-sociali che esercitano una spinta verso l’accentramento dei Servizi nelle città capoluogo. Principalmente vengono accentrati i Servizi della Sanità, dell’Istruzione, della Giustizia, dei Trasporti, e dei posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione.

La storia ci insegna che i territori per contare debbono essere necessari nella dinamica economica ed incidere negli equilibri della geopolitica.

Oggi stiamo tornando al centro dell’attenzione e forse potremmo contare. Siamo nelle condizioni di contrattare i Servizi ed altri vantaggi in cambio di energia. E’ già successo. Oggi tutti vogliono – in particolare da noi del Sulcis Iglesiente -: energia eolica (campi di torri per pale eoliche off-shore nei nostri mari), energia solare (campi di impianti fotovoltaici a terra), percorsi per condotte di gas, disponibilità di spazi nei mari della nostra fascia costiera per rigassificatori galleggianti e porti per navi da rigassificazione a bordo banchina), impianti per la produzione di idrogeno verde ottenuto da elettrolisi con energie rinnovabili, elettrodotti di energia rinnovabile per altre regioni e, forse, benzina sintetica a bassissima emissione di CO2 e olii per motori.

Nonostante l’opposizione che sta crescendo in Sardegna contro tali progetti nati al di fuori della Regione, è ragionevole supporre che, comunque non usciremo indenni da tutte le richieste e qualcosa dovrà essere ceduto.

A questo punto, tanto varrebbe avviare una trattativa per subire il minor danno possibile ed ottenere il maggior vantaggio possibile.

Forse potremmo ancora invertire la rotta dell’accentramento dei Servizi nei capoluoghi, e riportarli indietro nel Sulcis Iglesiente. Nel frattempo è necessario proteggere la Sanità che abbiamo.

Mario Marroccu

* Le notizie sullo stabilimento A.Ca.I., per la produzione di benzina sintetica a Ponti, sono tratte dal libro “Sant’Antioco nel ventennio sardo fascista”, di Gabriele Loi.

La fine degli Ospedali Provinciali non è stata ordinata dallo Stato. E’ iniziata nel 2001 quando, con la modifica del Titolo V della Costituzione, lo Stato cedette i suoi diritti di supremazia legislativa sanitaria alle Regioni. Da allora prese piede un programma di impoverimento progressivo della Sanità provinciale per concentrarla nei due poli sanitari di Cagliari e Sassari.
Lo strumento utilizzato fu uno slogan burocratico che suona così: “Hub and Spoke”.
Questo slogan seguiva ad altri slogan non meno insidiosi come “efficienza ed efficacia” che vuol dire “ottenere gli stessi risultati spendendo di meno” e “valorizzazione e razionalizzazione” che vogliono dire “sfruttare il più possibile gli organici e le strutture sanitarie senza aumentare le spese”.
I termini contenuti nello slogan “Hub and spoke” hanno questi significati: “Hub” è il nome inglese che si dà al mozzo della ruota del carro, cioè il centro della ruota. Gli “Spoke” sono i raggi della ruota del carro. Cosa significa? Significa che così come i raggi scaricano tutte le loro forze sul mozzo della ruota così pure lo stesso meccanismo di travaso di energie deve avvenire nella Sanità. In sostanza significa “centralizzazione”, cioè “trasferimento” degli impegni di spesa dalla periferia al centro. Il “centro” sono le due città di Cagliari e Sassari. I raggi sono gli Ospedali Provinciali.
Questa idea non è né del tutto nuova né del tutto sbagliata. Infatti, quando nel 1968 venne varata la Legge n° 128, si convenne che gli Ospedali dovessero essere differenziati in: “Zonali”, “Provinciali” e “Regionali”. Gli Ospedali “Regionali” si trovavano a Cagliari e Sassari, ed erano, rispettivamente, il San Giovanni di Dio ed il S.S. Annunziata. In tutti gli Ospedali. Provinciali e Regionali, si curavano, alla pari, le malattie internistiche dell’adulto e del bambino, le malattie chirurgiche, sia quelle pediatriche che dell’adulto; si dava assistenza ostetrica e ginecologica di ottimo livello; si curavano i traumi e si eseguivano interventi ortopedici. Ciò che differenziava gli Ospedali Regionali era che, oltre ai servizi dati anche negli ospedali provinciali, si ricoveravano le malattie poco frequenti e complesse, che erano oggetto di studio dei Centri Universitari come: la Neurochirurgia, la Chirurgia toracica, la Psichiatria (i Manicomi), la Anatomia Patologica, le cura delle Malattie tropicali, quelle delle malattie rare come la Lebbra e la Dermosifilopatica. Negli Ospedali Provinciali, alla pari con quelli Regionali, si curavano le malattie gravi ma molto diffuse come la Tubercolosi polmonare e ossea (il CTO di Iglesias, il Marino di Cagliari ed il Marino di Alghero).
In sostanza la suddivisione non era in base alla “tipologia comune”, ma alla “rarità” e all’area di “ricerca universitaria”.
A Carbonia, fino agli anni ‘60, si eseguivano anche interventi di Neurochirurgia del cranio, mentre ad Iglesias si eseguivano interventi di neurochirurgia della colonna vertebrale e tutte le nuove tecniche di riparazione delle malformazioni ossee, competendo con la migliore chirurgia Ortopedica dell’Istituto Rizzoli di Bologna. Inoltre si curavano le malattie respiratorie da miniera (silicosi e pneumoconiosi rare).
Con questo si vuole dire che le cure delle malattie venivano fornite in egual misura ai cittadini nei propri territori di appartenenza.
Questo spiega la differenza tra Ospedali di interesse Regionale e quelli Provinciali così come la si intendeva fino all’inizio del 2000. Nei primi anni 2000 , per identificare il livello di importanza degli Ospedali, si operò una sostituzione di linguaggio: comparve per la prima volta l’espressione che indicava Ospedali “Hub” e Ospedali “Spoke”. Cioè “Ospedali destinati a ricevere pazienti dalla periferia” e “Ospedali di periferia che dovevano trasferire i propri pazienti agli Ospedali dei Centri Capoluogo”. Così la bilancia democratica della Sanità cominciò a pendere verso Cagliari e Sassari.
Perché la burocrazia Sanitaria iniziò ad utilizzare l’inglese visto che esisteva una valida espressione italiana per indicare centro e periferia? Perché con questa nuova formula si voleva dire una cosa nuova, ben diversa. Non si voleva dire più che gli Ospedali Provinciali dovevano trasferire a Cagliari solo casi di Neurochirurgia e di Cardiochirurgia, ma iniziò a voler dire che anche tutti gli altri Servizi Sanitari per patologie comuni (addominali, traumatiche , tumorali, ostetrico-ginecologiche, etc.) dovevano essere trasferiti presso gli Ospedali di Cagliari e Sassari. Ne nacque il progressivo svuotamento degli Ospedali Provinciali perché l’espressione “Hub and spoke”, nelle mani degli interpreti degli uffici programmatori, aveva assunto il significato estremo di “travaso totale della Sanità” a Cagliari e Sassari, destinate a diventare, con maggiori finanziamenti, “città ospedaliere”.
Non solo Carbonia ed Iglesias ma anche altri grandi Ospedali provinciali, come quelli di Oristano e Nuoro, finirono nello ingranaggio dello “Hub and Spoke” e iniziò il loro degrado a vantaggio delle città capoluogo. Il tempo dirà se si è trattato di un meccanismo antidemocratico di “abuso di posizione dominante”.
Per effetto di quel depauperamento sanitario territoriale, nei mesi di Febbraio, Marzo, Aprile e Maggio avemmo in Italia la più alta mortalità da Covid19 del mondo e un lunghissimo Lockdown di 68 giorni (dal 10 Marzo al 18 Maggio 2020). Per questo evento sanitario storico così grave l’Europa deliberò di destinare all’Italia un finanziamento umanitario storico (in parte sussidio e in parte prestito) per riavviare la ripresa economica e ricostituire la Sanità Ospedaliera e territoriale pubblica. E’ stato un richiamo dell’Europa a riparare gli errori che generarono la disfatta sanitaria.
Oggi stanno comparendo nuove disposizioni regionali che attribuiscono ai Sindaci e ai Presidenti di Provincia più chiare e decise funzioni di controllo sul Sistema Sanitario territoriale. Uno di questi è l’articolo 11 della legge regionale 24/2021 in cui si attribuisce alla “Conferenza provinciale Sanitaria”, composta dai Sindaci, la possibilità di accedere alla verifica della attuazione del “Programma Sanitario Regionale” con la possibilità di formulare osservazioni sulla pianificazione, e anche di chiedere la decadenza dei Direttori Generali in caso di inadempienze.
La legge suddetta distingue le competenze delle ASL in due settori: quello Ospedaliero e quello territoriale. Il territorio si articola in Distretti Sanitari.Nel Sulcis Iglesiente i Distretti sono tre: quello di Iglesias, quello di Carbonia e quello delle Isole. Il “Comitato di Distretto” è formato dai Sindaci. Essi devono controllare l’efficacia dell’azione amministrativa del Direttore di Distretto e devono intervenire per le eventuali correzioni di rotta.
In sostanza, dopo l’espulsione dei Sindaci dalle ASL, avvenuta negli anni ‘90, oggi i Sindaci sono nuovamente destinati ad occupare un posto nella cabina di regia della Sanità territoriale.
Quali obiettivi immediati possono porsi i Sindaci?
– Possono concordare con la Regione quale debba essere l’interpretazione autentica dell’espressione “Hub and Spoke” cercando di riottenere per gli Ospedali Provinciali (oggi con DEA di I livello) le funzioni storiche, chiarendo che agli Ospedali regionali sono riservate soltanto le attività complesse, rare, costose, delle seguenti specialità:
– Cardiochirurgia,
– Neurochirurgia,
– Trapianti d’Organo,
– Centro grandi Ustionati e chirurgia plastica,
– Chirurgia maxillofaciale,
– Tumori infantili e leucemie,
– Radioterapia.
Ricordiamo che anche Cagliari e Sassari sono sedi, oltre che di due ospedali regionali, anche di Ospedali provinciali. Gli Ospedali di Carbonia, Nuoro, Olbia, Oristano, San Gavino, Lanusei devono essere dotati di posti letto, di personale, di strumenti e di finanziamenti come gli Ospedali provinciali di Cagliari e Sassari. E tra questi non ci può essere travaso di pazienti e servizi perché tutti devono essere esattamente alla pari in qualità professionale e strumenti.
Secondo la revisione del DM 70 del 2021 si deve prevedere di sviluppare e trasformare le aree di degenza in aree di livelli di intensità di cure più alti. I reparti devono essere destinati ad un alto standard di qualità.
Gli Ospedali provinciali con DEA di primo livello possono essere dotati dei seguenti servizi:
– Medicina Interna
– Cardiologia e Emodinamica h 24
– Neurologia
– Pneumologia
– Angiologia
– Nefrologia e Dialisi
– Ostetricia e Ginecologia
– Pediatria Generale

– Psichiatria
– Chirurgia Generale (addominale, toracica, laparoscopica robotica, vascolare)
– Urologia
– (ORL e Oculistica)
– Ortopedia e Traumatologia
– Rianimazione e terapia intensiva
– Endoscopia Digestiva h 24
– Oncologia medica
– Unità Operativa complessa per Infettivi
– Hospice
– Dipartimento per Immagini (TAC, PET, RMN)
– DEA di I livello
– Laboratorio Analisi con Unità operativa semplice di Virologia e di Biologia Molecolare
– Anatomia Patologica
– Centro Trasfusionale
– Fisioterapia e riabilitazione
– Reparto di Semintensiva critica
– Reparto infettivi
– Servizio di riabiltiazione anti Covid (nuovi 15 posti letto)
– 0,14 posti letto d Terapia intensiva/1.000 abitanti (nuovi 20 posti letto).
– Medicina Nucleare
– Servizio di malattie endocrine e del ricambio
– Il numero dei posti letto e la dotazione del personale Medico, Tecnico, Infermieristico, Amministrativo, deve essere adeguato secondo le disposizioni di legge vigenti a livello nazionale per procedere al recupero della mobilità sanitaria passiva indotta dalla precedente “centralizzazione sanitaria”.
Anche questa è una disposizione del DM 70.
Gli obiettivi sono raggiungibili con:
– il rispetto dei LEA ( Livelli Essenziali di Assistenza)
– il recupero dei reparti specialistici (Unità Operative Complesse e Semplici)
– l’osservanza dei DM 70 (dal 2015 al 2021), della Legge Balduzzi 189/ 2012, e della legge 24/2020.

L’attuazione delle suddette Leggi dello Stato sarebbe un buon esercizio di democrazia. Se si va a leggere la struttura sia dei LEA che delle Leggi appena nominate si osserva una caratteristica costante che restituisce a tutti gli Ospedali una parità di trattamento:
– La “Neutralità” .
Tale valore democratico, affidato agli algoritmi tecnologici delle burocrazie regionali, è stato variamente interpretato.
Non diversamente avviene con la dinamica tra l’interesse di un gruppo contrapposto a quello di un altro gruppo, soprattutto, se minoritario. Ne può derivare una distorsione della democrazia applicata. Questo fenomeno distorsivo tra il momento di generazione di una legge ed il momento della sua applicazione lo abbiamo vissuto tutti proprio nella Sanità. La progressiva espulsione dei Sindaci dai Consigli di Amministrazione delle ASL, iniziata negli anni’90, e continuata negli anni 2000, abolì l’organismo di controllo che doveva esercitare il diritto di critica sui tanti provvedimenti di controriforma, motivati da esigenze contabili. Ne derivò la centralizzazione progressiva della Sanità nei capoluoghi, l’impoverimento della Sanità territoriale e l’annientamento di interi Ospedali (leggi Iglesias) o di reparti specialistici (leggi Carbonia).
Nel 2010 scomparvero 70.000 posti letto per acuti dagli Ospedali italiani. Avvenne in modo “soft”, con una pressione burocratica costante, senza ostacoli.
L’effetto di quella povertà strutturale indotta, fu drammatico nei primi mesi di Pandemia. Il Governo, con i DPCM del 7-8-11-16 Marzo 2020 dovette porvi riparo assumendo con urgenza 5mila Medici e 15mila Infermieri. La disfatta sanitaria obbligò al richiamo dei Medici messi in quiescenza e alla messa in campo, in prima linea, dei Medici-ragazzini. Nè più né meno di quanto si fece nel 1918 per porre riparo alla disfatta di Caporetto col richiamo dei “riservisti” e dei ragazzini del ‘99, come racconta nel suo libro il nostro storico Gabriele Loi.
E’ strano. Nessuno ha fatto un pubblico esame di coscienza.
Adesso stiamo vedendo entrare in campo i nostri Politici. L’articolo 11 della Legge regionale 24/2020 li mette in condizioni di esercitare le loro attribuzioni di controllori sugli atti burocratici riguardanti il nostro Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, e di richiamare gli Organismi Amministrativi sovraordinati della Regione ai doveri democratici di una equa distribuzione del Servizio Sanitario.
Quest’anno abbiamo novità importanti: la ARES, i nuovi Direttori Generali e la presa di coscienza dei Sindaci sulle loro attribuzioni nel controllo della Sanità.

Mario Marroccu

 

Si è svolta questa mattina, nell’Aula consiliare del comune di Sant’Antioco, la conferenza storica organizzata nell’ambito delle celebrazioni per la Commemorazione del centenario della traslazione del Milite Ignoto nel sacello dell’Altare della Patria, alla presenza di una delegazione dell’Esercito e degli uomini in “divisa” operanti nel comune di Sant’Antioco.

Un momento interessantissimo nel quale sono stati evidenziati, percorsi e riscoperti tutti gli aspetti storici riguardanti la figura del Milite Ignoto, grazie al contributo del Tenente Colonnello Pasquale Orecchioni, direttore del Museo storico della Brigata Sassari, e di Gabriele Loi, autore del libro “Antiochensi nella leggenda del Piave”. Certamente non meno importante, ai fini della ricostruzione storica, l’intervento del Generale Francesco Olla, Comandante del Comando Militare Esercito Sardegna. Ha fatto gli onori di casa e coordinato i lavori il sindaco Ignazio Locci, il quale ha anche ricordato lo spirito che ha portato il comune di Sant’Antioco ad aderire, su invito dell’ANCI, alle cerimonie in programma per il centenario. Con la delibera di Consiglio comunale n° 13 del 17 maggio 2021, votata all’unanimità, il comune di Sant’Antioco ha inoltre conferito la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto.

Il 4 novembre 2021 sarà celebrato il Centenario della traslazione e della solenne tumulazione del Milite Ignoto nel sacello dell’Altare della Patria e a quel valoroso Soldato, inizialmente voluto come “di nessuno” e poi subito percepito come “di tutti”, è oggi orgogliosamente attribuita la “filiale” appartenenza ad ogni Comune d’Italia, compresa quella di Sant’Antioco.

Le celebrazioni prevedono un altro momento, in programma giovedì 23 settembre, alle 10.00, presso il Monumento ai Caduti in guerra del Lungomare, con la deposizione della corona d’alloro.

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Sono passati 11 mesi di epidemia; sta iniziando l’anno 2021, eppure la lezione non è stata appresa. Il contagio si è esteso più che mai e la paura di ammalarsi è scemata con l’inizio simbolico delle vaccinazioni. Calma! Noi il vaccino lo vedremo fra sei o sette mesi. Nei mesi in cui saremo scoperti dalla protezione del vaccino il virus farà ancora molti danni. Inoltre, sta per arrivare la “variante inglese” che, come si sta vedendo a Londra, colpisce in fretta e si espande velocemente. Pertanto, guardiamoci attorno: la nostra Sanità del Sulcis Iglesiente è in ginocchio. I reparti più importanti dell’Ospedale di Carbonia non possono più accettare ricoveri a causa di un ampio focolaio di Covid che imperversa fra il personale medico ed infermieristico. La malattia si è estesa a macchia d’olio nelle loro famiglie. Il personale delle strutture territoriali anti-Covid è scarso. Le risposte dei tamponi molecolari tardano ad arrivare. Le famiglie colpite non hanno sempre la possibilità di essere assistite per le più elementari cure della persona. Il problema ci accompagnerà per molti mesi ancora e dobbiamo cercare di trascorrerli nel modo più prudente possibile. Non ci rimane che resistere.
Disfatte collettive sono già avvenute in passato. La lezione della storia ci dice che è più prudente avere un atteggiamento guardingo e non aspettare che arrivi un “Superman” da fumetto a salvarci. Dobbiamo salvarci con le nostre forze, altrimenti si finisce male.
La Prima Guerra Mondiale ci offre una tremenda dimostrazione di cosa sia un disastro nazionale. Prendiamo un esempio dal racconto nel libro di Gabriele Loi “Antiochensi nella leggenda del Piave”.
Il 24 ottobre 1917 iniziò la disfatta di Caporetto. L’attacco austro-tedesco era iniziato con furiosi bombardamenti sulle vette delle montagne dove erano appostate le artiglierie italiane e situati i comandi delle operazioni. Mentre nell’alto dei monti si scatenava l’inferno, a fondo valle avvenivano, in silenzio, cose strane. Sulla destra del fiume Isonzo, cadevano proiettili che non facevano rumore ma liberavano un gas terribile. Era il gas iprite (mustard gas). L’iprite produceva dei vapori di cloro che, entrando nei polmoni e combinandosi col vapore acqueo dell’alito, produceva acido cloridrico, il quale corrodeva i bronchi e gli alveoli. Quei poveri soldati che finivano nella nube di gas, perdevano conoscenza per mancanza d’ossigeno. Subito dopo arrivavano, in silenzio, i tedeschi che, armati di mazze ferrate, fracassavano il cranio ai poveretti.
Altri soldati, sorpresi dalle squadre del tenente Rommel, venivano fatti prigionieri a migliaia. Le truppe italiane, senza ordini e senza un piano per reagire a quello strano attacco, caddero nel panico. Erano rimaste sole e prive della copertura dell’artiglieria da montagna che non intervenne. I fuggiaschi tentarono di raggiungere i ponti del fiume Isonzo ma ebbero un’atroce sorpresa. Il Comando italiano li aveva fatti minare e saltare in aria per impedire ai soldati il rientro al di qua delle linee. Molti giovani soldati in fuga vennero fermati dalla polizia militare e fucilati seduta stante con l’accusa di diserzione. La Brigata Sassari, invece, protesse l’ultimo ponte e facilitò il rientro delle truppe in rotta, poi per ultima, rientrò al di qua dell’Isonzo.

Nel giro di pochi giorni la disfatta fu totale. Furono fatti prigionieri 265.000 soldati italiani e spediti nei campi di concentramento austriaci ed ungheresi. Il comandante in capo, il generale Luigi Cadorna, aveva fatto cadere le colpe della disfatta su di loro, dichiarandoli disertori. Per effetto di ciò, mentre Francia ed Inghilterra inviarono pacchi postali, contenenti viveri e indumenti, ai loro soldati prigionieri degli austro-tedeschi, gli italiani non ricevettero alcun conforto dall’Italia e molti morirono di stenti. Morirono in silenzio, innocenti e sottomessi.
In questa sintesi della disfatta di Caporetto, vi sono alcuni elementi sui quali riflettere:
1 – La disfatta avvenne più per la mancanza di un piano di difesa che per il valore degli austro-tedeschi,
2 – Molti italiani morirono per mano italiana, a seguito delle accuse di colpa avanzate dal Comandante in capo,
3 – Quella strage immane, autoinflitta, avvenne nel “silenzio” della Nazione spaventata.
Oggi stiamo subendo un’altra disfatta: il disastro sociale, economico e politico da Covid. E’ anche questa una strage “silenziosa”. Nei prossimi giorni supereremo le 80.000 vittime e poi raggiungeremo le 90.000. Oltre ai morti avremo, come nelle guerre, gli “invalidi”. E saranno numerosi.
Il virus attacca le nostre cellule e penetra dentro di esse attraverso la proteina “Spike”, che si attacca ai recettori di parete cellulare noti col nome “Ace-2”. La “Spike” è la chiave; l’Ace-2 è la toppa della serratura della porta d’entrata delle cellule. Il virus entra in silenzio, come se fosse un amico o un familiare ben noto. Poi comincia a riprodursi nel “citoplasma cellulare”. A questo punto, intervengono in difesa le cellule chiamate macrofagi. I “macrofagi” non fanno alcun tentativo di salvare le cellule infettate. Al contrario, le uccidono. Ci ricordano la polizia militare italiana che fucilava i militari che cercavano di mettersi in salvo. Poi, i macrofagi iniziano a produrre l’”interleuchina 6”. Si attivano anche i “linfociti”. Essi producono altre “interleuchine” che intossicano le cellule infette, in una disordinata reazione globale di difesa (difesa aspecifica delle citochine) provocando la sofferenza e anche la morte di cellule malate e sane in tutti gli organi e tessuti. Il loro attacco provoca danni infiammatori e degenerativi delle arterie (arterite di Tokaiasu), delle vene (lebiti e flebotrombosi), del rene (nefriti), del fegato (epatiti), del cuore (miocarditi), del cervello (encefaliti), dei nervi (euriti), dei polmoni (polmoniti), della pelle (dermatiti). La morte cellulare massiva provoca necrosi tessutali che avranno conseguenze invalidanti come: scompenso respiratorio, scompenso cardiaco, insufficienza renale, insufficienza epatica, danni cerebrali (disturbi neurologici complessi con amnesia, deficit sensitivi, e anche danni psichici e della personalità). Un danno neurologico tremendo che può manifestarsi è la “sindrome di Guillon-Barrè”. E’ simile alla SLA. Se non viene diagnosticata e curata in tempo, provoca la morte per insufficienza respiratoria. Queste patologie possono dar luogo a  invalidità permanente. Gli invalidi da Covid saranno di un numero oggi imprecisabile.
Nonostante l’arrivo del vaccino, non abbiamo idea di quanto tempo ancora il virus continuerà a circolare e fare vittime. Inoltre, nonostante il clamore dell’inizio delle vaccinazioni, il virus si sta ancora diffondendo a ritmo sostenuto. C’è da temere che la gente ritenga che la battaglia sia finita, perché è giunto il vaccino e si abbandoni al disarmo dell’attenzione e della voglia di lottare.

Nelle disfatte il “silenzio” e la rassegnazione, sono gli elementi dominanti. Anche nel Sulcis Iglesiente il numero degli infettati si è moltiplicato in tutte le città, grandi e piccole. Secondo quanto leggiamo nei quotidiani, vi sono dei problemi nell’ospedale di Iglesias e in quello di Carbonia: molti professionisti della sanità sono stati infettati ed essi, inconsapevoli ed incolpevoli, sono stati messaggeri del virus all’interno delle loro famiglie.
In passato, questo giornale suggerì di mettere le “briglie” al virus, con uno screening di massa tramite tampone molecolare. A questo stimolo rispose solo la Fondazione di Sardegna che donò all’ATS una somma destinata all’acquisto di un “processatore di tamponi”. Dopo una lunga attesa l’ATS decise di accettare il dono e oggi è stata diffusa la notizia, dalla stampa del 29-12-2020, che quel processatore non è mai entrato realmente in funzione per problemi con i reagenti. Di fatto, il momento dello screening (estate) passò ed il virus, dalle discoteche, traboccò sulla popolazione di tutta la Sardegna. A questo punto, si poteva ancora tentare di “imbrigliare” il virus con il “tracciamento”. Però il personale dedicato, tra Carbonia e Iglesias, si contava sulle dita di una mano. La conseguenza è oggi evidente.
Ora esiste un focolaio che sarà durissimo da spegnere. Si sperava che venisse aperto il “Covid Hospital” del Santa Barbara di Iglesias ma ciò non è avvenuto per mancanza di fondi regionali. Tuttavia, sono stati trovati i fondi per l’apertura del “Covid Hospital” al Binaghi. Pare sia in preparazione un altro “Covid Hospital” all’Ospedale Marino di Cagliari.
Il Santissima Trinità, il massimo centro Covid per tutta la Provincia, ha tutti i posti occupati ed è difficile accogliere per tempo anche i malati Covid di Carbonia e Iglesias.
La mancata apertura del Covid Hospital al Santa Barbara ha reso necessario mantenere i sospetti infetti, e gli infetti accertati, negli ospedali generali di Carbonia e Iglesias. Tempo fa la stampa rese noto che era stato deciso di creare una “zona grigia” all’Ospedale di Carbonia, allo scopo di evitare la commistione tra infetti dal virus e malati d’altro genere negli stessi locali. Purtroppo, la “zona grigia” appena organizzata al Sirai venne chiusa dopo pochi giorni. La conseguenza è stata la inevitabile prossimità tra malati Covid e non-Covid.
Il focolaio Covid dell’Ospedale Sirai, con un effetto a cascata, ha provocato l’impossibilità di ricoverare nuovi pazienti nei reparti di Medicina e di Chirurgia. Considerato che le vittime del dilagare del virus si trovano anche tra il personale sanitario dell’Anestesia, della Radiologia e del Pronto Soccorso, ne consegue che di fatto l’ospedale intero non è più disponibile. In più, si legge negli organi di informazione, che la Dialisi di Carbonia, già falcidiata dai pensionamenti e dalle mancate assunzioni per il ricambio, sta per essere fortemente indebolita con la chiusura del turno di dialisi notturna. E’ incredibile. Si sta procedendo a depotenziare ulteriormente un reparto che era classificabile tra i migliori in tutto il territorio nazionale. Altri innocenti stanno per pagare colpe che non hanno.

In sintesi: oggi Il Sulcis Iglesiente non ha più un’assistenza ospedaliera come è previsto che esista.

Il giorno 29 dicembre, abbiamo tutti appreso dalla stampa che finalmente il nuovo commissario della ASSL di Carbonia Iglesias ha ordinato l’acquisto di nuovi apparecchi ultraveloci per processare i tamponi di screening del Coronavirus. Sono esattamente quelli che andavano acquistati con la donazione della Fondazione di Sardegna erogata a maggio 2020, durante la prima ondata.
Ormai è andata così. Immagino che la sorpresa di questa pandemia inaspettata, dovuta ad un virus sconosciuto, abbia giocato un ruolo importante. Tuttavia sorgono molte domande:
– Perché fin dall’inizio della pandemia il Sulcis Iglesiente non venne inserito nella lista delle ASSL destinatarie di un processatore molecolare, mentre si procedeva agli acquisti per tutte le restanti ASSL della Sardegna?
– Perché con i soldi donati venne acquistato un processatore inusabile?
– Perché non venne aperto il “Covid Hospital” al Santa Barbara di Iglesias?
– Perché venne chiusa la “zona grigia” al Sirai e si lasciarono i pazienti Covid positivi in ambienti non idonei e non isolabili dai circuiti indenni da Covid?
Prendiamo atto che questo è avvenuto e che oggi il virus circola più di prima.
Caporetto insegna molte cose. Per esempio, insegna che quei poveri soldati innocenti, che cercavano di salvarsi da un fronte distrutto, si videro accusati dai loro Comandanti d’essere causa della disfatta e puniti a perdere la vita. Morirono perché la loro difesa rimase in silenzio e perché la verità la decide il più forte. Ma poi venne il generale Armando Diaz e le sorti della Guerra si invertirono.
Speriamo che l’acquisto di questi nuovi processatori ultrarapidi, sia il segno dell’inizio della riscossa.
Basta con il silenzio e “Fortza Paris”.

Mario Marroccu

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Le lacrime di Gramsci - cm 80x120 - Tecnica mista su tela -

Nel 2015 l’Istituto Gramsci della Sardegna, quando la Legge Finanziaria della Regione aveva assicurato un importante contributo, consentendo di sommare, in un unico programma, i fondi relativi al 2014 e allo stesso 2015, poté dare vita a una serie di progetti originali: didattica, musica, film.

Nella sua storia l’Istituto si era occupato di musica, in particolare grazie al lavoro e alla ricerca d, musicologo, che aveva assicurato una serie di contributi di analisi del pensiero gramsciano, in particolare sul melodramma.

Era giugno del 2015, quando in una delle tante serate trascorse e parlare di musica, ad ascoltare musica, Franco Oppo condivise l’idea di Nanni Spissu di invitare un gruppo di musicisti della sua scuola a comporre delle partiture originali sopra testi di Antonio Gramsci.

Franco Oppo non c’è più, ma il progetto di cui aveva condiviso lo spirito e l’impianto, indicando anche i nomi di alcuni suoi allievi per la composizione dei brani, prese piede. Fu accolto e deliberato con entusiasmo dal Direttivo e dall’Assemblea del nostro Istituto: partirono i contratti e le quattro partiture arrivarono puntualmente e sono attualmente conservate negli archivi dell’Istituto, in Via Emilia.

Furono scelti dal nostro Istituto i compositori Marcello Pusceddu, Fabrizio Casti, Lucio Garau e Antonio Doro. Allievi di Oppo, perché, così lui volle allora suggerire, potessero fare quello che lui avrebbe voluto fare e non fece: scrivere musica su testi e nel nome di Gramsci.

Ma il progetto chiedeva ai quattro compositori che la partiture fossero concepite, per tipologia di scrittura, linguaggi, organici, per essere eseguite dagli allievi di una scuola. Fu scelta Ghilarza, come luogo simbolo, per il suo legame e la tradizione lunga di lavoro di studio su Gramsci, per la presenza e l’attività sempre vivace e originale sulla figura del grande intellettuale sardo di “Casa Gramsci”.

Fu una scelta fortunata e vincente, perché l’Istituto Comprensivo di Ghilarza, col suo corso di indirizzo musicale, si è fatto carico di un lungo lavoro preparatorio, che ora sfocia nell’esecuzione pubblica dei brani il prossimo 3 maggio, alle ore 12.00, in quella stessa scuola.

Ecco le persone dell’Istituto Comprensivo Ghilarza alle quali si deve il successo del progetto: il dirigente scolastico professore Carlo Passiu, prima di tutto. Poi i bravissimi docenti dell’indirizzo musicale: Susanna Dessì, Marta Grecu, Ignazio Ledda e Beatrice Serci. E, quindi, gli alunni della classe 3ª: Andrea Addis, Laura Demartis, Gaia Marongiu, Eleonora Tessuti, Arianna Deias e Caterina Licheri, Nadia Cosseddu, Ornella Cabiddu e Gabriele Loi. E, infine, gli alunni della classe 2ª: Ilaria Meloni, Michela Mele, Assia Ennadifi, Elisa Manca e Beatrice Musanti.

Il progetto prevede che i quattro brani siano messi a disposizione di chiunque voglia eseguirli: le scuole e gli istituti di educazione musicale prima di tutto. Per questo pubblicheremo presto le quattro partiture nel nostro sito web e se troveremo le risorse stamperemo le stesse partiture per agevolarne l’esecuzione, con l’aiuto dei quattro compositori, che continueranno a assicurare la necessaria assistenza tecnica.

Il concerto del 3 maggio a Ghilarza è aperto a tutti. L’interesse è grande per la novità dell’esperimento e invitiamo ad esserci, anche per premiare il lavoro della scuola e dei ragazzi impegnati.

Grazie da parte di tutti noi dell’Istituto: dalla prof. Nereide Rudas, presidente, dall’avv. Antonello Angioni, direttore, dall’assemblea e dal direttivo

 Nanni Spissu, a nome di tutti noi dell’“Istituto Gramsci della Sardegna”.

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Da oggi a domenica, nella Casa Fenu di Villamassargia, l’evento di pittura, scultura, fotografia, arti creative, con gli artisti Alessio Pili, Andrea Milia, Augusto Ghiani, Orlando Tocco, Ritacarla Piras, Mario Selloni, Giovanna Macciocco, Maria Cristina Murru, Gianluigi Mascia, Giuseppe Ragatzu, Laetitia Autrand, Tiziana Cabboi, Andrea Ferrara, Francesco Zolo, Roberto Brundu, Silvya Mascia, Enrico Ibba, Andrea Lai, Michele Galletta, Carlo Pisano, Mariacecilia Angioni, Luca Lindiri, Alessio Perra, Stefano Meloni, Gabriele Loi, Fabio Tocco, Giacomo Atzori, Lorena Mameli.

Il programma prevede da oggi a giovedì, cineforum sulle vite di quattro grandi della storia dell’arte, promosso dall’associazione L’Alambicco e la Macchina Cinema (affiliato Ficc); giovedì mattina incontro e distribuzione nelle scuole del libretto educativo sui Pericoli dell’amianto, scritto da Roberto Brughitta, illustrato da Giuseppe Pisano, certificato dall’Unpisi e patrocinato dalla regione Sardegna, alla presenza dell’autore.

Venerdì 18 dicembre, alle 17.30, La Donna Farfalla e Su Lèpuri Isposu, reading e presentazione di libri di Roberto Brughitta.

Sabato 19 dicembre, alle 17.30, presentazione della rivista Coloris de Limbas, reading poetico a più voci, con lettura del manifesto La visione poetica dell’esistenza di S. Piroddi.

Domenica 20 dicembre, infine, sempre alle 17.30, Regina delle ombre in Asulu Bisendi, reading e incontro con l’autrice Angelica Piras, accompagnamento musicale di Marco Floris e Foto-Poesia, finissage conclusivo con buffet e saluti.

Tutti i giorni sono previste degustazioni con assaggi liberi e ad offerta.

Mostre Villamassargia