28 March, 2024
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Durante la Settimana Santa di Portoscuso, i riferimenti, le atmosfere della cultura e delle influenze iberiche sono molto evidenti, come dimostra tutta la comunità nell’assidua presenza ai riti della Settimana Santa.
Le influenze iberiche sono evidenti: protagonisti indiscussi sono i Baballottis, persone che partecipano ai cortei e precedono la Pasqua.
Per antichissima tradizione, i Baballottis escono in processione per compiere l’atto di pietà e di fede percorrendo le vie del paese. A questa processione partecipano persone di tutte le età con indosso una veste bianca e a capo coperto che nasconde il volto. L’abito ricorda quello degli antichi flagellanti, che sin dal XIII secolo caratterizzavano la pietà popolare.
Rigorosamente incappucciati, i Baballottis, sfilano per le vie in raccoglimento, scortando i simulacri del Cristo e della Vergine Addolorata. I tamburi e le matraccas, scandiscono le tappe della processione mentre il popolo intona gli antichi Goccius, lodi sacre cantate nelle celebrazioni della “Settimana Santa”.
Gli abiti dei Baballottis realizzati da Mariangela Musu e Ignazio Alberto Cherchi grazie alla curata ricerca effettuata nel 2013 con l’Arciconfraternita del Santo Monte di Iglesias; abito bianco e lungo, come segno di penitenza è uno dei simboli della Settimana Santa: lo portano adulti e bambini che partecipano alle processioni, hanno fianchi cinti dal cordone e il capo coperto da “sa visiera” che cela completamente il viso.
Le processioni risentono profondamente l’influsso spagnolo fra i momenti più significativi rituali, che come tutti i riti della Settimana Santa ripercorre le vicende della passione e morte di Gesù Cristo, e la processione dell’Incontro fra la Madonna e Gesù risorto la mattina di Pasqua. Dal sardo campidanese, il termine Baballottis significa animaletto, piccolo insetto…appellativo curioso e particolare con il quale si indicano bambini, giovani ed adulti che partecipano alle processioni della Settimana Santa.
Altra caratteristica che trova fondamento sull’autenticità dei riti della Settimana santa sono is goccius ovvero componimenti poetici religiosi in lingua sarda. Secondo lo storico Giovanni Dore is goggius cantati in Sardegna traggono origine dai modelli bizantini, infatti essi, nella struttura nella metrica e nelle strofe con ritornello alla fine, sono identici agli inni greci dei κοντάκια. Nel De caerimoniis aulae Byzantinae si racconta, del resto, come il protospatario Torchitorio I avesse inviato una rappresentanza di Sardi a Costantinopoli i quali, in onore dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito, avevano cantano un inno in greco. Altri pensano a una dipendenza dei goggius dalle italiane lauda, diffusesi per irradiazione della spiritualità francescana nelle regioni dell’Occidente; altri ancora, infine, ritengono che is goggius siano di matrice autoctona, affondando le proprie radici nella tradizione mediterranea. Dal XIV secolo is goggius sono segnalati come componente essenziale delle novene; dal XV secolo, nell’innologia sarda, pur permanendo l’uso del sardo prevalse però l’uso della lingua spagnola. Nel periodo dell’inquisizione spagnola ci fu un periodo di stasi, nel XVII secolo in Sardegna esplose il fenomeno della drammatica religiosa ed is goggius erano parte integrante di quei rituali. Nel 1649 il teatro fu proibito da Filippo IV, tuttavia la tradizione continuò e dal XVIII secolo si registra la diffusione delle raccolte manoscritte de is goggius in sardo e nel secolo successivo i manoscritti erano presenti in tutte le comunità.

Furono oggetto di censura, infatti intorno al 1763, l’arcivescovo di Sassari Giulio Cesare Viancini proibì is goggius a favore di uno stile più severo nella liturgia. Questi canti popolari religiosi conobbero una nuova battuta d’arresto in seguito, nel 1924, in occasione del Concilio plenario dei vescovi sardi che aveva vietato questo tipo di canti. In quegli anni inoltre, in un clima di assimilazione culturale, erano state poste in atto una serie di divieti e disposizioni contro l’uso dei dialetti e lingue alloglotte, compreso il sardo. Il diorama, nella sua semplicità presenta la scena dei Baballottis con il Cristo deposto e una serie di goggius, testimonianze portate fino ai nostri giorni.