26 April, 2024
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Un Premio alla carriera che ha il valore di un premio alla donna e all’artista di classe capace di regalare emozioni come solo i più grandi sanno fare. Luciana Savignano lo ha dedicato alla Danza, per la quale auspica un futuro bellissimo, e allo straordinario gruppo di ballo che la ha accompagnata nella nuova versione del “Bolero” ispirato al dramma del femminicidio. Un lavoro di forti suggestioni presentato a Sassari in prima nazionale assieme ai solisti di Padova Danza.

Il prestigioso riconoscimento, assegnato dal “Festival della Danza d’autore – Corpi in movimento”, è stato consegnato sul palcoscenico del Teatro Verdi, tra applausi scroscianti, dalle mani di Angela Mameli in rappresentanza della Fondazione di Sardegna (uno degli enti sostenitori della kermesse assieme a Mibact, Ras, comune di Sennori e comune di Sassari).

Angela Mameli, al fianco della presidente dell’associazione Danzeventi, Lucia Cau, e del giornalista Salvatore Taras che ha presentato l’evento, ha definito la Savignano «un vero mito, autrice di un pezzo di storia della danza non solo italiana».

Le emozioni della serata sono iniziate fin dalle prime note di Ravel, sempre più incalzanti, rivisitate dal musicista Enrico Gabrielli per le coreografie di Milena Zullo. Le file al botteghino e la forte partecipazione di pubblico hanno costretto a rinviare di qualche minuto l’inizio dell’avvenimento, al fine di consentire a tutti gli spettatori di prendere posto in sala.

E è stato subito spettacolo. In “Bolero, prigionia di un amore” l’Étoile Internazionale Luciana Savignano e gli artisti di Padova Danza diretti da Gabriella Furlan Malvezzi hanno ipnotizzato gli spettatori per oltre cinquanta minuti di forte intensità emotiva. La versione ipersensuale di Bejart ha lasciato il posto a una trasposizione più intimistica in cui l’afflato di libertà diviene un urlo di prigionia. L’urlo che squarcia il silenzio in una società martoriata dal femminicidio.

È il racconto della segregazione di un amore malato, in cui la voce narrante dell’attore Matteo di Girolamo parla attraverso le parole di vittima e carnefice, accompagnando le movenze magiche dei danzatori. Due voci distinte si manifestano come parte della medesima natura, a indicare che il dramma della violenza di genere non conosce confini. Ma è anche il racconto della mortificazione, dell’incapacità del mondo contemporaneo di proteggere la laica sacralità della Bellezza.

Il prossimo appuntamento con il festival della danza è mercoledì 11 settembre al Teatro Verdi con la compagnia inglese “Möbius Dance” che presenta l’opera “Time moves slow dramatis personae”.

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Un fondoschiena sbattuto in faccia al pubblico in maniera ossessiva per oltre venti minuti, tra movenze di ogni genere, può sembrare sconvolgente anche per uno spettacolo di danza moderna. Ma in fondo non è ciò vediamo tutti i giorni in tv e non solo, senza farci nemmeno più caso?

La provocazione di Fabritia D’Intino all’Anfiteatro Centro Culturale di Sennori, mercoledì sera con Wannabe ha colpito nel segno. Nella seconda serata del “Festival della Danza d’autore – Corpi in movimento” organizzato da Danzeventi, il pluripremiato spettacolo della performer e del musicista Federico Scettri ha messo a nudo in maniera disarmante non tanto le parti basse della danzatrice, quanto la visione di un corpo femminile oggetto, animatore e decorativo di ogni tipo di intrattenimento disponibile sui canali mainstream.

Le scarpine da ballo hanno lasciato posto a scarponi modello carrarmato, mentre sul corpo solo un body aderentissimo mostrava il volto rabbioso di una tigre. Un volto felino che sembrava animarsi e ammiccare attraverso le movenze dei glutei. Quasi a rappresentare un simbolo di potere, di fama e successo, che molte donne si affannano a cercare senza accorgersi di restarne vittime, che alla fine vengono divorate.

La ricerca dei due artisti è partita dalla riflessione sul rapporto tra danza e musica nella cultura contemporanea. I frammenti del music live, ripresi dai palinsesti televisivi più conosciuti, hanno fatto da colonna sonora all’esibizione assieme al sound delle discoteche in cui troneggiano cubi e palchi da animazione della vita notturna. È lì che la musica è tanto totalizzante da ridurre al minimo le possibilità di dialogo, amplificando la necessità di spingere sull’espressione corporea, sempre più ritmica, monotona e ripetitiva delle imitazioni dell’atto sessuale.

Le vibrazioni ipnotiche del fondoschiena della performer hanno accompagnato lo spettacolo per quasi trenta minuti. Solo nel finale, la protagonista si è finalmente voltata per mostrare al pubblico il suo volto, espressione di un personaggio alla disperata ricerca di una identità individuale, nell’orizzonte appiattente degli stereotipi da male gaze: lo sguardo maschile.

L’obiettivo finale del progetto è rendere tutti partecipi di un viaggio di riconoscimento e liberazione, con una performance anche piuttosto impegnativa dal punto di vista fisico. Il lavoro, che dal 2018 è supportato dalla compagnia Chiasma di Salvo Lombardo, è vincitore del Premio In Generazione 2017 di Fondazione Fabbrica Europa e del Premio TU 35 Expanded 2017 di Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Il prossimo appuntamento del festival sarà il 9 settembre al Teatro Verdi di Sassari con il “Bolero” di Luciana Savignano e Padova Danza.