5 December, 2025
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Riflessioni* di Paola Atzeni sull’antropologia mineraria

Le mie riflessioni nel quadro dell’antropologia mineraria non possono prescindere da un asse, tematico e concettuale, che riguarda i saper fare minerari vitali. Tale asse s’inquadra nello sviluppo dell’antropologia mineraria, diventata vigorosamente specialistica soprattutto a partire dal 2003 con Ballard e Banks, le cui critiche alla precedente letteratura antropologica sul piano teorico e le cui proposte di rinnovamento nell’antropologia assumono il piglio di una complessiva svolta mineraria.
L’antropologia mineraria vive attualmente uno straordinario sviluppo scientifico in cui gli studi realizzati in Sardegna hanno acquisito importanti riconoscimenti: di essere pionieristici in Italia; di essere stati attenti alla formazione di soggetti autonomi tenendo conto dei generi che partecipano all’industrializzazione mineraria; di aver collocato gli studi minerari in una prospettiva di storici rischi che parlano ai rischi del presente.
Per quanto riguarda i rapporti tra i saper fare minerari e il vitale, tali rapporti si possono ricondurre, sul piano dell’antropologia filosofica, a quanto aveva scritto Husserl negli anni che vanno dal 1935 al 1937, quando aveva indicato la crisi dell’Europa e delle scienze europee nell’aver creato mondi di verità scientifica come scienze di fatti, avulsi dalle relazioni con il mondo della vita, con le forme di esistenza umana e con i soggetti che lottano per l’esistenza. I semi delle riflessioni sul mondo della vita si trovano in alcuni suoi scritti di ricerca degli anni Trenta, pubblicati in italiano nel 2025, dati i rinnovati interessi sui temi del vitale. In Francia, importante filosofo della vita fu Canguilhem che ne scrisse nel 1965 e fu maestro di Foucault il quale giunse poi a individuare i biopoteri. Nella cultura filosofica italiana, la questione delle forme di vita e dei modi di vita ha un filone di rilevante interesse che parte da Bruno e arriva a Gramsci. L’opzione gramsciana su pensiero e vita consente di comprendere un ambito di studi non limitatamente eurocentrici, data la diffusione e l’elaborazione del pensiero gramsciano sia in Oriente e sia in America Latina. Richiamo tre filoni di pensiero e tre paesi europei (Germania, Francia, Italia) in cui il vitale ha assunto rilevanza culturale, limitandomi a lasciare sullo sfondo tali concettuali nei quadri d’epoca in cui i saper fare minerari vitali possono mostrare particolare significatività.
Rapportando il vitale al culturale nel rapporto fra storia naturale e storia umana, e fra scienze naturali e scienze umane, pare necessario riprendere e mettere a fuoco ancor più l’esperienza dell’ominazione, dalla posizione eretta alla produzione dei ciottoli che diventano strumenti e poi strumenti per fare altri strumenti (metastrumenti). André Léroi-Gourhan, antropologo e archeologo francese, ne parla nella sua opera Il gesto e la parola (1964) a proposito dell’evoluzione tecnica nelle fasi in cui la specie umana non aveva ancora conquistato la completa padronanza tecnica e di linguaggio. Nelle vicende dell’homo sapiens, vissuto tra il 30.000 e l’8.000 prima della nostra era egli situa l’esperienza dell’industria litica, l’insieme della produzione di utensili di pietra costituito da arnesi da taglio destinati a tagliare, a grattare, a trafiggere. Si tratta del primo collegamento fra la specie umana e le risorse del sottosuolo. I primi tagli sono sommari.
Percuotendo perpendicolarmente la pietra si ottiene un’estremità tagliente, perfezionata con una serie di schegge supplementari sulle due facce della punta. A partire da questo utensile molto grossolano, troviamo l’amigdala, una sorta di coltello di pietra a forma di mandorla che subisce una lenta evoluzione, forse per quattrocentomila anni. Al termine della sua evoluzione l’amigdala è diventata una mandorla di selce, spessa ed equilibrata. Fra l’8000 e il 6000 prima della nostra era, le lavorazioni si specializzano e si afferma una tendenza verso la produzione di piccoli pezzi, verso un generale microlitismo, in cui la lama serve a sua volta a creare altri prodotti. La pietra grezza diventa chopper che è pietra tagliata e anche pietra tagliente per le macellazioni e per le produzioni delle pelli. Nel Neolitico l’esperienza dell’agricoltura presenta nuove necessità tecniche. L’accetta e l’ascia hanno bisogno di un peso elevato per le lavorazioni del terreno. Si realizza un’importante differenziazione dei prodotti nell’industria litica del Paleolitico superiore.
Nella storia della specie umana i Paleantropi presentano tecnici di valore, capaci di progettare e realizzare strumenti litici con precise forme e funzioni, abili nell’unire il mondo delle cose al mondo delle idee. Sul piano delle differenziazioni culturali nella specie umana, in Sardegna l’esperienza dell’antropologia mineraria più lontana, a partire dall’industria litica, deve affiancarsi alla paleontologia umana. Può giungere pertanto all’archeologia delle frecce di ossidiana, ripensando esperienze locali sia per la solidarietà del cibo condiviso e sia per le crudeltà delle guerre con altri esseri viventi, umani e non umani. I fatti e le tendenze tecniche delle estrazioni di pietra, anche a cielo aperto, appaiono fin dai primi passi dell’umanità strettamente connessi alla produzione di oggetti e insieme di modi di vita, o meglio di modi d vivere e di convivere con altri esseri vitali, umani e non umani. Il poter vivere e il poter far vivere appaiono come lunghi obiettivi di un cimento vitale a varie dimensioni e relazioni con sé stessi e con altri viventi: beni da acquisire in antagonismi e in solidarietà, ristrette o ampie.
Nell’antropologia mineraria della modernità industriale, la prima questione che si pone riguarda l’individuazione di saper fare minerari vitali i quali, distinguendosi dall’efficienza in tante attività lavorative, si caratterizzano per efficacia nel produrre vita in situazioni di rischio, istituendo specifici valori culturali vitali. Ne propongo, pertanto, una necessaria definizione che ritengo utile per definire il perimetro concettuale, epistemico e trasformativo, di questo contesto di ricerca e di documentazione. I saper fare minerari vitali si distinguono da altri ordinari saper fare tecnici in quanto il loro risultato, oltre l’efficienza tecnica estrattiva, garantisce un’efficacia che salvaguarda le persone protagoniste di azioni tecniche in particolari condizioni di rischio, assicurandone la vita.
I saper fare minerari vitali si individuano in un doppio registro produttivo, economico e vitale. Riguardano fatti e relazioni, azioni tecniche e discorsive con cui e in cui persone e gruppi, protagonisti in situazioni di rischio, realizzano e affermano nuove condizioni di vita sicura.
Costituiscono un filone portante dell’antropologia mineraria. Offrono modelli operativi creativi iì quali trasformano luoghi e spazi, territori e paesaggi, da mortali in vitali, da degenerativi in generativi, da depotenzianti in potenzianti. Concernono gli universali investimenti del corpo umano negli spazi e nelle occasioni di rischio. Riguardano le grandi opere infrastrutturali di ingegneri e tecnici, per esempio di aerazione di eduzione delle acque nelle miniere.
Nell’antropologia mineraria del quotidiano industriale toccano minatori e cernitrici, queste ultime non immuni dai rischi mortali di mine inesplose nei minerali grezzi di cernita.
La nozione di saper fare minerari vitali è ancorata ai rischi, nell’antropologia mineraria quotidiana dello spazio e del tempo industriale. Tale nozione coglie il doppio registro culturale delle tecniche estrattive e delle tecniche di vita, operanti in congiunzione e in congiuntura nelle attività volte alla sicurezza vitale. Tale nozione riguarda rischi di fragilità e di limitazioni di salute e di vita alimentare, sanitaria, di istruzione, i quali incombevano nella vita sociale mineraria sia sopra e sia sotto la terra, con particolari correlazioni secondo i luoghi e i tempi.
Delle tormentate condizioni di lavoro e di vita mineraria esiste un ampio repertorio poetico in lingua sarda, sia orale e sia scritta. La poetica popolare, nelle forme scritte documentate per le zone minerarie in Sardegna, è nota in Europa nelle edizioni storiche di fogli volanti e libriccini di letteratura ambulante, come letteratura di colportage o letteratura da muricciolo. Oltre i 14 componimenti inediti da me pubblicati (Atzeni 1978 e 1980), le poesie in fogli volanti sono interessanti per quantità e qualità. Se vogliamo evitare riferimenti che possono apparire limitatamente eurocentrici, possiamo riferirci alla poetica orale che ha diffusione nel mondo islamico dove ha affiancato la recitazione di versetti del Corano, nel mondo dei Beduini dell’Egitto e dei Berberi del Marocco. Il patrimonio poetico minerario è a tutt’oggi sottovalutato. Diversi anni fa offrii la mia raccolta di letteratura orale mineraria al Parco Geominerario che ignorò l’offerta, poi la donai al Museo della Grande Miniera di Serbariu dove è rimasta inerte perché non è stato richiamato all’attività il Comitato scientifico, nonostante le mie benevole e recenti sollecitazioni all’autorità competente. Ho accumulato anche un prezioso materiale di registrazioni sonore realizzato molti anni fa con persone anziane che risalivano indietro nei tempi delle loro esperienze minerarie. Non ho raccolto manifestazioni d’interesse da parte delle istituzioni neanche per questi documenti. I musei, minerari e rurali, senza un adeguato comitato scientifico che elevi i lavori delle cooperative, per quanto eccellenti data anche la presenza di allievi e allieve di antropologia, in tutta evidenza non pare possano raggiungere uno standard culturale nazionale e ancor meno europeo o internazionale.
Il considerevole patrimonio poetico minerario, trascritto e scritto, colpevolmente trascurato, può essere invece assai utile da molti punti di vista e in molti modi da puntualizzare. I testi possono essere informatizzati, organizzati e tematizzati ed esposti in varie mostre permanenti e temporanee, secondo repertori di fruizione attiva, di ricerca-azione non solo scientifica ma anche artistica. In particolare, i repertori di produzioni poetiche possono essere proposti sia in collegamento con le produzioni letterarie sulle miniere della Sardegna, sia per creare reti con i paesi di provenienza dei poeti di miniere, allargando la rete dei Comuni interessati alla valorizzazione di tale patrimonio culturale poetico minerario. Inoltre, la traduzione dal sardo in italiano e in lingue europee di selezionate strofe delle poetiche minerarie può favorire nuovi scambi culturali creativi fra i giovani, e perfino innovative forme di turismo scolastico e familiare, europeo e non solo. I due versanti di iniziative, quello poetico e quello delle interviste, consentirebbero di attestare ulteriormente la ricchezza del patrimonio culturale minerario e di presentarlo maggiormente qualificato nelle occasioni di riconoscimenti internazionali.
I complessivi saper fare minerari vitali emergono con una portata transdisciplinare, come unitaria linea operativa e cooperativa. Questa è la prima questione importante che voglio porre sul piano scientifico e istituzionale.
La seconda questione che vorrei sollevare concerne la rilevanza degli spazi e dei paesaggi nell’antropologia mineraria. Noto subito che la documentazione e l’analisi dell’esperienza mineraria in ambiti spaziali e paesaggistici non può essere ridotta, per l’antropologia mineraria, a quanto delle esperienze passate rimane in luce e in superficie, palese e visibile, oggettualizzato e monumentalizzato, in rispondenza a una prevalente cultura architettonica. Certe monumentalizzazioni, con tutta la loro rilevanza, possono infatti rimanere disarticolate da certe opere di edilizia minore che, nella scala della quotidianità dell’antropologia mineraria, storicamente favorivano esistenze vitali individuali e comuni, mentre offrivano punti abitativi o di destinazione, con percorsi socialmente aggreganti. Un esempio vistoso di edilizia minore sistematicamente sottovalutata, o negletta rispetto ad altre opere edilizie nel patrimonio culturale minerario, è rappresentato dalle cantine, aziendali e non solo. Poco importarti dal punto di vista della cultura architettonica, hanno invece un rilievo non trascurabile per gli approvvigionamenti dei generi di prima necessità nelle reti di relazioni vitali e sociali, nei quadri d’epoca dell’antropologia mineraria.
Spazi e paesaggi, lavorativi e abitativi, esigono di essere assunti propriamente come contesti sia naturali e sia culturali, umanizzati e temporalizzati variamente e storicamente nei percorsi delle persone umane e dei loro corpi. I percorsi umani della storica vita mineraria, sotto e sopra la terra, richiedono primariamente di essere resi visibili e noti nella loro duplice correlazione per le esperienze di vita e per la vita, sopra e sotto la terra unitariamente. Nelle esperienze della Sardegna, la tesi qui prospettata di duplicità spaziale dei paesaggi minerari implica un’affermazione di rilevante portata. Si tratta di una imprescindibile correlazione, non di una semplice giustapposizione fra il sopra e il sotto della terra, in cui avvennero le umane esperienze minerarie vitali. Tali duplici e correlate realtà dello spazio minerario riguardano luoghi e tempi nei modi di farsi umani autonomamente, per dirla un po’ nel solco dell’antropologia dello spazio di Choay (2006).
In terza battuta la questione da approfondire attiene ai beni, detti materiali e immateriali, del patrimonio culturale minerario. I saper fare minerari vitali sono beni culturali particolari e particolarizzanti, creativi e inventivi. Mettono in vista modelli culturali operativi, nuovi e unici, di problem solving. Dal disgaggio delle rocce instabili al sistematico posizionamento delle mine secondo le tipologie delle rocce, i saper fare vitali risolvono rischi vitali e assicurano spazi e tempi lavorativi, potenzialmente mortiferi, trasformati in spazi e tempi assicurati per la vita. Ogni trasformazione di rischio mortale minerario, diventata creazione di ambiente vitale nella quotidianità lavorativa, si presenta come novum e unicum congiunti. La modifica vitale emerge come congiunzione inedita e temporalizzante, che fa storie e Storia. Inoltre, appare umanamente aperta a nuove sperimentazioni innovative di prove vitali e securitarie. Si tratta di esercizi vitali ogni volta sperimentabili, comunicabili e trasmissibili per principi finalizzanti il vitale come novum e unicum, ma non sono replicabili e trasmissibili per algoritmi, in sequenze e modalità fissistiche.
Le pratiche degli storici saper fare minerari vitali, oltre gli spazi e i tempi lavorativi securizzati, creavano persone abili a dare vita e a fare vita, con e nei lavori minerari. Nelle storiche miniere della Sardegna avvenivano esercizi di produzioni di vita e di produzione di sé che qualificavano le persone in quanto donatrici di vita a sé e agli altri. Erano produzioni di soggetti assoggettati che diventavano nuovi e autonomi, maggiormente abili rispetto a ciò che erano prima di cimentarsi efficacemente nel governo dei rischi.
Nell’antropologia mineraria ogni trasmutazione dei rischi in inventiva produzione di vita, autonomamente securizzata da lavoratori e lavoratrici per essere condivisa democraticamente, presenta caratteri di innovatività e di unicità come personale opera d’arte, d’arte di vita. Tale trasmutazione espone caratteri esclusivi che risolvono rischi di salute e di vita, senza suscitare una riproducibilità identica e di tipo seriale. Costituisce, di volta in volta, veri capolavori in quanto saggi di abilità professionale, nella cultura mineraria, specialmente popolare. Tali pratiche estrattive- vitali, produttive congiuntamente di minerali e di vita in situazioni con alti coefficienti di rischio, e di persone abili nel governare i rischi, hanno svolgimenti e pratiche materiali, unite a contenuti di pensiero intenzionale, progettuale, ideale. Il patrimonio culturale minerario assunto nell’antropologia mineraria è pertanto affermato nella sua doppia componente culturale, materiale e immateriale, nel solco di Godelier (1984). I saper fare minerari vitali, come pensieri in atto per dirla con Gramsci, sono materiali e immateriali insieme.
Complessivamente, il patrimonio culturale minerario dei saper fare minerari vitali, in quanto storico, non è fissista ma mobile. Il patrimonio culturale fissista si sottrae alla storicità dei cambiamenti, tramandandosi semplicemente e affermando esclusivamente la propria identica continuità. Invece, le soluzioni sicuritarie prodotte dai saper vivere minerari vitali sono mobili negli spazi e nei tempi, unite solo dal carattere dell’intenzionalità vitale.
I saper fare minerari vitali, pratici e di pensieri in atto, beni materiali ed insieme immateriali, incrociano la questione delle varie temporalità minerarie che addensa elementi di un quarto punto analitico, in realtà di primaria importanza. D’angelo e Pijpers nel 2018 usarono l’espressione temporalità minerarie, mining temporalities, per sottolineare come le risorse estrattive possono essere capite in un complesso di multiple temporalità e durate, ritmi e cicli, con differenti velocità, intensità, estensioni che diversi protagonisti cercano di conoscere e di manipolare, di sincronizzare e di de-sincronizzare, in linea con contingenti e spesso conflittuali interessi strategici. Essi sostennero, assai opportunamente, che gli ordini temporali sono costruiti socialmente e culturalmente, nei contesti economici e politici. Nella concezione di temporalità multiple, i protagonisti lavorano per stabilire o mantenere specifici regimi temporali minerari: ritmi di produzione, livelli temporali di lavoro e di vita, contesti temporali pratici e narrativi, percezioni e rappresentazioni temporali, discorsi e politiche del tempo.
Dai visuali spaziali ai visuali temporali, from landscapes to timescapes, le temporalità comprendono attività e corpi con le loro materializzazioni del tempo e con implicazioni di storicità che interessano passato, presente e futuro. Le temporalità minerarie toccano inuguaglianze di poteri temporali nelle politiche del tempo minerario, costruite e negoziate nei divergenti interessi dei protagonisti. Le politiche del tempo mostrano diverse facce nei casi presentati. Gli esempi più significativi di temporalità minerarie in drammatici conflitti nel corso delle storiche esperienze minerarie della Sardegna riguardano sia la riduzione del tempo di riposo a Buggerru nel 1904, sia le accelerazioni di lavoro diffusamente imposte con vari cottimi, e particolarmente con il sistema tayloristico Bedaux di matrice americana, specialmente dagli anni Trenta del Novecento.
Le storiche temporalità minerarie vincolano il presente, esigendo interventi attuali con coerenze, anche stilistiche, adeguate ai contesti storici pertinenti. Per esempio, non si possono usare tipi di lampioni da parco urbano contemporaneo che, per quanto pregevoli, non risultino possedere forme compatibili con certi contesti storici minerari. Occorrerebbe un serio e coraggioso inventario di quanto qualifica o squalifica il livello di ciò che è stato realizzato negli interventi culturali sui contesti minerari, per rimuovere e correggere gli errori più vistosi.
La nozione delle temporalità minerarie risulta assai efficace per le analisi e per le scoperte scientifiche, euristicamente. Consente di vedere e di capire tempi fratturati e complessi, di individuare soggetti in divenire e in cambiamento. Ciò può accadere attraverso particolari incontri minerari, come quelli sostenuti da Pijpers ed Eriksen nel 2019.
Gli incontri minerari tematizzano una quinta questione di antropologia mineraria, in quanto incontri che avvengono anche nello spoglio documentario. Nei casi studiati in Sardegna si incontrano informatori che rappresentano alcuni ceti dominanti. Essi offrono dal loro punto di vista preziose informazioni sul processo di industrializzazione mineraria nell’Isola con elitari modi discorsivi. Sono modi tecnici come fa l’ingegner Goüin per la mostra universale del 1867; modi istituzionali e propositivi come il deputato Sella nella sua inchiesta del 1871; modi imprenditoriali e propagandistici, come fa la mineraria Société Malfidano per la mostra universale del 1878. Le loro informazioni marcano la temporalità mineraria della seconda metà dell’Ottocento in Sardegna. Si situano in un insieme di vicende i cui protagonisti, da titolari di permessi di ricerca, diventano concessionari di permessi di estrazione.
Il passaggio dalla temporalità del regime permissorio a quella del regime concessorio introduce una nuova fase di insediamenti aziendali e societari minerari, italiani ed europei in Sardegna. Le attività delle aziende minerarie, con i loro passaggi e paesaggi umani, costituiscono un novum e unicum culturale in differenti scale spaziali temporalizzate. Nei discorsi dominanti compare, accanto ai migliori Piemontesi e Bergamaschi, la manodopera «indigena», che durante la temporalità della sua formazione industriale è abbondante e docile.
Entriamo invece nel vivo dei conflitti minerari facendo un sesto passo nelle conflittuali temporalità del Novecento minerario. I ceti subalterni si differenziano e si staccano dai ceti dominanti promuovendo nuove esperienze nelle loro relazioni di lavoro e di vita. Si confrontano e criticano, imputano e rivendicano, chiedono e propongono, progettano e manifestano pubblicamente. Subiscono e nel contempo agiscono autonomamente, trasmutandosi in figure culturali bifacciali. Si muovono facendosi gruppi e cortei, dicendosi un ‘noi’ e divenendo un noi minerario di contrattazione, per creare nuovi tempi di condizioni e di relazioni umane minerarie vitali condivise. Pur con certi limiti, quelle lotte furono cruciali esperienze culturali vitali, per poter vivere ma anche di saper vivere, per trasformare i limiti di salute subiti in diritti universali alla vita.
Il passaggio temporale che segna il cambiamento di masse amorfe, frammentate e disperse, che divengono i ‘noi’ conflittuali e in espansione, emergenti in superficie nelle miniere, nei paesi e nelle città minerarie, marca il Novecento a lungo agitato in vari casi e in vari centri della Sardegna.
La costellazione di casi che illustra i saper vivere minerari esercitati in Sardegna si manifesta assai prima del Novecento. Prende avvio, infatti, dall’urbanità mineraria medioevale di Iglesias. Si realizza con la magistratura dei Maestri del Monte per sanare contenziosi e conflitti, con le norme dei soccorsi nei rischi minerari e con le loro inappellabili parole sentenziali: inappellabilità come novum e unicum rispetto ad altri statuti comunali e allo stesso codice di Massa. Iglesias, esempio illustre nel panorama minerario italiano del suo tempo, è seguita da altri casi localizzati e temporalizzati di saper fare minerari vitali ben praticati nell’Isola. Nel Novecento emergono nuovi fatti, nuovi centri e nuovi protagonisti. Guspini nel 1903 con la creazione di ‘noi’ aggreganti e mobilitanti protagonisti nello sciopero e nella stampa locale. Buggerru nel 1904 e nel 1908 con minatori che s’impegnano per la produzione di diritti umani, anticipando di 40 anni la dichiarazione internazionale del 1948. Gonnesa nel 1906 con la marcia della popolazione nei centri vicini fino Barega, dove furono fermati dalle forze dell’ordine, per estendere nel territorio le alleanze popolari nelle lotte per poter vivere. Carbonia dal 1938 per l’antifascismo diffuso e rivolto alla rigenerazione urbana, per gli impegni democratici verso le periferie nella seconda metà degli anni Settanta con l’istituzione politica delle Circoscrizioni Comunali. Silius dal dopoguerra per l’estensione del saper fare tecnico minerario in altri settori produttivi di vita. Gadoni dal dopoguerra per la capacità di creare amicizie democratiche, che innovavano il tradizionale codice barbaricino, a partire dalle autonome condotte d’amicizia onorevole, promosse nelle solidarietà minerarie. Lula per le opposizioni contro le autorità ingiustamente impositive, anche quando femminili.
I territori del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, del Sarrabus-Gerrei, della Barbagia, offrono una variegata costellazione di casi in cui si realizzano saper fare minerari vitali con caratteristiche di novum e di unicum di straordinario interesse antropologico. Presentano, a ben vedere, anche obiettivi di diritti culturali non raggiunti o aggirati, traditi o ridimensionati, vanificati o ignorati. Tuttavia, il percorso culturale delle masse minerarie subalterne del Novecento dalle sottomissioni subite alle affermazioni della propria autonomia è di straordinaria rilevanza antropologica. Fatti, discorsi, relazioni, indicano formazioni di gruppi e di movimenti che diventano soggetti collettivi di rappresentanza democratica nei conflitti vitali. Tali soggetti, individualmente e collettivamente, costituiscono un preziosissimo e inestimabile patrimonio culturale di sperimentazioni, localizzate e temporalizzate, che offrono sapienti realizzazioni del fare vita e del fare umanità democraticamente condivisa, insieme alle produzioni di minerali. Donano sperimentati esercizi del saper vivere e del saper far vivere creando un comune orizzonte democratico di condivisione vitale. Si tratta di una particolare rete di unità culturale che lega persone e gruppi che, perfino quando sconfitti nelle controversie democratiche delle storiche esperienze minerarie, sanno parlare nei rischi e nei conflitti vitali del presente. Tali esperienze attraversano il cruciale tema gramsciano delle masse disperse e inerti che si fanno gruppi e movimenti autonomi di emancipazione e di liberazione. Siamo di fronte a un tema che registra un rinnovato interesse di studio nell’attualità con le sue contrastate crisi frammentarie e divisive, come indica gramscianamente Chalcraft (2025).
L’autonoma capacità di farsi umani, scientificamente detta autopoiesi, in miniera aveva una forma assai differente dalle esperienze riferite da Remotti (2013). In miniera la trasformazione di sé era connessa a quella di vari luoghi e relazioni, secondo differenti livelli della produzione di sicurezza vitale. Tale configurazione costituisce il settimo passo dei saper fare minerari vitali.

Trasformando vari luoghi e relazioni a differenti scale di rischio in varie temporalità minerarie, appare come un patrimonio di sperimentazione per nuove territorializzazioni. Pertanto, possono apparire realistiche eterotopie, cioè cambiamenti di luoghi e territori, capaci di suscitare nuove soggettivazioni, nuove umanizzazioni, nuova umanità
Un innovativo eco-territorialismo e un neo-patrimonialismo, entrambi minerari e vitali, possono essere realizzati da nuovi e innovativi saper fare minerari vitali per praticare soluzioni dei danni ambientali minerari e industriali. Bonifiche, rigenerazioni e riabilitazioni territoriali e ambientali possono suscitare nuovi paesaggi vitalmente securizzati e volti al futuro con un’ampia creatività di benessere vitale condiviso, a partire dai corpi e dalle persone. Queste ultime possono assumere nuovo valore, partecipando a innovative soluzioni dei storici rischi territoriali, diventando soggetti capaci di trasformare luoghi malsani rendendoli vitali, e nel contempo modificando e abilitando sé stesse.
I moti emancipativi del primo Novecento presero avvio dalle penurie di cibo connesse ai salari insufficienti per garantire minimi vitali alle persone e ai loro corpi, in tempi in cui il difficile poter vivere costituì una specifica soglia di intollerabilità, sia fisica e sia culturale.
Era un mondo che diventava teatro di eccezionali violenze ed eccidi: lo sciopero e l’eccidio di Buggerru del 1904 con 4 morti; quello di Gonnesa del 1906 con tre morti fra Gonnesa e Nebida, in cui perse la vita una popolana, Federica Pilloni; i fatti di Iglesias nel 1911 con sette minatori uccisi. Nell’arco di sette anni si contano 14 morti, minatori e persone del popolo. A tali violenze si aggiungono, a marcare le temporalità delle morti sul lavoro fino al fascismo, 649 morti in Sardegna, comprendendo poi la modernità di Carbonia se ne contano lì almeno atri 312, secondo le preziose rilevazioni dell’Associazione Minatori e Memoria. I morti in miniera parlavano in quei tempi e parlano al drammatico presente dei morti sul lavoro. Hanno temporalità multiple che giungono all’oggi.
Operai e operaie erano vincolati in un sistema di consumi, organizzato dalle stesse aziende minerarie, imperniato su aziendali cantine privilegiate dove si acquistava con buoni o con moneta aziendali. Tale sistema aziendale aveva una genealogia culturale di riferimento inglese, nota come truck-system. Su Bacu Abis, nel corso degli interrogatori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta nel 1908, un operaio fornì un esemplare di ghignone, il buono emesso dall’azienda con funzione monetaria nella cantina aziendale. Succedanei a Carbonia ne furono, durante il dopoguerra, i cosiddetti ‘boni fidus’. Nel sistema aziendale di monopolio del commercio minuto i viveri erano più cari, i generi scadenti e la circolazione monetaria avveniva con collaterali sistemi di prestiti ad altissimi tassi d’interesse, che erodevano i salari già insufficienti per vivere. Alcuni storici chiamarono “battaglie per il pane” i vari moti rivendicativi di quei tempi, altri li identificarono come “lotte salariali”. In uno schema evolutivo, quelle prime esperienze contestative e rivendicative dei movimenti operai sono state considerate deboli perché precedevano l’azione dei sindacati e dei partiti. In realtà cominciavano a sorgere le Leghe operaie e il partito socialista si muoveva già nelle zone minerarie dell’Isola e fra i battellieri di Carloforte.
Le lotte del primo Novecento, a ben vedere, furono collettive azioni vitali. Operai e operaie collegavano concettualmente le penurie di cibo e i difficili accessi al cibo sia agli alti prezzi dei generi di prima necessità e sia alla esiguità dei salari. Le loro ripetute richieste di un minimo salariale garantito documentano il legame stabilito, in quei luoghi e in quei tempi, fra salario e vita.
Quelle lotte salariali si situano nei movimenti storici per il diritto alla vita e in un arco rivendicativo e affermativo di diritti umani che anticipa penurie e crisi dell’attuale modernità. Visti con lenti gramsciane quei movimenti mostrano ancor di più. Presentano il passaggio di masse passive e dominate che divengono masse attive e autonomamente emancipative. Indicano la formazione di raggruppamenti, di movimenti e di consensi in espansione rivendicativa di diritti vitali durante contrasti aziendali e istituzionali, sia a livelli locali e sia a livelli territoriali più ampi, fino al territorio nazionale. Segnalano soggettivazioni collettive di gruppi e movimenti. Designano nuovi soggetti in formazione culturale e sociale.
Il percorso concettuale che ho prospettato è partito dalla prima questione dei saper fare minerari vitali come asse transdisciplinare. La seconda questione ha messo in luce la correlata duplicità dei paesaggi minerari sopra e sotto la terra e l’ineludibile importanza di certa edilizia minore nei paesaggi minerari. La terza tappa ha indicato nel patrimonio minerario caratteristiche congiunte di elementi materiali e immateriali. Il quarto punto ha riguardato le multiple temporalità minerarie e i conflitti per il governo democratico del tempo di lavoro e di vita. Il quinto passo ha toccato l’incontro con le élite minerarie, i loro discorsi e le loro informazioni. Il sesto tema ha interessato i conflitti minerari del Novecento e il loro carattere anticipatorio di modernità culturale democratica nell’orizzonte dei diritti umani. Il settimo ha riguardato la formazione di soggetti autonomi, le soggettivazioni individuali e collettive durante le sottomissioni. L’ottavo argomento parte dai soggetti del Novecento per sollecitare la formazione di nuovi soggetti produttori di vita nei territori minerari inquinati del 2000. Giunge agli attuali lasciti del malsano minerario e all’esigenza di una complessiva rivitalizzazione di luoghi e persone, in nuovi territori e paesaggi per farli diventare salutari.

Considerazioni provvisorie
Nelle temporalità di quest’epoca di de-territorializzazioni, favorite anche dalla rivoluzione informatica, un patrimonio di storiche umanizzazioni minerarie di grande rilevanza dal punto di vista antropologico e culturale è disponibile per incitare a dare nuovo senso culturale e antropologico agli storici territori minerari, investiti da nuovi rischi dopo le dismissioni estrattive. Il patrimonio degli storici saper fare minerai vitali incoraggia a trasformare gli storici territori minerari inquinati con innovative pratiche, capaci di fare e dare nuova vita durevole e democraticamente condivisa agli spazi industriali dismessi. Tale storico patrimonio culturale minerario giunge ora fino alla nostra contemporaneità. Costituisce un innovativo e originale lascito patrimoniale culturale, sostenuto da storici impegni vitali che toccano unitariamente i generi e il genere umano.
Il lascito dello storico patrimonio culturale dei saper fare minerari vitali, esercitati quotidianamente e diffusamente dai ceti subalterni nelle storiche miniere attive, si unisce nella contemporaneità a un’altra imponente eredità proveniente dalle aziende minerarie, private e pubbliche. L’eredità, incombente e onerosa, è costituita da discariche e da rischi ambientali, monumentali o impercettibili. Gli aspetti socio-tecnici della storica esperienza mineraria anticipavano rischi vitali i quali, con fenomeni e forme differenti, indicavano oscurità del presente.
Il complessivo lascito ambientale di storico malsano minerario s’intreccia, nel presente delle storiche comunità estrattive, anche con i rischi economici e sociali di una complessiva e dominante de-industrializzazione dei territori minerari. È accompagnata dalle fragilità storiche della generale mancata integrazione industriale delle zone agricole, interne o limitrofe agli storici territori minerari. S’intreccia anche con le emigrazioni giovanili e con gli spopolamenti che invecchiano, incupiscono e spengono centri minerari e produzioni culturali territoriali.
Urgono, in tutta evidenza, nuovi impegni innovativi e creativi di altissimo profilo culturale, con inedite e onorevoli qualità di novum e di unicum per realizzare nuove temporalità vitali, durevoli e democraticamente condivise, nei rischi e nelle fragilità del presente e del futuro negli storici centri e territori minerari della Sardegna. Urge un nuovo patto fra discipline scientifiche e fra queste e le istituzioni.
Nell’incombente de-territorializzazione appare necessario, nei centri minerari connessi a scala zonale e regionale, creare un’estesa dimensione territoriale di creativi cambiamenti vitali di nuovo benessere eco-territorializzato e soggettivizzante. Tale impegno diffuso e unitario pare ineludibile per la produzione di nuovi paesaggi capaci di esibire inedite estetiche paesaggistiche: nuove armonie di rigenerazioni che contengono il malsano storico, bonificato e risanato, malsano sostituito con inediti saper fare minerari vitali, scientifici e innovativi, capaci di rigenerazioni vitali spaziali e temporali degli storici territori minerari inquinati. Estetiche di nuovi esercizi di umanità che diventa accudente creando nuove temporalità, inclusive di nuove relazioni vitali tra territori e paesaggi, fra corpi e paesaggi, fra vite e paesaggi.
La produzione di nuovi territori e paesaggi vitali implica un importante cambiamento del ruolo e dello statuto culturale delle persone stesse, residenti o non residenti, che frequentano i territori minerari come territori d’affezione e di cura, impegnandosi in vari modi per renderli rigenerativi di vita. Pensiamo alle varie forme di riuso scientifico dei siti minerari, per esempio a Gonnesa e a Lula, in cui sono state dismesse le attività estrattive e in cui le duplici relazioni fra il sotto e il sopra della terra, con nuovi passaggi e paesaggi, segnano tempi di metamorfosi culturali e antropologiche nell’antropologia mineraria della contemporaneità.
Il turismo culturale, rigenerativo sul piano delle conoscenze e delle esperienze in sito, potrà assumere una nuova dimensione con la realizzazione di un innovativo modello sanitario che caratterizzi i centri minerari per una specifica connessione con i diritti alla vita attraverso la prevenzione dei rischi di salute che toccano non solo gli abitanti, ma anche la salute delle persone ospitate nei soggiorni turistici.
Nuovi impegni, di alto profilo scientifico e istituzionale democraticamente partecipato, possono essere realizzati nel solco culturale dei saper fare minerari vitali traducendone il senso, i principi, la democratica intenzionalità vitale. In tali modi potremo presentarci per nuovi riconoscimenti di valore, anche internazionali, per qualificare ampiamente il patrimonio antropologico e culturale del mundus e del tempus minerario, umanizzante in modi durevoli e democraticamente condivisi, che dalla Sardegna si volge all’Umanità.

Paola Atzeni

* Questo testo costituisce la conclusione delle mie riflessioni che compongono la prima parte di un Dossier di Antropologia Mineraria, attualmente in gestazione, che probabilmente uscirà in forma iniziale di pre-print. Una sintesi di questo scritto è stata presentata in occasione del Convegno su I valori del Patrimonio storico minerario della Sardegna per il mondo, tenutosi il 2 settembre 2025 a Carbonia. Si offre qui una parziale anticipazione del testo complessivo per favorire conoscenze, ampliamenti di riflessioni e impegni che possano diventare diffusamente molecolari nei territori minerari.

Venerdì 17 ottobre,
E' stato presentato

giampaolo.cirronis@gmail.com

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