28 March, 2024
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Applausi a scena aperta, al Teatro Centrale di Carbonia, lunedì sera, per Giuseppe Pambieri e Carlo Greco, protagonisti di “Nota Stonata”, testo teatrale dell’attore e drammaturgo francese Didier Caron, per la regia di Moni Ovadia, proposto per la Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC. 

Un celebre direttore d’orchestra, artista estremamente esigente, conosciuto e temuto per il suo temperamento sulfureo oltre che per la passione ed il talento, Carlo Greco, incontra nel camerino, al termine di un concerto, un sedicente ammiratore, Giuseppe Pambieri: il consueto rito dei complimenti e degli autografi si trasforma gradualmente, attraverso un dialogo enigmatico e ricco di sottintesi, in una situazione molto più inquietante, quasi un appuntamento con il destino.

Nota Stonata”, è una vicenda inventata ma del tutto verosimile, che mette a confronto carnefici e vittime in un’impossibile resa dei conti: l’orrore dei lager nazisti riaffiora nella sua mostruosa crudeltà, attraverso i ricordi, in una sorta di interrogatorio, volto ad estorcere una tremenda confessione (l’omicidio compiuto dal figlio 18enne di un gerarca nazista, 47 anni prima, sulla scena il direttore d’orchestra Carlo Greco, che dopo aver cambiato nome è diventato un grande direttore d’orchestra, nei confronti del padre di Giuseppe Pambieri, reo di una nota stonata durante un’esecuzione al violino, che ha impiegato quasi mezzo secolo per arrivare alla verità e a scoprire l’identità dell’uccisore del padre). 

“Nota Stonata” affronta una delle pagine nere del Novecento attraverso lo sguardo di due giovani, testimoni all’epoca ma anche partecipi in prima persona di un’insensata strage. La perdita dell’innocenza per entrambi è legata a un episodio lontano nel tempo ma vivido e incancellabile nella memoria, che ha segnato irrimediabilmente, sia pure in maniera diversa, le rispettive esistenze: tra gli echi di un’esecuzione musicale, risuonano nella mente i fatali colpi di pistola o di mitragliatrice che scandivano le giornate nei campi di concentramento, tra lo strazio dei corpi e le vite spezzate.

Gli altri particolari della storia li hanno raccontati i due attori protagonisti, Carlo Greco e Giuseppe Pambieri, che ho intervistato ieri mattina, all’Hotel Acquarius, a Carbonia, a distanza di 12 ore dallo spettacolo. La lunga intervista è visibile su Youtube e cliccando su questo link .

   

 

La tragedia della Shoah rivive, quasi inaspettatamente, in “Nota Stonata” (Fausse Note) dell’attore e drammaturgo francese Didier Caron, un moderno Kammerspiel nell’interpretazione di Giuseppe Pambieri e Carlo Greco per la regia di Moni Ovadia in cartellone venerdì 26 novembre, alle 21.00, alTeatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 27 novembre, alle 21.00, al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine domenica 28 novembre, alle 20.45, al Teatro Centrale di Carbonia sotto le insegne della Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC/Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna per una riflessione sul senso della storia. Un celebre direttore d’orchestra, artista estremamente esigente, conosciuto e temuto per il suo temperamento sulfureo oltre che per la passione e il talento, incontra nel camerino, al termine di un concerto, un sedicente ammiratore: il consueto rito dei complimenti e degli autografi si trasforma gradualmente, attraverso un dialogo enigmatico e ricco di sottintesi, in una situazione molto più inquietante, quasi un appuntamento con il destino.

Nota Stonata” nella mise en scène intimistica e insieme potentemente evocativa firmata da Moni Ovadia, incentrata sull’intensità e il pathos di una vicenda inventata ma del tutto verosimile, frutto di una serie di coincidenze apparentemente “(non) significative”, come accade nella vita, mette a confronto carnefici e vittime in una impossibile resa dei conti: l’orrore dei lager riaffiora nella sua mostruosa crudeltà, attraverso i ricordi, in una sorta di spietato duello tra due volontà, in un affascinante gioco di specchi, che assume sempre più la forma di un interrogatorio, volto a estorcere una tremenda confessione, a rompere il muro del silenzio, con la lucida coscienza del confine tra il bene e il male. La verità nascosta riappare faticosamente, a brandelli, sepolta tra le macerie di un passato ormai volutamente dimenticato, tra i volti dei fantasmi di una guerra perduta, in un esperimento rischioso in cui ciascuno dei contendenti mette in campo se stesso, i propri valori, il bilancio della propria esistenza, tra le ombre del passato e le aspettative per l’avvenire.

Sul filo di una suspense crescente “Nota Stonata” – produzione Golden Show e Teatro della Città di Catania, con il contributo della Regione Lazio, con le scenografie di Eleonora Scarponi e i costumi di Elisa Savi ispirati alle atmosfere mitteleuropee degli Anni Novanta – affronta una delle pagine nere del Novecento attraverso lo sguardo di due giovani, testimoni all’epoca ma anche partecipi in prima persona di una insensata strage, compiuta in violazione di ogni legge terrena o divina, per preservare la “purezza” della razza in nome di una presunta e del tutto infondata “supremazia ariana”. La perdita dell’innocenza per entrambi è legata a un episodio lontano nel tempo ma vivido e incancellabile nella memoria, che ha segnato irrimediabilmente, sia pure in maniera diversa, le rispettive esistenze: tra gli echi di una esecuzione musicale, risuonano nella mente i fatali colpi di pistola o di mitragliatrice che scandivano le giornate nei campi di concentramento, tra lo strazio dei corpi e le vite spezzate.

Una pièce folgorante, un’opera di teatro da camera sul tema della responsabilità individuale e anche sulla questione sottile dell’ambiguità della bellezza: si può (e si deve) davvero, e fino a che punto, scindere la figura dell’artista dalla sua arte? Se il giudizio sul valore artistico dell’opera si fonda giustamente su criteri squisitamente estetici, e considerazioni morali o moralistiche attengono semmai al gusto e alla sensibilità di ognuno, senza inficiare il pregio e neppure scalfire l’importanza di un capolavoro, come ci si pone di fronte alle azioni inique o abominevoli compiute dall’autore? Un dilemma etico che riguarda tutta la collettività e in particolare le nazioni e gli stati dopo la caduta di una dittatura o di un qualunque regime illiberale e violento, e impone la necessità di fare i conti sistematicamente con il proprio passato, tra luci e ombre, evitando tentativi di rimozione, in una catartica, e imprescindibile ancorché dolorosa ricerca della verità.

«“Nota Stonata” è, a mio parere, un testo teatrale deflagrante – afferma Moni Ovadia -. Dopo poche folgoranti quanto semplici battute di dialogo mi sono sentito agguantare per l’anima e il basso ventre e quella sensazione non mi ha mollato più fino alla parola fine. L’ho letto d’un fiato, à bout de souffle.»

Nel suo lavoro di regia, l’artista ha scelto di «porsi al servizio dello scavo attoriale per guidare, sostenere, provocare ed “estorcere agli attori” una totale immersione in una temperie prima ancora che in una messa in scena teatrale», con l’obiettivo di «costruire una complessa partitura in forma musicale, le cui note, i fraseggi, le pause e le dinamiche siano i movimenti intrapsichici dell’interpretazione, le reazioni, le titubanze, le messe in iscacco, le entrate in una suspense e le uscite, per entrare in una nuova tensione che coinvolgano e travolgano lo spettatore per renderlo testimone di ciò che è terrificante nell’umano e proporgli una possibilità di redenzione alla quale può accedere solo chi sia disposto ad avere coscienza di quale inferno l’essere umano può essere capace di inventare contro il proprio simile».

Un viaggio nei labirinti della mente e del cuore, per confrontarsi con una immane sciagura scaturita dalle decisioni e dalle “strategie” politiche e militari, un feroce genocidio compiuto con piena consapevolezza, o lucida follia, con la “complicità” di un popolo ingannato e soggiogato dalla paura e nel quasi generale “silenzio” dell’Europa: la Shoah appartiene alla sfera dell’indicibile, le parole non possono rifletterne che in parte l’oscenità e l’inumanità, ma è fondamentale non dimenticare quel che è accaduto, affinché non accada mai più.

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Un cast brillante e travolgente quello che ieri sera, al Teatro Centrale di Carbonia, ha letteralmente trascinato il numerosissimo pubblico all’interno di una casa di riposo per artisti, dove inizialmente tre ospiti, “ex cantanti lirici in pensione” diventano quattro per l’arrivo di un inaspettato ospite, loro conoscenza di vecchia data.
“Quartet”, di Ronald Harwood, scrittore e commediografo inglese, è una commedia frizzante, dai toni a volte malinconici, capace di far ridere e commuovere…Immedesimarsi è facile, data la grande professionalità degli artisti che, pur mettendo in scena un personaggio non in linea con il loro vero essere, riescono a coinvolgere tenendo sempre forte l’attenzione. Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni, Paola Quattrini ed Erika Blanc, sono gli interpreti che non hanno bisogno di presentazioni, da sempre amati dal pubblico per la loro grande maestria nell’arte della recitazione, per la loro umiltà ed il loro grande carisma. Persone vere, semplici, capaci di emozionare con voci, espressioni e parole che invitano alla riflessione su un tema delicato come quello della terza età, dove spesso ci si sente inutili eppur si prova ancora il brivido del volersi mettere in gioco…spesso pur non piacendosi più per via del corpo che cambia, delle rughe che affiorano incuranti degli specchi e degli sguardi della gente.
Uno spettacolo da non perdere, che oggi 2 febbraio ha concluso, al Teatro di Sinnai, una tournèe che ha abbracciato tutta l’Italia che spera possa ancora rivedere sul palco attori di questo calibro, grandi nella loro semplicità.
Giuseppe, Cochi, Paola, Erika… ieri notte siete stati applauditissimi, che questi applausi possano sempre scaldarvi il cuore…grazie!

“Quartet” era il terzo appuntamento della nuova stagione di musica e danza organizzata dal Cedac con il patrocinio ed il contributo economico del comune di Carbonia.
Nadia Pische

    

        

 

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Altra serata “magica”, ieri sera, al Teatro Centrale di Carbonia, con il terzo appuntamento della nuova stagione di musica e danza organizzata dal Cedac con il patrocinio ed il contributo economico del comune di Carbonia. Sul palco è andata in scena “Quartet”, una commedia con artisti d’eccezione: Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni, Paola Quattrini, Erika Blanc, con la regia di Patrick Rossi Gastaldi.

Prima dello spettacolo, sul quale pubblicheremo in giornata articolo di commento ed un ricco album fotografico, Nadia Pische ha realizzato l’intervista con i quattro artisti, che vi proponiamo.

https://www.facebook.com/giampaolo.cirronis/videos/10221708878499153/

  

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Dopo il grande successo ed il sold out della serata inaugurale con “Il Lago dei Cigni e del secondo spettacolo, “La Cena delle Belve, che ha visto la presenza di 291 persone, sabato 1° febbraio, alle ore 20.45, il Teatro Centrale ospiterà il terzo appuntamento della nuova stagione di musica e danza organizzata dal Cedac con il patrocinio ed il contributo economico del comune di Carbonia. Sul palco andrà in scena “Quartet”, una commedia con artisti d’eccezione: Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni, Paola Quattrini, Erika Blanc, con la regia di Patrick Rossi Gastaldi.

Personaggi che non hanno quasi bisogno di presentazioni: Giuseppe Pambieri è celebre per la sua lunga carriera di attore di cinema e tv; Cochi Ponzoni è noto in particolare per le sue gag comiche nel duo con Renato Pozzetto sul palcoscenico del “Derby” di Milano e per essere stato protagonista di numerose pellicole cinematografiche; Paola Quattrini ha al suo attivo numerose brillanti commedie teatrali, mentre Erika Blanc è un’attrice vincitrice de “Il Globo d’Oro” nel 2005 per la sua performance di attrice ne “Il Cuore Sacro”.

La commedia narra la storia di alcuni artisti, ex cantanti lirici che hanno goduto di successi e che si trovano ora ricoverati in una casa di riposo. Quartet è una gustosa, malinconica commedia sulla terza età, vissuta con un pesante bagaglio di rimpianti, ma con la voglia di esserci ancora. La vicenda, ambientata in Italia, ruota intorno a un evento speciale: in occasione dell’anniversario del compleanno di Giuseppe Verdi, le vecchie glorie dovranno esibirsi nel loro cavallo di battaglia, il quartetto Bella figlia dell’amor” dal Rigoletto. La preparazione è frenetica, ricca di colpi di scena. Tra rivelazioni, confessioni, invenzioni ed il classico coup de théatre, i quattro troveranno il modo non solo di tornare sulle scene, ma di riscoprirsi giovani e gloriosi come un tempo. Un gioco teatrale e drammaturgico capace di far ridere, riflettere e commuovere.

«Il Teatro Centrale garantisce un’offerta di spettacoli di altissimo livello che contribuiscono a rafforzare la candidatura della nostra città a Capitale italiana della Cultura 2021ha sottolineato il sindaco Paola Massidda -. La programmazione del calendario degli spettacoli della nuova stagione 2020 prevede, insieme ad artisti di calibro internazionale, la presenza delle nostre compagnie teatrali locali, che arricchiscono ulteriormente il cartellone di una rassegna che riscontra un ottimo gradimento da parte del pubblico».

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Grande successo di pubblico sabato sera al Teatro Centrale di Carbonia, con la commedia Classe di ferro di Aldo Nicolaj con Giuseppe Pambieri, Paolo Bonacelli e Valeria Ciangottini. Sin dalle prime battute la professionalità degli attori ha conquistato e coinvolto tutti, sorrisi misti ad espressioni di malinconia hanno dato uno spaccato della vita vissuta dalla parte delle persone della terza età. Un’età in cui ci si scontra con “il non poter più fare”, con “il sentirsi inutili”, con “il ma che ci faccio?”… Un problema reale, una vera e propria parabola della vita, una commedia per riflettere sulla solitudine che spesso si ritrova a vivere l’anziano, sul suo destino non sempre felice.

Applausi, risate e momenti di commozione sono stati il giusto cocktail per una serata ricca di valori e verità magistralmente portate in scena da artisti dal grande calibro, formatisi con la vecchia scuola… quella del tempo, quella dell’umiltà, quella del voler sempre crescere, quella del volersi mettere in gioco e cominciare sempre nuove sfide.

Prima di andare in scena uno dei protagonisti, Giuseppe Pambieri, ha raccontato a grandi linee, attraverso un’intervista, il suo percorso artistico e professionale per poi arrivare alla presentazione della commedia che di lì a poco sarebbe andata in scena. Un “signore d’altri tempi” è il profilo che ne consegue, un buon osservatore dei comportamenti umani che estrapola e fa suoi per poi portarli in scena, un sognatore con la continua voglia di scoprire cose nuove, un adulto con gli occhi di un bambino.

Perché il segreto della vita sta proprio lì… nel conservare vivo il bambino che si nasconde dentro noi, quel bambino che vive le emozioni a 360 gradi e non ha paura di nasconderle…

Nadia Pische

                                                                                                                                                 

 

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Focus sul tema complesso e attuale della terza età in “Classe di ferro” – originale e “profetica” commedia di Aldo Nicolaj in tournée nell’Isola per la stagione 2016-17 de La Grande Prosa firmata CerDAC – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna – nella mise en scène di Laros per la regia di Giovanni Anfuso. Sotto i riflettori tre interpreti straordinari – Paolo Bonacelli, noto attore di teatro e cinema, raffinato interprete pinteriano, con una lunga carriera costellata di successi, dal debutto con Vittorio Gassman ai recenti “Il malato immaginario” e “La brocca rotta” di Kleist e Giuseppe Pambieri, volto noto del piccolo schermo, dal fortunato “Sorelle Materassi” a “Incantesimo” e “Affari di famiglia”, ma soprattutto attore teatrale, dagli inizi al Piccolo Teatro di Milano alle tournées con la compagnia Pambieri-Tanzi fino al recentissimo “Re Lear”, e Valeria Ciangottini – versatile interprete fra teatro, cinema e tv, dal felice esordio ne  “La dolce vita” di Federico Fellini, alle fiction come “Giornalisti”, “E poi c’è Filippo” e “Un passo dal cielo”. Le scenografie sobrie ed essenziali sono di Alessandro Chiti, i costumi di Adele Bargilli, le musiche di Massimiliano Pace e il disegno luci di Giovanni Caccia.

La pièce ironica e dolceamara che getta uno sguardo sulla condizione degli anziani, dopo il debutto odierno, alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia, sarà in cartellone domenica 29 gennaio, alle 21.00, al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino, lunedì 30 gennaio, alle 21.00, nel Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e, infine, martedì 31 gennaio, alle 21.00, al Teatro Comunale di Sassari.

Un intrigante e spietato affresco di varia umanità affiora dalla celebre commedia di Aldo Nicolai, (ri)scoperta in Italia dopo il fortunato debutto ad Budapest nel 1974, e rappresentata più volte con successo (memorabile la versione del 1987 con Gianni Santuccio e Ciccio Ingrassia), per una riflessione sul destino delle donne e degli uomini ormai avanti con l’età, tra l’evoluzione della famiglia e l’idea della vecchiaia in seno alla civiltà dei consumi. Esclusi ormai dal mercato del lavoro, beneficiari – nei casi migliori – di una pensione il cui valore tende progressivamente a ridursi, con molto, a volte troppo tempo libero a disposizione, gli anziani si ritrovano a fare i conti con la solitudine e con una forma sottile di emarginazione, ma anche e soprattutto con la propria immagine di sé, con il timore di trasformarsi in un peso per figli e nipoti, o peggio ancora l’incubo di finire i propri giorni in una casa di riposo.

“Classe di ferro” racconta la vita di tre personaggi – Libero Bocca, Luigi Lapaglia e l’allegra e dolce Ambra – diversissimi per temperamento, educazione e condizione sociale, ma accomunati dalla data di nascita, che s’incontrano casualmente in un parco cittadino e frequentandosi iniziano a conoscersi, a confidarsi reciprocamente inquietudini e incertezze sul futuro. Tra i due uomini nasce se non proprio un’amicizia una sorta di intesa, tanto che di fronte alla prospettiva del ricovero in un ospizio scelgono l’ipotesi surreale di una fuga dalla realtà e dalle angosce del presente, verso la dimensione poetica dell’infanzia – o almeno una ritrovata giovinezza – lontano dalla crudeltà del mondo.

La cifra umoristica privilegiata dall’autore mette in risalto i tratti più significativi e grotteschi della personalità dei protagonisti, ma soprattutto rivela tutte le incongruenze e mancanze della società contemporanea, con il disgregarsi della famiglia che rende più fragile la sfera degli affetti, il venir meno delle occasioni d’incontro nel ritmo frenetico delle giornate e  per la lontananza geografica, cosicché i genitori di figli ormai adulti, e quindi i nonni diventano figure simboliche ma remote. Il dialogo tra le generazioni si spezza, nonni e nipoti si conoscono a malapena e soprattutto il ruolo antico e fondamentale dei vecchi, portatori di saggezza ed esperienza finisce con il venir meno, mentre l’uscita dalla fase lavorativa per sopraggiunti limiti di età finisce con il sancirne la presunta “inutilità” relegandoli ad una funzione sempre più marginale.

In effetti – rispetto alla realtà fotografata da Aldo Nicolaj nella sua “Classe di ferro” sono intervenuti ulteriori mutamenti: nell’Italia di oggi spesso i giovani che non trovano o perdono il lavoro sono di nuovo costretti a rifugiarsi nell’alveo della famiglia d’origine, gli stipendi inadeguati hanno finito con il trasformare le piccole pensioni in una risorsa fondamentale e basilare per l’economia. Una nuova tragedia – che offrirebbe interessanti spunti alla penna arguta e alla fantasia del commediografo – tra i più noti e apprezzati del Novecento, autore di folgoranti monologhi e atti unici, oltre che di brillanti commedie, sembra aleggiare nell’aria.

Il ruolo storico degli anziani – detentori di un sapere antico, forgiato con gli anni, e tramandato nei secoli – sembra ormai superato – eppure nella frenesia della vita moderna, laddove si riesca a preservarlo, il contatto e il confronto tra le diverse generazioni costituisce una risorsa preziosa: testimoni di un’altra epoca e di quella attuale, i vecchi possono svelare ai più giovani il senso profondo dell’esistenza, offrendo il supporto del loro vissuto, dei valori e dei principi, facendosi memoria viva del passato e della storia. L’evoluzione della tecnica e in particolare delle forme di comunicazione – di cui molti anziani si sono impadroniti agevolmente – ha reso possibile superare le barriere geografiche, così come i progressi della medicina hanno migliorato la qualità della vita anche dopo la maturità. Il mondo è cambiato – ma la realtà descritta di Nicolaj risulta ancora sorprendentemente attuale.

“Classe di ferro” regala i tre ritratti indimenticabili di due uomini e una donna alla ricerca del proprio posto nel mondo, tre personaggi che rivendicano la propria dignità, l’importanza dei  ricordi, l’unicità delle loro storie a fronte dell’inesorabile scorrere dei giorni, e suggerisce interessanti spunti di riflessione sull’oggi e il domani, le derive della civiltà e il valore delle radici e dell’identità da cui prende forma e forza la personalità individuale – senza dimenticare i legami primari e gli affetti.

Domenica pubblicheremo una lunga intervista realizzata questa sera da Nadia Pische con Giuseppe Pambieri.

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Focus sul tema complesso e attuale della terza età in “Classe di ferro” – originale e “profetica” commedia di Aldo Nicolaj in tournée nell’Isola per la stagione 2016-17 de La Grande Prosa firmata CerDAC – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna – nella mise en scène di Laros per la regia di Giovanni Anfuso. Sotto i riflettori tre interpreti straordinari – Paolo Bonacelli, noto attore di teatro e cinema, raffinato interprete pinteriano, con una lunga carriera costellata di successi, dal debutto con Vittorio Gassman ai recenti “Il malato immaginario” e “La brocca rotta” di Kleist e Giuseppe Pambieri, volto noto del piccolo schermo, dal fortunato “Sorelle Materassi” a “Incantesimo” e “Affari di famiglia”, ma soprattutto attore teatrale, dagli inizi al Piccolo Teatro di Milano alle tournées con la compagnia Pambieri-Tanzi fino al recentissimo “Re Lear”, e Valeria Ciangottini – versatile interprete fra teatro, cinema e tv, dal felice esordio ne  “La dolce vita” di Federico Fellini, alle fiction come “Giornalisti”, “E poi c’è Filippo” e “Un passo dal cielo”. Le scenografie sobrie ed essenziali sono di Alessandro Chiti, i costumi di Adele Bargilli, le musiche di Massimiliano Pace e il disegno luci di Giovanni Caccia.

La pièce ironica e dolceamara che getta uno sguardo sulla condizione degli anziani, dopo il debutto di domani, sabato 28 gennaio, alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia, sarà in cartellone domenica 29 gennaio alle 21 al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino, lunedì 30 gennaio alle 21 nel Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine martedì 31 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari.

Un intrigante e spietato affresco di varia umanità affiora dalla celebre commedia di Aldo Nicolai, (ri)scoperta in Italia dopo il fortunato debutto ad Budapest nel 1974, e rappresentata più volte con successo (memorabile la versione del 1987 con Gianni Santuccio e Ciccio Ingrassia), per una riflessione sul destino delle donne e degli uomini ormai avanti con l’età, tra l’evoluzione della famiglia e l’idea della vecchiaia in seno alla civiltà dei consumi. Esclusi ormai dal mercato del lavoro, beneficiari – nei casi migliori – di una pensione il cui valore tende progressivamente a ridursi, con molto, a volte troppo tempo libero a disposizione, gli anziani si ritrovano a fare i conti con la solitudine e con una forma sottile di emarginazione, ma anche e soprattutto con la propria immagine di sé, con il timore di trasformarsi in un peso per figli e nipoti, o peggio ancora l’incubo di finire i propri giorni in una casa di riposo.

“Classe di ferro” racconta la vita di tre personaggi – Libero Bocca, Luigi Lapaglia e l’allegra e dolce Ambra – diversissimi per temperamento, educazione e condizione sociale, ma accomunati dalla data di nascita, che s’incontrano casualmente in un parco cittadino e frequentandosi iniziano a conoscersi, a confidarsi reciprocamente inquietudini e incertezze sul futuro. Tra i due uomini nasce se non proprio un’amicizia una sorta di intesa, tanto che di fronte alla prospettiva del ricovero in un ospizio scelgono l’ipotesi surreale di una fuga dalla realtà e dalle angosce del presente, verso la dimensione poetica dell’infanzia – o almeno una ritrovata giovinezza – lontano dalla crudeltà del mondo.

La cifra umoristica privilegiata dall’autore mette in risalto i tratti più significativi e grotteschi della personalità dei protagonisti, ma soprattutto rivela tutte le incongruenze e mancanze della società contemporanea, con il disgregarsi della famiglia che rende più fragile la sfera degli affetti, il venir meno delle occasioni d’incontro nel ritmo frenetico delle giornate e  per la lontananza geografica, cosicché i genitori di figli ormai adulti, e quindi i nonni diventano figure simboliche ma remote. Il dialogo tra le generazioni si spezza, nonni e nipoti si conoscono a malapena e soprattutto il ruolo antico e fondamentale dei vecchi, portatori di saggezza ed esperienza finisce con il venir meno, mentre l’uscita dalla fase lavorativa per sopraggiunti limiti di età finisce con il sancirne la presunta “inutilità” relegandoli ad una funzione sempre più marginale.

In effetti – rispetto alla realtà fotografata da Aldo Nicolaj nella sua “Classe di ferro” sono intervenuti ulteriori mutamenti: nell’Italia di oggi spesso i giovani che non trovano o perdono il lavoro sono di nuovo costretti a rifugiarsi nell’alveo della famiglia d’origine, gli stipendi inadeguati hanno finito con il trasformare le piccole pensioni in una risorsa fondamentale e basilare per l’economia. Una nuova tragedia – che offrirebbe interessanti spunti alla penna arguta e alla fantasia del commediografo – tra i più noti e apprezzati del Novecento, autore di folgoranti monologhi e atti unici, oltre che di brillanti commedie, sembra aleggiare nell’aria.

Il ruolo storico degli anziani – detentori di un sapere antico, forgiato con gli anni, e tramandato nei secoli – sembra ormai superato – eppure nella frenesia della vita moderna, laddove si riesca a preservarlo, il contatto e il confronto tra le diverse generazioni costituisce una risorsa preziosa: testimoni di un’altra epoca e di quella attuale, i vecchi possono svelare ai più giovani il senso profondo dell’esistenza, offrendo il supporto del loro vissuto, dei valori e dei principi, facendosi memoria viva del passato e della storia. L’evoluzione della tecnica e in particolare delle forme di comunicazione – di cui molti anziani si sono impadroniti agevolmente – ha reso possibile superare le barriere geografiche, così come i progressi della medicina hanno migliorato la qualità della vita anche dopo la maturità. Il mondo è cambiato – ma la realtà descritta di Nicolaj risulta ancora sorprendentemente attuale.

“Classe di ferro” regala i tre ritratti indimenticabili di due uomini e una donna alla ricerca del proprio posto nel mondo, tre personaggi che rivendicano la propria dignità, l’importanza dei  ricordi, l’unicità delle loro storie a fronte dell’inesorabile scorrere dei giorni, e suggerisce interessanti spunti di riflessione sull’oggi e il domani, le derive della civiltà e il valore delle radici e dell’identità da cui prende forma e forza la personalità individuale – senza dimenticare i legami primari e gli affetti.