7 October, 2024
HomeCulturaPer la Grande Prosa del CeDAC, sabato sera al Centrale di Carbonia, andrà in scena “Classe di ferro”, con Giuseppe Pambieri.

Per la Grande Prosa del CeDAC, sabato sera al Centrale di Carbonia, andrà in scena “Classe di ferro”, con Giuseppe Pambieri.

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Focus sul tema complesso e attuale della terza età in “Classe di ferro” – originale e “profetica” commedia di Aldo Nicolaj in tournée nell’Isola per la stagione 2016-17 de La Grande Prosa firmata CerDAC – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna – nella mise en scène di Laros per la regia di Giovanni Anfuso. Sotto i riflettori tre interpreti straordinari – Paolo Bonacelli, noto attore di teatro e cinema, raffinato interprete pinteriano, con una lunga carriera costellata di successi, dal debutto con Vittorio Gassman ai recenti “Il malato immaginario” e “La brocca rotta” di Kleist e Giuseppe Pambieri, volto noto del piccolo schermo, dal fortunato “Sorelle Materassi” a “Incantesimo” e “Affari di famiglia”, ma soprattutto attore teatrale, dagli inizi al Piccolo Teatro di Milano alle tournées con la compagnia Pambieri-Tanzi fino al recentissimo “Re Lear”, e Valeria Ciangottini – versatile interprete fra teatro, cinema e tv, dal felice esordio ne  “La dolce vita” di Federico Fellini, alle fiction come “Giornalisti”, “E poi c’è Filippo” e “Un passo dal cielo”. Le scenografie sobrie ed essenziali sono di Alessandro Chiti, i costumi di Adele Bargilli, le musiche di Massimiliano Pace e il disegno luci di Giovanni Caccia.

La pièce ironica e dolceamara che getta uno sguardo sulla condizione degli anziani, dopo il debutto di domani, sabato 28 gennaio, alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia, sarà in cartellone domenica 29 gennaio alle 21 al Teatro Grazia Deledda di Paulilatino, lunedì 30 gennaio alle 21 nel Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine martedì 31 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari.

Un intrigante e spietato affresco di varia umanità affiora dalla celebre commedia di Aldo Nicolai, (ri)scoperta in Italia dopo il fortunato debutto ad Budapest nel 1974, e rappresentata più volte con successo (memorabile la versione del 1987 con Gianni Santuccio e Ciccio Ingrassia), per una riflessione sul destino delle donne e degli uomini ormai avanti con l’età, tra l’evoluzione della famiglia e l’idea della vecchiaia in seno alla civiltà dei consumi. Esclusi ormai dal mercato del lavoro, beneficiari – nei casi migliori – di una pensione il cui valore tende progressivamente a ridursi, con molto, a volte troppo tempo libero a disposizione, gli anziani si ritrovano a fare i conti con la solitudine e con una forma sottile di emarginazione, ma anche e soprattutto con la propria immagine di sé, con il timore di trasformarsi in un peso per figli e nipoti, o peggio ancora l’incubo di finire i propri giorni in una casa di riposo.

“Classe di ferro” racconta la vita di tre personaggi – Libero Bocca, Luigi Lapaglia e l’allegra e dolce Ambra – diversissimi per temperamento, educazione e condizione sociale, ma accomunati dalla data di nascita, che s’incontrano casualmente in un parco cittadino e frequentandosi iniziano a conoscersi, a confidarsi reciprocamente inquietudini e incertezze sul futuro. Tra i due uomini nasce se non proprio un’amicizia una sorta di intesa, tanto che di fronte alla prospettiva del ricovero in un ospizio scelgono l’ipotesi surreale di una fuga dalla realtà e dalle angosce del presente, verso la dimensione poetica dell’infanzia – o almeno una ritrovata giovinezza – lontano dalla crudeltà del mondo.

La cifra umoristica privilegiata dall’autore mette in risalto i tratti più significativi e grotteschi della personalità dei protagonisti, ma soprattutto rivela tutte le incongruenze e mancanze della società contemporanea, con il disgregarsi della famiglia che rende più fragile la sfera degli affetti, il venir meno delle occasioni d’incontro nel ritmo frenetico delle giornate e  per la lontananza geografica, cosicché i genitori di figli ormai adulti, e quindi i nonni diventano figure simboliche ma remote. Il dialogo tra le generazioni si spezza, nonni e nipoti si conoscono a malapena e soprattutto il ruolo antico e fondamentale dei vecchi, portatori di saggezza ed esperienza finisce con il venir meno, mentre l’uscita dalla fase lavorativa per sopraggiunti limiti di età finisce con il sancirne la presunta “inutilità” relegandoli ad una funzione sempre più marginale.

In effetti – rispetto alla realtà fotografata da Aldo Nicolaj nella sua “Classe di ferro” sono intervenuti ulteriori mutamenti: nell’Italia di oggi spesso i giovani che non trovano o perdono il lavoro sono di nuovo costretti a rifugiarsi nell’alveo della famiglia d’origine, gli stipendi inadeguati hanno finito con il trasformare le piccole pensioni in una risorsa fondamentale e basilare per l’economia. Una nuova tragedia – che offrirebbe interessanti spunti alla penna arguta e alla fantasia del commediografo – tra i più noti e apprezzati del Novecento, autore di folgoranti monologhi e atti unici, oltre che di brillanti commedie, sembra aleggiare nell’aria.

Il ruolo storico degli anziani – detentori di un sapere antico, forgiato con gli anni, e tramandato nei secoli – sembra ormai superato – eppure nella frenesia della vita moderna, laddove si riesca a preservarlo, il contatto e il confronto tra le diverse generazioni costituisce una risorsa preziosa: testimoni di un’altra epoca e di quella attuale, i vecchi possono svelare ai più giovani il senso profondo dell’esistenza, offrendo il supporto del loro vissuto, dei valori e dei principi, facendosi memoria viva del passato e della storia. L’evoluzione della tecnica e in particolare delle forme di comunicazione – di cui molti anziani si sono impadroniti agevolmente – ha reso possibile superare le barriere geografiche, così come i progressi della medicina hanno migliorato la qualità della vita anche dopo la maturità. Il mondo è cambiato – ma la realtà descritta di Nicolaj risulta ancora sorprendentemente attuale.

“Classe di ferro” regala i tre ritratti indimenticabili di due uomini e una donna alla ricerca del proprio posto nel mondo, tre personaggi che rivendicano la propria dignità, l’importanza dei  ricordi, l’unicità delle loro storie a fronte dell’inesorabile scorrere dei giorni, e suggerisce interessanti spunti di riflessione sull’oggi e il domani, le derive della civiltà e il valore delle radici e dell’identità da cui prende forma e forza la personalità individuale – senza dimenticare i legami primari e gli affetti.

Lettera aperta di al
27 gennaio: il Giorn

giampaolo.cirronis@gmail.com

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