22 May, 2025
HomePosts Tagged "Pietro Cocco"

Tra gli alberi del Parco S’Olivariu e gli affascinanti resti della laveria Seddas Moddizzis di Gonnesa, il senso di unione e di condivisione sono stati i protagonisti della prima edizione della Festa della Famiglia, organizzata dal Plus di Iglesias in collaborazione con le associazioni del distretto, il Centro per la Famiglia e la cooperativa La Clessidra.

Un sabato, quello del 10 maggio, decisamente affollato – i partecipanti sono stati circa 200 – e fondato sul senso di vicinanza. Come ha ricordato Pietro Cocco, il sindaco di Gonnesa, «la famiglia è rifugio dove sentirsi al sicuro e coltivare le basi dello stare insieme, è un luogo verso cui indirizzare la sensibilità dei servizi sociali ed educativi». «Questiha aggiuntosono i principi su cui si basa una buona amministrazione, facendo la propria parte sino in fondo.»

Sull’importanza dei legami ha insistito anche l’assessora alle politiche sociali del comune di Iglesias, Angela Scarpa: «La natura accentua la connessione tra le persone, e innesca un cambiamento nell’epoca del digitale superando individualismi e solitudini». L’assessora ha poi sottolineato «l’importanza del lavoro di tutti – servizi, amministratori, associazioni, cittadini – in un cammino di partecipazione comune».

La giornata è stata caratterizzata da diverse attività, tutte inclusive e alla portata di ogni partecipante. Parte delle famiglie è stata impegnata in una passeggiata mattutina nei dintorni di Gonnesa, Davanti all’affascinante laveria Sedda Moddizzis le guide di Janas Escursioni hanno coinvolto con calore grandi e piccini, alla scoperta di un passato minerario che riguarda tutte le famiglie del Sulcis Iglesiente le lega indissolubilmente al presente.

Parallelamente, S’Olivariu si è colorato di pastelli, pennarelli, trucca-bimbi e palloncini. I tappetini vivaci dello yoga, a cura di APS – Rete Donne Musei, e il dialogo del Cerchio delle Mamme e dei Papà guidati dalle volontarie di Consultiamoci ODV, hanno fatto il resto mostrando appieno l’importanza simbolica del “cerchio”, una forma che è unione, condivisione, risorsa e occasione di confronto.

Non sono mancati nemmeno i giochi da tavolo, attrazione per i ragazzi più grandi, come “Self-Advopoly”, gioco di società targato ANFFAS, il Monopoly della self-advocacy.

La giornata ha avuto un ulteriore momento conviviale durante il pranzo: le famiglie e tutti i partecipanti hanno condiviso il cibo insieme, in grandi tavolate; un’occasione per stringere nuovi legami e rafforzare quelli già esistenti.

Nel pomeriggio, sorrisi e risate hanno rallegrato l’atmosfera de S’Olivariu, grazie allo spettacolo dei burattini di Fabio Pisu, che ha interagito in modo stimolante e simpatico con i più piccoli.

Contemporaneamente, la sala interna del Parco ha ospitato un importante momento divulgativo dallo spirito informale, in uno spazio sicuro dove i rappresentanti di tutte le associazioni coinvolte, gli operatori del Centro della Famiglia e del PLUS di Iglesias, con testimonianze e preziosi interventi, hanno instaurato un dialogo aperto con genitori e partecipanti.

Bimbi, genitori e nonni hanno portato a casa il ricordo di una bella giornata di cui sentivano il bisogno. Un bisogno intercettato dai servizi e da un lavoro di rete e di ascolto, nell’ambito di un progetto ambizioso che ha trovato il suo coronamento proprio nella realizzazione della Festa della Famiglia.

A ogni partecipante sono stati donati un dolcetto, realizzato dai ragazzi dell’ANFFAS, e una Polaroid che ha immortalato la partecipazione di ciascuno.

La mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer”, che si svolge attualmente a Cagliari, richiama tra l’altro il legame tra Berlinguer e la Sardegna.

Proprio per dare un significato a questo legame, può essere utile leggere l’articolo che Ugo Baduel, giornalista di riconosciuto prestigio professionale, scrive per informare su due importanti comizi tenuti dall’allora segretario del PCI, a Carbonia e a Cagliari, rispettivamente l’8 e il 9 giugno 1974, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali. Il testo giornalistico è accompagnato da commenti interpretativi sulle parole di Berlinguer e sulle notizie di contesto che l’autore offre al nostro presente per conoscere luoghi e tempi e modi in cui pensiero culturale e politico di Berlinguer si è diffuso, diventando condiviso e popolare. Iniziamo dal testo di questo articolo facendolo seguire da ricordi personali su Berlinguer, non celebrativi ma impegnativi, che il confronto con le sue parole incoraggiava e incoraggia ancora. L’articolo di Ugo Baduel, comparve su L’Unità del 10 giugno

Berlinguer a Carbonia e a Cagliari

Dalla Sardegna una riprova del malgoverno DC – Rompere il vecchio sistema di potere, conquistare una nuova direzione politica – Senza i comunisti non è possibile raggiungere l’obiettivo del rinnovamento dell’isola nell’interesse di tutto il Paese – CAGLIARI, 9 giugno

«Carbonia è un nome ben presente nella mente di tutti i lavoratori, in Sardegna e fuori della Sardegna. Tutti hanno nella memoria le tante e gloriose lotte proletarie e popolari che da anni, e fino all’ultimo sciopero di pochi giorni fa, hanno segnato il cammino – ora vittorioso, ora sfortunato – dei lavoratori del Sulcis Iglesiente in difesa dell’occupazione, contro il carovita, per la ripresa delle attività estrattive nelle miniere di carbone e per lo sviluppo delle altre attività minerarie e metallurgiche. Il segretario generale del partito.»

Enrico Berlinguer, ha cominciato con queste parole ieri sera, nella piazza di Carbonia, il suo discorso che è il primo del viaggio elettorale in Sardegna: un punto di partenza significativo. Dietro al palco, sulle mura del palazzo comunale, spiccava in rosso la scritta: «Brescia: fascisti assassini»; su un palazzo vicino, più sbiadita dal tempo un’altra scritta: «Carbonia non deve morire». Due autentiche dichiarazioni politiche che rappresentano la migliore descrizione di Carbonia e della sua vicenda. Il comune, retto da anni da un’amministrazione di sinistra, con il sindaco, compagno Coco, operaio comunista, perseguitato e incarcerato durante il fascismo, che la rappresenta fin dal dopoguerra. Città «rossa» quindi, e città operaia, antifascista con tanto più accanimento in quanto fu tutta, praticamente, concepita come un’opera del regime, trionfalistica e «mussoliniana» anche nella topografia, nella piazza sterminata e sproporzionata, nei palazzi «littori» del 1938, anno di fondazione della città. E insieme zona di crisi profonda da oltre vent’anni, esempio emblematico del deterioramento costante della situazione di tutta l’isola. Qui, nel 1950, c’erano 50 mila abitanti e i minatori e operai erano 18 mila. Venticinquemila abitanti sono emigrati da allora e oggi Carbonia ha 31 mila abitanti, 600 dipendenti precariamente occupati nelle miniere di carbone passate da alcuni anni all’ENEL e oggi in smobilitazione, meno di tremila operai negli impianti metalliferi (estrazione e lavorazione di piombo, zinco, alluminio) in pesante crisi, l’agricoltura in sostanziale abbandono. Ma, intanto, come ha ricordato il compagno Coco ieri sera presentando il compagno Berlinguer alla piazza affollata l’EFIM, ente pubblico, ha stipulato un contratto con una miniera carbonifera nel Sud Africa, infischiandosene del carbone sardo. La manifestazione, i cartelli che hanno accolto ieri Berlinguer, denunciavano appunto questa crisi e rappresentavano la ferma volontà di impedire che – come diceva la scritta – «Carbonia muoia». Una piazza piena di ragazzi e di anziani (manca, come sempre nelle zone di emigrazione, una larghissima fetta della generazione di mezzo): giovani e giovanissimi, ragazze a fianco di donne anziane, alcune nel costume nero tradizionale. Un pubblico dicono i compagni di Carbonia, molto nuovo rispetto a poco tempo fa, soprattutto per quanto riguarda ragazze e donne anziane: «Le ha tirate fuori in buona parte la campagna per il referendum», dicono. E a Carbonia i «no» sono stati il 72%.

Ieri a Carbonia, oggi a Cagliari nella piazza Garibaldi, gremita di folla dove Enrico Berlinguer è stato presentato dal segretario della federazione compagno Atzeni. Il discorso sulla Sardegna, sul tipo di sviluppo che s’impone per l’isola se non si vuole vederne naufragare le prospettive, è stato al centro dei due comizi del segretario del partito che ha anche affrontato poi questioni di politica generale, il tema della lotta al fascismo, quella della situazione complessiva italiana segnata da un lato dalla vittoria dei «no» nel referendum a da una grande spinta democratica delle masse, e dall’altro dalla grave crisi economica e sociale di cui sono responsabili i governi di questi anni e – come Berlinguer l’ha definita – la «piovra» del potere clientelare della DC, corrotto e corruttore, che soffoca, come la Sardegna, il Mezzogiorno e tutto il Paese.

Nodo centrale dello sviluppo della Sardegna, e quindi tema dominante delle elezioni regionali, è la legge 509 che sostituisce il vecchio piano di rinascita. Con l’approvazione ormai definitiva da parte del Parlamento della 509 – ha detto Berlinguer – si è delineato per la Sardegna un programma di trasformazione economica che potrebbe – se ben attuato – correggere gli errori e i fallimenti passati e avviare la Sardegna sulla via di una rinascita reale. Noi comunisti – ha aggiunto Berlinguer – per primi e da lungo tempo abbiamo affermato la necessità di una seria programmazione regionale, abbiamo svolto una critica tenace e radicale al modo in cui veniva applicata la legge precedente, al modo dispersivo o corruttore con cui venivano distribuite le ingenti somme a disposizione della Regione e per primi abbiamo sostenuto che il problema centrale della Sardegna era quello della trasformazione agraria. Per lunghi anni, invece gli altri partiti hanno alimentato l’illusione che si potesse dirigere uno sviluppo reale dell’economia, attraverso regali e elargizioni ad alcuni gruppi monopolistici o sparsi, senza altro criterio che quello clientelare. Poi però – ha detto Berlinguer – hanno parlato i fatti, dimostrando che per quella via nemmeno si avviava la soluzione dei veri problemi di fondo della Sardegna che sono: la trasformazione agricola e pastorale; un’industrializzazione diffusa e articolata, capace di creare un’effettiva e sensibile offerta di posti-lavoro; la creazione di servizi sociali adeguati nei settori della scuola, della sanità, dei trasporti. La via che si volle intraprendere, invece ha portato solo – come era prevedibile all’abbandono di grandi risorse materiali e umane, all’emigrazione (che in venti anni ha fatto toccare la drammatica cifra di 300mila unità), alla crisi profonda delle città e delle campagne. Per anni e anni – ha aggiunto Berlinguer – con lotte sindacali e popolari, con battaglie politiche, con manifestazioni di grande valore come la giornata di lotta della Sardegna del 29 gennaio scorso, sono stati indicati i giusti obiettivi per lo sviluppo della regione, che effettivamente mezzi e forze andavano concentrati e non dispersi in mille rivoli, indirizzati a un’opera di trasformazione dell’intera Sardegna e non a uno squilibrato sviluppo di «poli» monopolistici. La cosa importante e nuova – ha sottolineato Berlinguer – è che a questo punto anche fuori dell’isola si comincia a comprendere che la Sardegna (e tutto il Mezzogiorno) non sono zone da «assistere» ma sono zone che devono essere trasformate nell’interesse generale del Paese.

Berlinguer ha quindi spiegato quanto qualificanti siano i punti di connessione, in questo momento, fra un organico e pianificato sviluppo di alcuni settori chiave della Sardegna (e del Sud) e la crisi economica che il Paese intero sta attraversando. Il deficit della bilancia internazionale dei pagamenti – ad esempio – è dovuto in larga parte alla necessità di massicce importazioni di carne: è evidente dunque che uno sviluppo dell’allevamento e della zootecnia in Sardegna, potrebbe avere una benefica incidenza su un grave fattore della crisi economica nazionale. Lo stesso può dirsi per le fonti di energia di cui oggi l’Italia ha fame, mentre in Sardegna quelle esistenti sono abbandonate, come dimostra anche il caso di Carbonia. Il popolo sardo può dare dunque un contributo importante – ha detto Berlinguer – a una svolta reale nella politica nazionale: ma può darlo solo – ecco il punto – se il governo dell’Isola sarà nelle sue mani. Questa è la vera questione in gioco il 16 giugno, la questione politica. Ci sono da anni le idee, ci sono le forze per rinnovare la Sardegna: oggi possiamo aggiungere che c’è anche uno strumento che legge nuovo, la 509. Che cosa è mancato allora, che cosa manca? Manca l’elemento decisivo: una direzione politica per realizzare quelle idee, un potere che sappia fare leva e che sappia fondarsi sulle forze più avanzate, che abbia la capacità, la forza, l’autorità, i consensi che sono necessari per avviare una grande impresa come la rinascita della Sardegna. Dunque – ha esclamato il segretario generale del PCI – il problema è quello del governo dell’isola, di un governo che sia l’espressione dell’unità del popolo sardo, che sia fondato sulla collaborazione di forme democratiche e progressiste. Se questa svolta non si realizzerà – ha detto Berlinguer – non possono esserci garanzie che i fondi – insufficienti ma comunque considerevoli – della 509 siano utilizzati in modo diverso dal passato; e sarà un nuovo fallimento, saranno nuove delusioni.

Berlinguer ha ricordato i risultati, sotto gli occhi di tutti, dati dalle formule di governo sperimentate in cinque anni; la instabilità cronica di quei governi (otto o nove crisi, ben tredici presidenti dal ‘69 a oggi). Occorre quindi cambiare radicalmente la formula di governo, ma occorre qualcosa di più importante, e cioè un nuovo modo di governare che rompa il vecchio sistema di potere, che esprima un governo per il popolo con il popolo, ma che non potrà mai essere tale se si continuerà a voler escludere la grande forza del PCI. Tutto il resto è piccolo cabotaggio politico, ha aggiunto Berlinguer. Non convince, ad esempio, la posizione del PSI che, da un lato, critica l’azione delle Giunte passate delle quali peraltro ha fatto quasi sempre parte, ma poi riduce tutto al puro obiettivo di mutare i rapporti di forza fra la DC e lo stesso PSI nell’ambito di quella stessa formula che ha dato così fallimentari risultati. Ridurre tutto al problema di un assessore in più nel governo regionale, significa voler eludere la questione di fondo. Il problema – ha ribadito Berlinguer – è ben altro: si tratta di aprire un capitolo del tutto nuovo, di lasciare cadere le passate preclusioni, di dare al governo dell’Isola una forza e una autorità che nessun governo regionale ha mai avuto in venticinque anni. E per rendere possibile questo, noi comunisti non diciamo che «solo noi» possiamo realizzare un simile obiettivo, ma diciamo che esso non può in alcun modo essere raggiunto «senza di noi», che siamo, lo si voglia o no, la forza che raccoglie la fiducia della parte più avanzata dei lavoratori. Il voto del 16 giugno deve essere tale da fare avanzare in questa direzione nuova la Sardegna.
Deve quindi essere in primo luogo un voto che colpisca duramente il Movimento sociale italiano, riaffermando così i valori pregiudiziali della difesa e dell’autonomia regionale e della democrazia insidiata. Deve essere un voto che ridimensioni la DC, il cui strapotere è la ragione prima del corrotto sistema clientelare, degli sprechi, dei fallimenti passati. Un voto che crei nuovi rapporti di forza e, in primo luogo, che dia più forza al PCI. Dare più voti al PCI – ha aggiunto Berlinguer – significa indicare chiaramente la direzione verso cui si vuole andare, significa dare un aiuto politico per liberare e far contare di più in tutti i partiti le forze migliori oggi invischiate nel gioco di potere e schiacciate dall’arroganza democristiana. Dare fiducia al PCI significa – ha concluso per questa parte del suo discorso Berlinguer – darla a un partito diverso dagli altri, un partito la cui avanzata è necessaria per rigenerare anche gli altri partiti, per aprirli al dialogo e alla collaborazione; significa infine rendere non più rifiutabile una diversa maggioranza alla direzione della Regione. Per realizzare questo obiettivo il 16 giugno, serve lo sforzo e la convinta adesione, non solo dei comunisti, ma di tutte le forze che sono state le protagoniste della vittoria del «no» il 12 maggio: operai, intellettuali, ceti intermedi delle città e contadini, giovani, donne. Il momento è difficile e il 16 giugno è una grande occasione per il popolo sardo. Occorre non sprecarla.

Interpretazioni dei discorsi di Enrico Berlinguer a Carbonia e a Cagliari
Nel giugno del 1974, Enrico Berlinguer sceglie di aprire la campagna elettorale per le regionali sarde a Carbonia. Non si tratta di una decisione casuale, ma di una scelta profondamente politico-simbolica che richiede riflessioni pertinenti. Carbonia, fondata nel 1938 dal regime fascista come città del carbone, porta ancora i segni di quell’origine autoritaria, ma nel secondo dopoguerra diventa una delle roccaforti della sinistra operaia. È in tale trasformazione democratica che Berlinguer trova il punto di partenza per una riflessione che va oltre la Sardegna, toccando il cuore della questione meridionale, del sottosviluppo e del futuro del Paese.
I discorsi di Enrico Berlinguer a Carbonia e Cagliari del giugno 1974 offrono nell’articolo un testo complessivo politicamente denso, culturalmente radicato nel contesto storico, sociale ed economico della Sardegna e dell’Italia dell’epoca, ma anche proiettato in un futuro di cambiamento. Si prestano a più livelli di lettura.
Sul piano strettamente politico, Berlinguer parla in una Sardegna e in una Italia che è in pieno fermento post-referendario: il 12 e il 13 maggio c’era stato il referendum sul divorzio, vinto con la netta affermazione del “no” all’abrogazione. Questo è lo sfondo di una regione e di un paese in cambiamento, dove il Partito Comunista Italiano, con la guida di Berlinguer, si pone come protagonista del rinnovamento democratico. In Sardegna, Berlinguer si inserisce nella campagna elettorale regionale per le elezioni del 16 giugno, proponendo una rottura netta con il potere democristiano, accusato di clientelismo, inefficienza e corruzione. Il quadro primario di riferimento politico-istituzionale è la legge del 24 giugno 1974, n. 268 che riguarda il rifinanziamento del Piano di Rinascita. Rappresenta un punto di svolta per l’economia sarda, ma secondo Berlinguer manca la volontà politica e la capacità di governo per attuarla efficacemente.
La Sardegna è raffigurata da Berlinguer come emblema di crisi e di congiunte potenzialità. È rievocata come zona abbandonata, emarginata, devastata dall’emigrazione, con un’economia mineraria e agricola in declino, vittima di scelte sbagliate e sviluppo squilibrato. L’Isola è descritta, inoltre, come ricca di risorse e potenzialmente decisiva per il Paese: miniere, energia, zootecnia. Tali risorse rimangono inerti e abbandonate, mentre si importa carbone dal Sudafrica e carne dall’estero. Carbonia in particolare è il luogo drammatico, pratico e simbolico, di questa contraddizione: città operaia e antifascista, fondata dal fascismo ma trasformata democraticamente dalla lotta dei lavoratori. Carbonia riassume la Sardegna abbandonata, ma anche resistente e viva per la democrazia popolare antifascista in un periodo buio di attentati e di trame nere.
L’articolo di Ugo Baduel è costruito con grande sapienza narrativa ed è necessario percorrere tutti i lati dell’immagine poliedrica che egli offre per coglierne l’insieme. Il primo elemento di democrazia riguarda il rapporto tra il fascismo e l’antifascismo, le memorie e l’attualità. La presenza del sindaco Pietro Cocco il quale, incarcerato e confinato dal fascismo, introduce il comizio di Berlinguer, conferisce profondità di memoria storica all’attualità che compare nella scritta «Brescia: fascisti assassini», con il richiamo all’attentato di Piazza della Loggia nel maggio del 1974. Il discorso di Berlinguer, che lega la Sardegna alla lotta antifascista nazionale, è situato dal giornalista in un contesto assai eloquente e fortemente significativo che lega passato, presente, futuro, con i loro rischi democratici bisognosi di nuove sicurezze antifasciste, come mostra Carbonia. Le scritte sui muri della città diventano narrazione, visiva e popolare, della sua storia democratica che danno nuove voci alle pietre e alla stessa planimetria fascista della piazza e della città autarchica. Carbonia, fondata nel 1938 come “città del carbone” dal regime fascista, è emblematica della contraddizione italiana: da un lato il simbolo della pianificazione autoritaria e del corporativismo fascista, dall’altro una città che nel dopoguerra si è trasformata in roccaforte antifascista e comunista. Berlinguer coglie questo aspetto paradossale per sottolineare la capacità del popolo di riappropriarsi del proprio destino, rovesciando il senso originario imposto dalla dittatura. Le scritte sui muri «Brescia: fascisti assassini» e «Carbonia non deve morire» diventano una narrazione visiva potente, che unisce la lotta antifascista del presente sia alle memorie del passato, lontano e vicino, e sia al futuro di vita durevole che la città rivendica. Carbonia non deve morire, di fatto, volge l’interdizione al morire scritta sui muri esprimendo in tal modo un’affermazione di vita, sostenendo un preciso voler vivere che aveva una particolare risonanza nei corpi e nel suolo della città. Nell’esperienza lavorativa il voler vivere e il saper vivere dei minatori era la posta dei quotidiani rischi del sottosuolo. Tali rischi erano superati quando, insieme ai minerali, essi producevano spazi e tempi di lavoro resi sicuri per sé e per altri. Carbonia come luogo che vuole vivere e far vivere chi la abita traeva forze culturali da mortali esperienze risolte dai minatori, ma anche dalle donne che l’avevano fatta diventare città governando a lungo e in modi vari precarie sussistenze, perfino con cruciali attività procurative di risorse selvatiche, dati i salari insufficienti per vivere. Nel discorso politico di Berlinguer Carbonia è una città ferita, ma democraticamente viva e vitale. Nel resoconto giornalistico la vivace presenza di giovani nella piazza dice nuovi bisogni di una società locale che si vuole moderna per un futuro sicuro. Carbonia, pertanto, è il luogo pratico e simbolico di un antifascismo non retrospettivo, ma di un oggi che vuole assicurare un domani di vita egualmente condiviso.
L’immagine che Berlinguer tratteggia di Carbonia è emblematica e potente: una città che si svuota, che ha perso quasi 20.000 abitanti in trent’anni, segnata dalla crisi delle miniere, dall’abbandono industriale, dalla scomparsa delle prospettive, nonostante il recente passaggio delle miniere all’ENEL. Carbonia è luogo pratico e simbolico della de-industrializzazione in corso. L’inversione di questa tendenza riguarda non solo la città, ma l’Isola, il Meridione e l’Italia.
La prospettiva di un futuro vitale, democraticamente condiviso, riguarda nell’immediato Carbonia specialmente come luogo pratico e simbolico di una nuova rinascita economica della Sardegna, di cui Carbonia costituisce un nodo centrale. La deindustrializzazione del Sulcis-Iglesiente è presentata da Berlinguer con una fotografia drammatica ma lucida: in trent’anni Carbonia passa da 50.000 a 31.000 abitanti; le miniere si svuotano, le industrie chiudono, l’agricoltura è in abbandono. Il caso emblematico del contratto stipulato dall’ente pubblico EFIM con il Sud Africa – mentre si smobilitano le miniere locali – è una denuncia forte dell’assurdità delle politiche industriali. Qui si prefigura il concetto moderno di sovranità economica e valorizzazione delle risorse locali, temi più che mai attuali. Uno degli effetti più gravi della crisi economica sarda, secondo Berlinguer, è l’emigrazione di massa e la desertificazione sociale. In 20 anni, 300.000 persone lasciano l’isola. La generazione di mezzo è “assente”, e questo svuota il tessuto sociale e produttivo: le piazze piene di anziani e giovani non sono solo una fotografia del comizio, ma il simbolo di una rottura del ciclo vitale di una società. Egli propone un modello di sviluppo non più legato a “poli industriali” autocentrati e inespansivi, ma un sistema integrato, diffuso e radicato nel territorio, che connette agricoltura, zootecnia, energia locale, servizi pubblici. La nuova legge per la Rinascita, Legge 509 del 1974, è vista come uno strumento potenzialmente valido, ma inutile senza una seria politica di programmazione regionale che modifichi il modo dispersivo e corruttore che ha distribuito ingenti risorse, senza affrontare il problema centrale per la Sardegna della trasformazione agraria, e senza un cambiamento politico alla guida della regione. Le locali risorse combustibili e minerarie offrivano importanti punti di connessione di tale innovativa integrazione per una reale rinascita della Sardegna, indicando che il Meridione non era luogo da assistere, ma da valorizzare inclusivamente in ambito nazionale. Carbonia è luogo pratico e simbolico di vera rinascita della Sardegna.

La Sardegna, nei due discorsi di Berlinguer, diventa un laboratorio di analisi del “divario interno” italiano, tra Nord e Sud. Uno dei passaggi più duri è quello in cui Berlinguer definisce il potere della Democrazia Cristiana una «piovra clientelare, corrotta e corruttrice». È una critica senza mezzi termini a un sistema di potere parassitario, che distribuisce risorse non per sviluppare, ma per comprare consenso. Egli contrappone a questa degenerazione politica una visione di governo regionale come strumento collettivo di trasformazione sociale, in cui legalità e programmazione sono centrali. Berlinguer esprime una posizione lucida: la legge 509 rappresenta una possibilità concreta di rilancio per la Sardegna, ma solo se sarà applicata con criterio e senza ripetere gli errori del passato. Il vecchio Piano di Rinascita – nato con buone intenzioni – è stato dilapidato da gestioni inefficienti e frammentarie. La 509 diventa quindi il banco di prova di una nuova politica economica, orientata alla trasformazione e non all’assistenza, secondo un nuovo modello di sviluppo per la Sardegna. La Sardegna non può più essere pensata come “zona da assistere”, ma come territorio da valorizzare per l’intero Paese. Tale approccio è sorprendentemente moderno: inclusivo, territoriale, sostenibile. Prefigura concetti oggi fondamentali come la coesione territoriale e lo sviluppo equo. Il Mezzogiorno come risorsa, non come zavorra. Berlinguer rompe uno stereotipo radicato: il Sud come peso per il Nord. Al contrario, afferma che il rilancio del Mezzogiorno è interesse dell’intera nazione. Cita due esempi: la crisi energetica, a cui la Sardegna può contribuire con le sue risorse fossili in abbandono, e l’alimentazione a cui l’allevamento sardo può dare sostegno per ridurre le importazioni di carne. Carbonia è luogo pratico e simbolico di un nuovo meridionalismo per una nazione coesa.
La Sardegna, insomma, non è periferia. Anzi è posta al centro della politica economica nazionale, essendo situata da Berlinguer in una visione nazionale integrata. Cruciale rimane la mancanza di un governo regionale nuovo, popolare, progressista. Berlinguer denuncia l’instabilità cronica della politica sarda che ha dato 13 presidenti in 5 anni e propone una rottura con il passato. Serve una maggioranza stabile e autorevole, fondata sull’unità popolare e su una base realmente progressista, che non può escludere il PCI. Il messaggio è chiaro: o si cambia davvero, o si ripeteranno gli stessi fallimenti. Berlinguer accusa il PSI di doppiezza perché mentre critica i governi passati, non ne rompe davvero gli schemi, cercando solo di guadagnare un assessore in più. Egli critica la politica del piccolo cabotaggio, incapace di visione e di coraggio. In questa parte emerge anche l’indignazione verso le ambiguità riformiste, che non rompono con la DC ma la subiscono.
Il tema della rinascita della Sardegna, partito da Carbonia, assume toni quasi epici. Berlinguer usa il linguaggio della rigenerazione, della rinascita morale e politica. Incoraggia a dare fiducia al PCI, in quanto partito diverso dagli altri, «un partito la cui avanzata è necessaria per rigenerare anche gli altri partiti». Il cambiamento richiesto non è tecnico, ma etico-politico e strutturale-istituzionale. I suoi discorsi hanno un carattere inclusivo e mobilitante. Egli non parla solo ai comunisti, ma a tutti coloro che hanno votato “no”: giovani, donne, ceti intermedi, contadini, intellettuali. Il PCI viene presentato non come un partito settario, ma come forza inclusiva, indispensabile per il cambiamento: «Non diciamo che solo noi possiamo farcela, ma che senza di noi non è possibile». Il suo discorso è venato da ispirazioni di egemonia etico-culturale gramsciana: orientare conoscenze e coscienze verso nuovi valori etico-politici per acquisire la direzione politica di un blocco socio-politico più ampio, rigenerato e rigenerante in consenso e autorevolezza.
Carbonia è luogo pratico e simbolico di rigenerazione democratica per il futuro. Il ritratto della crisi economica sarda che Berlinguer offre è lucido e impietoso. Le miniere chiudono, l’agricoltura è in crisi, i giovani partono. A vent’anni dal Piano di Rinascita, il saldo è negativo. Si preferisce il profitto immediato all’investimento strategico sul territorio. È un capitalismo miope, incapace di valorizzare le risorse nazionali. La Sardegna, terra ricca di potenzialità, viene trattata come marginale, dimenticata, quando non sfruttata.
Ma la crisi non è solo economica: è anche e soprattutto sociale. I sardi emigrano, le famiglie si spezzano, i paesi si svuotano, le generazioni si separano. La Sardegna perde la sua “generazione di mezzo”, quella che lavora, produce, costruisce futuro. Il paesaggio che Berlinguer osserva è fatto di vecchi e bambini: una società che rischia di non rigenerarsi più. L’emigrazione, da scelta, è diventata necessità. E questa necessità è la sconfitta di una Repubblica che, a trent’anni dalla Liberazione, non ha ancora garantito uguaglianza di opportunità a tutti i suoi cittadini.
Un elemento di rottura, però, esiste. Ed è la nuova partecipazione femminile. Berlinguer la legge come un’eredità del referendum sul divorzio: le donne non sono più silenziose spettatrici della politica, ma soggetti attivi. A Carbonia, nel comizio del 1974, la presenza femminile di differenti generazioni è forte e visibile. Questo dato, che oggi potremmo dare per acquisito, allora costituiva una rivoluzione politico-culturale. Il voto delle donne non è più solo opinione privata: è azione pubblica, coscienza civile, scelta autonoma. La Sardegna, spesso vista come periferica, anticipa un cambiamento profondo nella società italiana.
Il bersaglio principale della critica di Berlinguer è la Democrazia Cristiana, descritta come «una piovra clientelare, corrotta e corruttrice». Parole dure, che però descrivono con precisione un sistema politico bloccato, che distribuisce potere non in base al merito o alla progettualità, ma in base all’appartenenza. La politica, da strumento di trasformazione, è diventata meccanismo di conservazione. Le risorse pubbliche sono usate per mantenere consenso, non per costruire sviluppo. Berlinguer propone un’alternativa: una politica etica, orientata al bene comune, fondata sulla partecipazione popolare.
Nel suo discorso, Berlinguer riconosce che la nuova legge di Rinascita rappresenta una possibilità concreta per il rilancio della Sardegna. Ma l’entusiasmo è temperato dalla consapevolezza: il rischio è che, come il Piano di Rinascita, venga svuotata di senso da una cattiva gestione. Serve programmazione, visione, controllo democratico. E serve soprattutto una politica che abbia il coraggio di rompere con i meccanismi che hanno prodotto il fallimento precedente.
Berlinguer non si limita alla denuncia: propone un modello alternativo di sviluppo. Non più assistenzialismo, ma valorizzazione del territorio. Agricoltura, allevamento, industria leggera, servizi pubblici: tutto deve concorrere a costruire una società più equa e moderna. L’idea è quella di una trasformazione strutturale, in cui il lavoro non sia più merce rara ma diritto garantito. Una delle intuizioni più moderne di Berlinguer è il rovesciamento della prospettiva sul Mezzogiorno. Il Sud non è una zavorra, ma una risorsa. La crisi energetica e alimentare degli anni Settanta lo dimostra: la Sardegna può produrre energia, carne, latte, conoscenza. Ma ha bisogno di investimenti, non di elemosine. In questa visione, il rilancio del Sud non è una concessione solidaristica, ma un interesse nazionale. Berlinguer è consapevole che senza un cambiamento radicale nella guida della Regione Sardegna, nessuna riforma sarà possibile. La sua proposta è chiara: serve una maggioranza popolare, progressista, onesta, fondata su un progetto comune e sulla partecipazione del Partito Comunista Italiano. Non è solo una questione di numeri: è una questione di credibilità. Senza un cambiamento di rotta, si rischia di affondare ancora una volta. Berlinguer denuncia la strategia del PSI: criticare la DC, ma senza rompere davvero con essa; chiedere rinnovamento, ma solo per ottenere più posti di potere. È una critica alla politica del compromesso senza progetto, che finisce per perpetuare l’esistente. Nel finale del suo discorso, Berlinguer rivendica tenacemente il ruolo governativo del PCI. Non come partito egemone, ma come forza necessaria per il cambiamento. «Non diciamo che solo noi possiamo farlo, ma diciamo che non si può farlo senza di noi». È una visione politica fondata sulla responsabilità, sull’etica pubblica, sulla coerenza. Il PCI non chiede voti per sé, ma per una prospettiva di giustizia, equità e sviluppo.
I discorsi di Berlinguer sono un esempio magistrale di comunicazione politica radicata nel territorio e nella storia. Egli collega le sofferenze personali e locali a problemi strutturali nazionali, offrendo una visione alternativa e unificante. Acquisisce la memoria, l’orgoglio popolare e la sofferenza sociale come forze per mobilitare consensi verso un cambiamento democratico. Non si limita alla denuncia, ma espone un progetto politico con un campo differenziato di valori culturali, economici, sociali, e una visione complessiva specifica, chiara e strutturata, pur nella consapevolezza delle difficoltà.
Nella configurazione delle relazioni politiche che Berlinguer prospetta nel suo discorso si intravede il “compromesso storico” come grande alleanza democratica che include il PCI nel governo, con responsabilità e potere per rinnovare lo Stato e la società italiana. Si scorge, inoltre, la “diversità” rigenerativa del PCI che si offre per aprire un capitolo del tutto nuovo, a partire dalla Sardegna, con una profonda rigenerazione di valori democratici nella società e nel governo dello Stato, in tutte le sue articolazioni. Egli rivolge il suo discorso non solo ai comunisti, ma a tutte le forze che il 12 maggio sono state protagoniste del “no” al referendum sull’abrogazione del divorzio: operai, intellettuali, ceti intermedi delle città e contadini, giovani, donne, affinché la grande occasione delle elezioni regionali, il 16 giugno, non sia sprecata. La sorprendente presenza femminile di differenti generazioni nel comizio di Carbonia, sottolineata dal giornalista come frutto della mobilitazione per il referendum sul divorzio del 1974, con il 72% di “no” a Carbonia, mostra una Sardegna tutt’altro che conservatrice in cui le donne, in particolare, si presentano come nuovo soggetto politico di cambiamento democratico.
Il discorso di Berlinguer a Carbonia è assai importante. Offre una sintesi del suo pensiero che si svolgerà nel corso del tempo e delle occasioni, con varie versioni e finalità politiche: dal “compromesso storico” alla “diversità” come insieme di pratiche politiche alternative al degrado democratico.
Il “discorso di Carbonia”, fatto da Enrico Berlinguer, non è solo un comizio elettorale. Per certi aspetti, appare come un manifesto politico. Per altri versi, offre una lezione di metodo. Per altri ancora, indica punti di vista e di visione democratica ben connessi. Berlinguer ci invita a guardare il presente con occhi lucidi per non rinunciare al futuro. Carbonia, per lui, è una città pratico-simbolica ferita, ma non vinta e ancora protesa verso la produzione di un futuro di equità e di sicurezza vitale. E proprio da lì, da una città che molti davano per finita, lancia un messaggio di impegno per rigenerare le vite della Sardegna e dell’Italia.
Perché, come dicevano quei muri, Carbonia non deve morire, deve vivere. Deve vivere per indicare percorsi vitali di luoghi, territori, persone nella democrazia delle sicurezze create e condivise equamente.

Il discorso di Berlinguer a Carbonia fra ricordi, lasciti e progetti

Non sono stata una fervente berlingueriana. Confesso. In primo luogo non condivisi la parte che egli ebbe nel 1969, come vicesegretario, nella radiazione dei compagni che diedero vita alla rivista “Il manifesto”. Sottoscrissi una lettera di protesta rivolta ai dirigenti del PCI. I compagni di Carbonia non furono espulsi. Si dice che Luigi Pirastu, nel Comitato regionale che ne discusse, sostenne che a Carbonia prevaleva una base stalinista. In realtà i firmatari della lettera, che sosteneva l’esperienza editoriale delle persone accusate di frazionismo, erano giovani e non stalinisti. Tuttavia, questa tesi fu accolta. Sarebbe interessante leggere il verbale di quella riunione. Non avevo condiviso neppure le ragioni che, Berlinguer segretario della FGCI nell’agosto del 1951, gli avevano fatto accostare Maria Goretti alla partigiana Irma Bandiera, come modello di autonomia femminile pagata con la vita. Mi fu difficile ingoiare l’adesione alla Nato, per quanto edulcorata da esigenze di riforma dall’interno, che emerse nell’intervista a Giampaolo Pansa del 15 giugno 1976. D’altra parte, ero così gramscianamente contraria ai comunismi realizzati da poter accettare una Nato da riformare. Non mi piacque neppure la scelta berlingueriana della parola «austerità», usata dal 1977 al 1983, per criticare privilegi, sprechi e consumismi eccessivi, coniugando la critica con una nuova giustizia morale e politica. Avrei preferito la parola “rigore”, anche in riferimento alle esigenze di riforme fiscali.

Quando Berlinguer giunse a Carbonia per il comizio, apprezzavo assai le scelte politiche di Berlinguer per connettere lo sviluppo della democrazia all’avvicinamento del socialismo in Italia e inEuropa. Vari pregi politici di Berlinguer avevano appannato quei miei dissensi, facendomelo sentire più vicino. Prima del suo comizio il gruppo dei comunisti eletti fu convocato nella stanza della Giunta per un incontro con Berlinguer. Ero presente a quell’incontro con Pietro Cocco, Vittorio Piano, Benito Labate, Gianfranco Fantinel, Maria Isabella Piras, Antonio Saba, Antonio Puggioni, Egidio Concu, Antonio Comina, Giuseppe Casula, Emilio Podda, Egidio Corrias, Salvatore Piras. Eravamo tutti in prima e seconda fila attorno a un grande tavolo. Berlinguer era affiancato da Antonio Tatò che prendeva appunti. Sarebbe assai interessante poterne avere accesso. Parlò soprattutto il sindaco Pietro Cocco, dando informazioni cruciali sulla vita della città. Non ricordo cosa farfugliai. Mi è rimasta assai forte la memoria dell’attenzione di Berlinguer che ascoltava e mi ascoltava. Riemerge ogni volta in cui noto dirigenti distratti quando dovrebbero ascoltare. Berlinguer sapeva ascoltare, oltre che parlare. Berlinguer sapeva anche vedere. Le donne, giovani e anziane, erano una presenza in parte nuova nel comizio che avveniva dopo la vittoria contro il referendum per l’abolizione del divorzio. Berlinguer le seppe vedere e seppe capirne l’urgente istanza di modernità, data la percentuale del 72 per cento a Carbonia che distanziava la media regionale del 55 per cento. Le compagne per allestire il palco avevano fatto prevalere il rosa e le gentili gerbere. Egli capì e disse un grazie per l’allestimento del palco. Fu ricambiato con un significativo mazzo di rose rosse che, a nome delle compagne, alla fine del comizio gli diede Luisa, giovane e bella che si era molto impegnata nell’allestimento del palco. Erano briciole di politica che, a quei tempi, erano anche briciole di poetiche. Briciole che nutrivano certi luoghi nel campo dei comunisti e della democrazia italiana: luoghi in cui le donne cercavano di distinguersi sia per le grandi controversie di genere, sia per marcare di sé perfino le qualità delle piccole e invisibili cose.

Eravamo allora orgogliose di essere donne comuniste. Alcune son diventate convinte di ogni svolta, giustificatrici di ogni calo elettorale, soddisfatte di ogni partecipazione governativa. Alcune sono diventate comuniste tristi. Altre, arrabbiate o rabbiose. Altre solo tenaci. Altre “libresche”, rintanate in rifugi letterari o filosofici, offerti anche da teorie di nuovi marxismi.
Credo che non vadano dispersi gli stimoli che la mostra di Berlinguer a Cagliari ha rinverdito o sollecitato. Credo che debba essere promosso un incontro per nuovi impegni di volontaria partecipazione democratica. Una via minima mi pare riguardare la materialità della nostra Costituzione formale, ovvero la realizzazione dei suoi principi. La Costituzione italiana non affronta tutti i problemi attualmente in campo: dall’intelligenza artificiale al fine vita e alla complessità delle questioni ambientali. Tuttavia, può essere un utile punto di partenza che richiama sia l’unità delle opposizioni democratiche, sia l’attuale governo che ha votato fedeltà alla Costituzione, sia le destre con il loro populismo che oscura il disfacimento del popolo impoverito, mentre subisce i privilegi dei vecchi e dei nuovi arricchimenti. Può essere utile, se si vuole.

Si vuole? E chi vuole? E come?

L’esposizione cagliaritana su I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer, se non vuole essere fine a sé stessa e aspira ad avere un seguito di iniziative, può mostrare e a dire assai di più. Può nutrire nuove aspirazioni democratiche. Può esprimere nuove volontà di dare un futuro a progetti di cambiamento egualitario, volontà che l’attuale crisi richiede e che la mostra smuove in ogni intima coscienza profondamente democratica.

Luoghi e parole di Berlinguer in Sardegna non appaiono tutti in mostra. Questo scritto nasce dall’esigenze di dare presenza a luoghi e a parole mancanti, senza esaurirsi in un completamento dell’esposizione. Sorge, infatti, dall’esigenza di un nuovo confronto con le parole di Enrico Berlinguer che incoraggiavano a rafforzare una vita in comune democraticamente condivisa e che la mostra, ora, spinge avanti e altrove.

Paola Atzeni

Quale futuro per l’industria nel Sulcis Iglesiente? E’ il tema dibattuto martedì 1 aprile nell’incontro organizzato dalle segreterie territoriali FIOM-CGIL, FSM-CISL e UILM-UIL, nell’anfiteatro di piazza Marmilla, a Carbonia. All’invito degli organizzatori hanno risposto in tanti: sette sindaci (Pietro Morittu, Carbonia; Ignazio Atzori, Portoscuso; Pietro Cocco, Gonnesa; Debora Porrà, Villamassargia; Paolo Dessì, Sant’Anna Arresi; Andrea Pisanu, Giba, presidente dell’Unione dei Comuni del Sulcis; Marcellino Piras, Villaperuccio); due consiglieri regionali, Luca Pizzuto di Sinistra Futura e Gianluigi Rubiu di Fratelli d’Italia; amministratori di diversi Comuni del Sulcis Iglesiente; don Antonio Mura, responsabile della Pastorale per il Sociale e il Lavoro della diocesi di Iglesias; i sindacalisti Franco Bardi (segretario generale della Camera del Lavoro CGIL della Sardegna Sud Occidentale), Simona Fanzecco (CGIL Cagliari), Efisio Lasio (segretario SPI CGIL), Federico Matta (UIL territoriale); lavoratori di varie aziende; rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei pensionati; cittadini.

I lavori sono stati aperti dalla relazione del segretario regionale della FIOM CGIL Roberto Forresu, che a nome delle tre organizzazioni sindacali FIOM-CGIL, FSM-CISL e UILM-UIL, ha esposto le ragioni che hanno portato all’organizzazione dell’incontro, che ha parlato a braccio sulla base del testo che riportiamo integralmente.

«Grazie a tutti per la partecipazione, non era scontata la riuscita di un’iniziativa del genere. Il nostro ringraziamento va a tutti i sindaci del territorio per la disponibilità dimostrata immediatamente, ma soprattutto al sindaco di Carbonia Pietro Morittu per l’accoglienza e l’attenzione dimostrata sin dalla prima richiesta. Noi lo abbiamo scritto nel comunicato, abbiamo la convinzione che l’attenzione dedicata al territorio dalla politica ai massimi livelli, vada ricercata nelle mobilitazioni messe in campo in questo periodo. Contrariamente a quanto pensa qualcuno, non intendo le sole iniziative dei metalmeccanici, ma le metto insieme tutte, a partire da quella che i sindaci hanno promosso alla Portovesme srl, guarda caso qualche giorno prima della venuta dei ministri e della Presidente della Regione Alessandra Todde insieme agli assessori il 27 dicembre 2024. Così come hanno sicuramente dato risonanza i tanti appelli lanciati dalla Chiesa ed in particolare da don Antonio Mura, sempre presente a tutte le iniziative delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Lo sono stati anche i tanti articoli sui giornali e sulle Tv, delle Confederazioni, dalle categorie, direttamente interessate agli accadimenti industriali contemporanei. Perché dico questo? Per sgomberare il campo da equivoci o da alibi, che vogliono assegnare titolo di prim’ordine ai metalmeccanici, colpevoli secondo alcuni, di voler primeggiare in una contesa che in realtà non ci appartiene. Vogliamo primeggiare in una contesa che mette al centro le difficoltà, che parla delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Vogliamo lavorare fianco a fianco con tutti coloro che sentono il problema della decadenza industriale, come un problema proprio e non accettano le imposizioni aziendali, le delocalizzazioni industriali, la mancanza di politica industriale, che ci sta portando a perdere economia nel territorio, abitanti, giovani che sempre più spesso decidono di partire per cercare fortuna, o semplicemente lavoro altrove. Di sicuro abbiamo bisogno di chiarezza su quello che deve essere il futuro industriale del territorio e, allo stesso tempo, abbiamo urgenza che questa chiarezza venga a realizzarsi nel più breve tempo possibile. Perché come andiamo a ripetere da tempo, non esprimersi, o perdere del tempo nel decidere il futuro, equivale a bocciare prospettive di rilancio occupazionale e produttivo. Pensiamo a quanto sta avvenendo nella fabbrica di alluminio primario. Invitiamo tutti a pensare cosa deriva dalla fabbrica di alluminio primario. Qualsiasi prodotto che noi utilizziamo ha a che fare con l’alluminio, pensiamoci, pentole, infissi, telefonini, tv, motorini, biciclette, antenne, qualsiasi cosa ha a che fare con l’alluminio. Pensate che dal 2012 non si produce più un kg di alluminio in Italia. Uno pensa, beh sarà andato in crisi il mercato cosa ci possiamo fare? Eh no, il mercato dell’alluminio non è mai andato in crisi, anzi è sempre rimasto costante. Il Paese Italia ha semplicemente deciso di dipendere totalmente dalle produzioni straniere. Ma col passare del tempo ha fatto anche peggio, ha regalato lo stabilimento ad un privato, la Sider Alloys, anzi non è che l’ha solo ceduto, gli ha dato pure dei soldi, 148 milioni di euro dall’accordo di programma più 20 milioni di euro dall’Alcoa per il riavvio. In 4 anni si dovevano rioccupare oltre 500 persone e tornare alla produzione. Sapete cosa è accaduto? Pandemia, Via, Aia, PAUR, accordo bilaterale, piano industriale stravolto ogni sei mesi, hanno fatto passare sette anni inutilmente, dove di produzione non se ne parla neanche, e dove anziché fare il revamping per rilanciare lo stabilimento si è andati incontro ad uno smantellamento della sala elettrolisi e l’impianto è diventato una discarica a cielo aperto. Dopo la denuncia delle organizzazioni sindacali dei metalmeccanici ai massimi livelli, al prefetto, al MIMIT, all’assessore dell’Ambiente, alla Provincia, hanno cominciato a porre dei sigilli all’azienda. Siamo soddisfatti? Assolutamente no, perché il nostro unico intento è far ripartire quello stabilimento. Ci preoccupa che, nonostante tutto, il 27 marzo scorso sia venuta nuovamente Invitalia a visitare lo stabilimento, lo abbia fatto in compagnia di un’importante società straniera interessata all’acquisizione dello stesso, e dopo due di giri a vuoto, in cui non gli si è fatto vedere nulla di interessante, si torna a casa. Capite che c’è qualcosa nella politica che non funziona? Mesi e mesi a chiedere verifiche, controlli, poi avvengono, e si ricomincia da capo. Vogliamo, pretenderemo, che il 7 aprile prossimo, quando ci sarà una nuova convocazione al MIMIT, il Governo ci relazioni sulla visita in stabilimento, e ci chiarisca del perché una visita di quel valore, non viene affrontata con le dovute attenzioni. Vorrei ricordare che in quello stabilimento dovevano rientrare al lavoro oltre 500 unità, il picco massimo si è raggiunto a ottobre 2023 con poco più di 110 persone, oggi sono diventate meno di 70. Stiamo chiedendo la discontinuità rispetto a quanto avvenuto sino ad oggi. Sider Alloys, secondo noi, non è in grado di far ripartire un bel niente, il Governo assuma rapide decisioni che portino alla sostituzione in tempi brevi dell’attuale proprietà, alla quale non deve essere riconosciuto nessun altro tipo di finanziamento. Che attendono questo cambio, ci sono oltre 350 lavoratrici e lavoratori ancora in mobilità che hanno fatto lotte, subito denunce in conseguenze delle tante battaglie fatte per garantire il rilancio dello smelter di alluminio primario. Portovesme srl. La crisi della Portovesme, non è iniziata il 5 settembre 2024, lo sanno anche i muri, non prendiamoci in giro. Il patto con il territorio la Glencore lo decide quando alla guida dello stabilimento arriva l’attuale amministratore, che con azioni mirate decide di tagliare il personale incorporando determinate lavorazioni che prima erano di competenza degli appalti e vengono assegnate ai lavoratori diretti. Per un tozzo di pane vengono incorporate delle lavorazioni che danno qualcosa in più ai lavoratori ma riducono gli appalti all’interno dello stabilimento. Si passa nel giro di qualche anno da 1.500 lavoratori a 1.200, vengono interrotte le produzioni derivanti dal calcinato, prodotto nei reparti di arrostimento e lisciviazione, si ferma successivamente la linea del piombo, l’azienda nel periodo della pandemia decide di abbandonare le tariffe energetiche agevolate che attraverso accordi specifici le permettevano di avere costi energetici competitivi e passare per sua scelta al mercato del giorno prima. L’energia, non si consumava, c’era la pandemia, la gente era reclusa in casa, non si poteva uscire, i consumi energetici erano ridotti ai minimi termini, l’ente erogatore abbatteva i costi, quasi sino a regalarla l’energia. I profitti di quel momento erano esorbitanti, ma si sapeva che prima o poi sarebbero terminati. Passa la pandemia fortunatamente, ma questo mondo in cui viviamo non si fa mancare nulla, scoppiano le guerre aggiuntive, vicine come non mai, i mercati impazziscono per la mancanza di circolazione delle materie come avveniva precedentemente, i semiconduttori garantiti per le auto non si trovano più, mandando in crisi una delle più importanti filiere mondiali, quella dell’auto. I governi più industrializzati cominciano a interrogarsi sulle facili delocalizzazioni favorite negli anni, ma è tardi, è tremendamente tardi. Le guerre ci toccano da vicino, scelte discutibili impongono piani di investimento sul riarmo, il prezzo dell’energia elettrica torna ad aumentare a dismisura, e coloro che prima si erano avvantaggiati delle scelte derivanti dal mercato corrente, che prima avevano fatto utili a non finire, cominciano a porsi il problema del costo energetico. A come rinunciare volontariamente ad accordi energetici, favorevoli per guadagnare di più, intaschi soldi a palate dalle scelte che hai deciso di portare avanti, e non appena il mercato ti fa pagare il conto sulla tua ingordigia scarichi tutto sulla collettività? Allora diventa inconveniente produrre in Italia, ed ecco che si portano le produzioni di zinco in altri paesi come Spagna e Germania che garantiscono tariffe energetiche migliori delle nostre. Certo anche noi abbiamo bisogno di tariffe energetiche che permettono alle aziende di essere competitive, ma non abbiamo bisogno di aziende, che privatizzano gli utili e condividono le perdite, perché questo è quello che è avvenuto con Glencore. Che porta alla situazione attuale in cui si rinuncia a produrre zinco in Italia. Attenzione, si rinuncia a produrlo attraverso il processo elettrolitico, non si rinuncia alle produzioni attraverso il Waelz, dove vengono bruciati i fumi di acciaieria.

Veniamo al dunque. Quelle scelte, che ripeto, partono da lontano e non dal 5 settembre 2024, ad oggi fanno varcare i tornelli a poco più di 300 lavoratrici e lavoratori. Siamo davanti a un bivio, dettato dalle dichiarazioni dei ministri e della Presidente della Regione, fatte in fabbrica il 27 dicembre 2024, in cui hanno dichiarato strategiche le produzioni di piombo, zinco e alluminio. Vogliamo provare a conservarle davvero queste produzioni o vogliamo permettere che si continui a produrre solo attraverso i fumi di acciaieria, inventandosi i possibili rilanci produttivi derivanti dal litio e dalle black mass, o dalle filiere terminanti il ciclo con le batterie? Quanti anni ci vorranno? Soprattutto delle due l’una: mettiamo insieme due considerazioni: Glencore dichiara di non volere più produrre zinco in Italia e spara l’idea del litio in futuro. Il Governo dichiara che oltre a essere strategica la produzione di zinco, ci sono soggetti definiti importanti interessati allo stabilimento, e che questo non potrà essere fatto a spezzatino (parole del ministro Adolfo Urso), che quindi non ci potranno essere due galli nel pollaio. Quindi o si produce zinco o si punta al litio, tutte e due le cose non si possono perseguire, io propendo per la prima, sapete perché? Perché la seconda è un salto nel buio, perché la prima è un processo noto che occupava almeno mille persone, e vorrei provare a sfidare il Governo a rispettare gli impegni presi, ma il motivo più importante che fa pendere la bilancia verso quella decisione è essenzialmente uno: le imprese d’appalto e tutti i loro lavoratori, non reggono a lungo l’attuale situazione di 20 a lavoro e 80 in cassa integrazione, guardate che questa situazione l’abbiamo già vissuta in Eurallumina ed in Alcoa. Tutte le aziende in appalto sono fallite e noi vogliamo provare a non rivivere una situazione simile. Per questo siamo disponibili a mettere in campo ulteriori iniziative di lotta.

Poi ci sono le situazioni contingenti che sicuramente non sono meno importanti. Abbiamo urgente bisogno dell’arrivo del gas, della soluzione del DPCM Sardegna, perché sono soluzioni che potrebbero rilanciare l’Eurallumina, azienda che è pronta a mettere a correre un investimento imponente di oltre 300 milioni di euro e che permetterebbe l’assorbimento di gran parte della mano d’opera che sta per perdere il lavoro, che soddisferebbe la fame di lavoro delle aziende che fino a ieri hanno lavorato e in regime di monocommittenza in Glencore, e che permetterebbe di far trovare sfogo a nuove occupazione, non più attraverso gli ammortizzatori sociali CHE NON VOGLIAMO PIÙ, CHE SIA CHIARO. VOGLIAMO IL LAVORO! Così come diventa importante il futuro della centrale dell’Enel e fare in modo che continui la ricerca di appalto all’esterno. Con mano d’opera che non viene pagata, proveniente dall’esterno. È quanto sta accadendo in quella centrale. Vogliamo parlare, infine, dell’importanza del dragaggio del porto è di cosa potrebbe scaturire se si riuscisse a puntare sull’opportunità derivante dal polo nautico. Insomma, non solo crisi ma opportunità importanti che bisogna perseguire giorno dopo giorno. Il momento è adesso.»

Sono intervenuti, nell’ordine: don Antonio Mura, responsabile della Pastorale per il Sociale il Lavoro della Diocesi di Iglesias; Pietro Morittu, sindaco di Carbonia; Luca Pizzuto, consigliere regionale e segretario regionale di Sinistra Futura; Gianluigi Rubiu, consigliere regionale di Fratelli d’Italia; Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso; Renato Tocco, segretario territoriale della UILM UIL; Andrea Pisanu, sindaco di Giba e presidente dell’Unione dei Comuni del Sulcis; Giuseppe Masala, segretario territoriale e componente della segreteria regionale della FSM CISL; Manolo Mureddu, assessore dei Lavori pubblici e dell’Ambiente del comune di Carbonia; Giacomo Guadagnini, presidente della commissione Lavori pubblici del comune di Carbonia e consigliere d’amministrazione del Consorzio industriale provinciale Carbonia Iglesias; Mauro Manca (FIOM CGIL,), Massimiliano Lampis, Mauro Usai (RSU CQ-NOL), Luigi Manca, un lavoratore della Portovesme srl in pensione, Elio Cancedda.

Al termine è stato sottolineato che l’incontro è la prima tappa di un nuovo percorso che le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici hanno deciso di iniziare, auspicando la massima unità fra tutte le segreterie e le categorie delle organizzazioni sindacali, le forze politiche e sociali, per rilanciare la vertenza dell’intero polo industriale di Portovesme e restituire al territorio quanto gli è stato tolto in termini di lavoro e quindi di economia, per costruire tutti insieme un futuro migliore a breve, medio e lungo termine, partendo dall’industria e diversificando il tessuto produttivo.

Vediamo le interviste realizzate al termine dell’incontro, in piazza Marmilla, con i segretari Roberto Forresu, Giuseppe Masala e Renato Tocco.

 

 

E’ durissima la reazione dei sindaci dei Comuni del Sulcis Iglesiente alla decisione annunciata da Glencore sulla fermata anticipata a lunedì 23 dicembre della produzione della linea zinco. Stamane un’ampia delegazione di primi cittadini s’è riunita davanti all’ingresso dello stabilimento di Portovesme, presenti anche rappresentanze sindacali dei chimici, dei metalmeccanici, i consiglieri regionali Luca Pizzuto, Alessandro Pilurzu e Gianluigi Rubiu e l’assessora regionale della Cultura e della Pubblica istruzione Ilaria Portas, e don Antonio Mura, parroco delle chiese di Portoscuso e Paringianu e responsabile della Pastorale Sociale per il Lavoro della diocesi di Iglesias. Quello che è emerso è un “NO” unanime alla fermata della produzione che metterebbe sulla strada 1.200 lavoratori con le loro famiglie e un intero territorio, e l’appello a Regione e Governo a chiamare Glencore alle proprie responsabilità, percorrendo tutte le strade possibili, se come ha annunciato la multinazionale non ha alcuna intenzione di tornare indietro dalla decisione assunta, per giungere al coinvolgimento di un nuovo soggetto imprenditoriale disponibile a continuare le produzioni a Portovesme.
Nel corso della manifestazione abbiamo alcune interviste, con i consiglieri regionali Alessandro Pilurzu, Luca Pizzuto e Gianluigi Rubiu; l’assessora regionale della Cultura e della Pubblica istruzione Ilaria Portas; don Antonio Mura; sindaci di Portoscuso Ignazio Atzori, di Iglesias Mauro Usai, di Gonnesa Pietro Cocco; i sindacalisti Emanuele Madeddu (segretario Filctem Cgil della Sardegna Sud Occidentale, e Roberto Forresu, segretario regionale della Fiom Cgil; l’intervento dei sindaci di Nuxis Romeo Ghilleri e di Portoscuso Ignazio Atzori, che hanno spiegato le motivazioni che hanno portato i sindaci a riunirsi stamane a Portovesme, che vi proponiamo.

Il 7 ottobre del 1964, sessant’anni fa, moriva a Roma Velio Spano. Era nato a Teulada il 15 gennaio del 1905 e dopo aver trascorso la gioventù al seguito della sua famiglia a Guspini, dove suo padre era segretario comunale, aderisce ancora studente al Partito Comunista d’Italia.
La svolta decisiva della sua vita, raccontata nel saggio “Gramsci Sardo”, pubblicato nel 1937 in occasione della morte di Antonio Gramsci, avviene quando si reca a Roma per gli studi universitari, ed è in quel tempo che conosce e inizia la frequentazione di Antonio Gramsci. Durante la permanenza romana condivide con Altiero Spinelli la direzione del gruppo comunista universitario, successivamente entra in clandestinità a causa della messa al bando dei partiti ad opera del regime fascista, svolgendo la sua militanza politica al nord prevalentemente a Torino.
Sottoposto ad una stretta sorveglianza dell’Ovra nel 1928 viene arrestato e condannato dal Tribunale Speciale fascista, viene scarcerato nel 1932 a seguito dell’amnistia concessa in occasione del decennale dalla “Marcia su Roma”. Da qui inizia una lunga vicenda umana e politica che lo vedrà impegnato su diversi fronti: protagonista della lotta antifascista in Italia e, su incarico del partito, all’estero prima in Francia, successivamente in Spagna con le Brigate Internazionali guidate da Luigi Longo contro le milizie fasciste di Francisco Franco e successivamente in Tunisia contro il regime del maresciallo Petain.
L’esperienza africana è indubbiamente quella più rilevante, nel 1935 lo troviamo impegnato in Egitto a svolgere attività contro la guerra coloniale in Etiopia, tra le truppe italiane di passaggio a Suez, nel 1937 in Spagna, nel 1938 viene inviato dal partito in Tunisia dove svolgerà nel corso degli anni un ‘azione di resistenza contro i nazifascisti a fianco di eminenti figure politiche: Giorgio Amendola, Maurizio Valenzi (che diverrà negli anni ‘70 sindaco di Napoli), Loris, Ruggero, Diana e Nadia Gallico, Marco Vais, i fratelli Bensasson, per citarne alcuni tra i più noti. E’ in questo frangente che sposerà Nadia Gallico che diverrà la sua compagna di lotte e di vita.

Nell’esperienza tunisina esercita in clandestinità l’attività di giornalista e sotto lo pseudonimo di Antiogheddu pubblica diversi articoli rivolti anche alle vicende sarde con un’attenzione particolare alla neonata Carbonia e ai minatori del bacino minerario.
Il Governo di Vichy alleato dei nazifascisti, lo condannerà a morte per due volte in contumacia. A questo proposito vorrei ricordare un curioso aneddoto relativo all’ incontro con il Generale De Gaulle capo della resistenza francese, il Generale francese si presentò al suo interlocutore, con la seguente frase: «Piacere Charles De Gaulle una condanna a morte”, ottenendo in risposta “Velio Spano, due condanne a morte».
Ritornato in Italia dopo l’armistizio, esercita nel Sud Italia, appena liberato, una funzione politica rilevante, partecipa nel gennaio del 1944 al Congresso di Bari all’incontro dei Comitati di Liberazione Nazionale, in rappresenta della delegazione del PCI, insieme ad Eugenio Reale e Marcello Marroni.
Dopo la proclamazione della Repubblica sarà eletto nell’Assemblea Costituente che darà vita alla Costituzione Repubblicana nel 1948, della stessa farà parte sua moglie Nadia Gallico Spano. Una piccola parentesi su Nadia (nella foto) che ho avuto l’onore di conoscere da giovane militante comunista, in occasione delle sue frequenti visite a Carbonia, di lei vorrei sottolineare oltre all’attività di direzione politica esercitata in Sardegna, l’importante funzione politica e sociale nel partito sulla scala nazionale, tra le masse popolari, nelle borgate romane e un’importante attività di organizzazione di salvataggio da fame e miseria di bambini meridionali e sardi pregevolmente testimoniata nel libro: “Cari bambini vi aspettiamo con gioia” e successivamente nella sua autobiografia “ Mabruk”.

Velio Spano fu il primo comunista italiano a recarsi in Cina nel 1949 dove si trattenne per diversi mesi e fu autore per il quotidiano del Partito l’Unità di diversi reportage sulla Rivoluzione Cinese e la conclusione vittoriosa della “Lunga Marcia di Mao Tse Tung”. Nel corso di questa esperienza ebbe modo di entrare in relazione oltre a Mao, con alcuni dei principali dirigenti che segneranno la storia cinese sino alla fine del novecento, Ciu en Lai e Deng Xiao Ping.
Una biografia, la sua, troppo ricca ed impegnativa da raccontare in questo breve spazio per cui mi permetto
di suggerire a chi intendesse approfondirne l’opera ed il pensiero, la lettura di due testi pubblicati dall’editore della Torre nel 1978, a cura dello storico sassarese Antonello Mattone: “Vita di un rivoluzionario di professione” e “Per l’unità del popolo sardo”, ai quali si aggiunge una pubblicazione monografica di Rinascita Sarda del 1994 a trent’anni dalla sua morte, a cura di Giorgio Caredda e Giuseppe Podda, oltre ovviamente ai discorsi parlamentari e alla corposa pubblicazione di articoli sull’Unità, Rinascita, libri e giornali.
L’associazione “Amici della Miniera” in collaborazione in collaborazione con “CSC Umanitaria Fabbrica del Cinema”, il “Circolo Soci Euralcoop”, la “Sezione di Storia Locale di Carbonia”, con le istituzioni locali e con la rete di associazioni che opera nella città, ha deciso di ricordarlo con un convegno nel quale si evidenzia la sua vicenda politica anche attraverso l’ausilio di una mostra di fotografie, giornali e documenti storici suddivisa in diverse sezioni distinte che mettono in evidenza la sua vita attraverso le immagini fotografiche, l’impegno politico dai resoconti dei giornali, il viaggio in Cina nel 1949, Carbonia e lo sciopero dei 72 giorni del quale fu insieme ai minatori, uno dei principali protagonisti, la morte nel 1964 per finire con la sua produzione letteraria.
Velio Spano verrà eletto il 18 aprile del 1948 senatore della Repubblica nel collegio minerario, ma ciò che legherà indissolubilmente la sua figura alla città di Carbonia sarà determinato da un altro avvenimento storico, l’attentato al segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti (nella foto in un comizio tenuto in piazza Roma, a Carbonia), il 14 luglio del 1948.


A seguito di questo efferato episodio, in tutta Italia si verificarono tumulti, moti di piazza e scontri con le forze dell’ordine, tanto da temere una “ guerra civile” e solo l’invito alla calma da parte di Palmiro Togliatti dal letto dell’ospedale fu decisivo per la loro cessazione; in questo stato di cose Carbonia non costituì un eccezione e bisogna ricordare – tenuto conto doverosamente del contesto in cui si svolsero – che, purtroppo, avvennero anche fatti di degenerazione esecrabili, mi riferisco in particolare alla vicenda dell’aggressione di Fiorito a Bacu Abis nonché a episodi di disordini scoppiati in città.
Tale insieme di circostanze innescò il pretesto per un’azione repressiva della Polizia guidata dal commissario Antonio Pirrone – un passato da fascista e Repubblichino – che culminò con la decapitazione del gruppo dirigente amministrativo, politico e sindacale della città di Carbonia.
Furono spiccati, infatti, mandati di cattura per Renato Mistroni (nella foto in occasione del 50° della città di Carbonia) primo sindaco della città, per Antonio Selliti segretario della Camera del lavoro, che riuscirono ad espatriare in Cecoslovacchia e per Silvio Lecca rappresentante del Partito Sardo d’Azione.

Sono questi anni che verranno ricordati in tutto il paese per l’azione di repressione del movimento operaio e sindacale da parte della Polizia del ministro degli Interni guidata da Mario Scelba.
E’ in questa temperie che Velio Spano che nella sua qualità di senatore della Repubblica godeva dello status dell’immunità parlamentare, viene chiamato a ricoprire l’incarico di segretario della Camera del lavoro e del movimento dei minatori di Carbonia.
Le cronache dei giornali dell’epoca sono utili a ricostruire il clima poliziesco nel quale si operava, già a settembre del 1948 il predetto commissario Antonio Pirrone disperdeva con l’uso della forza pubblica un comizio di Velio Spano e tratteneva arbitrariamente lo stesso, in uno stato di fermo per diverse ore, prima negli uffici del Comune e successivamente dell’Albergo Centrale, vicenda che si concluse con l’intervento di un ufficiale dei carabinieri pienamente consapevole dell’abuso del commissario Antonio Pirrone.
Analoga vicenda si manifestò in occasione di un comizio nel settembre del 1949, questa volta protagonista Nadia Gallico Spano anch’ella parlamentare, circostanza descritta fedelmente nell’edizione sarda dell’Unità del 2 settembre. Ne conseguì anche in questo caso una denuncia alla magistratura per abuso e violazione dei compiti di istituto disciplinati dalla legge e a fine anno del 1949 il commissario Antonio Pirrone concluse la sua esperienza in città e venne opportunamente trasferito da Carbonia a Messina.
Negli anni del primo dopoguerra quindi, Velio Spano con l’elezione a segretario regionale assume in Sardegna un ruolo fondamentale nella direzione del Partito Comunista e nella battaglia per l’Autonomia alla quale imprime una svolta decisiva Palmiro Togliatti nel 1947 con lo storico discorso alle Manifatture Tabacchi alla conferenza dei comunisti sardi. E’ in questo contesto che Velio Spano già affermato dirigente nazionale, diviene insieme a Renzo Laconi (nella foto), il principale interprete nella costruzione del partito nuovo e di una nuova cultura autonomistica in Sardegna.


Mi pare significativo, a questo proposito, richiamare un giudizio esterno relativo a quegli anni, contenuto in un libro a cura di Eugenia Tognotti “Americani comunisti e zanzare”. Nello specifico si tratta di una relazione datata 7 gennaio 1949 (siamo a meno di un mese dalla conclusione dello sciopero dei 72 giorni) commissionata dalla Fondazione Rockfeller che realizzava attraverso l’Erlaas la lotta antimalarica in Sardegna, dalla quale emerge un giudizio su Spano abbastanza lusinghiero considerando che, lo stesso documento con molta probabilità fu redatto da agenti dell’Intelligence USA, del quale riassumo un breve stralcio e del quale segnalo un’imprecisione, Spano non fu mai in Russia in quel periodo: «Ad un certo punto ci fu anche un movimento in favore di un partito comunista sardo separato dal PCI nazionale. Questa situazione venne presto corretta da Velio Spano (alias Paolo Tedeschi) che durante il suo esilio dall’Italia si era impegnato in un’intensa attività politica e di reclutamento nell’Europa Occidentale in Russia e nel Nord Africa. Rapidamente e con grande energia costruì un’organizzazione efficiente, eliminando ogni tendenza alla deviazione o al separatismo. Di conseguenza il PCI in Sardegna è particolarmente sensibile ad ogni accenno di autonomia ed è rigidamente controllato dal quartier generale del partito. Velio Spano che è un sardo del sud di origine medio-borghese, ha una visione molto lucida dello scenario politico sardo: negli anni cruciali del 1945/46 che videro la rapida espansione del comunismo in tutta Italia, il partito in Sardegna ha fatto dei rapidi progressi sotto la sua direzione, specialmente nel Sulcis, dove la politica di infiltrazione in posizioni di prestigio nei sindacati dei minatori, è stata particolarmente efficace».
Potrebbe apparire singolare un’attenzione così interessata da parte americana verso la sinistra e i comunisti, ma dalla lettura di documenti declassificati di recente, provenienti dal National Archives di Washington, provano l’attenzione alle vicende del bacino minerario di Carbonia e Iglesias ebbe inizio fin dal settembre del 1943 dopo l’armistizio e proseguì ininterrottamente nel tempo.
Spano si afferma quindi come una personalità di grande spessore politico ed intellettuale ed è dotato di un carisma riconosciuto nella sua organizzazione politica, tra i minatori, ma lo è altrettanto dai suoi avversari che ne hanno timore e rispetto, c’è tra le altre una vicenda che mi piace ricordare, riguarda il contraddittorio tra Padre Lombardi (noto alle cronache dei tempi come il Microfono di Dio) e Velio Spano.
Il confronto venne ospitato a Cagliari il 4 dicembre del 1948 presso il Cinema di Sant’Eulalia, all’esterno però furono piazzati degli altoparlanti che consentirono a migliaia di persone di assistere alla tenzone con le inevitabili tifoserie. Questa vicenda ebbe una grande risonanza anche nelle cronache del tempo, in Sardegna giunsero inviati di giornali stranieri oltre alle principali testate italiane, ma a noi arriva anche attraverso il racconto letterario: c’è un capitolo del romanzo di Giulio Angioni l’Oro di Fraus che lo celebra e una in poesia in “limba sarda” attraverso una riduzione riassuntiva a cura di Pietro Soru dal titolo evocativo: Roma o Mosca? eseguito secondo la struttura metrica della quartina che, in questo caso, sostituisce quella più tradizionale dell’ottava che, a quei tempi, era una forma di espressione molto praticata nella tradizione orale della poesia sarda.
Questo episodio avviene nel mezzo dello sciopero della non collaborazione dei 72 giorni dei minatori di Carbonia, una lotta importantissima per la sopravvivenza della città, che si concluderà vittoriosamente il 18 dicembre del 1948 a distanza di soli 10 anni dalla sua fondazione.
Per tanti questa data, il 18 dicembre del 1948 è stata concepita come un nuovo inizio, una sorta di rifondazione della città, è un’espressione che ho avuto modo di ascoltare da diversi protagonisti di quella lotta, alcuni dei quali sono stati discepoli di Velio Spano: da Pietro Cocco, Antonio Puggioni, Antonio Saba per citare alcuni dei più noti; Tore Cherchi nel suo libro “Città Industriale e Post Industriale” riassume efficacemente questo concetto: «Due date, il 18 dicembre del 1938 e il 18 dicembre del 1948, fra loro distanti esattamente 10 anni, segnano il primo periodo di storia della città. La prima è l’inaugurazione della città intesa come spazio costruito, l’urbs appunto. La seconda potrebbe essere considerata come conclusiva del progressivo divenire degli immigrati, infine furono cittadini e cittadine per atto di volontà individuale e collettiva, cives non solo per condizione giuridica. Il 18 dicembre del 1948 mostra plasticamente che la civitas è formata.»
Le cronache sui quotidiani del tempo, ricostruiscono con molto realismo la complessità e la drammaticità di quella lotta – compresa la dialettica interna alla CGIL – che mi pare non sia esagerato affermare, assunse una forma epica e così è giunta sino a noi; su tutte ho il piacere di segnalare la prima pagina dell’Unione Sarda del 17 dicembre del 1948 a firma di un giovane cronista di allora Peppino Fiori, che abbiamo poi conosciuto come un affermato giornalista televisivo, scrittore di successo e, infine, senatore della Repubblica eletto come indipendente nella liste del PCI.
La conclusione vittoriosa di quella lotta fu per i cittadini di Carbonia uno spartiacque, anche se le vicende successive degli anni ’50 riproposero nuovi problemi e nuovi dolori, licenziamenti e conseguente emigrazione nel nord Italia e verso le miniere della Francia, Belgio e Germania.
L’impegno istituzionale di Velio Spano in Senato per la Rinascita, il Bacino minerario, rimase costante sino alla data della sua scomparsa, ma occorre dire che l’attenzione per la sorte della città di Carbonia fu un suo continuo cruccio, su questo punto suggerisco in particolare la lettura di un suo discorso al Senato della Repubblica nella seduta del 12 ottobre del 1953, nella quale conclude il suo appassionato intervento con un’esortazione: «Salviamo Carbonia».
Credo che la decisione di ricordarlo a sessant’anni dalla sua scomparsa sia un gesto importante che assume un valore di testimonianza e insieme di gratitudine per il suo impegno politico coerente, per una militanza intesa come servizio e per un’intera vita spesa per affermare i valori di democrazia e di libertà!

Antonangelo Casula

 

Il Sulcis Iglesiente unito contro la decisione annunciata dalla Glencore sulla fermata della linea zinco nello stabilimento di Portovesme. E’ quanto ha fatto emergere stamane l’assemblea generale dei lavoratori, svoltasi davanti all’ingresso dello stabilimento, alla presenza di numerosi sindaci, del consigliere regionale Alessandro Pilurzu, del direttore dell’ufficio della pastorale sociale e il lavoro della diocesi di Iglesias do Antonio Mura, in concomitanza con lo sciopero di 24 ore proclamato dalle organizzazioni sindacali.

Nel corso degli interventi, sono stati durissimi i giudizi nei confronti dell’Azienda ed è stata sollecitata un’azione forte da parte della Regione Sardegna e del Governo nazionale, per contrastare il disegno di disimpegno portato avanti chiaramente dalla Glencore, che se portato a termine, infliggerebbe un colpo mortale all’economia dell’intero territorio, già messo a durissima prova dalle altre grandi vertenze industriali, ad iniziare da Eurallumina ed ex Alcoa oggi SiderAlloys .che si trascinano rispettivamente da 15 e 12 anni, per finire alla Centrale Enel Grazia Deledda, destinata alla fermata in attuazione del programma di decarbonizzazione.

Allegate le fotografie della giornata di protesta e le interviste realizzate con il consigliere regionale del Pd Alessandro Pilurzu; don Antonio Mura, direttore dell’ufficio della Pastorale per il sociale e il lavoro della diocesi di Iglesias; i sindaci di Portoscuso Ignazio Atzori, Carbonia Pietro Morittu, Iglesias Mauro Usai, Gonnesa Pietro Cocco, Carloforte Stefano Rombi; di Roberto Forresu segretario regionale della Fiom Cgil e Renato Tocco segretario della Uilm Uil del Sulcis Iglesiente.

             

«L’umanità può sperare in una soluzione dei suoi problemi soltanto volgendo la propria attenzione e le proprie energie alla scoperta del bambino»: parola di Maria Montessori. Un’eredità preziosa i cui insegnamenti sono stati acquisiti con profitto da ventotto docenti della prima infanzia 0-3 che ritireranno i prestigiosi diplomi specialistici Montessori nel corso della cerimonia che si terrà venerdì 12 luglio, alle ore 18.30, nei giardini di Casa Casula a Villamassargia.
ll percorso formativo, incentrato sul metodo divenuto celebre in tutto il mondo, era iniziato a maggio 2023 e condotto dall’OMN, Opera Nazionale Montessori – Italian Montessori Institution che aveva scelto il Sud Sardegna come location privilegiata per la formazione del personale didattico.
«Grazie alla direzione del CPT, Coordinamento Pedagogico Territoriale ‘Ilaria Alpi’, di cui Villamassargia è capofila e alla sinergia con i Comuni che hanno creduto in questo progetto innovativo, si è potuto ottenere un ottimo risultato: l’accesso gratuito a una formazione di alta qualità per 70 insegnanti del territorio che non si sono dovute spostare dalla Sardegna», ha evidenziato la sindaca di Villamassargia Debora Porrà, ricordando anche il corso 3-6 tenuto dall’ONM a Capoterra, in collaborazione con la direzione didattica statale 2° circolo.
Alla cerimonia del 12 luglio, moderata dalla giornalista Sara Vigorita, saranno presenti la sindaca Debora Porrà, l’assessora alla Pubblica Istruzione Sara Cambula, la coordinatrice pedagogica del CPT Mara Durante, la direttrice del corso Laura Pasci e la coordinatrice scientifica del corso Susanna Castellett dell’Opera Nazionale Montessori. Oltre alla consegna dei diplomi, è prevista la premiazione dei Sindaci e delle Sindache, dei dirigenti scolastici e delle dirigenti scolastiche dei nidi privati e della coordinatrice dell’asilo nido Rosa Parks coinvolti nel progetto.
«Un modoosserva la sindaca Porrà – per sottolineare che senza il lavoro di squadra non avremmo potuto raggiungere questo traguardo.»
L’invito è stato esteso alla presidente della Regione Alessandra Todde, all’assessora dela Pubblica Istruzione Ilaria Portas e alla Garante regionale per i diritti dell’infanzia Carla Puligheddu.
La serata si concluderà  con un momento conviviale e con un concerto di musica Jazz in piazza Pilar.
I primi cittadini e le prime cittadine che saranno premiati: Isangela Mascia sindaca di Domusnovas, Sasha Sais sindaco di Musei, Laura Cappelli sindaca di Buggerru, Paolo Sanna sindaco di Fluminimaggiore, Pietro Cocco sindaco di Gonnesa, Romeo Ghilleri sindaco di Nuxis, Gianluigi Loru sindaco di Perdaxius, Francesca Atzori sindaca di Siliqua, Francesco Spiga sindaco di Vallermosa.
I dirigenti scolastici e le dirigenti scolastiche premiate: Marta Putzulu dell’istituto comprensivo F. Meloni di Domusnovas e istituto comprensivo di Siliqua; Massimo Potenza dirigente dell’Istituto comprensivo di Narcao e Perdaxius ed Emanuela Pispisa dirigente dell’istituto comprensivo Eleonora d’Arborea di Iglesias.

Sono trascorsi 40 anni dalla tragica scomparsa di Enrico Berlinguer, avvenuta a Padova l’11 giugno del 1984 ed il suo ricordo e la sua eredità politica sono più vivi che mai. La sua figura e la sua azione a quasi mezzo secolo di distanza, hanno lasciato nella società italiana una traccia indelebile e sono divenute patrimonio comune di più generazioni, da preservare gelosamente.
A distanza di anni dalla sua morte, il suo pensiero politico, alcune delle sue intuizioni e la sua opera continuano ad influenzare il dibattito politico odierno, non mi riferisco esclusivamente al tema della questione morale e del progressivo degrado della funzione dei partiti nella società italiana, ma al suo impegno militante per il disarmo, per una politica di pace e di costruzione di un nuovo ordine mondiale; tema più che mai attuale, come dimostra l’orrore dei tanti conflitti e guerre in corso e la crisi delle relazioni internazionali tra le principali potenze mondiali.
La sua stagione sarà ricordata per la proposta politica del “compromesso storico” che non aveva la sola legittima aspirazione di superare “la conventio ad escludendum” nei confronti dei comunisti italiani, quanto contribuire all’allargamento della partecipazione democratica delle classi lavoratrici al governo del paese.
Come è noto questa strategia prende spunto da una riflessione sui tragici fatti del golpe militare fascista del Cile del settembre del 1973, ma anche dall’esaurimento della formula politica del centro-sinistra che aveva visto l’ingresso del PSI nell’area di governo nel corso degli anni ’60.
In questo percorso aveva incontrato in Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, un interlocutore affidabile nella sfida per la costruzione di nuovi e più avanzati equilibri politici nel nostro paese, una prospettiva che si è interrotta con il rapimento e l’assassinio dello stesso Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, le quali (non da sole) hanno avuto come obiettivo principale interrompere un processo politico democratico che legittimava l’aspirazione di governo del paese da parte della sinistra italiana.
Per ragioni anagrafiche ho aderito al PCI neri primi anni della segreteria Berlinguer, proprio nel frangente in cui il partito avanzava al paese la proposta politica di “Austerità: occasione per cambiare l’Italia”, inviterei tutti a rileggere oggi, quelle tesi, con la mente libera dal pregiudizio che sovente accompagna il termine austerità, vi troveremo un’analisi e un’idea di cambiamento della società italiana che era propria di quelli che Andrea Mulas (autore di un bel libro su Allende e Berlinguer) definisce “i pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer.
Gli anni ’70 sono ricordati come anni difficili soprattutto per la stagione delle stragi fasciste, della strategia della tensione, iniziata con Piazza Fontana nel 1969, l’Italicus, Piazza della Loggia a Brescia da un lato e dall’altro l’abisso in cui precipitò il paese con il terrorismo delle Brigate Rosse.
Va detto, inoltre, che quello degli anni ’70, fu un decennio particolarmente importante per il nostro paese, nonostante le difficoltà richiamate, furono anni fertili e di conquiste per il mondo del lavoro e di crescita per la democrazia italiana, cito ad esempio alcuni dei temi che avrebbero inciso in profondità nella vita civile e democratica dell’ Italia: la conquista dello Statuto dei Lavoratori, l’istituzione delle Regioni, il Decentramento Amministrativo, la Riforma della Sanità nel 1978 e sul piano dei Diritti Civili le Leggi su Divorzio e Aborto, una stagione riformatrice della quale oggi occorrerebbe recuperare, principi, metodo, memoria e insegnamento.
Mi è rimasta impressa nella memoria, una valutazione espressa da Enrico Berlinguer nel suo intervento al Comitato Centrale del PCI successivo al significativo arretramento elettorale alle elezioni politiche del 1979, nel quale rivendicava che l’azione condotta in questi anni dal PCI e dalle forze di sinistra, aveva contribuito ad introdurre nella società italiana, elementi di socialismo.
Una rivendicazione orgogliosa di un impegno coerente per lo sviluppo della democrazia e il progresso sociale e civile dell’Italia Repubblicana e dei risultati che avevano consentito un importante miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più popolari del nostro paese.
A gennaio di quarant’anni fa, la sua ultima volta in Sardegna in un “tour de force” nelle quattro province sarde, di questa circostanza, vorrei raccontare alcuni momenti della sua visita del 1984 ai quali ho avuto occasione di assistere da vicino.
Il 1984 si presentava come un anno con scadenze elettorali importanti, si votava per il rinnovo del Parlamento Europeo istituito nel 1979 e si era prossimi al rinnovo del Consiglio Regionale della Sardegna che, avrebbe poi eletto, l’indimenticato Mario Melis a Presidente della Regione Sarda.
La visita del Segretario Generale del PCI era stata preparata con molta cura dalla segreteria regionale guidata da Mario Pani, ed ebbe inizio la mattina del 15 gennaio del 1984, con un comizio tenuto a Cagliari in Piazza della Costituzione, molto partecipato, e proseguì poi per diversi giorni nelle quattro province della nostra isola.
Ho avuto la fortuna e l’onore di poter partecipare a questa straordinaria esperienza e vorrei rendere con semplicità, una testimonianza personale.
A fine settembre del 1983 ero stato chiamato a sostituire Ugo Piano appena eletto sindaco di Carbonia, nel ruolo di funzionario della Federazione Comunista del Sulcis come responsabile dell’organizzazione e in questa veste fui incaricato dall’allora segretario della Federazione, Ignazio Cuccu – dolorosamente e prematuramente scomparso lo scorso 27 dicembre – ad occuparmi degli aspetti organizzativi relativi alla visita di Enrico Berlinguer nella Miniera di Seruci, prevista per la mattina del 16 gennaio 1984.
Nel pomeriggio del 15 gennaio Berlinguer arrivò a Carbonia per l’inaugurazione della nuova sede della Federazione in viale Arsia, dove fu accolto con grande gioia e partecipazione da una folla di militanti di tutto il nostro territorio.
L’incontro venne introdotto da Ignazio Cuccu segretario della Federazione, il quale annunciò nel corso della manifestazione, la decisione del Direttivo della Federazione di intitolare il Salone delle riunioni alla figura di Pio La Torre, assassinato dalla mafia, insieme al suo autista Rosario Di Salvo. Enrico Berlinguer nel suo intervento dedicò un pensiero significativo a questa decisione e disse a tutti i presenti, delle frasi particolarmente toccanti, che mi sono rimaste impresse: «Ricordatevi compagni, che con l’intitolazione di questa sala a Pio La Torre, state assumendo un compito particolarmente gravoso ed impegnativo».
Queste parole testimoniavano ancora una volta la stima politica e l’affetto umano per Pio La Torre, che aveva chiamato a collaborare con lui nelle segreteria nazionale del partito, ma anche un’esortazione severa a tutti noi ad onorarne il nome con la militanza e l’impegno politico quotidiano.
Conclusa la manifestazione si andò per la cena al Ristorante l’Olimpo che era un’ambiente ricavato nello stesso stabile dell’Albergo Centrale, prospiciente alla passeggiata della via Manno, a quei tempi il principale punto di ritrovo delle giovani generazioni di Carbonia; segnalo una circostanza che colpì tutti noi, alla vista di Enrico Berlinguer si levò un’onda di stupore, di attenzione e di meraviglia da parte della piazza: c’è Berlinguer! E’ Berlinguer! Segno che godeva di una grandissima popolarità ed affetto anche tra le giovani generazioni.
Non era stata questa la sua prima volta a Carbonia, c’era già stato da segretario nel 1974 per un comizio nella centralissima Piazza Roma introdotto dall’allora sindaco della città Pietro Cocco e ancor prima nel 1949 a Bacu Abis, quando ancora ricopriva l’incarico di segretario nazionale dei giovani comunisti e di questa visita, gli era rimasto impresso un ricordo preciso, quello di aver parlato dalla finestra di un’abitazione che dava su una piazza (Piazza Portoferrario) e che la manifestazione venne interrotta e dispersa da un’intervento delle forze dell’ordine  ricordo per inciso che in quel periodo la Polizia era guidata dal famigerato Commissario Giovanni Pirrone).
Devo aggiungere che la ricostruzione di Berlinguer coincideva alla perfezione con il racconto che mi avevano fatto i compagni più anziani della sezione di Bacu Abis.
La sera, non si trattenne a lungo per la cena e quindi una parte del gruppo dirigente della Federazione si trasferì con lui all’Hotel Panorama di Portoscuso che era stato pernottato per trascorrere la notte.
Sostanzialmente aveva voluto con se, il quadro dirigente di partito per pianificare la giornata successiva, che prevedeva due momenti di confronto in due realtà industriali molto importanti l’Alsar e la Carbosulcis, il primo curato da Tore Cherchi da poco tempo eletto al Parlamento per un saluto all’Azienda e i lavoratori, il secondo con i minatori incentrato sul tema del rilancio della produzione del carbone.
Avviò un confronto per affinare i temi e le risposte che avrebbe dovuto trattare nel suo intervento, chiese informazioni sulla situazione e sugli umori nelle aziende e tra la classe operaia, con cui si sarebbe dovuto confrontare.
Per me giovane dirigente di partito alle prime armi, fu una lezione politica indimenticabile, particolarmente istruttiva, di metodo, serietà, umiltà e di rigore.
La giornata del 16 mi riservò una sorpresa inaspettata, alle due iniziative menzionate Alsar e Carbosulcis, faceva seguito un incontro istituzionale con il comune di Iglesias, di cui ricordo oltre ad una festosa accoglienza un intervento particolarmente brillante del sindaco della città Paolo Fogu; l’impegno di Enrico Berlinguer proseguiva con una successiva tappa a Guspini e in tarda serata un incontro con i giovani al Liceo De Castro di Oristano, la giornata al seguito del segretario, per me si sarebbe conclusi ad Iglesias a fine mattina.
Ignazio Cuccu oltre a ricoprire l’incarico di segretario della Federazione era stato da poco tempo nominato responsabile regionale dell’Organizzazione di partito, mi comunicò che il pomeriggio saremo dovuti andare ad Oristano al seguito del segretario; l’incontro di Oristano con gli studenti fu molto intenso e partecipato, incentrato principalmente sui temi della pace e delle giovani generazioni. E’ divenuto poi famoso alle cronache per il finale, la cena in pizzeria con Enrico Berlinguer che accolse l’invito proposto da parte di alcuni studenti.
Sono stato testimone della circostanza e voglio dire la mia, Berlinguer appariva, agli occhi di tutti noi, abbastanza affaticato, quello di Oristano era il quinto appuntamento della giornata e quando alcuni dei ragazzi si avvicinarono per formulare ”il temerario invito”, furono “respinti” da Ignazio, preoccupato della stanchezza del segretario, ma i giovani non desistettero dal loro intento e provarono a sfondare con successo da un’altro fronte, ricordo Agostino Erittu, anch’egli componente della Segreteria regionale rispondere ai giovani, chiedetelo direttamente a lui, vedete se accetta?
«Onorevole Berlinguer verrebbe a mangiare una pizza con noi?» molto volentieri fu la risposta, concesse un’intervista ad un’emittente locale e poi si fini tutti da Catapano in pizzeria.
Anche in questa occasione mi colpì la sua capacità di dialogo e di ascolto, un interesse vero, sincero, non formale, la serata si concluse con una passeggiata notturna ad Oristano, accompagnati da Umberto Cocco allora segretario della Federazione, da Franco Sotgiu e da Mario Oggiano e dal suo segretario Tonino Tatò, mentre Ugo Baduel, al seguito si apprestava a redigere la cronaca della giornata per il quotidiano del partito: L’Unità.
Il giorno successivo lo attendevano diversi appuntamenti impegnativi, in particolare un’assemblea con gli operai di Ottana e successivamente un festoso incontro di popolo ad Isalle, una località di campagna tra Orune e Dorgali.
Ricordo che anche l’appuntamento con gli operai di Ottana fu preparato con un’attività istruttoria adeguata e in quella occasione furono espresse alcune preoccupazioni che poi si manifestarono nella giornata successiva, l’accoglienza ad Ottana fu se non fredda, abbastanza tiepida, iniziavano ad emergere anche tra quella classe operaia i segnali che avrebbero portato al grande balzo elettorale del Partito Sardo alle elezioni regionali del 1984, ma questa è un’altra storia.
Il viaggio di Berlinguer in Sardegna, si concluse con successo anche nelle altre due tappe, in Gallura e a Porto Torres.
La sua presenza nell’isola oltre ad aver contribuito al buon esito delle tornate elettorali, molto positive anche per il PCI, aveva assicurato un impegno corale del gruppo dirigente nazionale che venne onorato anche dopo la sua tragica e drammatica scomparsa.
Questo mio ricordo personale di Berlinguer in Sardegna e a Carbonia, non si è volutamente occupato degli aspetti politici della sua visita e delle sue principali implicazioni, non era questa l’intenzione, osservo e credo non valga soltanto per me che, se a distanza di 40 anni dalla sua scomparsa, sentiamo il bisogno di ricordarlo con questo trasporto, significa che ha lasciato un vuoto incolmabile, un segno indelebile nella coscienza e nell’animo di tutti noi.
Si tratta di un’eredità impegnativa, dati i tempi non semplice da coltivare, il mio auspicio è che possa proseguire una riflessione feconda sul suo pensiero e la sua opera a partire dai temi della pace e della necessità di un nuovo ordine mondiale, per il quale aveva speso la parte più importante delle sue ultime energie.
Questo ben al di là degli interessi di partito o di schieramento, il suo pensiero le sue battaglie, non appartengono solo alla sinistra di origine comunista, sono un patrimonio della democrazia del nostro paese, di tutti i democratici di questo paese, per questa ragione la sua lezione non va dimenticata ma riproposta con forza all’attenzione di tutti, soprattutto delle nuove generazioni.
Recentemente Corrado Augias nel corso di una puntata della sua trasmissione La Torre di Babele dal titolo: Cosa resta di Enrico Berlinguer, ne ha definito la fisionomia utilizzando le seguenti parole che riporto testualmente: «Se io dovessi chiudere da estraneo Berlinguer dentro un sostantivo, direi Etica».
Ecco, mi sembra una definizione molto felice e appropriata che riassume con grande efficacia la sua persona e la sua grande caratura politica e morale!

Antonangelo Casula

Nella foto di copertina, da sinistra: Antonangelo Casula; Mario Pani, segretario regionale del PCI nel 1984; Ugo Piano, Enrico Berlinguer; Ignazio Cuccu.

L’Amministrazione comunale di Gonnesa ha dato avvio alla procedura selettiva per l’affidamento dei lavori di riqualificazione del campo sportivo comunale. Lo ha comunicato il sindaco, Pietro Cocco.
L’intervento, di poco più di 1.000.000 di euro, prevede la ristrutturazione complessiva dell’impianto, tra cui gli spogliatoi, le tribune, l’area d’ingresso e i servizi.
Il manto del campo da gioco sarà realizzato in erba sintetica, materiale che sarà utilizzato anche per la costruzione di un campetto per il calcetto.

Pietro Cocco, sindaco di Gonnesa, è il nuovo presidente dell’assemblea della Comunità del Parco Geominerario. Ne ha dato comunicazione il presidente uscente, Mauro Usai, sindaco di Iglesias.

«Questa mattina ho riunito per l’ultima volta la Comunità del Parco Geominerarioha scritto su Facebook Mauro Usai -. Ho comunicato, infatti, la mia indisponibilità a ricoprire nuovamente il ruolo di presidente dell’assemblea per svariate ragioni, una delle quali è sicuramente il mio nuovo impegno come presidente della Fondazione Cammino Santa Barbara.»
«All’unanimità dei presenti abbiamo eletto Pietro Cocco come rappresentante dell’intera comunità nel ruolo di presidenteha aggiunto Mauro Usai -. Auguri al sindaco di Gonnesa per questo nuovo importante impegno che sono certo condurrà con la massima determinazione e nel segno dell’unità dei territori del Parcoha concluso il presidente uscente -. L’unanimità di questa mattina è il segno, infatti, della compattezza dei sindaci nell’azione di rilancio del Parco.»