25 April, 2024
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Tutti sono chiamati a fornire un contributo d’idee per concepire il progetto dell’ospedale del futuro. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) oltre un anno fa avviò un concorso internazionale di idee per produrre le linee guida sul come progettare i futuri ospedali. A tal fine, alcuni mesi fa venne organizzato un convegno di esperti a Baku in Azerbaijan, a cui partecipò l’Italia, con il Politecnico di Milano.
Il relatore fu l’ingegner Stefano Capolongo, che espose un progetto curato dal “Design and Healt Lab” del dipartimento di Ingegneria e Architettura.
A conclusione di quel convegno la OMS decise di raccomandare a tutti i progettisti l’uso delle linee Guida del Politecnico di Milano.
I criteri di quelle linee guida risentono moltissimo dell’esperienza Covid e, in sintesi, raccomandano:
– infrastrutture flessibili
In particolare, il prof, Stefano Capolongo si è soffermato su:
– Scelta dell’area in cui situare il nuovo ospedale (città o periferia).
– Aree più vaste da destinate alle strutture ospedaliere.
– L’ospedale del futuro dovrebbe avere parti flessibili e rimodulabili col variare delle esigenze.
– Ospedali a strutture multiple a monoblocco verticale, distinte per funzione ma inter-comunicati.
– Sinergia con la rete sanitaria territoriale.
– Aumentare le strutture per i servizi di medicina locale.
– Gestione dell’energia e delle risorse.
– facilità di adattamenti e ampliamenti.
– Sicurezza generale (da incendi o eventi sismici e idrogeologici).
– Riduzione rischi di infezione e contagio.
– Comfort (umanizzazione e standard igienici elevati)
Gli esperti di Paesi bassi e Scandinavia hanno proposto ospedali con camere singole allo scopo di ridurre il rischio delle infezioni ospedaliere e dei contagi.
E’ emersa la proposta di distinguere gli ospedali in base ai tempi di intervento sanitario. Per esempio, vengono distinti gli ospedali ambulatoriali destinati a day Surgery, dagli ospedali stanziali destinati a ricoveri prolungati. A questi si assocerebbero gli Hotel per pazienti destinati ad ospitare i dimessi che non voglio rientrare al proprio domicilio e preferiscono risiedere temporaneamente in prossimità dell’ospedale.
Lo svizzero Eugen Schroeder, direttore dell’ospedale universitario di Zurigo, ha proposto il modello di ospedale a padiglioni con camere singole, situati in campagna, circondati dal verde dei parchi.
Tuttavia, i convenuti hanno fatto notare che nelle strutture modulari a padiglioni sorgerebbero criticità dovute alla difficoltà di gestione del personale che dovrebbe essere numerosissimo e impiegare tempi di percorrenza da un padiglione all’altro, troppo lunghi.
Tutti sono stati concordi sulla necessità di adattare gli spazi alle necessità sanitarie; spesso si è fatto il contrario.
Le discussioni di quel convegno hanno rinforzato l’idea che sia urgente e necessario redigere i criteri nazionali e internazionali a cui devono fare riferimento i committenti dei nuovi ospedali e i progettisti.
Ben 20 anni prima della pandemia, nel 2.000 il professor Umberto Veronesi dette l’incarico a Renzo Piano di progettare l’ospedale del futuro, formulandone i criteri. Oggi, in campo europeo e internazionale stanno prevalendo i “criteri” dell’ingegner Stefano Capolongo, del “Centro nazionale di edilizia ospedaliera”. Il prof. Stefano Capolongo ritiene che in fase iniziale sia imprescindibile creare un modello condiviso tra i vari attori interessati che sono: La Politica, l’Opinione pubblica, le Istituzioni sanitarie, le Aziende sanitarie. Per far ciò è necessario mettere sotto osservazione le esperienze più recenti di costruzioni di ospedali.

Tra gli ospedali più recenti in Italia, c’è il “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. Si tratta di un ospedale da 1.024 posti letto, composto da 7 torri di 5 piani ciascuna. Le torri sono collegate fra loro da percorsi.
La superficie complessiva è di 320.000 mq (32 ettari).
La concezione del Papa Giovanni si basa su una versione rivisitata dell’ospedale a padiglioni ottocentesco. A Bergamo i padiglioni sono spariti lasciando lo spazio alle più moderne torri. Nella città più colpita dal Covid, questa struttura ha consentito, durante la fase peggiore dell’epidemia, di
continuare a gestire i pazienti senza tralasciare le altre patologie, in particolare quelle oncologiche.
Questa esperienza, che ha testato le strutture a torri, è piuttosto interessante.
L’ingegner Stefano Capolongo ha fatto notare che purtroppo gli ospedali nella prima ondata si dedicarono per il 90% al Covid, dimenticando tutte le altre patologie. Questa consapevolezza ha accelerato la riflessione e lo studio di nuovi processi tecnologici. L’esempio di Wuhan e degli ospedali tenda in Italia inducono a catalogare fra i criteri la “Flessibilità” e la “Resilienza”.
Flessibilità.
Questo concetto deriva proprio dalle osservazioni delle modifiche apportate attorno agli ospedali con l’edificazione di strutture mobili, ampliabili e trasformabili. Tali strutture di ricezione, degenza e cura, possono essere create con pareti mobili formate da pannelli metallici rivestiti in PVC e calamitati fra di loro. In questo modo le pareti si possono spostare velocemente al bisogno. Con questo metodo a Wuhan venne costruito un ospedale in due settimane.
Impiantistica.
L’avaria degli impianti all’interno degli ospedali, e la loro riparazione, può provocare gravi disagi al personale e ai degenti. Per evitarli occorre creare per tutta l’impiantistica, spazi dedicati in cavedi tecnici orizzontali o verticali, progettati in modo tale da non interferire con le aree destinate alle attività sanitarie. Per esempio si possono costruire edifici affiancati agli ospedali per potervi contenere impianti facilmente accessibili ai tecnici senza entrare nelle aree di degenza. Il progetto dovrebbe prevedere l’esistenza di un secondo edificio parallelo alla struttura principale che si sviluppi in verticale, connesso all’ospedale attraverso i controsoffitti. In questo modo gli impianti sarebbero autonomi rispetto all’ospedale.
La questione energia.
Questo argomento venne affrontato dal Politecnico di Milano per dare un significato concreto all’espressione “ospedale sicuro e sostenibile” contenuta nel PNRR. Si concluse che bisogna partire dall’idea che un ospedale è come una città che lavora e vive h/24 e pertanto è fortemente energivoro. Esiste l’esigenza dell’isolamento termico e il problema del risparmio energetico, per l’illuminazione, per il riscaldamento.
Una buona pratica è quella messa in campo dall’ospedale pediatrico Mayer di Firenze dove il progettista ha pensato di portare il più possibile la luce naturale dentro l’ospedale e prevedere in aggiunta un impianto fotovoltaico. Stefano Capolongo nella sua relazione ha sostenuto che si debba andare in questa direzione. Infine, Stefano Capolongo, convinto che i padiglioni non siano l’opzione migliore, ha affermato che i padiglioni sono utili solo per contenere le malattie infettive epidemiche, motivo per cui si svilupparono soprattutto nel 1800, quando si scoprì l’esistenza dei microbi e i modi di trasmissione dei contagi. La loro necessità è giustificata solo dalla norma del “distanziamento”.

Il Nuovo Policlinico di Milano
Il Policlinico di Milano è conosciuto anche come “Ospedale Maggiore” o “Ca’ Granda”; è specializzato in materno infantile, malattie rare, trapianti, dermatologia, gastroenterologia, epatologia, medicina del Lavoro.
La sua struttura verrà modificata: sarà composta da 7 piani: piano terra, tre piani di blocco centrale, due piani di parcheggio interrato. L’edificio Sud sarà dedicato a donne e bambini, ma la vera particolarità saranno le “Case parto”. Le case parto saranno dei veri e propri mini-appartamenti che daranno la possibilità alle donne di vivere l’esperienza di partorire in casa, rimanendo in ospedale. Esisterà un “giardino terapeutico” sopraelevato sul tetto dell’edificio.

Questa evoluzione della struttura degli ospedali concepita in chiave moderna iniziò nel 1456 con l’Ospedale Maggiore di Milano, progettato e realizzato dal Filarete su commissione di Enrico Rampini.
Nel 1700 si diffusero in Europa gli ospedali a padiglione, composti da più edifici immersi nel verde, distinti secondo la patologia dei pazienti.
In seguito, colla riduzione del problema dei contagi si studiarono nuove soluzioni per risolvere un’altra problematica: il consumo di tempo impiegato dal personale per percorrere le lunghe distanze tra i padiglioni dell’ospedale.
La soluzione si trovò con gli ospedali monoblocco, ovvero edifici più compatti che si sviluppano in verticale e a dipartimenti.
Negli anni dal 1950 in poi si svilupparono gli ospedali a piastra-torre, cioè edifici con una base più ampia in cui si collocavano i servizi ambulatoriali, mentre le degenze si collocavano nella torre.
Sicuramente i futuri progettisti di ospedali dovranno tener conto dei “criteri aggiuntivi” maturati con l’esperienza della pandemia. All’esigenza di nuovi ospedali si somma oggi la carenza di strutture ospedaliere efficienti a causa dei mancati ripristini provocati dalle ridotte disponibilità di finanziamenti per la sanità. Si calcola che dagli 8 miliardi annui destinati alla Sanità ospedaliera nel 2008, sia avvenuta una decrescita annuale del finanziamento, fino ai 5,5 miliardi nel 2017.
Si stima che saranno necessari altri 32 miliardi per intervenire sulle strutture sanitarie dell’intero paese. Quando si passerà alla realizzazione dei nuovi ospedali, oltre ai “criteri generali” che dovranno ispirare i progettisti (umanizzazione, economicità, sicurezza, igiene, rapidità di intervento, etc..), si dovranno considerare i “requisiti” strutturali imposti dalle leggi vigenti.
La legge di riferimento più nota del ventesimo secolo è il DCG del 20 luglio 1939. Esso detta norme su:
– Elementi generali da tener presenti nella costruzione degli ospedali.
– Scelta dell’area secondo parametri d’obbligo (dati meteorologici della località, temperature minime e massime dell’anno ed escursioni giornaliere, umidità, stabilità dei suoli, andamento altimetrico e planimetrico del terreno, direzione e velocità dei venti dominanti, durata dell’insolazione media, presenza di acque superficiali, profondità della falda freatica, libera esposizione a sud-est, possibili inquinanti nell’aria, rumorosità ambientale).
– Ampiezza dell’area: non meno di 75 mq per posto letto.
– Approvvigionamento idrico e smaltimento liquami
– Numero posti letto adeguato alle finalità dell’ospedale.
– Sviluppo verticale a monoblocco o poliblocco
– Requisiti costruttivi (doppio corpo, orientamento sec. l’arco solare, illuminazione, aereazione).
-Elementi funzionali (servizi generali, direzione sanitaria, cucine, lavanderia, centrale termica).
– Servizi di accettazione.
– Locali di degenza.

Alle legge del 1939 si sono aggiunte negli anni nuove disposizioni che rendono ancora più complessa la normativa per la realizzazione di un ospedale:
– Legge 833/78; legge 502/1992; DPR 503/1996; DPR 380/2001 (barriere architettoniche);
– DM 5 luglio 1975 (requisiti igienico-sanitari)
– D.L. 396/1993 (disposizioni in materia edilizia;
– DPR 14 gennaio 1997 (requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi minimi per servizi sanitari).
Inoltre, sarà necessario verificare che il progetto soddisfi tutti i “criteri urbanistici” definiti dal “Piano regolatore” di riferimento, con rispetto di parametri come la “densità edilizia”, le “altezze” degli edifici, la “distanza tra fabbricati” e la “destinazione d’uso”.
L’intento dichiarato, nei programmi politici, di costruire nuovi ospedali è semplice da scrivere su delibere di poche righe, ma è piuttosto difficile da concretizzare in opere compiute.
Tra l’intento e la realizzazione c’è di mezzo il “tempo disponibile”. Questo fattore, stante la richiesta pressante di sanità, è l’incognita dell’equazione che si frappone tra le esigenze sanitarie dell’attuale generazione e l’ospedale del futuro.

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Domani 10 novembre la Consulta Ambiente e Territorio terrà un incontro seminariale all’Hotel Mistral 2 di Oristano, finalizzato a fare il punto sul dibattito attorno al Ddl sul governo del territorio, sul quale attende ancora oggi risposte nel merito delle numerose domande e osservazioni poste. Nel corso dell’intera giornata, la discussione si concentrerà sulle altre vertenze in corso, nelle quali le associazioni aderenti alla Consulta sono attualmente impegnate, e sulle azioni da svolgere per definire il campo di azione della Consulta nel prossimo biennio. La relazione introduttiva sarà volta da Enrico Deplano con alcune proposte per dare alla Consulta una forma organizzativa insieme a una visione originale della questione ambientale in Sardegna. La Consulta valuterà come darsi una struttura organizzativa, eventualmente con la nomina di un coordinatore e un referente per la comunicazione e i rapporti con gli organi di informazione.

La Consulta Ambiente e Territorio, attiva da alcuni mesi, può contare sull’ apporto tecnico di esperti in diverse discipline che concorrono alle iniziative di WWF, Italia Nostra, GRIG, Federparchi. Fanno parte del gruppo di lavoro i rappresentanti delle associazioni Carmelo Spada (WWF), Stefano Deliperi (GRIG), Graziano Bullegas (Italia Nostra), Tore Sanna (Federparchi) e Daniela Addis (avvocato esperto in diritto dell’ambiente e del mare), Giuseppina Angioni (chimica farm. spec. Scienza dell’Alimentazione), Maria Laura Cadeddu (geologa), Ignazio Camarda (botanico), Roberto Corbia (urbanista, gruppo G124/2014 a supporto del sen. Renzo Piano), Paola Correddu (medico), Massimo Dadea (medico), Enrico Deplano (dottore in Lettere-Storia e critica dell’Arte, PhD in Ing. – Sostenibilità Arch. e Planning), Salvatore Dessena (architetto), Mauro Gargiulo (ingegnere, responsabile energia Italia Nostra Sardegna), Antonietta Mazzette (dir. del dipartimento Scienze politiche, della comunicazione e ingegneria dell’informazione – Uniss) , Giuseppe Melis (docente Marketing Turistico – UniCA), Maria Paola Morittu (giurista dei BBCC, vicepres naz.le Italia Nostra), Sandro Roggio (architetto), Alessio Satta (ingegnere ).

La Consulta può contare su un rapporto di collaborazione con il FAI. La Consulta ringrazia Gesuino Muledda (RossoMori) e Thomas Castangia (Possibile) per il loro contribuito al progetto di cooperazione tra le associazioni e i movimenti ambientalisti sardi e alla organizzazione di iniziative della Consulta. 

L’assessore regionale degli Enti locali ha annunciato questa mattina nel corso del dibattito nell’aula magna del dipartimento di Architettura dell’Università di Cagliari, seconda delle due giornate di studio “Geografie metropolitane su Cagliari e l’Italia di Renzo Piano” la prossima messa in rete di una banca dati delle finanze per consultare i bilanci di tutti i Comuni della Sardegna creata dall’assessorato degli Enti locali.
Al tavolo con l’assessore Erriu per fare il punto sulla città Metropolitana di Cagliari e sul suo sviluppo d’area sono intervenuti Francesco Agus, presidente della prima commissione Autonomia del Consiglio regionale, e Walter Tortorella, direttore del Centro Documentazione e studi Comuni italiani Anci e Ifel.
L’assessore Erriu, nell’illustrare il processo di metropolizzazione dell’area vasta di Cagliari, come opportunità per riorganizzare il sistema territoriale di riferimento a partire dall’esperienza di alcune realtà già esistenti, come le otto città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli (l’unica con lo statuto e il piano strategico ancora in via di approvazione), ha annunciato la creazione della banca dati delle finanze.

«Un sistema di consultazione dei bilanci di tutti i Comuni dell’isola realizzato dall’assessorato degli Enti locali – ha spiegato l’assessore degli Enti locali – che sarà presto on-line. Strumento molto utile per gli amministratori locali e che attualmente, attraverso numeri indiscutibili, ha messo in evidenza come la città metropolitana di Cagliari non nasca in contrapposizione, ma per collaborare con il resto dei Comuni e degli Enti della Sardegna.»
La geografia della città metropolitana è attualmente composta da 16 Comuni: Cagliari, Assemini, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Pula, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Sarroch, Selargius, Sestu, Settimo San Pietro, Sinnai e Villa San Pietro. Con la delibera del 29 dicembre 2014 numero 53/17 in Sardegna si approva l’istituzione della città metropolitana secondo il modello di area ristretta. Nei 16 Comuni di riferimento sono stati censiti 421 mila abitanti per un territorio di 1.114 chilometri quadrati. Mentre la densità abitativa del territorio è di 379 abitanti per chilometro quadrato, ovvero il 25,4% dell’intera popolazione sarda.
I 106 Comuni che andranno a formare la Provincia del Sud Sardegna contano 368 mila abitanti, e il 75% dei 377 municipi isolani si lega in Unioni. «Dei 16 centri 4 sono Unioni di Comuni – ha sottolineato Erriu – e dei 106 della Provincia del sud Sardegna 86 aderiscono agli stessi raggruppamenti: ovvero l’81%. Inoltre il reddito imponibile medio dei Comuni metropolitani è di 21,5 mila euro per ciascun contribuente: un dato superiore a quello medio della Provincia del sud Sardegna. Da sottolineare anche che i 16 Centri hanno almeno un’azienda partecipata costituita da un’impresa: un dato da tenere in considerazione per il piano di riordino del 31 marzo 2015».
Lo Stato e la Regione hanno versato nel 2013 a favore dei Comuni della città metropolitana 190.319.686 di euro, mentre i trasferimenti al resto delle Amministrazioni della Sardegna, con meno di 3.000 abitanti (Comuni di classe A), per una popolazione totale di 350.764 persone, sono stati 296.877.255.
«La Regione – ha posto in evidenza Erriu – trasferisce ai Comuni 600 milioni esclusivamente attraverso il Fondo Unico. Se analizziamo anche solo il titolo primo dei bilanci dei 16 Comuni della città metropolitana, ovvero quanto i cittadini versano per usufruire dei servizi, dei quali beneficiano anche gli altri territori, la somma è di 226 milioni di euro.»
Spese correnti e spese in conto capitale. Dal 2009 al 2014 le spese correnti dei Comuni della città metropolitana sono aumentate dell’8,7%: da 412 a 448 milioni di euro. Ridotte invece nello stesso arco temporale le spese in conto capitale del 46,7%, cioè da 143 a 71 milioni. Alla data del 31 dicembre 2014 si contano 459 progetti realizzati dai 16 Comuni metropolitani con fondi Fers 2007-2013.

Cristiano Erriu