19 March, 2024
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Il disastro sanitario ed economico del Sulcis Iglesiente non è nato dal nulla. Ha radici nei fatti politici del 1992. E’ utile fare un viaggio nella storia di quegli eventi sia per capire e, forse, per porre qualche riparo.
Lo stato di salute della sanità pubblica è oggi talmente grave e la sua gravità è talmente complessa che, a questo punto, è difficile anche il solo sospettare che veramente esista fisicamente qualcuno che abbia programmato tanto degrado. Dovrebbe essere un genio fornito di una maligna intelligenza superiore.
Ammesso che esista un soggetto del genere, a che scopo lo avrebbe fatto? C’è chi sostiene che il danno al servizio sanitario nazionale sia stato progettato da un’ignota organizzazione al fine di favorire la sanità privata. Sarebbe un’organizzazione di matti veramente sciocchi perché sostituirsi del tutto alla Sanità pubblica non conviene a nessuno. Per esempio: a chi converrebbe accollarsi i malanni di tutti i vecchi d’Italia, soli, inguaribili e con in tasca i pochi soldi per la sopravvivenza? A chi converrebbe l’onere di assistere tutti i malati di cancro, debilitati nel fisico, nella famiglia e, soprattutto, nel conto in banca? Chi glielo farebbe fare ad assumersi l’impegno di prendersi in cura i pazienti in Rianimazione in uno stato di coma più o meno profondo? Perché dovrebbero pagare le ingenti spese dei trapianti d’organo a pazienti senza speranza e non solvibili? E gli infarti del miocardio? E tutti i casi di diabete ai limiti della invalidità? E i tossicodipendenti? E le malattie rare? I morti sul lavoro? E gli psichiatrici? E gli incidenti stradali? Chi glielo farebbe fare ad assumersi il compito costosissimo di affrontare le epidemie tipo Covid-19 o le campagne vaccinali, o le spese dell’Inail e dei Pronto soccorso?
Gli imprenditori privati non sono matti. A sé riservano le cliniche dove si curano le malattie, tutto sommato, più semplici, facili, guaribili e, soprattutto, di pazienti solventi. Ciò che compete alla Sanità pubblica è diversissimo da ciò di cui si occupa la sanità privata.
E’ assolutamente vero che negli Stati Uniti d’America esistono le assicurazioni private costosissime che si limitano a poche malattie e per tempi di cura molto limitati; in genere non pagano le spese del pronto soccorso o fanno dimettere i malati dopo tre giorni da un intervento a cuore aperto, per risparmiare sulla degenza in ospedale. Bisogna sapere che in America esiste anche una Sanità pubblica, che si chiama “Medicare”, a beneficio di chi non può pagarsi l’assicurazione privata e che, oltre ad essere molto carente, costa allo Stato il doppio di quanto costa il Sistema sanitario italiano. A questo punto, oltre al sospetto che dietro ci sia l’interesse di qualcuno, potremmo anche considerare il sospetto che dietro il nostro disastro sanitario ci sia in realtà qualche grosso errore commesso da politici poco accorti. Può anche essere accaduto che la grande Riforma sanitaria varata col DPR 833 del 1978 si sia inceppata a causa di leggi successive fatte male; può anche darsi che quelle nuove leggi non siano state lette con attenzione e che i votanti abbiano votato senza vedere gli errori che hanno prodotto queste conseguenze.
Anche questo sospetto, paradossalmente, è sommamente ingiusto, perché è anche vero che i politici italiani furono i primi al mondo a riconoscere nella Costituzione del 1948, all’articolo 32, il diritto di tutti alla salute. Quell’articolo, nella sua semplicità e completezza, fu uno degli elaborati intellettuali più geniali che un Costituente potesse generare: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Fu una frase rivoluzionaria contenente due principi: l’inviolabilità assoluta del diritto alla salute e la certificazione che tale bene è di rilevanza collettiva. Così fu sancita la solidarietà nazionale. Altro che privatizzazione! Altro che svantaggio a danno dei molti che non possono permettersela! Tutte le leggi che vanno contro questo principio sono incostituzionali e, se qualcuno avesse votato nuove norme contrarie a questo principio per disattenzione, sarebbe gravemente colpevole.
Esaminiamo cosa è avvenuto nella storia delle Riforme sanitarie italiane. Nell’anno 1968 la legge Mariotti istituì gli “Enti ospedalieri” che sostituirono gli ospedali caritativi provenienti dalla tradizione ospedaliera medioevale. La stessa legge istituì il “Fondo ospedaliero nazionale” e attribuì la competenza di gestione degli ospedali alle Regioni. Quel Fondo e quella legge ospedaliera furono la base su cui si costruì la Grande Riforma sanitaria con la legge 833 del 1978, concepita dalla Commissione parlamentare di Tina Anselmi. Ella raccontò in quei giorni che quell’idea era nata da discussioni e progetti formulati da gruppi partigiani riuniti intorno ai fuochi dei bivacchi di montagna. La legge 833/78 rappresentò un’utopia che si concretizzava in un documento scritto. Il sogno prese forma nella premessa della legge nel cui testo sta scritta la frase: «…Il Sistema sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture (ospedali), dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento, e al recupero della salute fisica e della salute psichica di tutta la popolazione». In nessuna legge del mondo era mai stata scritta questa premessa.
Mentre gli ospedali, dal medioevo al ‘900, erano stati sempre amministrati da comitati caritativi religiosi o filantropici, nella nuova legge si volle che gli ospedali fossero amministrati da rappresentanti popolari democraticamente eletti. Fu una rivoluzione. I cittadini, dopo 1.500 anni dall’istituzione degli ospedali dai tempi di San Benedetto e San Basilio, divennero per la prima volta i proprietari e gestori diretti degli ospedali. La comunicazione fra cittadino e gestore divenne immediata perché il Sistema venne dato in mano ai sindaci e ai consiglieri comunali. Essi avevano il compito di eleggere l’”Assemblea generale” che era formata da consiglieri comunali e l’Assemblea eleggeva il presidente della Usl (Unità sanitaria locale). Furono gli anni più produttivi della storia sanitaria italiana.
Scomparvero le Casse mutue e comparve il Ssn (Sistema sanitario nazionale), finanziato dal sistema fiscale universale. Ne conseguì anche che ai grandi miglioramenti si associò il crescere della spesa pubblica dello Stato. Per contenerla il ministro Carlo Donat Cattin nel 1987 abolì l’Assemblea generale ma mantenne il presidente della Asl e il Comitato di gestione, eletto dai sindaci dei Comuni del territorio.
Secondo gli indicatori economici internazionali, l’Italia godeva di un generale benessere economico tanto che nell’anno 1991 venne dichiarata quarta potenza industriale del mondo e il PIL pro capite risultava superiore a quello dell’Inghilterra.
Appena un anno dopo, la Repubblica entrò nel suo “annus horribilis”: il 1992. La commissione governativa presieduta dall’economista Piero Barucci rivelò che l’economia era al collasso a causa di un imponente debito pubblico causato dalle Partecipazioni statali. Eni, Enel, Iri, Ina, Efim, stavano portando al tracollo lo Stato. L’indebitamento aveva messo in crisi il Governo espresso dal CAF (Craxi-Andreotti-Forlani). Caduto il Governo Andreotti II e dimessosi Francesco Cossiga, si andò a nuove elezioni sotto l’effetto dell’esplodere dello scandalo di Tangentopoli. A febbraio era iniziata l’indagine della procura di Milano diretta da Francesco Saverio Borrelli e condotta da Antonio di Pietro, in seguito alle rivelazioni di Mario Chiesa, il direttore del Pio Albergo Trivulzio. Oscar Luigi Scalfaro, sostenuto dalla corrente dei “moralizzatori”, venne eletto presidente della Repubblica e immediatamente indisse le nuove elezioni; queste avvennero ad aprile contemporaneamente all’esplosione della sfiducia popolare nei partiti storici, in un clima di forte instabilità politica. I partiti tradizionali crollarono ed emerse la Lega Nord che passò da 2 a 80 deputati. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro si rifiutò di concedere incarichi di Governo a Bettino Craxi e nominò presidente del Consiglio il deputato Giuliano Amato. La Prima Repubblica era finita con un’ondata di arresti e di avvisi di garanzia. A maggio, ad opera della mafia, avvenne la strage di Capaci, seguita due mesi dopo da quella di via d’Amelio. Lo Stato era preso fra molti fuochi. Giuliano Amato si trovò ad affrontare una condizione di dissesto economico più grave dal dopoguerra ad allora. Si correva il rischio di non poter pagare gli stipendi pubblici. La Nazione si sarebbe fermata.
La Banca d’Italia fu costretta a vendere 48 miliardi di dollari per difendere il cambio e la lira fu svalutata del 30%. La lira uscì dallo Sme (Sistema monetario europeo); era il 16 settembre 1992, il “mercoledì nero”. Giuliano Amato per sostenere le casse dello Stato procedette al “prelievo forzoso” retroattivo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani e, in base alle indicazioni del ministro del Tesoro Piero Barucci, dette avvio ad una grande operazione di privatizzazione delle Partecipazioni statali (banche, energia elettrica, trasporti pubblici, Alitalia, industrie manifatturiere, industrie dell’acciaio, comunicazioni, poste, idrocarburi, assicurazioni, agroalimentare, etc.). Lo Stato si spogliava di tutte le sue pregiate proprietà, nell’intento di allontanare la politica dalla gestione delle imprese statali. Su tutta la gestione pubblica, sotto l’effetto delle indagini di Tangentopoli, cadde il sospetto di possibile collusione con la corruzione e vennero varate leggi e norme fortemente restrittive nell’intento di arginare l‘idea che il malaffare fosse in agguato ovunque ci fosse la gestione del politico. In questo crollo finirono anche le miniere del Sulcis Iglesiente e le industrie di Portovesme espressione dell’Eni. Gli operai di Portovesme, per fermare i licenziamenti in massa di oltre 20mila operai promossero la famosa “Marcia per lo sviluppo”. Gli operai iniziarono a marciare il 19 ottobre e, al suono di tamburi di latta, saltarono il mare. Raggiunta Civitavecchia, percorsero a piedi le vie del Lazio fino a Roma, dove vennero accolti da Papa Woytila ma non da Giuliano Amato.
A fine anno, il vortice autodistruttivo coinvolse anche il Sistema sanitario nazionale quando il ministro della Sanità Francesco di Lorenzo il 31 dicembre varò il decreto che iniziò la “privatizzazione” del Sistema sanitario pubblico col DPR 502/1992. Le Unità sanitarie locali (Usl), rette dai sindaci, vennero trasformate in entità rette dai “Direttori generali con autonomia gestionale di diritto privato” nominati dalla Regione all’interno di un elenco di idonei. La “mission” del Sistema sanitario cambiò in modo radicale per due motivi. Primo, i sindaci, che rappresentavano la parte politica, vennero espulsi dalla gestione del sistema sanitario locale; secondo, l’obiettivo dei nuovi amministratori non fu più quello di soddisfare le richieste della popolazione locale ma venne sostituito dall’“equilibrio di bilancio”.
Questo dava ai direttori generali l’opportunità di poter modificare la risposta alle richieste provenienti dal territorio, ignorandone la soddisfazione globale e mettendo al centro il calcolo ragionieristico della salute che doveva ora attenersi a un nuovo criterio: i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Oggi, a distanza di 32 anni, sappiamo che tutte le premesse alla legge, che promettevano Uguaglianza, Equità e Prossimità dell’assistenza sanitaria in tutto il territorio nazionale non sono state rispettate. Ciò avvenne a causa della mancanza del “controllore”, cioè la parte politica elettiva rappresentata dai sindaci. Al ministro Francesco di Lorenzo, seguirono le ministre Maria Pia Garavaglia e Rosy Bindi che perfezionarono l’“aziendalizzazione delle Asl”.
Nell’anno 2003 il Governo Berlusconi dettò regole per ridurre la spesa sanitaria dello 0,5% l’anno; ciò comportò il blocco del turn-over del personale andato in pensione e portò all’assottigliamento e disgregazione dei reparti ospedalieri. Col Governo Monti, il ministro Balduzzi emanò norme restrittive per i reparti ospedalieri che, ridotti in povertà di personale dalle norme precedenti, non potevano più funzionare. Ne conseguì la chiusura di ospedali.
Nel 2015 il DM 70 del Governo Renzi pose regole stringenti, basate anch’esse sul risparmio; ne conseguì un peggioramento ulteriore degli ospedali provinciali che portò alla desertificazione del sistema sanitario territoriale a vantaggio della centralizzazione della Sanità. In Sardegna la Sanità pubblica venne centralizzata a Cagliari e Sassari.
Nel 2017 la regione Sardegna, presidente Francesco Pigliaru e assessore della Sanità Luigi Arru, istituì la Ats (Azienda tutela salute). Con tale legge le 8 Asl sarde vennero ridotte a 1 soltanto, che assunse tutte le funzioni delle altre 7. Sopravvissero:
– l’Ats (a Cagliari e Sassari)
– il Brotzu di Cagliari
– il Policlinico Universitario di Cagliari
– il Policlinico Universitario di Sassari
Alle altre 7 Asl venne tolto il nome di “Azienda” e divennero “Aree sanitarie locali”. Erano diventate periferie sanitarie e persero l’autonomia programmatoria e amministrativa precedente. Ne conseguì l’esplosione delle “liste d’attesa” e l’insoddisfazione popolare. Alle elezioni del 2019 la popolazione sarda mandò a casa la Giunta Pigliaru e promosse una nuova maggioranza guidata dalla “Lega” di Matteo Salvini che, capeggiata da Christian Solinas, prometteva di restituire le vecchie ASL alle 8 province sarde. In effetti, la Giunta Solinas produsse rapidamente una sua riforma sanitaria regionale e l’assessore Mario Nieddu varò la legge regionale 24/2020 con cui istituì la Ares (Azienda regionale salute). In realtà però le vecchie Asl non vennero integralmente ricostituite; al posto delle “Aree territoriali sanitarie” vennero identificate le Asl 1-2-3-4-5-6-7-8 che, a parte il nome, non hanno nulla delle precedenti Asl; infatti, non hanno il diritto né di assumere personale, né di far acquisti e programmare. In sostanza non esistono; l’unica vera Azienda capace di programmare e gestire, centralizzando tutti i poteri gestionali, è la Ares di Cagliari e Sassari. Oggi lo stato di degrado direzionale e amministrativo nelle Province è ulteriormente peggiorato e l’insoddisfazione e infelicità dei cittadini sono esplose nelle elezioni regionali del 25 febbraio 2024 con la bocciatura del Governo regionale sardo.
Recentemente un politico esperto ha suggerito di cercare nella legge 833/78 gli strumenti per uscire dalla crisi sanitaria. Quale può essere lo strumento?
Lo strumento che si deve utilizzare nella pubblica amministrazione è sempre lo stesso: il rispetto delle regole democratiche. Queste regole prescrivono che la volontà popolare sia affidata ai propri rappresentanti eletti e, nel territorio, i rappresentati ufficiali dello Stato sono i sindaci. E’ certo che i sindaci non possono entrare nel merito di tutto, ma possono essere i “custodi” degli interessi della gente. Fra questi, oggi, l’interesse più sentito è la Sanità. Dare un nuovo ruolo ai sindaci nelle Asl è fortemente indicato.

Mario Marroccu

Il sindaco Pietro Morittu, in rappresentanza dell’intera Amministrazione comunale di Carbonia, esprime vicinanza e solidarietà al collega sindaco di Lanusei, Davide Burchi, oggetto di offese e minacce espresse con scritte intimidatorie apparse su un muro della cittadina ogliastrina.
«Sono molto amareggiato nell’apprendere dell’ennesimo grave atto intimidatorio perpetrato ai danni di un sindaco. Davide Burchi, primo rappresentante del comune nel territorio, è costantemente impegnato al servizio della cittadinanza, del bene della propria comunità e non sarà di certo tale gesto vile a far arretrare l’importante azione politico-amministrativa che egli sta compiendo a beneficio della cittadinanza.

Solidarietà al sindaco di Lanusei è stata espressa anche dal presidente uscente della Regione, Christian Solinas, con l’auspicio che simili intimidazioni non avvengano più e che chi si è macchiato di siffatte deprecabili azioni possa essere presto assicurato alla giustizia.

I 23 sindaci dei Comuni del Sulcis Iglesiente hanno chiesto al ministero delle Imprese e del Made in Italy la convocazione urgente di un tavolo di confronto sulle criticità delle vertenze dell’area industriale di Portovesme. Questa sera hanno inviato una nota al ministro Adolfo Urso, al sottosegretario Fausta Bergamotto, al presidente della Regione Christian Solinas e, per conoscenza, al prefetto di Cagliari, nella quale scrivono che, vista la nota del 7.02.2024 della Società Sider Alloys SpA con la quale si convoca una riunione con le organizzazioni sindacali territoriali del Sulcis Iglesiente per l’apertura della Cassa Integrazione; preso atto delle dichiarazioni del MIMIT che in più occasioni ha confermato il pieno sostegno per il riavvio delle attività produttive dell’Area Industriale di Portovesme (Sider Alloys, Eurallumina, Portovesme Srl) ritenute strategiche a livello nazionale; valutati i ritardi registrati nelle attività di riavvio produttivo, dell’erogazione dei finanziamenti programmati e della realizzazione delle infrastrutture indispensabili per la vita stessa di qualsiasi attività economica del territorio; ricordato, infine, il grave disagio socio-economico del Sulcis Iglesiente, ormai esasperato dalle tante promesse e tanti progetti mai realizzati, chiedono la convocazione urgente da parte del MIMIT di un tavolo di confronto con tutti i soggetti istituzionali regionali e del Sulcis Iglesiente per una diretta e corretta informazione sulle criticità riguardanti le varie vertenze dell’Area Industriale di Portovesme.

Il presidente della Regione, Christian Solinas, ha scritto oggi al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, esprimendo parere favorevole all’ultima bozza del “DPCM Sardegna”, l’intesa che riguarda la rete di distribuzione del GNL. Il provvedimento, che sarà perfezionato, soddisfa pienamente quanto concordato in precedenza tra il MASE e gli assessorati dell’Industria e dell’Ambiente della Regione. Il presidente Christian Solinas ha chiesto, inoltre, al rappresentante del Governo, maggiori rassicurazioni affinché la “dorsale”, l’infrastruttura per la distribuzione del gas naturale liquefatto, corrisponda a quella “dorsale” già approvata dal ministero dell’Ambiente. L’impianto in questione, strategico per lo sviluppo dell’Isola, garantirebbe il rispetto dei tempi per la ripresa industriale all’interno del territorio del Sulcis, soprattutto in relazione al rilancio della raffineria Eurallumina Spa.

La Regione continua a farsi ed essere portavoce delle esigenze del comparto balneare ed è pronta a mettere in atto adeguate misure e correttivi per tutelare i legittimi interessi di chi è titolare di concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative, ora in scadenza.

In assenza di comunicazioni da parte del Governo, la Giunta regionale è infatti pronta – e su questo ha lavorato nel corso degli ultimi mesi – ad approvare un programma temporale delle macroattività finalizzate all’affidamento delle concessioni.

Nella prima fase, a seguito dell’approvazione delle nuove linee guida regionali per la predisposizione del PUL, si procederà alla mappatura e pianificazione dei litorali. Il lavoro prevede la definizione della mappatura, con la analisi delle foto aeree acquisite (orto rettificate), delle dimensioni degli arenili (lunghezza e profondità), delle aree dunali, delle coste rocciose e la determinazione dello stato di utilizzo delle aree demaniali per finalità turistico ricreative dell’intera costa della Sardegna. Successivamente ci sarà l’adozione di tutti i PUL della Sardegna.

Nella seconda fase, in coerenza e nel rispetto dei Decreti attuativi che il Governo emanerà sull’argomento, si procederà determinando gli eventuali criteri che tengano conto della peculiarità dell’industria balneare e delle aziende del settore che operano in Sardegna. Si procederà quindi con la predisposizione  (e pubblicazione) dei bandi in coerenza col quanto disposto dai Decreti Governativi e ai criteri. Seguirà la valutazione e delle proposte e l’assegnazione delle concessioni.

L’articolazione temporale delle attività della seconda fase avverrà in coerenza con i tempi di emanazione dei Decreti attuativi del Governo, fermo restando che le eventuali procedure di affidamento, salvo diverse determinazioni governative, dovranno essere terminate entro e non oltre il 31/12/2025.

«La Regione è al fianco degli imprenditori balneari sardi spiega il presidente della Regione, Christian Solinas -. Quella turistica, insieme con agroalimentare e allevamento rappresenta una delle industrie primarie fondamentali dell’economia sarda e che incide in maniera significativa sul PIL dell’Isola. In quest’ambito conclude il presidente della Regione le concessioni demaniali per finalità turistico ricreative rivestono a loro volta una importanza strategica.»

«Avevamo davanti una scadenza, quella relativa al dispositivo del Governo con termine oggi, 31 dicembre 2023, ma proprio i tempi stretti imponevano di accelerare quanto più possibilespiega l’assessore degli Enti locali, Aldo Salaris -. Abbiamo quindi lavorato affinché ogni strada potesse essere percorsa. Oggi siamo in grado di avviare un piano di programmazione che andrà a salvaguardare imprese e occupati.»

Allo stato attuale in tutta l’Isola risultano in essere circa 1.950 concessioni cui corrisponde un altrettanto numero di imprese con una occupazione diretta durante il periodo estivo, senza considerare l’indotto, ben superiore a 4.000 dipendenti.

Il dirigente scolastico dell’Istituto IPIA “Emanuela Loi” di Carbonia, prof.ssa Giorgia Floris, in rappresentanza del consiglio di istituto ha inviato una nota critica sulla ventilata soppressione dell’autonomia scolastica, prevista dall’approvazione preliminare della programmazione della rete scolastica e dell’offerta formativa della regione Sardegna per l’anno scolastico 2024/2025, al presidente della Regione Christian Solinas, all’assessore regionale della Pubblica istruzione Andrea Biancareddu, al commissario della provincia del Sud Sardegna Mario Mossa e al direttore generale della Pubblica istruzione Giorgio Onorato Cicalò.

«Il consiglio di istituto dell’IPIA “Emanuela Loi”, riunito in seduta straordinaria il 28/12/2023, esprime profondi sorpresa e disappunto per l’allegato alla delibera n. 46/25 della RAS del 22/12/2023, dal quale si evince la soppressione dell’autonomia scolastica scrivente IPIA “Emanuela Loi” di Carboniascrive Giorgia Floris -. Si evidenzia come la soppressione dell’autonomia non sia mai stata ipotizzata in nessuna delle conferenze preliminari cui si è preso parte e, pertanto, l’istituto non sia stato messo nelle condizioni di esprimere pareri o soluzioni alternative. Altre autonomie scolastiche la cui soppressione era stata proposta in sede di conferenza preliminare, hanno avuto l’opportunità di manifestare e di essere ascoltate. Tra l’altro l’ipotesi di una soppressione con incorporamento lascia intendere una minore complessità e/o dignità dell’autonomia soppressa.»
«L’istituto “Emanuela Loi” consta di tre sedi su due comuni (Carbonia, Sant’Antioco), due corsi serali, svariati indirizzi di studio professionali aggiunge il dirigente scolastico -. Lo stesso andrebbe ad essere incorporato in un istituto essenzialmente tecnico che consta di tre sedi ubicate su tre comuni (Carbonia, Santadi, Villamassargia) e tre corsi serali. Tra i due istituti non vi è alcun indirizzo di studi in comune. Questo consiglio di istituto è consapevole che i numeri attuali delle due autonomie scolastiche coinvolte non siano in linea con la normativa nazionale e che una razionalizzazione della rete scolastica sia, nel giro di un paio di anni, imprescindibile. Non si capacita come altre istituzioni scolastiche già sottodimensionate con la precedente normativa da svariati anni non siano state soppresse e si sia operata una scelta come quella che ci coinvolge. Si chiede pertanto conclude Giorgia Floris che questa operazione sia per il momento interrotta, anche alla luce dell’opportunità che verrà molto probabilmente offerta dal decreto milleproroghe, e che l’istituto scrivente possa nel corso dell’a.s.2024/25 consapevolmente riflettere e proporre soluzioni alternative nel rispetto della specificità dell’istituto, della sua costante lotta contro la dispersione scolastica e a sostegno dell’inclusione degli studenti e delle studentesse in particolare con bisogni educativi speciali frequentanti l’istituto.»

I 23 sindaci del Sulcis Iglesiente manifestano soddisfazione per le risposte riguardanti il futuro dell’azienda Sideralloys Italia, unica fabbrica di produzione di alluminio in Italia, dopo «gli incontri richiesti ed ottenuti dai sia con la Regione Sardegna, alla presenza del presidente Christian Solinas, sia con la sottosegretaria Bergamotto e col dottor Castano del MIMIT in cui sono stati sollecitati interventi concreti per il rilancio del polo industriale di Portovesme, fondamentale per l’economia del Sulcis Iglesiente come lo sono i settori del turismo e dell’agricoltura».
«Resta la preoccupazione per il futuro della Portovesme S.r.l., dell’Eurallumina nonché per la realizzazione delle infrastrutture fondamentali per lo sviluppo dell’economia di tutto il polo industriale del Sulcis – sottolineano i 23 sindaci del Sulcis Iglesiente -. Prosegue l’impegno per favorire le necessarie sinergie fra le varie Istituzioni di tutti i livelli nonché quelle fra esse e la parte imprenditoriale, con il chiaro obiettivo di trovare percorsi idonei e celeri che diamo stabilità e risposte economiche concrete per la vita delle famiglie e dei giovani del territorio.»

«Il dibattito odierno ci consegna una posizione ormai consolidata nel comune sentire di tutti i sardi: la nostra terra non può essere considerata una risorsa illimitata. Noi abbiamo pagato da più parti prezzi altissimi al concetto di solidarietà nazionale: su questo non accettiamo lezioni da nessuno né sono ammesse discussioni su qualsivoglia forma di compensazione.»

Lo ha affermato il presidente della Regione, Christian Solinas, intervenendo in Consiglio Regionale agli Stati generali per il NO allo stoccaggio di rifiuti radioattivi in Sardegna.

La seduta è stata aperta con i saluti istituzionali del presidente dei Consiglio regionale, Michele Pais, che ha annunciato che dopo l’assemblea odierna, le parti coinvolte provvederanno insieme a creare un documento politico di sintesi della comune posizione dell’assemblea sarda e dei rappresentanti del tessuto sociale della stessa, degli enti locali e delle parti sociali. Al dibattito in aula sono intervenuti, esprimendo un NO unanime ai depositi di rifiuti radioattivi, la presidente del CAL Paola Secci, il presidente dell’ANCI Emiliano Deiana, i capigruppo del Consiglio, i rappresentanti dei sindacati e i primi cittadini dei comuni di Albagiara, Assolo, Guasila, Mandas, Nurri, Ortacesus, Segariu, Setzu, Siurgus Donigala, Tuili, Turri, Usellus, Ussaramanna, Villamar.

«La Sardegna – ha detto ancora il presidente Christian Solinas nel suo interventopur senza realizzare le proprie reti di telecomunicazione ha visto fin dall’800 disboscati i 4/5 dell’Isola in maniera permanente per sviluppare le reti ferroviarie del resto del paese. Siamo una terra che ha visto le concessioni minerarie date in tempi andati a chiunque volesse saccheggiarla. Abbiamo dato un contributo di sangue come nessun altro popolo durante la sciagura del primo conflitto mondiale. Abbiamo pagato le servitù militari e quelle industriali. Siamo sotto assedio per pagare, ancor una volta in maniera spropositata, gli accordi di Parigi: che riteniamo assolutamente importanti in quanto una società evoluta e avanzata deve mirare alla decarbonizzazione  e alla riduzione della produzione di energia da fonti fossili, ma non è pensabile che ci sia un ribaltamento continuo delle utilità e dei costi: ovvero c’è una parte del paese che beneficia di questa energia e un’altra parte del paese che la produce senza ottenerne un ristoro ma anzi, pagandone il peso in maniera più forte degli altri.»

«Sulle scorie ha proseguito il presidente della Regione c’è un piano politico preciso, che si fonda oltre che sui pronunciamenti del Consiglio, su quel Referendum del 2011 in cui il 97% dei sardi espresse un fermo no alla possibilità di depositi di rifiuti radioattivi nell’Isola. E c’è il lavoro di questa Giunta, che fin dal principio ha adottato un approccio scientifico oltre che politico al tema, costituendo un comitato tecnico ad hoc che ha coinvolto tutte le parti in gioco e prodotto una relazione, recepita con una deliberazione della Giunta e prodotta sotto forma di osservazione, al fine di mettere un punto fermo, inclusivo di tutte le ragioni di carattere tecnico, scientifico, economico, politico, del patrimonio storico e culturale, del turismo, e quelle relative al sistema idrico, che dicono e militano in maniera chiara per il NO alle scorie nucleari in Sardegna. Al di là delle ragioni geomorfologiche in prossimità di questi siti troviamo infatti una parte considerevole delle radici e dell’identità di questo popolo, una parte che non può essere messa in discussione perché riguarda il nostro modo di essere sardi, la nostra capacità di identificarci in un passato nobilitante che ci proietta in un futuro nobilitante. Davanti alla possibilità, fosse anche solo provocatoria di una compensazione, noi diciamo oggi qui con chiarezza un fermo ‘no’ a qualsiasi discussione sul tema. Così come fecero i sardi nel giugno del 1969 a Pratobello, riuscendo a portare a casa un risultato che sicuramente non si sarebbe riusciti ad ottenere con i cavilli della burocrazia.»

«Sotto il profilo giuridico, ho già dato mandato all’avvocatura della Regione di fare un accesso agli atti per formare un fascicolo utile per impugnare, se risulterà impugnabile, anche solo la pubblicazione dell’elenco della Sogin. Faremo tutto ciò che è nelle nostre forze e competenze e tutte le argomentazioni giuridiche utili verranno introdotte nel ricorso che la Regione presenterà. Sarà anche fondamentale, però, coinvolgere le altre isole del Mediterraneo, Corsica, Sicilia e Malta, in cui navigheranno le navi con i rifiuti radioattivi. È un tema che riguarda tutta la Sardegna e tutte le isole che si affacciano sul nostro mare Mediterraneo, che talvolta è visto come limite ma rappresenta, invece, un nostro grande valore aggiunto. È questaconclude il presidente della Regione una battaglia da combattere al di là delle bandiere e dei colori politici, perché l’unica bandiera da difendere è quella della nostra Sardegna.»

«Da oggi, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l’area della spiaggia di Porto Tramatzu, nel poligono di Capo Teulada e relative pertinenze, la spiaggia di S’Enna e S’Arca, nell’area del poligono di Capo Frasca e l’ulteriore porzione di scogliera attigua alla spiaggia di S’Enna e S’Arca, non fanno più parte delle servitù militari presenti in Sardegna.»
Lo annuncia il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas.
«Si trattaaggiunge il presidente della Regione – della conclusione di un lungo iter per la riconquista e la liberazione dalle servitù militari di luoghi simbolo delle rivendicazioni sardiste. Ancora una volta il lavoro e il pragmatismo hanno dato i loro frutti. Non è un caso che la via del dialogo sia sempre la più produttiva, anche per affermare diritti sacrosanti dei sardi e tutelare gli interessi della Sardegna.»
Al termine della Seconda guerra mondiale, con la sottoscrizione del piano Marshall, l’Italia si impegnò a dare agli americani una sede di addestramento e basi militari nel Mediterraneo. Nacquero così, negli anni ’50, con l’esproprio dei terreni in alcune regioni italiane a Statuto Speciale, le prime servitù militari. La Sardegna ha pagato più di tutti: è una delle regioni italiane più militarizzate dove si addestrano gli eserciti di tutto il mondo. Infatti, nell’isola, migliaia sono gli ettari di territorio interessati a servitù militari a cui si aggiunge un vasto tratto di mare dove è vietata la navigazione, così come la pesca, durante tutto il periodo delle esercitazioni militari.

Si sono chiuse oggi con Sant’Antioco, dopo Quartu Sant’Elena, le inaugurazioni degli Uffici di prossimità. Nati per rendere i servizi della Giustizia più vicini ai cittadini sardi, consentiranno a chi ne avrà necessità di compiere operazioni e avere informazioni direttamente nel Comune sede dell’Ufficio di Prossimità, senza necessità di recarsi presso il Tribunale competente.
Ventuno i Comuni interessati dal ciclo di inaugurazioni che da novembre a oggi hanno visto impegnato il Centro di programmazione, Crp, e l’Assessorato guidato dall’Assessore Giuseppe Fasolino. Per quanto riguarda la circoscrizione del Tribunale di Cagliari sono stati inaugurati gli uffici di Carloforte, Guasila, Iglesias, Isili, Quartu Sant’Elena, San Basilio, Sanluri, Sant’Antioco, Villamassargia. Per quanto riguarda la circoscrizione del Tribunale di Oristano sono stati inaugurati gli uffici di Milis e Sorgono. Tribunale di Lanusei: Seui. Tribunale di Nuoro: Budoni, Fonni, Nule, Olzai. Per quanto riguarda il Tribunale di Tempio inaugurati gli uffici di Isola Rossa, La Maddalena, Olbia. Infine, la circoscrizione del Tribunale di Sassari con le inaugurazioni di Alghero e Ozieri.
«Promuovere il miglioramento della qualità della vita dei cittadini e agevolare lo sviluppo dei territori è uno degli obiettivi a cui questa Giunta nel corso della legislatura ha dato risposta spiega il presidente della Regione, Christian Solinas -. Oggi i territori sardi si arricchiscono di nuovi servizi, che in questo caso avvicinano la Giustizia al cittadino. Gli Uffici di prossimità, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche e digitali, permetteranno di migliorare i servizi offerti e di decongestionare l’attività dei Tribunali con evidenti, positive, ricadute di carattere sociale ed economico per le Comunità sarde.»
Oggi la Sardegna, come ha sottolineato l’assessore della Programmazione e del Bilancio, Giuseppe Fasolino, è la prima regione d’Italia ad aver avviato l’apertura degli uffici di prossimità nella fase di sperimentazione del progetto del ministero della Giustizia. L’iniziativa alla quale la Regione ha aderito con delibera di Giunta a luglio 2020, infatti, è inserita nel Progetto complesso “Uffici di prossimità” realizzato dal ministero della Giustizia e finanziato con le risorse del Programma Operativo Complementare al PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 con un importo di 1.882.607 euro.
«Il progetto nato in seguito alla revisione della geografia giudiziaria del 2012 che in Sardegna ha comportato il ridimensionamento degli uffici giudiziari e la chiusura delle otto sedi distaccate dei Tribunali, è frutto di un intenso lavoro di squadra coordinato e portato avanti dal Centro regionale di programmazione ed è stato realizzato in partenariato con i Comuni, le Unioni dei Comuni, le Comunità montane, gli uffici giudiziari, ANCI e CAL ha evidenziato l’assessore Giuseppe Fasolino –. Grazie all’impegno della Regione, apriamo una nuova pagina di storia dei servizi offerti ai cittadini, che potranno compiere una serie di azioni legate alla Giustizia in maniera più agevole, vicino al luogo in cui vivono, con benefici elevati in particolar modo per le fasce deboli”.
Attraverso gli Uffici di prossimità i cittadini potranno inoltrare le pratiche per l’Amministrazione di Sostegno; richiedere un’autorizzazione al giudice tutelare; richiedere un’autorizzazione al rilascio dei documenti validi per l’espatrio; richiedere la nomina di un curatore speciale; ricevere supporto per la compilazione della modulistica vigente presso gli uffici giudiziari; avere consulenza e supporto sugli istituti di protezione giuridica (tutele, tutele minori, amministrazione di sostegno); ottenere assistenza per altri servizi della volontaria giurisdizione che non richiedono l’ausilio di un avvocato. Gli uffici di prossimità permetteranno insomma di ricevere informazioni e presentare istanze nell’ambito della volontaria giurisdizione (è esclusa l’attività di assistenza legale).