25 April, 2024
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La relazione di minoranza di Ignazio Locci (FI) sulla Finanziaria che approda la prossima settimana in Consiglio regionale.

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Ignazio Locci 22 copia

Il consigliere regionale Ignazio Locci, esponente del gruppo Forza Italia Sardegna, è relatore di minoranza al D.L. 297/S “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l’anno 2016 e per gli anni 2016-2018 (legge di stabilità 2016) e relativi allegati” approvato dalla Giunta Pigliaru che la prossima settimana approda in Consiglio regionale.

Riportiamo di seguito il testo integrale.

Presidente, colleghi;

la Sardegna, nonostante i proclami di questo Governo regionale, non riesce ad uscire da questa fase di recessione che dura ormai da troppo tempo.

I timidi segnali di ripresa nazionale non sortiscono alcun effetto nella nostra terra. Se poi teniamo in considerazione i giochetti fatti dal Governo nazionale con i dati della crescita del PIL, possiamo tranquillamente dire che la Sardegna è ferma al palo.

Restano catastrofici i dati della disoccupazione: secondo i numeri che fornisce la giunta nel DEF, sono oltre il doppio della media nazionale, ovvero circa il 19%. Nonostante ciò, ci troviamo di fronte alla totale assenza di politiche per il lavoro destinate ai non più giovani. A quei sardi espulsi dal mondo del lavoro, o che un’occupazione stabile non l’hanno mai ottenuta, che arrancano quotidianamente e si sentono abbandonati dalla politica. Per non parlare, poi, della disoccupazione giovanile, la cui analisi numerica mette in luce problemi strutturali in merito alle politiche per il lavoro, nonché l’incapacità del governo regionale di porre un freno ad un fenomeno che non accenna ad arrestarsi (27,7% giovani tra 15/24 anni e 34,2% se consideriamo anche la fascia fino a 29 anni).

Il grado di fiducia che i Sardi esprimono nei confronti dell’istituzione e dell’amministrazione regionale è sempre più basso (secondo le rilevazioni ISTAT del 2015, si attesta al 37%).

Altro fenomeno che oramai è senza controllo è quello dello spopolamento della Sardegna, che non riguarda più solo le zone interne ma ha investito anche le coste e le grandi Città. Denatalità e fuga delle nostre risorse umane migliori sono diventati fenomeni di cui la politica, questa politica, non vuole occuparsi.

Ad oggi, nonostante l’approvazione da parte della Commissione paritetica e del Consiglio regionale dello schema di norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale, la situazione finanziaria regionale si manifesta precaria e insufficiente rispetto alle innumerevoli questioni da affrontare. Gli “accantonamenti” disposti dallo Stato sulle compartecipazioni ai tributi erariali spettanti alla Sardegna, pari anche per quest’anno a  ben 682 milioni di euro, unitamente all’obbligo di rispettare gli equilibri di bilancio, condizionano pesantemente la capacità di spesa della Regione. Il quadro di maggiori risorse che sarebbe dovuto discendere dall’accordo Soru – Prodi del 2006 e che avrebbe dovuto assicurare anche le risorse necessarie per far fronte ai nuovi oneri della sanità, del trasporto pubblico locale e della continuità territoriale, non si è mai compiutamente realizzato. E questo, vuoi da una parte per la mancata immediata e integrale attuazione da parte statale del nuovo regime finanziario, vuoi, per altro verso, a causa dei limiti sempre più stringenti alla capacità di spesa regionale imposti nel corso degli anni attraverso lo strumento del patto di stabilità interno. La situazione, tuttavia, nonostante gli ingiustificati entusiasmi manifestati dalla maggioranza per l’approvazione delle citate norme di attuazione – in attesa peraltro di essere ancora recepite in un decreto legislativo – risulta destinata a peggiorare ulteriormente nel corso del 2017. La legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), articolo 1, comma 680, ha infatti stabilito in ben 3.980 milioni di euro per l’anno 2017 e in 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, il concorso alla finanza pubblica per il complesso delle Regioni e delle Province autonome.

Stando così le cose, il contributo che i Sardi sono chiamati ancora una volta a garantire per il rientro dal debito pubblico nazionale è troppo alto, e deve essere rimesso in discussione anche alla luce delle funzioni aggiuntive attribuite alla Regione nel campo sanitario (LEA aggiuntivi, farmaci innovativi, integrazione contratti collettivi nazionali) che comportano altissimi costi aggiuntivi e per i quali lo Stato sta, invece, riconoscendo maggiori trasferimenti alle regioni a statuto ordinario. Ma ai Sardi, inutile sottolinearlo, non spetta nulla. Per garantire maggiori spazi finanziari, dunque, occorre pretendere dallo Stato una riduzione degli accantonamenti imposti alla Sardegna attraverso un tavolo tecnico che preveda tempi certi di risoluzione.

La mancata restituzione da parte dello Stato della cifra di almeno 250 milioni trattenuti a titolo di accantonamento sulle compartecipazioni ai  tributi erariali, espone seriamente i Sardi al rischio dell’aumento della pressione fiscale regionale, per adesso soltanto scampata grazie ai subdoli calcoli elettorali fatti dai partiti del centrosinistra. Per altro verso, sottrae importanti risorse che potrebbero essere destinate per attuare importanti politiche di fiscalità di sviluppo.

Altri due elementi che condizionano fortemente lo sviluppo della Sardegna, sono i costi della spesa sanitaria (circa 3,35 miliardi di euro, ben oltre il 40% del totale della spesa), e i servizi generali a gestione finanziaria, ovvero i costi fissi che ammontano ormai a 1,599 miliardi di euro, circa il 22% del totale della spesa prevista nel bilancio.

Sulla riqualificazione della spesa sanitaria noi siamo convinti che andrebbe fatta molta attenzione, distinguendo tra spesa improduttiva o, ancora peggio, di discutibile virtuosità (che va assolutamente aggredita), e spesa effettivamente destinata ai servizi sanitari e farmaceutici, che va invece difesa e migliorata (e su questo versante non siamo per niente convinti della bontà del piano di rientro della spesa sanitaria varato recentemente dalla giunta).

Le spese fisse della Regione (quelle obbligatorie, per intenderci), vengono subite dalla politica, considerate scontate e non esiste una strategia volta al ridimensionamento. Non vi è nemmeno un processo culturale di moralizzazione della spesa. Siamo certi che sia possibile recuperare da queste due grandi voci di spesa non meno del 5/7% da destinare allo sviluppo, alla solidarietà e all’istruzione e valutiamo l’ammontare in circa 250 milioni di euro.

Per stare a questo disegno di legge, registriamo come anche in questa sessione di bilancio si confermino nei proclami i condivisibili obiettivi della programmazione unitaria (peraltro sempre esistita), di cui alla delibera di giunta n. 19/9 del 27.05.2014 e seguenti,  i quali dovrebbero tendere a una prospettiva di sviluppo intersettoriale e una visione coordinata delle azioni da intraprendere, con lo scopo di evitare sovrapposizioni e duplicazioni della spesa e, soprattutto, di provare ad integrare in un’unica strategia la spesa di derivazione regionale e statale con quella delle fonti comunitarie.

Ebbene, dopo due anni di governo Pigliaru, possiamo affermare che è sicuramente stata fabbricata una grande montagna di carta: delibere su indirizzi di linee guida di strategie empiriche che nella realtà non hanno prodotto risultati apprezzabili (ce lo dicono gli indicatori economici pocanzi richiamati). E non esiste nemmeno quella valutazione “ex ante” delle ricadute e degli effetti che sono determinati dalla spesa pubblica regionale; valutazione che avete sempre sbandierato insieme ai vostri quaderni di Harvard come necessaria, ma che evidentemente avete perso di vista. Non esistono nemmeno relazioni della performance (vedi alla voce amministrazione trasparente).

Questa finanziaria farà pagare ai sardi il prezzo della visione politica miope e talvolta strabica di una giunta che non riesce a comprendere le necessità della società sarda. Tanto che vi è una evidente percezione negativa della vostra azione di governo.

Sulle vostre strategie e programmi prioritari in merito a scuola, università e lavoro, è sufficiente leggere il DEF per capire che dobbiamo avere pazienza e attendere.

Forse è il caso che questo governo regionale si sintonizzi, se ci riesce, con le reali esigenze dei Sardi. In particolare con quelle di chi ancora oggi, con coraggio, abita i nostri piccoli Comuni, le nostre periferie, e guarda ormai senza speranza allo strapotere cagliaritano.

Come centrodestra abbiamo il dovere di proporre altro: un’alternativa credibile a questo governo. E lo facciamo partendo dalla manovra di bilancio  in discussione, contrapponendo questa visione sempre più tecnocratica e accademica a una politica più umana, più autonoma, più sociale e più vicina alla Sardegna reale. E, dunque:

Semplificazione – su questo fronte va aperto subito un confronto politico (non sulla piattaforma “Sardegna partecipa” qui nel Consiglio regionale), e dobbiamo farlo con estrema urgenza. Lo sviluppo sta morendo sotto il peso della burocrazia.

Famiglia – non possiamo accontentarci del “bonus bebè” del governo nazionale ma dobbiamo garantire sostegno alle giovani coppie, incentivandole a far nascere bambini con un sostegno nelle spese necessarie al percorso di crescita da 0 a 6 anni. Un assegno di € 200,00 al mese per ogni figlio ci sembra adeguato.

Lavoro – sono certamente necessarie misure volte a creare immediata occupazione sia sul modello dei vecchi cantieri verdi, sia su quello passato di “Sardegna fatti bella”. Ma sono altresì necessari interventi strutturali a sostegno della piccola e media impresa con particolare attenzione al mondo dell’artigianato; e quando dico artigianato intendo muratori, falegnami, idraulici, meccanici, elettricisti, sartorie, ciabattini, fabbri. Servono interventi specifici a sostegno dei costi del lavoro e delle produzioni. Se sostenuto e incoraggiato, questo mondo fatto di imprese familiari e individuali, può contribuire seriamente a risolvere il problema della disoccupazione giovanile, aiutando a ricostruire concetti di società e solidarietà che stiamo perdendo.

Zona Franca al consumo – noi non ci accontentiamo dei porti franchi così come definiti e individuati nella norma nel 1998: vogliamo invece che tutto il territorio Sardo stia fuori dal territorio doganale dello Stato. E anche su questa scommessa ci giochiamo il futuro di questa terra. L’atteggiamento di superbia e di fuga da questo tema, denota la vostra dipendenza politica da logiche esclusivamente romane.

Presenteremo emendamenti in coerenza con questi quattro punti, con la convinzione che possiamo migliorare la manovra di bilancio e, soprattutto, con la certezza che si possa offrire ai sardi una politica più attenta alle reali esigenze.

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