12 December, 2025
HomePosts Tagged "Alvar Aalto"

Il primo dicembre 2025 è andata in pensione la Direttrice della Struttura Complessa di Chirurgia Generale dell’Ospedale Sirai di Carbonia, la dottoressa Antonella Piredda. Il fatto è avvenuto in sordina.
In realtà, meriterebbe attenzione e preoccupazione. Ella era il “Primario”, cioè la figura professionale che comanda su tutto il personale della Unità Operativa che dirige, ne assume le responsabilità medico legali, di formazione, di disciplina e di correttezza professionale, nell’interesse della popolazione, a nome della Sanità di Stato. I Primari hanno un dovere importante: formare professionalmente i loro medici, controllarne l’operato e la fedeltà al giuramento di assistere al meglio i cittadini. Devono essere persone che si amalgamano bene all’Ospedale, sapendosi immedesimare in esso modificando la propria vita tanto da adattarla alle sue esigenze. In realtà l’Ospedale non è semplicemente un edificio, ma è un insieme formato da medici e infermieri che prestano la loro opera alle finalità per cui quell’edificio è stato costruito e per cui essi stessi sono stati formati. Il compito di indirizzare gli operatori sanitari verso la simbiosi fra se stessi e la struttura è affidato ai Primari. Fra l’uno e gli altri vi deve essere una sorta di anima etica in comune. Il risultato sarà unico e irripetibile. Ecco perché ogni Ospedale ha una propria specifica personalità e quella personalità è simile a quella delle persone che vi lavorano. Ecco perché la storia degli ospedali deve essere raccontata assieme alla storia delle persone che ci hanno lavorato e, segnatamente, assieme a quella dei Primari.
L’Ospedale civile di Carbonia ha una storia lunga e affascinante tanto quanto quella della stessa città.
Nacque con essa, col progetto del 1936, portato a termine l’8 dicembre 1938. La costruzione dell’edificio si basò su un progetto dell’architetto finlandese Alvar Aalto; la figura forse più importante dell’architettura del XX secolo assieme a Le Corbusier. Egli era il maestro del “Movimento Moderno”, noto per la personalità creativa e talentuosa, e si definiva “Architetto e artista monumentale”. Alvar Aalto si dichiarava prosecutore dell’opera di quel Leon Battista Alberti che aveva lasciato in Italia opere come i palazzi del potere di Siena e le monumentali piazze di Venezia. Le linee eleganti del Sirai vennero partorite da quella mente. La fama sfolgorante di quell’architetto esplose nella grande mostra del 1938 al “Museun Modern Art” di New York allestita in suo onore. In quell’anno 1938 l’ospedale Sirai, gemello dell’Ospedale di Paimio (esistente in Finlandia) non era ancora disponibile per la popolazione. Nel 1965 Aalto tenne una grande esposizione dei suoi progetti al Palazzo Strozzi di Firenze, e venne celebrato come uno dei migliori artisti europei del secolo. Fu lui che fece uscire l’occidente dall’architettura medioevale e rinascimentale per introdurci in quella moderna.
Fino ad allora gli ospedali italiani erano luoghi tenebrosi e angusti che ispiravano inquietudine per le loro forme austere e i loro spazi ristretti, quasi a sottolineare la rassegnazione alla sofferenza. Invece, l’ospedale Sirai nacque con linee eleganti, sobrie, logiche, funzionali; era dotato di un ingresso colonnato in pietra locale e un atrio fregiato di sontuosi marmi di Carrara. Seguivano le ampie scalinate bianco-marmoree, illuminate da imponenti fenestrature, che indirizzavano immediatamente verso i reparti di degenza. Oggi alcune parti sono modificate.
Le camere di degenza, che venivano facilmente raggiunte attraverso un largo corridoio comune, erano vaste e illuminatissime da una doppia parete fenestrata che dà sul bosco sottostante a sud-est. L’ambiente, molto luminoso, ampio e arieggiato, assicurava il buon umore e la salubrità dell’aria respirata. Era una sintesi di funzionalità, bellezza ed eleganza.
L’Ospedale Sirai era una entità autonoma e auto-mantenentesi che produceva al suo interno tutti i servizi: sale operatorie, sale di ricovero a 6 letti o a letto singolo, sale per il personale infermieristico, cucine, bagni, riscaldamento centralizzato ; nei sotterranei erano ospitati i laboratori, le radiologie e, in un lato riservato, le camere mortuarie e autoptiche.
Quando Indro Montanelli nel 1963 fece un servizio giornalistico sulla Sardegna, per il Corriere della Sera, venne anche a Carbonia e la descrisse “triste e grigia”. Apprezzò invece moltissimo due incontri: quello col sindaco Pietro Doneddu e quello coll’ospedale Sirai. Sostenne d’avere visto l’ospedale più bello che avesse mai visitato. Fu un successo postumo di Alvar Aalto.
In questo ospedale operarono sempre Chirurghi eccellenti. La storia dei suoi Primari è nobile come la storia delle origini dell’edificio. Storicamente si succedettero:
1 – nel 1945 fu primario il dottor Renato Meloni, iglesiente e carboniense; era un chirurgo specialista in Urologia, Oncologia, Ematologia Ostetricia e Ginecologia. Egli operò nell’ospedaletto di via Cagliari a Carbonia. Quell’”ospedaletto” era una sorta di grosso ambulatorio attrezzato per soccorrere i minatori feriti. Poi ci si accorse che anche le “cernitrici“ avevano i loro problemi sanitari quando dovevano lavorare ai nastri trasportatori in stato di gravidanza avanzata. Così nell’ospedaletto nacque un servizio di ostetricia per le donne della miniera. Poi quel servizio venne esteso a tutte le donne del Sulcis. Fu il primo servizio di ostetricia solidale. Con l’apertura del Sirai, il dottor Renato Meloni fondò il reparto di Ostetricia. In breve si arrivò a 2000 nascite l’anno.
2 – nel 1948 fu primario il dottor Gaetano Fiorentino, nuorese e carboniense, specialista in chirurgia generale e in Urologia, era l’aiuto della Patologia Chirurgica dell’Università di Cagliari. Al ritorno della Guerra in Russia venne incaricato alla guida della Chirurgia Generale del nuovo ospedale Sirai; praticamente passava dalle ferite dei soldati alle ferite dei minatori, dal rigore della steppa al rigore delle gallerie sotterranee nella più grande area mineraria d’Italia e, forse, d’Europa. La sua guerra continuò qui tra feriti per crolli ed esplosioni. La sua chirurgia era dedicata ai traumi cranici, toracici, addominali e agli arti, causati dal lavoro. Operò in tutte le specialità conosciute. L’ammiraglio della VI flotta della marina americana, alla fonda nel Golfo di Palmas, lo conobbe qui all’opera e gli regalò tutta l’attrezzatura della sala operatoria di una corazzata. Il Sirai allora ebbe in dotazione dagli americani il letto operatorio e i ferri chirurgici fabbricati dalla ditta ACMI del Minnesota.
Nel 1956 Achille Lauro, il famoso armatore, gli regalò un modernissimo letto operatorio in sostituzione di quello della nave corazzata. Il dottor Gaetano Fiorentino andò in pensione nel 1968.
3 – nel 1968 divenne primario il professor Lionello Orrù, di Isili, chirurgo generale, specialista Urologo, professore di Anatomia Umana Normale all’Università di Cagliari, professore di “tecnica chirurgica” nella scuola di specializzazione in Chirurgia. Egli si dedicò in particolare alla chirurgia gastroduodenale. In quel tempo, in cui non esistevano i farmaci inibitori di pompa protonica, con grande frequenza venivano ricoverati pazienti che sboccavano sangue fino a morire d’emorragia a causa di ulcere gastriche e duodenali sanguinanti. L’unica cura per salvarli era la resezione gastroduodenale d’urgenza. Nel 1988 il professor Lionello Orrù andò in pensione.
4 – tra il 1989 e il 1991 la chirurgia generale del Sirai venne retta dai due Aiuti chirurghi; il più anziano era il dottor Francesco Cabras.
5 – Nel 1991 divenne Primario il dottor Pietro Chessa, nuorese e carboniense d’adozione, chirurgo generale, allievo del professor Achille Tarquini, direttore della scuola di chirurgia oncologica all’Università di Cagliari. Il dottor Puetro Chessa introdusse le nuove tecniche di escissione chirurgica dei tumori maligni dell’addome (stomaco, colon, fegato, pancreas, intestino), e la chirurgia laparoscopica. Andò in pensione nel 2008.
6 – Nel 2008 divenne Primario la dottoressa Antonella Piredda, carboniense, specialista in chirurgia oncologica, della scuola del professor Tarquini e allieva del dottor Pietro Chessa. Esperta nella chirurgia dei tumori, introdusse le tecniche più moderne per il cancro alla mammella. Le donne colpite da cancro della mammella, che in un recente passato dovevano andare in continente o a Parigi per farsi ricostruire le mammelle amputate, trovarono qui, a Carbonia, la loro assistenza più avanzata e le loro mammelle ricostruite. Diresse la chirurga d’urgenza sia per traumi della strada che del lavoro che quella da emergenze patologiche. Il 1 dicembre 2025 è andata in pensione .
Il Primario Chirurgo è una figura rara da reperire. Non è solo un medico specialista nel suo campo. E’ molto di più. Egli rappresenta lo Stato che cura il cittadino. In quanto tale egli assume in sé altre funzioni d’alto valore etico:
– è il massimo responsabile della sua Unità Operativa Complessa;
– è la massima autorità clinica e amministrativa. Risponde del suo operato al Direttore Sanitario;
– ha il dovere di supervisionare tutti i casi clinici più complessi e a rischio;
– esegue personalmente gli interventi chirurgici più complessi e pericolosi;
– stabilisce i protocolli diagnostici e terapeutici da adottare;
– soprintende a tutti gli stati di emergenza;
– ha la responsabilità della gestione del personale: organizza i turni dei medici e controlla quelli degli infermieri; assegna le responsabilità all’interno dell’équipe medica e del gruppo infermieristico;
– è responsabile del corretto uso delle risorse economiche necessarie per l’aggiornamento tecnologico;
– pianifica l’attività operatoria e quella dell’ambulatorio;

– è il “ Maestro” che addestra i chirurghi coll’esempio del suo comportamento in sala operatoria e in corsia;
– si accerta che il personale si aggiorni regolarmente e partecipi a studi e ricerche pubblicando i risultati.
Queste funzioni descrivono il peso delle responsabilità che gravano sul Primario.
Di fronte alla prospettiva di una vita fatta di impegno culturale continuo, di una attività che impone uno stress emozionale intenso, di rischi medico-legali, sono pochissimi, oggi, i medici che desiderano seguire le orme dei precedenti Primari. Contemporaneamente, vista la carenza di Primari che si registra nei nostri nosocomi, si potrebbe anche supporre che esista uno scarso impegno della regione a rendere appetibile il ruolo di Primario Ospedaliero pubblico.
Oggi è appena uscita di scena l’ultimo Primario di Chirurga Generale di Carbonia. Ella, oltre alle qualità professionali e umane che doveva possedere per ricoprire quel ruolo, è anche una donna. Questo è un fatto comune in continente ma raro in Sardegna. Ai tempi in cui vinse il concorso per quell’incarico, in Sardegna era stata Primario Chirurgo soltanto la professoressa Rita Gambarella, direttrice della Chirurgia Pediatrica dell’Università di Cagliari. Il fatto d’essere donna, e anche Primario, è stata sicuramente una difficoltà ma anche un valore aggiunto di presa di coscienza della dignità di sé e un esempio da proporre alla parte femminile della nostra società.
Quell’uscita di scena è una perdita che sarà difficilmente colmabile per il nostro territorio. Un altro posto di Primario del nostro ospedale è rimasto vuoto.
Con l’uscita del Primario di Chirurgia Generale si affacciano nuovi pericoli che riguardano la sopravvivenza dell’Ospedale stesso e i servizi sociali essenziali per la città e il territorio provinciale.
Con la Regione, come si legge dai quotidiani, i Sindaci e la popolazione avranno un duro confronto.
Non dimentichiamo che Carbonia nacque per durare finché fossero durate le miniere. Per questo durante la crisi del carbone degli anni ‘50-’60 il Governo decise la dismissione dell’intera città. Erano gli anni dell’emigrazione in massa verso le miniere del Belgio. Si passò da 60.000 residenti a 30.000. Le donne di Carbonia, che avevano fondato le loro famiglie mettendo al mondo tanti figli, si rifiutarono di emigrare e la città, per opera loro, sopravvisse. Poi la città sopravvisse alla crisi industriale del ‘70-’80. Oggi c’è la tentazione semplicistica di depotenziarla e chiuderla trasferendo i suoi servizi in altre sedi. Avremo un segnale sulle reali intenzioni dei governanti regionali quando scopriremo se avranno intenzione di sostituire la Primaria uscente con un’altra figura altrettanto valida. Sarà un segno su quale futuro si prepari per la Sanità del Sulcis.

Mario Marroccu

Dal primo giugno 2013 esiste una delibera con cui è stata decisa la costruzione dell’ospedale unico del Sulcis Iglesiente. La stessa delibera dichiara che la progettazione e l’esecuzione dell’opera verrà affidata alla ARES (Agenzia Regionale Sanità). Alla comunicazione inviata ai 23 Comuni del Sulcis Iglesiente è stata associata la richiesta di indicare la sede prescelta per situarvi il nuovo ospedale.
La scelta della sede apre a tre possibilità:
I – edificare l’ospedale in una delle due città maggiori;
II – la mancanza di risposta rischierebbe di veder edificato un palazzone qualsiasi in un luogo qualsiasi col pericolo che venga costruito “in mezzo al nulla” lontano dai centri abitati.
III – edificare in un “luogo condiviso” e secondo i “canoni dell’OMS”.
Stiamo vedendo quanto sia fragile il diritto alla salute nel caso in cui non si eserciti il diritto democratico della partecipazione alle scelte.
Allo scopo di evitare che ci venga calata dall’alto la scelta di un progetto burocraticamente perfetto, ma senz’anima, proviamo sommessamente a disegnare con l’immaginazione ciò che potremmo proporre seguendo i canoni ingegneristico-architettonici proposti a livello di OMS e UE.
Lo scopo atteso da tutti è quello di raggiungere, per il nostro territorio, l’autonomia sanitaria strategica per il futuro. Non sarà un semplice edificio di cemento: sarà una piccola città fortemente energivora che vivrà 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno.

Ipotetico schema planimetrico dell’area sanitaria secondo le indicazioni emerse dai centri studi italiani e presentati all’OMS e UE.

Relazione allegata per spiegare l’ipotesi disegnata.
E’ fortemente aumentata l’insicurezza mondiale con l’esperienza della Pandemia Covid, con l’attuale minaccia nucleare, il rischio climatico e meteorologico, l’invecchiamento della popolazione, l’incremento delle migrazioni, la penuria energetica e alimentare, la nuova competizione del Sud del Mondo. Così come è già avvenuto nel passato, visto lo stravolgimento storico che stiamo vivendo, dobbiamo dedicarci al rinforzo delle strategie di sopravvivenza finalizzata a ottenere una maggiore autonomia alimentare ed energetica e una maggiore autonomia strategica in Sanità.
Da ciò deriva che per la futura generazione saranno necessari “nuovi criteri” per la progettazione degli ospedali.
I veri “criteri fondanti” dell’ospedale moderno furono quelli “rampiniani” (cardinal Enrico Rampini) del 1450,e cioè:
– umanizzazione,
– igiene,
– servizio idrico e fognario capillare
– corretta aerazione e riscaldamento delle camere di degenza,
– distinzione per “intensità di cure” (pazienti acuti e pazienti cronici),
– distinzione per genere,
– distinzione per specialità medica e chirurgica,
– servizio religioso,
– medicina di prossimità,
– buona gestione sotto controllo pubblico.
Dopo altri 450 anni, finita l’epoca storica delle “epidemie”, e finita la Grande Guerra, emerse un nuovo criterio: la “velocità” di intervento sanitario, sopratutto legata ai grandi traumi e alle emergenze chirurgiche.
Pertanto, fu necessario passare dagli ospedali a “padiglione” su piano orizzontale agli ospedali a monoblocco verticale dotati di veloci ascensori.
Era intervenuto un nuovo criterio: il “tempo” di intervento.
Nel 1930 l’architetto Alvar Aalto interpretò, graficamente, un’idea ancora più avanzata sul come debba essere disegnato il nuovo ospedale, e aggiunse altri due “criteri”:
Primo: il criterio dell’“economia” attraverso il “risparmio energetico” e lo fece progettando un ospedale che avrebbe sfruttato razionalmente la luce solare, orientando le grandi fenestrature delle camere di degenza verso sud-est e disponendo i servizi tecnici e amministrativi nel lato dell’edificio orientato a occidente.
– Secondo: il “criterio della “umanizzazione”. Questo criterio era già presente nell’idea di Enrico Rampini ma Alvar Aalto lo arricchì coll’idea di fornire ai degenti una vista godibile sul panorama circostante e mise in progetto l’esistenza di un grande parco verde in cui si doveva immergere la fabbrica dell’ospedale.
I “criteri” maturati in 2.000 anni di ingegneria e architettura ospedaliera sono tutt’oggi vigenti.

Attualmente sta avvenendo un ulteriore cambiamento per fenomeni sociali mai visti nella storia dell’Uomo:
– l’invecchiamento demografico,
– La sovrappopolazione del globo,
– la rivoluzione della comunicazione,
– La digitalizzazione e la dipendenza obbligata che ne è conseguita.
– La Pandemia Covid che ha messo in luce l’inadeguatezza del sistema Sanitario,

– le emigrazioni,
– la crisi climatica
– la nuova guerra in Europa,
– la paura di un possibile coinvolgimento in “fall-out” nucleare,
– la scarsità di nascite nel mondo occidentale.
– il Sud del mondo che avanza le sue richieste di ricchezza, potere e consumi.
La vistosa carenza di “visione “ della Sanità internazionale, messa alla prova dalla Pandemia, oggi ci obbliga a cambiare la prospettiva di osservazione.
Nel 2.000 Carlo Azeglio Ciampi se ne rese conto e dette incarico all’architetto Renzo Piano di disegnare l’“ospedale del futuro”. Questi produsse un nuovo criterio: “l’Umanesimo”.
Con tale termine egli indicava la necessità di introdurre il concetto di “bellezza” sia nei nuovi edifici che alle aree verdi circostanti destinati all’ospedale. Riteneva che la “bellezza” fosse necessaria per migliorare la qualità della vita dei degenti e del personale sanitario, ed era convinto che avrebbe avuto benefici effetti accelerando la guarigione.
In linea con l’OMS, la Commissione europea ha dato incarico agli scienziati di elaborare i “criteri” adeguati ai futuri ospedali europei.
Aggiungendo i nuovi criteri ai criteri classici del passato, i punti cardine da rispettare sarebbero:
– la flessibilità
– la autonomia energetica,
– la intensità di cure,
– la bellezza e gradevolezza del contenuto della struttura ospedaliera e dell’ambiente circostante (l’Umanesimo).
Secondo la proposta italiana presentata a Baku una decina di mesi fa dagli scienziati del Politecnico di Milano questi criteri dovrebbero essere preceduti da un altro criterio, necessario e imprescindibile: l’accettazione propedeutica di un “modello condiviso” tra gli attori pubblici in campo che sono:
– 1) l’Opinione pubblica,
– 2 ) la Politica,
– 3 ) le Istituzioni Sanitarie.
Secondo l’opinione degli scienziati in assenza della condivisione propedeutica di un modello non si può procedere all’esecuzione del progetto definitivo.
Tra le opzioni, proposte dai vari studi, prevale l’idea che nei progetti debbano coesistere le seguenti strutture:
1 – gli edifici a monoblocco o poliblocco;
2 – l’esistenza di torri parallele destinate all’impiantistica,
3 – l’ospedale per day surgery,
4 – l’ospedale stanziale, con prevalenza di camere singole.
5 – l’Hotel per pazienti dimessi,
6 – Percorsi separati per padiglioni a pressione negativa destinati agli infettivi,
7 – padiglione psichiatrico,
8 – giardino terapeutico (preferibilmente sulle terrazze); miniappartamenti per maternità.
A queste strutture di degenza si assocerebbero:
9 – i locali per i servizi di igiene (sterilizzazione e lavanderia) e di catering (cucine, ristorante),
10 – centrale energetica (pannelli fotovoltaici, etc..)
11 – servizio idrico (da fonti autonome e di rete; produzione di acqua sanitaria), serbatoi,
12 – eliporto,
13 – stazione metropolitana collegata alle città e alla rete ferroviaria,
14 – via d’accesso con immissione diretta ad arteria stradale principale,
15 – grande parco nel quale saranno immersi gli edifici. Superficie di 30 ettari per un ospedale medio.
16 – scelta dell’area in posizione tale da: non essere in ombra a sud-est ed essere ad un’altitudine sufficiente per non incorrere nel rischio di inondazioni; essere in località sismicamente stabile.

17 – ampi spazi sotterranei per parcheggi trasformabili all’occorrenza in rifugi antinucleari.
18 – miniappartamenti per il personale,
19 – edificio di culto
20 – inceneritore
21 – market
22 – Centro studi sia per ricerche universitarie sia per la formazione del personale.
Queste poche note hanno il solo scopo di mantenere viva l’attenzione sul nostro Ospedale del futuro affinché diventi, secondo le indicazioni citate, una piccola città immersa in un parco di 30 ettari di verde.

Il giorno 1 giugno 2023 la Giunta regionale ha deliberato la costruzione di 4 nuovi ospedali in Sardegna. Ne sono stati previsti uno a Cagliari, uno nel Sulcis Iglesiente, uno ad Alghero ed uno a Sassari. Il nuovo “Ospedale della città” di Cagliari dovrà sostituire gli attuali Brotzu, Oncologico, Microcitemico e SS Trinità che verranno chiusi. Similmente l’ospedale nuovo del Sulcis Iglesiente sostituirà il Santa Barbara, il CTO e il Sirai. Così avverrà per Alghero e Sassari.

La delibera, tuttavia, non contiene indicazioni sulle risposte da dare ai seguenti quesiti: “Quando?”, “dove?”, “come?”e “perché?”. Per ora sono in sospeso e non sarà facile definire i Tempi, i Criteri e le Norme.

I “Tempi”.

Se i 4 ospedali sorgessero all’istante sarebbe una bella idea, ma non è così perché nel mondo reale le cose avvengono col “consumo di tempo”. E’ presumibile che per costruire i nuovi ospedali ci vorranno dai 15 ai 25 anni e molti degli attuali sardi sessantenni non ne vedranno l’inaugurazione.

Oggi, con gli incombenti pericoli di nuove epidemie, del cambiamento climatico, di altri shock energetici, di un’immane immigrazione, e di un inedito cambiamento demografico, gli attuali sessantenni dovranno assolutamente assicurarsi che per i prossimi 20 anni gli ospedali continuino a funzionare benissimo. E’ certo che i futuri ospedali saranno destinati alla futura generazione.

Il proposito di costruire nuovi ospedali venne ufficialmente espresso nella legge regionale 24/2020 all’articolo 42. Per produrre la delibera attuativa, pubblicata il 13 giugno 2023, ci son voluti 3 anni. Questi sono i tempi tecnici di qualunque amministrazione pubblica. Ora ci vorranno i tempi necessari per il concorso di idee e per l’individuazione di un’area di almeno 30 ettari adatta dal punto di vista geomorfologico. Altro tempo sarà necessario per la scelta del sito esatto in cui costruire il nuovo ospedale mettendolo al centro delle vie di comunicazione terrestri, marittime e ferroviarie, rispettando la densità della popolazione, la non interferenza con altri interessi, e l’accordo politico che dovrà essere raggiunto con il concorso di un referendum provinciale. Vi saranno i tempi per la progettazione, l’edificazione, l’arredamento, l’impiantistica, le variazioni in corso d’opera, il reperimento del personale e, soprattutto, il reperimento di altri fondi dato che l’inflazione avrà svalutato i finanziamenti attualmente disponibili. Considerato che per porre la prima pietra del nuovo ospedale di San Gavino ci sono voluti 20 anni si può supporre che la previsione di 15-25 anni per vedere costruiti e in funzione i futuri 4 ospedali sia abbastanza realistica.

Le discussioni dei politici riportate dai quotidiani, intanto, continuano senza chiarire bene i termini.

I “Criteri”.

Non si può fare a meno di osservare che in queste pubbliche discussioni manca un fattore ineludibile: i “Criteri” da utilizzarsi per raggiungere lo scopo. In passato per formulare i “Criteri” ci vollero molti secoli.

Ogni periodo storico, da 2.000 anni ad oggi, ha avuto i suoi “Criteri”.

Ai tempi di Cesare Augusto gli ospedali non esistevano.

A Roma, nell’Isola Tiberina, esisteva una “vulneraria” in cui venivano curate le ferite dei gladiatori e degli schiavi. Il criterio per l’esistenza del vulneraria fu: avere un luogo specializzato e isolato per riparare gli strumenti del divertimento e del lavoro.

Ai tempi di San Benedetto e San Basilio, nel quinto secolo d.C.,  gli “hospitalia” servivano a prendersi cura dei “poveri cristi”. Il Criterio era religioso.

Nel Medio Evo, tra il 1.000 e il 1.400, gli “hospitalia” venivano costruiti con fondi donati dai ricchi commercianti. Il loro vero fine era quello di acquisire meriti per essere ammessi in  Paradiso. Il criterio per l’edificazione di quegli ospedali era caritativo.

Quel sistema caritativo dette vita ad un’economia fiorente basata sulle donazioni alle organizzazioni pseudoreligiose che lo dominavano. A Milano nel 1450 esistevano ben 16 ospedali caritativi in mano a “conversi e converse “che agli occhi della chiesa suscitavano scandalo. Il cardinal Enrico Rampini per mettervi ordine dette il via alla costruzione dell’Ospedale Maggiore. Per riuscire nel suo piano ebbe necessità della protezione degli Sforza e del Papa. Così poté chiudere quei 16 ospedali caritativi privati e trasportare i malati nel suo nuovo ospedale. L’Ospedale Maggiore fu destinato ai malati acuti; i malati cronici vennero messi in un altro ospedale alle porte della città.

Con quell’impresa il Cardinale aveva realizzato il primo sistema ospedaliero “per intensità di cure”.

Per costruire l’Ospedale Maggiore (tutt’oggi funzionante) il cardinale Enrico Rampini dettò i suoi criteri:

1 – La  prossimità dell’ ospedale alla popolazione;

2 – L’ amministrazione controllata da rappresentanti popolari.

3 – La vicinanza ai Navigli per le fonti d’acqua;

4 – L’affidamento del progetto al massimo architetto del tempo: il Filarete;

5 – Il servizio d’acqua corrente in camera e nei bagni;

6 – L’ esistenza di una efficace e capillare rete fognaria;

7 – I letti singoli (fino ad allora erano ovunque a 4 e a 8 posti e il fratturato stava coll’appestato);

8 – Gli  armadietti singoli personalizzati (vennero inventati i comodini);

9 – I servizi igienici dovevano essere separati dalle degenze e situati in una corsia parallela;

10 – La cucina in un piano separato;

11 – La corsia maschile  distinta da quella femminile;

12 – I malati chirurgici distinti da quelli internistici;

13 – Le  “Zone filtro” per l’igienizzazione dei  nuovi ricoverati;

14 – Le abitazioni per il personale annesse all’ospedale

15 – Gli Impianti di riscaldamento e di aerazione per tutti gli ambienti.

Il Filarete, progettò l’opera secondo i Criteri dettati dal Cardinale e tale progetto divenne pilota per tutta l’Europa. Egli fu il primo architetto dell’ospedale moderno.

I “Criteri rampiniani” i cui scopi erano l’igiene e l’umanizzazione, rimasero immodificati fino al ventesimo secolo.

Dopo il disastro della Prima Guerra Mondiale e le due epidemie di Spagnola e Tubercolosi che seguirono gli architetti specialisti in ospedali aggiunsero altri “criteri”. Si trattò di Criteri, oltre che di umanizzazione delle cure e di difesa dalle infezioni epidemiche, di buona gestione economica e di risparmio di energia.

Fino ai primi del 1900 gli ospedali furono costruiti su un piano orizzontale e a padiglioni. Poi nei primi decenni del 1900 in America comparvero gli ospedali skyscraper (grattacieli) nella forma di complessi verticali alti fino a 30 piani. Si trattava di strutture in acciaio e calcestruzzo, costruite in moduli prefabbricati, dotate di veloci ascensori. Negli anni ‘20-’30 il modello si diffuse in tutta Europa. L’antesignano di tali progetti fu l’architetto finlandese Alvar Aalto. Il criterio che pilotò verso il monoblocco fu quello della riduzione  dei tempi di percorrenza per favorire la prontezza nel soccorso. Il “Tempo “ è il fattore che condiziona tutta la medicina d’urgenza e ciò ha indotto alla progettazione degli ospedali verticali dotati di trasporti semplificati e veloci. L’altro vantaggio è l’impiantistica comune e facilmente accessibile posta all’interno di colonne in cavedi verticali attraversanti tutti i piani. Il monoblocco di Alvar Aalto venne realizzato nella città di Paimio in Finlandia. Quel progetto di ospedale vinse un concorso internazionale di idee indetto dal Governo americano nel 1930. Fu la vittoria definitiva degli ospedali a monoblocco verticale sui complessi ospedalieri orizzontali a padiglioni. L’ospedale di Paimio aveva la caratteristica d’essere un monoblocco con annesse due “stecche” laterali. Il blocco centrale, destinato alle camere di degenza, aveva ampie fenestrature esposte a sud-sud-est secondo l’arco del sole. Lo scopo era quello di captare il più possibile i raggi solari per l’illuminazione, per il riscaldamento e la salubrità della stanze, secondo il criterio di efficienza e efficacia. La vista riservata ai degenti dava su un grande parco con alberi e prati. Il lato esposto verso occidente era riservato ai servizi. La prima stecca serviva alle camere operatorie, ai laboratori e alle radiologie. La seconda stecca era destinata ai servizi amministrativi e tecnici. Esisteva nel complesso una parte destinata alle residenze del personale sanitario. Il criterio era l’autosufficienza.

Nel periodo fascista in Italia il regime dette notevole impulso alla costruzione di nuovi ospedali. Negli studi tecnici ingegneristici specializzati in architettura ospedaliera nacque un vivace dibattito sulle varie idee di progettazione. Il criterio generale era: ridurre al minimo ingombro i fabbricati sviluppandoli in altezza e accentrando i servizi.

In vari concorsi di idee prevalsero sia i progetti dell’architetto Concezio Petrucci che sviluppò un progetto a “T”, con 4 letti per camera, sia i progetti dell’architetto Giorgio Rossi. Il criterio era l’umanizzazione. Erano gli anni in cui si costruiva la città di Carbonia; nell’originale linea a “T” del suo ospedale si notano tutti gli influssi del pensiero architettonico del tempo.

Quei progetti  rispettavano i criteri di Alvar Aalto:

Nel 1964 il più famoso architetto del ventesimo secolo, Le Corbusiér, ebbe l’incarico di progettare l’ospedale di Venezia. Con quel progetto egli andò contro-corrente e modificò le linee guida di Alvar Aalto: progettò un ospedale orizzontale. Il motivo era legato alla necessità di non erigere un grande edificio al centro di Venezia che col suo corpo di calcestruzzo e acciaio confliggesse con gli antichi edifici in mattoni rossi della città lagunare. L’ospedale fu progettato su tre piani. Il piano terra fu destinato ai servizi per il pubblico; il primo piano per i servizi medici veri e propri sale operatorie e diagnostiche); il secondo piano per le degenze. Si seguì il criterio della efficienza, dell’urbanistica e dell’estetica.

In questo anno 2023 nella città di Cremona è in corso una preselezione per partecipare al concorso per il nuovo ospedale. I criteri dettati dal committente sono:

Strutture modulari e flessibili in grado di adattarsi con facilità agli eventi (vedi nuova epidemia);

La Logistica che dovrà prevedere percorsi interconnessi fra Ospedale, Territorio, casa del paziente;

– L’ Ecosostenibilità che metta al centro la cura del paziente, degli operatori e dei visitatori.

Si tratta con tutta evidenza di nuovi criteri di prevenzione, prossimità e umanizzazione esaltati dall’esperienza Pandemica Covid.

Attualmente esiste, anche in Toscana, il progetto di costruire 4 nuovi ospedali: a Prato, a Pistoia, a Lucca, e nel territorio Apuano. Lo scopo è quello di sostituire i vecchi ospedali nati più di un secolo fa.

Anche qui sono stati individuati alcuni criteri pilota che dovranno essere rispettati dai progettisti:

– La persona e le sue necessità messe al centro del progetto;

– L’assistenza continua personalizzata;

– L’integrazione dei percorsi di cura col territorio;

– percorsi multidisciplinari; modello a “intensità di cure”

Tutto sommato sembrerebbero criteri non molto diversi da quelli del cardinal Enrico Rampini nel 1450 e di Alvar Aalto del 1930.

Le “Norme”.

All’elenco di “criteri” maturati nei secoli oggi se ne potrebbe aggiungere uno specifico per il Sulcis Iglesiente: ritorno al passato restituendo ai nostri Ospedali tutti i Servizi e il Personale cancellati da leggi restrittive. L’unico modo per ottenere quella restituzione consiste nel ridurre la rigidità delle  normative vigenti nate dopo la fine della Grande Riforma Sanitaria del 1978. Esse creano gravi problemi agli ospedali provinciali a tutto vantaggio degli ospedali dei capoluoghi di regione. L’ultima di queste leggi restrittive, il DM 70/2015, ha posto limiti all’attività e alla dimensione agli ospedali provinciali cancellando le speranze di autosufficienza e di ripresa.

Questo ragionamento oggi appare solidamente fondato. Lo conferma una autorevole nota ministeriale che sta sollecitando il riesame di certe leggi. E’ quanto sembrerebbe di capire dal documento emanato il 6 giugno 2023 dal Capo di Gabinetto del Ministero della Salute. Esso decreta “l’istituzione di un tavolo tecnico presso l’Ufficio di Gabinetto per lo studio delle criticità emergenti dall’attuazione del DM 70 e del DM 77”.

Il DM 70 è quel decreto che con le sue regole stringenti, provocò l’ulteriore riduzione dei posti letto e di servizi specialistici nei nostri ospedali di Carbonia e Iglesias.     

Oggi i nostri politici dovrebbero porre attenzione a questo riesame  delle Norme che regolano l’organizzazione dei servizi ospedalieri. Per ora si può già dire che la nota del Capo di Gabinetto del 6 giugno conferma la validità delle nostre segnalazioni sulla disparità di trattamento tra territorio e capoluogo.

Qualora la commissione per il riesame del DM 70 confermasse le nostre ragioni e dettasse Nuovi Criteri per la definizione della rete ospedaliera regionale, forse i nostri ospedali recupererebbero l’efficienza perduta e potremmo aspettare serenamente i 20 anni che ci vogliono per costruire i nuovi 4 ospedali sardi.