3 May, 2024
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Milletrecento agenti forestali della Regione sorvegliano giorno e notte le campagne e le località costiere, per vigilare sul rispetto delle ordinanze del presidente della Regione e in particolare sull’obbligo di quarantena per i non residenti che si sono riversati nelle case al mare.

«L’intera macchina regionale è sul campo in uno sforzo senza precedenti – dice il presidente Christian Solinas -, per limitare la diffusione del virus e tutelare la salute dei Sardi. Non molleremo neanche un istante e saremo inflessibili.»

«Quasi 500 controlli solo oggi – dice l’assessore dell’Ambiente Gianni Lampis -, e 15 sanzioni erogate per coloro che non hanno rispettato le regole. Chi non rispetta le ordinanze del Presidente incorre nelle sanzioni previste dall’art. 650 del cp, che prevede anche l’arresto.»

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Il sindaco di Carloforte, Salvatore Puggioni, evidenzia i rischi legati all’arrivo nell’Isola di proprietari di seconde case proventi dalle zone rosse. Lo fa in una lettera inviata ieri all’assessore regionale della Difesa dell’Ambiente, Gianni Lampis, e al direttore generale della Protezione Civile della Regione Sardegna, Pasquale Belloi.

«In relazione al DPCM emanato in data 8 marzo 2020 – scrive Salvatore Puggioni -, nelle ultime settimane e, soprattutto, nelle ultime 72 ore, l’Isola di San Pietro è stata – ed è tuttora – oggetto di numerosi arrivi da parte di cittadini italiani provenienti dai Comuni inclusi nel territorio dell’attuale Zona Rossa. Si tratta di un fenomeno che, per quanto comprensibile, desta non poca preoccupazione sia trai mei concittadini sia tra gli operatori sanitari presenti in loco e chiamati eventualmente ad intervenire in un contesto sanitario in cui il primo presidio ospedaliero dista circa 90 minuti. Più precisamente – aggiunge il sindaco di Carloforte -, in base ai dati in possesso ai nostri uffici, circa 2.500 cittadini che abitano le zone interessate dalle misure maggiormente restrittive sono possessori o proprietari di immobili sul territorio del comune di Carloforte. Questa circostanza rappresenta evidentemente un potenziale pericolo per la nostra comunità, che potrebbe correre il serio rischio di subire una capillare diffusione del virus,. Diffusione che, per le ragioni su esposte, sarebbe difficilmente contenibile.»

«Le chiedo pertanto, quali provvedimenti intendiate adottare al fine di consentirci di poter procedere alla identificazione, e alla messa in atto di eventuali misure limitative, nei confronti di coloro che sbarcano sull’isola, anche in considerazione del fatto che il virus si sta rapidamente diffondendo in tutta la Sardegna – conclude Salvatore Puggioni –. A titolo esemplificativo mi permetto di suggerirLe alcune misure che potrebbero nel nostro territorio arginare il fenomeno di diffusione:

  1. Sottoporre ai passeggeri in ingresso un questionario comprendente i propri dati anagrafici, luogo di provenienza e il periodo di permanenza sull’isola.
  2. Valutare l’opportunità di limitare e/o chiudere gli accessi a tutti coloro che provenendo dall’attuale zona rossa potrebbero trasformare un territorio isolato, privo di significativi presidi sanitari, in un nuovo focolaio difficilmente controllabile.»

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Il presidente Tarcisio Agus ha inviato una nota all’assessore regionale dell’Ambiente, Gianni Lampis, e al presidente della Regione, Christian Solinas, nella quale conferma la ricandidatura del Parco Geominerario al Geopark Unesco.

«Gent.mo assessore Gianni Lampis – scrive Tarcisio Agus – il Consiglio direttivo del Parco, nella seduta dell’8 novembre 2019, con la deliberazione n. 40, ripropone la ricandidatura nella rete dei Geoparks Unesco, oltre che avviare il percorso per le candidature nelle liste mondiali del patrimonio materiale ed immateriale UNESCO, delle aree minerarie della Sardegna. Nello specifico della ricandidatura nella Rete mondiale dei Geopark Unesco, l’iter prevede che entro il primo luglio di quest’anno venga inviata una nota di comunicazione e, a seguire, la domanda di ricandidatura. Il documento che ci permette di capire le ragioni dell’esclusione e, di una possibile ricandidatura, è senza dubbio la relazione delle ispettrici, che si allega in copia, dalla quale possiamo trarre un percorso possibile.»

«In particolare – aggiunge Tarcisio Agus – vorrei ricordare la constatazione sulla gestione, che mi pare piuttosto esplicita:

Per il funzionamento di un così grande geoparco con 1,6 milioni di persone e 86 comuni questa costellazione non è accettabile in quanto organizzazione attrezzata adeguata. I comuni e la regione sono convinti del valore di UGGp Sardegna. Dovrebbero assumersi maggiori responsabilità e esaminare le possibilità di aumentare il sostegno strutturale, finanziario e delle risorse umane per la gestione di UGGp Sardegna.

Così pure mi pare significativa tutta la parte F. Discussione, ed in particolare i capoversi 1 e 2 delle Principali raccomandazioni:

1. “Creare una forte rete attiva alla quale partecipano tutti i comuni, il governo regionale della Sardegna, le università, le organizzazioni turistiche ed altre organizzazioni importanti per lo sviluppo del Geoparco”.

2. “Sviluppare un’organizzazione funzionante per il Geoparco che disponga di risorse e capacità finanziarie e umane sufficienti per implementare e realizzare le misure necessarie. Tenendo conto delle dimensioni del Geoparco e dei compiti di un geoparco come descritto nelle linee guida dell’UGGP”.

Per far sì che la Sardegna possa essere accolta e riconosciuta come l’area “Unesco” più vasta d’Europa e tra le più significative al mondo, non è sufficiente, come più volte sottolineato anche nella relazione delle ispettrici, che a farsene carico sia solo ed esclusivamente il Parco Geominerario. La “Sardinia UNESCO Global Geopark” potrebbe essere, senza ombra di dubbio il brand del futuro, in termini di visibilità nazionale ed internazionale, nonché di promozione turistica ed economica, se ci crediamo, prima di tutto, noi sardi.

Ritengo che, questa iniziativa, con la Presidenza della Regione e la partecipazione degli assessorati più coinvolti, come l’Industria, il Turismo e la Pubblica Istruzione, nonché delle Università isolane, con il coordinamento del suo Assessorato apre una nuova e straordinaria prospettiva. Allora mi chiedo, perché non riuniamo tutti i Parchi nazionali e regionali dell’isola in un progetto condiviso ed unitario? Già la dislocazione territoriale dei parchi nell’isola, compreso il Geominerario, coprono l’intero territorio isolano e tutti attuano azioni e compiti che rientrano pienamente nelle linee guida dell’Unesco Global Geopark.

Potremmo costituire un robusto coordinamento di gestione, anche in risposta alla sottolineatura rimarcata nella relazione, ove si ribadisce che:

“Il programma UNESCO Geoscience and Geoparcos richiede membri forti e di alta qualità nel seguire la filosofia e i criteri definiti negli statuti e nelle linee guida”.

Nonché ribaltare la proposta di non dare una carta verde:

“Data la situazione in cui sono stati compiuti progressi insufficienti sulle raccomandazioni dell’ultima valutazione e sul fatto che non esiste un territorio unificato con un’identità comune, nessun approccio strategico sull’unificazione o la creazione di un’identità comune e un’organizzazione assolutamente non adeguatamente equipaggiata per quanto riguarda le risorse umane, entrambi i rivalidatori non vedono alcuna possibilità di consigliare al Consiglio UGGp l’assegnazione di una carta verde”.

Sono certo che questa sfida può esser vinta, se riusciamo a coordinare tutte le azioni che normalmente i parchi isolani attuano con i propri programmi, credo che basterebbe solo questo per ribaltare la proposta che ci ha privato del cartellino verde.

Un primo approccio è quello di un incontro da Lei promosso – entro la fine del mese di marzo – del Consorzio del Parco Geominerario con i Parchi regionali, i Parchi nazionali e le Aree Marine Protette della Sardegna sulla quale lavorare assieme.

Certo che voglia valutare la suddetta riflessione – conclude Tarcisio Agus –, nell’attesa porgo cordiali saluti.»

                                                                                                    

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Il presidente del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Tarcisio Agus, ha scritto una lettera al ministro dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare, Sergio Costa, nella quale espone le problematiche e le esigenze dell’Ente.

Di seguito il testo della lettera, inviata, per conoscenza, anche al sottosegretario di Stato dello stesso ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare, Roberto Morassut; al presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas; all’assessore regionale della Difesa dell’Ambiente, Gianni Lampis; all’assessore regionale dell’Industria, Anita Pili.

«Ill.mo Sig. Ministro,

ho chiesto tempo fa la possibilità di un incontro con la SV per presentarLe il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna e le sue problematicità che, a mio avviso, si trascinano sin dalla sua origine.

Immagino che il suo dicastero lo tenga impegnato su fronti molto più importanti ed attuali e, nelle more di uno spazio di audizione del nostro Ente, cerco di esporLe gli elementi più rilevanti che ritengo meritino attenzione.

Il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna è assimilato agli Enti di cui alla legge 9 maggio 1989 n.168 e la sua gestione è affidata ad un Consorzio ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986 n. 349, ma viene accostato ad un’Area Protetta, ai sensi della legge 6 dicembre 1991 n. 394, tanto che nel decreto istitutivo si fa riferimento, per le sanzioni, all’art.30 della stessa legge, nonostante, mi pare, non rientriamo nella sua classificazione ai sensi dell’art. 2.

Peraltro i comuni compresi nel Parco Geominerario non beneficiano delle Misure di incentivazione previste dall’art.7.

Tutto questo ha da sempre creato disorientamento e forti perplessità nell’agire e nella programmazione per il territorio del Parco, bisognoso più di altri di risorse per la sua caratteristica fisica e storia industriale che ne costituisce un unicum in Sardegna, ma non solo.

Il decreto Istitutivo, come modificato dal decreto dell’8 settembre 2016, assegna al Parco, ai sensi dell’art. 2, l’impegno a perseguire la finalità di assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio tecnico-scientifico, storico-culturale ed ambientale dei siti e dei beni ricompresi nel territorio, nonché quella di garantire uno sviluppo economico e sociale dei territori interessati in un’ottica di sviluppo sostenibile. Seguono nove commi di attività da porre in essere.

Il Parco si estende su un territorio di 3.500 kmq, con al suo interno 86 comuni, con ambiti di grande pregio naturalistico ed ambientale, ma anche, 6.739 ettari di aree inquinate, dovute alle pregresse attività minerarie, con 1.947 fabbricati, suddivisi in 743 civili, di cui numerosi di alto pregio architettonico, come le direzioni delle miniere, gli ospedali e le foresterie; 425 industriali, con diversi complessi di pregio architettonico e storico culturale, 412 ruderi e 367 aree di fabbricati demoliti che con l’andar del tempo andranno sempre più aumentando.

Se per un verso gli interventi relativi al programma delle bonifiche ambientali, finanziate dal suo Ministero, muovono i primi passi, dopo venti anni dalla legge istitutiva del Parco, restano ancora al palo il recupero del vasto patrimonio immobiliare, costituito da diversi borghi minerari, con rilevante valore storico, culturale ed ambientale che potrebbero esser recuperati e destinati a finalità sociali, culturali e produttive.

Su tale patrimonio il Parco negli anni ha investito alcune risorse dei trasferimenti annuali, peraltro dimezzati nel corso di questi anni e relativi a degli avanzi di amministrazione.

Una goccia d’acqua nel mare del bisogno finanziario necessario per il suo pieno recupero prima del suo definitivo disfacimento.

Il Parco intende, in questo nuovo anno, attivarsi per la predisposizione di un Piano di sviluppo socioeconomico, con il pieno coinvolgimento degli stakeolder territoriali, ma questo necessita di un organico adeguato di cui oggi non disponiamo, sia in termini numerici (7 dipendenti di cui 3 a tempo pieno e 4 part-time) che in termini di professionalità.

Attualmente al Parco è riconosciuta una pianta organica di 13 unità, ma per il blocco delle assunzioni non ci è possibile disporre pienamente neanche di quanto la pianta organica ci riconosce.

La gestione di un piano di sviluppo su un territorio vasto 3.500 kmq, con le finalità assegnateci meriterebbe una maggior attenzione sia di risorse finanziarie che di personale.

Per quest’ultimo aspetto potremmo rifarci in termini comparativi all’organico del più piccolo e del più grande dei Parchi Nazionali:

Parco 5 Terre – sup. 38,6 kmq. 12 Unità

Parco del Cilento – sup. 1.781 kmq. 40 unità

Parco Geominerario sup. 3.500 kmq. 7 unità (3 tempo pieno 4 Part-time).

Da questa breve analisi si evince che il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, in primo luogo, per i compiti assegnati dal Decreto Istitutivo, non è mai stato equiparato di fatto alle Aree Protette, nonostante al suo interno, oltre alle aree inquinate, siano presenti vasti territori (SIC e ZPS) caratterizzati da paesaggi eterogenei, abitati da varie specie animali e vegetali ed in particolare nell’area del Guspinese Arburese, permane il più vasto areale del cervo sardo, autoctono. Ma ancora, sono presenti vaste zone umide protette dalla convenzione Ramsar.

La situazione ibrida potrebbe essere risolta, riconoscendone la tipologia, quale Consorzio assimilato agli Enti di cui alla legge 9 mMaggio 1989, n. 168, ed inserendolo con le Università nei programmi di ricerca previsti dalla legge 168.

Il Parco, dall’insediamento degli organi, Presidente e Consiglio direttivo (giugno 2018), collabora strettamente con le due Università isolane, peraltro facenti parte a pieno titolo del Parco, con i Comuni e gli Enti regionali.

Esperienza questa della ricerca, messa in atto, in questo nuovo corso del Parco, con l’accordo quadro dell’Università di Cagliari e Sassari e in concorso con alcuni dipartimenti.

In particolare credo interessante e proficua l’opera avviata con il Comitato Tecnico Scientifico del Parco, nell’ambito delle bonifiche ambientali, ove siedono, il soprintendente regionale, docenti universitari ed esperti di sperimentata competenza nelle seguenti aree disciplinari: materie geologico-minerarie; materie ambientali; materie economico-sociali; pianificazione territoriale; materie storico-archeologiche e museali.

Il Parco grazie agli esperti del comitato, ora, oltre al rilascio del nulla osta di carattere edilizio, si sta pienamente occupando del recupero ambientale delle aree minerarie dismesse, portando importanti contributi di natura tecnica e scientifica, perché le discariche minerarie e gli ambienti minerari non siano più un grave danno all’ambiente ed alle popolazioni residenti, ma possano diventare risorsa. L’ultima proposta in ordine di tempo predisposta dal Parco in concorso con l’Università di Cagliari è il progetto di sviluppo Tour Remine.

Il progetto TouRemine vuole essere un progetto pilota che si propone il ricupero, la bonifica e l’infrastrutturazione di numerose realtà entro l’ambito del Parco, per un decisivo risanamento e fruizione ambientale, nonché per un nuovo processo sviluppo socio economico. Questo progetto integrato è oggi all’attenzione di Invitalia che cura i fondi per lo sviluppo destinati al sud Italia, con l’intento di estendere la sua portata a tutti i comuni appartenenti alla comunità del Geoparco, con tre obiettivi:

Infrastrutturazione: costruire e/o adeguare le infrastrutture che garantiscono la mobilità (dati/persone), l’accoglienza e la ricettività per rendere sfruttabili a fini commerciali e fruibili a scopi turistici i borghi e gli ambienti minerari.

Industrializzazione: creare le condizioni per sfruttare gli scarti delle miniere per attivare potenziali nuove opportunità di business e lo sfruttamento sostenibile delle risorse.

Imprenditorialità: sviluppare percorsi di creazione d’impresa e offrire nuovi servizi alle imprese esistenti. In particolare vorrei evidenziare il secondo obiettivo, che prevede nel progetto il recupero di importanti immobili minerari da destinare a musealizzazione ed a nuove destinazioni socio – culturali, nonché la bonifica ed il recupero di minerali di valore, come per esempio nel progetto in TouRemine, la fonderia di antimonio a Villasalto diventata nel tempo discarica di antimonio, ci consentirà, se finanziato, di recuperare il minerale, oggi di nuovo richiesto dal mercato, e la fonderia, unica rimasta forse in Italia per questa tipologia di minerari.

Questa esperienza di recupero degli scarti minerari entro l’area del Parco Geominerario, è già in atto tra l’università e gli enti regionali, in particolare con la Carbosulcis, ove la bonifica delle discariche minerarie di carbone hanno contribuito, con la ricerca, a darci importanti risultati come il progetto “Aria” impianto sperimentale produzione isotopi, ma anche il recupero delle “Terre rare” o la sperimentazione su fertilizzanti e disinquinanti ecologici.

Sono convinto dell’importante apporto che può dare il Parco Geominerario se è posto in condizioni di operare, con un ruolo più lineare ed una dotazione organica adeguata.

Ill.mo sig. Ministro, la invito nei limiti delle sue disponibilità, a verificare con i suoi uffici questi due principali aspetti, dell’inquadramento normativo o nell’impossibilità che ciò avvenga, almeno il riconoscimento, anche ai comuni del Parco Geominerario, dei benefici previsti dalla  legge 349/1986, e la valutazione di una pianta organica adeguata alle funzioni assegnate ed ai complessi problemi di natura ambientale presenti entro l’area Parco, non certo assimilabili ai territori delle Aree Protette. Questo ultimo aspetto credo meriti una particolare attenzione perché devono assolutamente esser risolti, pena il perdurate dei rischi di natura sanitaria, già a suo tempo riscontrati dal rapporto del ministero della Salute del 2016, che pone il Sulcis-Iglesiente-Guspinese, la parte più consistente delle aree del Parco Geominerario, fra quelle “invivibili”, ove si sono riscontate le più alte percentuali di patologie oncologiche e mortalità, fra le 44 aree ad alto rischio in Italia.

Certo di una sua attenzione, nel pormi a sua disposizione per ogni ulteriore approfondimento e in attesa di un possibile incontro, porgo cordiali saluti.»

Tarcisio Agus

Presidente del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna

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«Quello di oggi non è stato un semplice incontro operativo, ma un vero e proprio richiamo all’unità e alla coesione per rispondere con forza e determinazione all’emergenza e assicurare massimo impegno per la sicurezza dei cittadini. Stiamo mettendo in campo ogni mezzo possibile con l’obiettivo comune di tutelare la salute dei sardi.»

Lo ha detto il presidente della Regione, Christian Solinas, in merito al vertice con i sindaci della Sardegna che si è tenuto oggi a Cagliari per fare il punto sui protocolli operativi per l’emergenza Coronavirus e a cui hanno preso parte gli assessori della Sanità, Mario Nieddu, della Difesa dell’ambiente, Gianni Lampis, e degli Enti locali, Quirico Sanna.

«Abbiamo risposto alle esigenze del territorio. Un’opportunità per fare chiarezza – spiega Mario Nieddu – e rafforzare la comunicazione tra le istituzioni sul tema dell’emergenza e dei protocolli operativi.»

Nel corso dell’incontro, oltre alle modalità d’intervento sono state ribadite le procedure da seguire nei casi sospetti: «È fondamentale non recarsi in ospedale o al pronto soccorso – precisa l’assessore della Sanità – ma, al contrario, è necessario contattare il medico di famiglia, il pediatra di libera scelta o la guardia medica. In seguito al triage telefonico i medici di primo contatto provvederanno a informare i dipartimenti di prevenzione e solo se ritenuto opportuno si attiverà, a cascata, il protocollo operativo».

«Un incontro importante per informare i sindaci sulla situazione generale – spiega l’assessore Gianni Lampis – e, soprattutto, per chiedere la loro collaborazione sul coinvolgimento per promuovere le buone pratiche di comportamento. In Sardegna sono 6.600 i volontari di protezione civile in campo e sono state 49 le video conferenze a cui l’Unità di crisi, che coinvolge sia la direzione generale della Sanità, sia la direzione generale della Protezione civile, ha partecipato con il dipartimento nazionale.»

«Fondamentale la collaborazione e la partecipazione delle comunità – conclude l’assessore Quirico Sanna -. La riunione con i sindaci ha proprio questo scopo. Insieme con l’Anci e il Consiglio delle autonomie locali abbiamo fatto squadra, perché in questo momento è importante l’unità dei territori e l’omogeneità dell’informazione.»

 

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«Finalmente, dopo ben dieci anni, con la convocazione al ministero dell’Ambiente, il prossimo 18 marzo, si è avviata la fase finale e decisiva di approvazione del progetto definitivo di bonifica della falda della zona industriale di Portovesme.»

Lo ha detto l’assessore regionale dell’Ambiente, Gianni Lampis, al termine della riunione, svoltasi questa mattina in Assessorato, alla presenza dei rappresentanti delle aziende (Alcoa, Enel, Eurallumina, Fintecna, Portovesme), dell’Arpas, della provincia del Sud Sardegna, del comune di Portoscuso e del Consorzio industriale provinciale Carbonia Iglesias (Sicip).

A gennaio, il progetto definitivo è stato formalmente trasmesso al Ministero ed agli enti competenti. Si tratta del «barrieramento idraulico interaziendale funzionale alla bonifica della falda dell’agglomerato industriale», che prevede l’impiego di tre nuove linee di estrazione dalle falde sotterranee e di quattro impianti di trattamento delle acque contaminate da metalli pesanti, provenienti dai singoli stabilimenti, per la loro riqualificazione qualitativa: uno ciascuno presso le aziende Portovesme srl ed Eurallumina e due al Sicip. Le acque così trattate e bonificate verranno riutilizzate negli stabilimenti, risparmiando primarie risorse naturali. I costi di adeguamento e di realizzazione, da suddividere secondo il principio ‘chi inquina paga’ tra le cinque aziende proponenti, sono stimati in oltre 20 milioni di euro.

«Per troppo tempo, quel territorio, fortemente penalizzato sotto il profilo ambientale, non aveva trovato adeguate risposte – ha sottolineato l’assessore Gianni Lampis -. Questa opera dimostra che anche in Sardegna si può fare industria rispettando e tutelando l’ambiente, patrimonio che per l’Isola rappresenta un vero biglietto da visita. Per raggiungere questo risultato, al termine di un impegnativo percorso tecnico-amministrativo, il ruolo di coordinamento e di sintesi svolto dall’Assessorato in questi mesi è risultato fondamentale.»

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«La Sardegna paga un costo sociale enorme per la presenza dell’amianto nelle aree industriali dismesse. Oggi è stata l’occasione per presentare la nostra realtà regionale alla Commissione parlamentare». Sono le parole dell’assessore regionale dell’Industria Anita Pili che oggi, insieme al collega della Difesa dell’Ambiente, Gianni Lampis, e della Sanità, Mario Nieddu, ha partecipato all’incontro con i deputati dell’XI commissione della Camera, vertice che si è tenuto al Caip di Abbasanta.

«Insieme ai sindaci del territorio – ha aggiunto Anita Pili – abbiamo sollevato il problema delle bonifiche nei siti industriali dismessi di Ottana e Marrubiu. La presenza della commissione nelle aree interessate è sicuramente un segnale d’attenzione, ma al Governo chiediamo una collaborazione sistematica per dare un impulso concreto alla soluzione del problema. Per le bonifiche occorrono nuove risorse che tengano conto delle reali necessità della Sardegna e il riconoscimento per Marrubiu e Ottana, di Sin, Siti di interesse nazionale.»

Un tema cruciale quello delle risorse, non solo per i siti industriali. Lo ribadisce l’assessore Gianni Lampis: «La tematica delle bonifiche ambientali laddove sia presente amianto rappresenta una priorità per la Giunta regionale: dopo l’approvazione della ripartizione di 2,3 milioni di euro a favore di Province, Consorzi di Bonifica ed Abbanoa, la Regione ha ottenuto dal Governo 35 milioni di euro per interventi in strutture ospedaliere e scuole. Risorse non sufficienti a esaudire le necessità soprattutto dei privati che oggi vorrebbero intervenire sulle loro proprietà, ma ci rinunciano a causa dei cospicui costi che andrebbero sostenuti».

«Gli ultimi dati – spiega l’assessore Mario  Nieddu – indicano oltre duemila siti censiti in cui sono presenti manufatti in amianto, oltre un migliaio sono edifici pubblici. I provvedimenti adottati dalla giunta dimostrano la massima attenzione da parte della Regione per questa problematica. Quello della prevenzione è per noi un tema centrale. Ho chiesto ai membri della commissione di sostenere a Roma la proposta di scorporare la spesa per la prevenzione dal tetto del 5% del deficit. Una richiesta già avanzata e non inserita nel Patto per la Salute, ma che per noi resta un punto fondamentale: quello di veder riconosciuta la prevenzione come un investimento da parte dei sistemi sanitari regionali.»

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Sono stati ripartiti, tra quarantaquattro enti locali, i 300mila euro stanziati dalla Giunta regionale per lo svolgimento di esercitazioni operative sul rischio idraulico e idrogeologico nell’ambito dei rispettivi piani di protezione civileOltre all’Unione dei Comuni della Marmilla e del Montiferru-Sinis, sono state finanziati i Comuni di La Maddalena, Barisardo, Serrenti, Sassari, Assemini, Oristano, Pula, Monserrato, Olbia, Sorso, Orani, Ales, Isili, Elini, Nuraminis, Orune, Ozieri, San Gavino, Gadoni, Esterzili, Orotelli, Ottana, Macomer, Belvì, Oliena, Villasor, Orgosolo, Alghero, Paulilatino. Quartucciu, Terralba, Bosa, Tortolì, Iglesias, San Nicolò Arcidano, Orosei, Elmas, Golfo Aranci, Siliqua, Urzulei, Talana e Siniscola.

«Vogliamo promuovere le esercitazioni programmate per ottimizzare il sistema regionale di protezione civile, garantendo la sicurezza dei cittadini anche attraverso l’organizzazione di attività di prevenzione, come esercitazioni ed altre attività addestrative e formative che li vedano coinvolti – ha spiegato l’assessore regionale della Difesa dell’Ambiente, Gianni Lampis, che ha la delega in materia di protezione civile -. Le esercitazioni hanno l’obiettivo di testare l’efficienza operativa delle azioni previste nei piani comunali e intercomunali, coinvolgendo ed informando i cittadini sui rischi e sui comportamenti da tenersi in situazioni di emergenza, così da favorire l’eventuale azione di soccorso e mitigare gli effetti dì un evento calamitoso.»

Le esercitazioni servono anche a sperimentare l’efficienza della catena di comando e controllo e le modalità di coordinamento; valutare l’adeguatezza di risorse umane, materiali e mezzi disponibili; coinvolgere le organizzazioni locali di volontariato, i gruppi comunali di protezione civile, le compagnie barracellari e le strutture operative dell’amministrazione locale, regionale e statale; incentivare la predisposizione e/o l’aggiornamento dei Piani di protezione civile; favorire le attività di pianificazione e gestione delle emergenze a livello intercomunale.

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Presso la prestigiosa sede di Palazzo de La Vallèe, a Cagliari, si è svolto ieri l’incontro “Caserme Verdi – per un Esercito all’avanguardia in un Paese moderno, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina; del Generale di Divisione Vasco Angelotti, Capo Dipartimento Infrastrutture dello Stato Maggiore dell’Esercito; del prefetto Lucia Volpe, rappresentante del Governo per la Regione Sardegna; dell’on. Michele Pais, presidente del Consiglio regionale della Sardegna; dell’on. Salvatore Deidda, membro della Commissione Difesa della Camera; del sindaco della città di Cagliari, Paolo Truzzu; del prefetto di Cagliari, Bruno Corda; dell’assessore dell’Ambiente della Regione Sardegna, Gianni Lampis e di numerose altre autorità e qualificati esponenti del mondo universitario, industriale, della ricerca e dei media.

Il Generale di Divisione Vasco Angelotti ha aperto i lavori illustrando i lineamenti progettuali dello “Studio Grandi Infrastrutture – Caserme Verdi”. Successivamente sono intervenuti la prof.ssa Maria Del Zompo, rettore dell’Università degli Studi di Cagliari; la prof.ssa Ing. Donatella Rita Fiorino, professore associato presso la Facoltà di Ingegneria ed Architettura dell’Università di Cagliari; il brigadiere generale Giancarlo Gambardella, direttore della Task Force Dismissioni immobili del ministero della Difesa; la dott. arch. Teresa De Montis, presidente dell’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Cagliari; dell’ing. Giuseppina Vacca, presidente della Fondazione Scuola di Formazione dell’Ordine degli Ingegneri di Cagliari, moderati da Roberta Floris, giornalista televisiva reti Mediaset.

Nel suo intervento conclusivo, il generale Salvatore Farina, ha evidenziato l’importanza di ammodernare il parco infrastrutturale attraverso la realizzazione di basi militari di nuova generazione, che risultino efficienti, funzionali, ispirate a criteri costruttivi innovativi con basso impatto ambientale e ridotti costi di manutenzione, necessari sia per la sicurezza ed il benessere dei soldati che per aumentare l’integrazione sociale attraverso l’apertura di strutture ricreative anche alla popolazione civile residente nelle zone contermini.

Il Capo di SME ha poi sottolineato che «si tratta di un’iniziativa ormai necessaria. Proprio nella consapevolezza della sua importanza, sono sicuro che riusciremo ad arricchire questo nostro progetto operando in modo condiviso con le istituzioni ai vari livelli, con le imprese, con le università e con tutti coloro che credono in questo progetto. Sono cosciente che il percorso intrapreso non sarà né semplice né immediato, ma sono altresì convinto che, con lo sforzo di tutti, col supporto delle istituzioni e del governo riusciremo a portare avanti questo grande progetto a vantaggio di tutto il nostro personale e dell’intera collettività, per fare sempre di più insieme».

Il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, nel suo intervento ha evidenziato come “per il personale dell’Esercito avere degli spazi dove poter svolgere al meglio il proprio lavoro è fondamentale, significa poterlo fare in maniera più serena, e di conseguenza anche la comunità è più serena, poiché siete voi che garantite la nostra sicurezza quotidiana. Cagliari ha una storia profonda con le Forze Armate, e da primo cittadino dico che grazie alla valenza di questo progetto la città di Cagliari ha avuto in questi anni la possibilità di accogliere tanti sardi che sono ritornati nel proprio territorio, e quindi mi piace poter dire che a tutte queste persone Cagliari non solo tende la mano ma allarga le proprie braccia e li accoglie con amore“.

L’idea di aprire le porte delle caserme ha inoltre una forte componente simbolica, cioè quella di mettere a disposizione della cittadinanza luoghi che fino a poco tempo prima venivano considerati chiusi e inaccessibili.

Lo “Studio Grandi Infrastrutture – Caserme Verdi” coinvolge al momento 28 caserme dislocate su tutto il territorio nazionale e prevede cinque diverse aree funzionali: area comando, addestrativa, logistica, sportiva ricreativa, alloggiativa. Il progetto, partendo da inderogabili necessità di sicurezza e benessere del personale – inteso sia come persona sia come soldato che rappresenta un’importante risorsa operativa da addestrare e rendere efficiente – è stato sviluppato su direttrici quali rispetto dell’ambiente, bassi consumi energetici, e basso impatto finanziario con indiscutibili ricadute sul tessuto economico e sociale delle aree interessate prossime alle caserme.

Attualmente lo “Studio Grandi Infrastrutture – Caserme Verdi” vede coinvolte 28 caserme, dislocate su tutto il territorio nazionale.

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Il presidente della Regione, Christian Solinas, è intervenuto stamane alla firma del contratto con cui Ats ha affidato alla società Inso, aggiudicataria dell’appalto, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori per la realizzazione del nuovo ospedale di San Gavino Monreale. All’incontro, che si è tenuto questa mattina a Cagliari, hanno partecipato gli assessori regionali della Sanità, Mario Nieddu, e della Difesa dell’ambiente, Gianni Lampis, unico esponente del Medio Campidano nella Giunta Solinas, il commissario straordinario di Ats, Giorgio Steri, il sindaco di San Gavino Monreale, Carlo Tomasi, ed il direttore dell’attuale nosocomio, Sergio Pili.

«Stiamo mantenendo gli impegni con il territorio – ha detto Christian Solinas –. I sardi devono poter ricevere le cure in strutture moderne e adeguate. San Gavino Monreale e il Medio Campidano attendono da tempo risposte e oggi diamo un segnale forte a tutta la Sardegna.»

«Abbiamo compiuto un passo fondamentale per la realizzazione di un’opera necessaria per il Medio Campidano e di grande importanza per tutte le aree circostanti – ha aggiunto l’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu -. Una struttura sanitaria moderna concepita sugli attuali modelli per intensità di cure ed assistenza.»

La struttura, finanziata per 68 milioni di euro, sorgerà in un’area attigua al vecchio ospedale e avrà uno sviluppo in prevalenza orizzontale. Fra le caratteristiche principali, la suddivisione in tre blocchi: il blocco centrale, a corte, adibito alle degenze, e due fabbricati ‘di testata’ in cui troveranno posto, rispettivamente, la piastra tecnologica e l’accoglienza. Distaccati dall’ospedale, invece, gli edifici che ospiteranno l’asilo nido e la Centrale tecnologica.

La struttura ospedaliera è concepita in modo da destinare ai servizi diurni le aree più vicine all’accettazione e accoglienza, riservando la Piastra tecnologica ai servizi di diagnosi e cura a maggiore intensità.

«Ora lavoreremo affinché l’opera vada avanti senza ulteriori ritardi. La Sardegna ha bisogno di nuovi ospedali. Si spendono risorse importanti per la manutenzione di strutture vecchie e ormai obsolete per i moderni criteri di organizzazione sanitaria. Per essere efficiente la sanità ha bisogno anche di strutture adeguate ed il nuovo ospedale di San Gavino sarà in grado di dare risposte in termini di qualità dei servizi e delle cure», ha spiegato l’assessore della Sanità.

«Una battaglia – ha concluso l’assessore regionale dell’Ambiente, Gianni Lampis – lunga oltre vent’anni. Era il 1997 quando fu stilata la prima relazione in cui si rappresentava l’esigenza di dare al territorio del Medio Campidano una nuova struttura ospedaliera. Amministratori locali, organizzazioni sindacali e i cittadini oggi possono festeggiare insieme alla politica regionale la vera discontinuità rispetto al passato: dopo tante illusioni sono arrivati i fatti.»