28 April, 2024
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Può iniziare il processo canonico diocesano per la beatificazione di don Antonio Loi, sacerdote originario di Decimoputzu, morto nel 1965. Lo ha stabilito la Conferenza episcopale sarda, su proposta dell’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, nel corso dell’ultima assemblea, svoltasi il 17 e 18 ottobre scorsi.

Promotore della causa è il Seminario regionale sardo, di cui don Loi fu alunno nella seconda metà degli anni ’50. L’iter è affidato al Tribunale ecclesiastico di Cagliari, presieduto da don Luca Venturelli, e il ruolo di postulatore per la fase diocesana sarà ricoperto da don Fabrizio Deidda.

«Che io sia, o Gesù, sacerdote secondo il tuo Cuore». L’aveva scritto don Antonio Loi, ancora giovanissimo, tra i suoi appunti. Poche parole, ma forti e significative, che avrebbero segnato la sua vita, interamente dedicata al sacerdozio e alla santità.

Antonio Loi nacque a Decimoputzu il 6 dicembre 1936. Ancora alle elementari, espresse chiaramente la sua vocazione di diventare sacerdote. A tredici anni entrò nel Seminario di Iglesias e nel 1954 nel Seminario regionale di Cuglieri dove proseguì gli studi e si impegnò in numerose attività, ponendosi sempre a servizio degli altri. Sette anni dopo, era il mese di febbraio, ebbe inizio il suo calvario. Operato alle tonsille e più volte ricoverato, solo due anni più tardi gli fu diagnosticato il male che lo affliggeva: linfogranuloma maligno, incurabile, mortale. Antonio si affidò completamente a Dio ed il suo desiderio più grande, nonostante le difficoltà nel proseguire gli studi, rimase il diventare sacerdote. Giovanni Pirastru, suo vescovo, inoltrò la richiesta a Roma per la dispensa da parte della competente Congregazione vaticana. La risposta di Paolo VI si fece attendere solo qualche settimana: il 21 settembre 1963, Antonio Loi divenne sacerdote e due giorni dopo celebrò la sua prima messa nel suo paese natale.

La sua missione e l’offerta di se stesso, tra continue sofferenze e ricoveri, durarono venti mesi. «Sento il desiderio prepotente – scrisse nel suo diario – di saltare giù dal letto per correre a salvare tante anime, devo lavorare fino all’esaurimento di me stesso». E così avvenne, arrivando a celebrare messa stando seduto sul letto.

Una mattina di fine maggio del 1965 chiamò attorno al letto i suoi cari e li confortò, parlando loro di ciò che sarebbe avvenuto di lì a breve. Gli fu amministrata l’Unzione degli Infermi. A mezzogiorno esclamò: «Cantiamo insieme». E don Antonio, sul letto di morte, distrutto dal tumore, a 28 anni, intonò il canto del Te Deum. Benedisse tutti i presenti, che recitavano il rosario. Al «Gloria» dell’ultimo mistero glorioso, don Antonio tornò alla casa del Padre. Erano le 17.00 del 29 maggio 1965.

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suor teresa tambelli

Venerdì otto luglio 2016 la Congregazione per le Cause dei Santi ha dato il nulla osta all’apertura della causa di beatificazione di suor Teresa Tambelli, Figlia della Carità, protagonista dal 1907 al 1964, nell’Asilo della Marina, della vita religiosa cagliaritana.

L’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, dopo aver informato lo scorso mese di febbraio la Conferenza Episcopale Sarda della sua volontà di avviare questo nuovo percorso canonico, aveva  presentato la richiesta ufficiale alla Congregazione per le Cause dei Santi, che ieri l’altro ha risposto positivamente.

Da questo momento tutto ciò che direttamente e indirettamente riguarda suor Tambelli sarà di esclusiva competenza di un apposito “Tribunale”, presieduto da don Luca Venturelli, che guiderà il processo cognizionale diocesano sulla vita e le virtù della suora che prese il posto della beata suor Giuseppina Nicoli nell’opera caritativa a favore non solo dei “marianelli”, ma anche di  migliaia di poveri cagliaritani.

Suor Teresa Tambelli, sesta di sette figli,  nasce a Revere, provincia di Mantova, il 17 gennaio 1884 . Dopo il diploma, a 18 anni entra tra le Figlie della Carità di Torino. A 23 anni è inviata in Sardegna, a Cagliari, all’Asilo della Marina dove nel 1914 arriva Suor Nicoli che diviene la sua nuova superiora. Alla morte della suora dei “piccioccus de crobi”, il 31 dicembre 1924, suor Teresa ne prosegue l’opera di carità nei confronti dei poveri di tutta la città. Con le  suore assiste gli abitanti del Lazzaretto di Sant’Elia, di Palabanda, Is Mirrionis, Monte Urpinu.

Tra il 1940-43 apre l’Asilo della Marina agli sfollati e dopo il ’43, con la Comunità, è costretta a sfollare a Uras per un breve periodo. Muore il 23 febbraio 1964. Migliaia di persone partecipano al suo funerale, soprattutto  povere.