3 June, 2023
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L’impugnazione del DPCM da parte della Regione, fuor di fantasia o posizionamento politico, non è solo dovuto ma è anche coerente con quanto emerso da quello che, per quanto si sa, è stato, l’unico reale momento di confronto Regione, Istituzioni locali direttamente interessate e Parti sociali. Confronto che ha prodotto un documento consegnato al ministro e al Governo. I quali hanno proceduto senza tenere in minimo conto il suo contenuto, a partire dal convocare la Regione e tutte le Parti, per il giusto, dovuto e democratico confronto.
Da quei giorni c’è stata solamente un’unica variazione che, in tutta evidenza, peggiora lo stato degli eventuali costi benefici del sistema del Gas e delle conseguenze sociali. Cioè l’aggiudicazione da parte di Enel, di 545 MW di accumulo (batterie), all’asta cosiddetta “Capacity Market” di TERNA, con la Società di gestione della Rete Elettrica che ha così ratificato il superamento delle centrali a Gas (in luogo di quelle a carbone) previste precedentemente per garantire la parte dell’energia programmabile.
Lo dico per un amico/a…, che è uno/a dei circa mille200 lavoratori /lavoratrici (diretti, appalti, indotto) che perderanno il lavoro nel Sulcis Iglesiente con la chiusura della Centrale Grazia Deledda, a fronte di una cinquantina di occupati derivanti dal piano del DPCM. Un DPCM che invece dovrebbe occuparsi di impostare e programmare, di concerto e condivisione con i Territori, vere occasioni per nuovo Lavoro compensativo.
Un Decreto impositivo, conseguente a fisime ed errori, soprattutto, di una forza politica nella prima parte di questa legislatura; di bruttissimo sapore Coloniale; che porta con sé ulteriori discriminazioni, perché tratta in modalità totalmente diverse la Sardegna, il nostro territorio, in particolare con l’assurda, sciagurata, pericolosa imposizione del posizionamento di una nave industria, stoccaggio e rigassificazione di GNL, nel piccolo porto di Portovesme, rispetto alle altre 2 identiche presenti in Italia.
Navi industria che non per caso stanno a 15 km dalla costa di Rovigo nell’Adriatico, e a 22 km nel Tirreno davanti a Livorno.
Infine, per chi ancora oggi e nonostante ogni evidenza, ripete il ritornello che la vede quale unica soluzione per il riavvio di una produzione, dovrebbe bastare un banalissimo esercizio di onestà intellettuale, raffrontando l’ipotetico massimo utilizzo di quel preziosissimo combustibile (che per quanto si sente sarebbe di 21mila metri cubi anno, con l’aggravante dell’alto costo, che pare resterà tale per molto molto tempo e difficilmente consentirà la sostenibilità economica della produzione…) e la dimensione della “bomba”, pardon FSRU da 130mila metri cubi di stoccaggio. Facendolo, arriverebbe alla semplice conclusione che il tutto si può fare più facilmente, con minore impatto, limitazioni e in tempi brevissimi, con un piccolo ed accettato deposito costiero.
In quel porto e tutto intorno, si dovrebbe avere l’intelligenza, il coraggio e la determinazione di far nascere davvero la diversificazione economico produttiva, in chiave tecnologica e sostenibilità ambientale, del nuovo millennio!
I progetti, dalla filiera della grande nautica a quelli importantissimi della riconversione della Carbosulcis, devono poter vedere affiancate altre realistiche e necessarie occasioni che il territorio ha, senza nessun condizionale, il diritto di avere!
Roberto Puddu
Ex segretario generale della Camera del Lavoro CGIl del Sulcis Iglesiente

Franco Bardi, 56 anni, di Portoscuso, è il nuovo segretario della Camera del Lavoro della Sardegna Sud Occidentale. E’ stato eletto con 48 voti su 51 votanti. Subentra ad Antonello Congiu, con il quale collaborava già da 4 anni come componente di segreteria, a sua volta era subentrato a Roberto Puddu che aveva concluso la sua esperienza durata 8 anni esattamente il 16 marzo 2018.

Tesserato Fiom dal 1984, Franco Bardi è stato segretario territoriale della stessa categoria per due mandati prima di passare all’esperienza confederale.

«E’ una responsabilità importante, soprattutto, per il difficile momento che il territorio sta attraversando», ha detto subito dopo l’elezione all’assemblea generale, riunita a Iglesias con la partecipazione del segretario Cgil Sardegna Samuele Piddiu e della segretaria regionale Caterina Cocco.

Nelle sue parole, il riferimento alle questioni energetiche ed industriali ma anche alla crisi sanitaria e ai suoi drammatici riflessi sociali ed economici. Fra i punti programmatici del suo mandato, «l’unità sindacale come valore aggiunto dell’azione sindacale da ricercare in tutti i modi», ha aggiunto Franco Bardi annunciando che, sin da subito, chiamerà i colleghi di Cisl e Uil per costruire un percorso unitario con l’obiettivo di affrontare le tante vertenze aperte.

Sul fronte interno invece, il neo eletto segretario dovrà portare a compimento l’unificazione, avviata dal suo predecessore, delle due Camere del Lavoro del Medio Campidano e del Sulcis Iglesiente.

Insistere nel dire e scrivere di voler andare (e rientrare…) su Marte non è diverso dal dire e scrivere che si vuole una FSRU dentro il Porto Civile e Commerciale a Portovesme. Per tutti, nessuno escluso, parlare sapendo di cosa si sta parlando è una delle condizioni fondamentali del confronto. Ovviamente oltre agli altri temi che sono da tenere nella dovuta considerazione a partire dalle disponibilità e indisponibilità delle comunità locali, fino alle logiche che non possono vedere un territorio del nostro Paese essere trattato diversamente in funzione della sua collocazione geografica, disperazione, e o pretese, come l’andare su Marte, di singoli, per quanto importantissimi, rispetto alla collettività. Infine, il tutto aggravato, sul merito materiale, dalla questione della lunga e non facile tempistica, insieme a tutti gli aspetti di sostenibilità e sicurezza, per la quale risulta utile l’esperienza toscana. Cosa che in quel di Portovesme ha una decisiva aggravante nella questione materiale, logistica e, infine, la decretazione di Area Ad Alto Rischio di Crisi Ambientale.

Il tempo non è decisamente una variabile indipendente (e qui si tratta di lustri), per quanto riguarda i processi autorizzativi quanto quelli materiali per un “lavoretto” non da poco da effettuarsi nel porto definibile “urbano”. La si può narrare come si vuole, con voce più o meno grossa, ma su Marte non ci si arriva e in ogni caso non impedirebbe l’ulteriore ecatombe occupazionale. Aspetto, quest’ultimo sul quale non c’è una voce una che sia discordante! E allora non sarebbe bene guardare in faccia la realtà, avanzando proposte concretamente percorribili, peraltro non inventando niente di nuovo ma anzi chiedendo di rendere esigibili accordi già ampiamente “lavorati”, condivisi, stabiliti, finanziati e sottoscritti dalla stragrande rappresentanza istituzionale, datoriale e sociale? Accordi magari da integrare con proposte e rivendicazioni altrettanto serie, sostenibili e concrete di investimenti per creare produzioni utili, anzi di più, necessarie e richieste in questo tempo. Cioè sostenibili ambientalmente, economicamente e socialmente! Perché delle due l’una: o si è davvero convinti di arrivare in “porto” in barba a tutto e tutti (il che denota una spudorata convinzione di prepotente supponenza); oppure siamo alla solita, semplice e conosciuta ricerca del “capro espiatorio” sul quale scaricare la responsabilità di non poter partire per il pianeta rosso. Sapendo che entrambe non fanno parte della storia del nostro territorio e che oggi sono fuori da ogni contesto internazionale.

Roberto Puddu

Ex segretario Camera del Lavoro CGIL Sulcis Iglesiente

La chiamavano “Primavera del 1906”, solo che oltre alla fioritura stagionale crescevano i morti ammazzati per la repressione delle lotte contro il “Caro Pane”. In 12 caddero fra Cagliari (2), Villasalto (5), Gonnesa e Nebida. Nel Sulcis persero la vita in 5: 3 a Gonnesa fra i quali una donna e 2 a Nebida. Persone che lottavano per la sopravvivenza delle famiglie perché con i salari per 12 ore di lavoro, che è il caso di ricordare erano di 2/3 lire per gli Op. Specializzati; 1.60/ 2 lire per i Manovali; 0.60/1 lira per Donne e Ragazzi, dai quali venivano decurtati affitto casa, servizio sanitario, strumenti di lavoro, l’usura degli stessi, oltre a debiti vari rispetto alla fantasia e servizi del datore di lavoro. Redditi con i quali era praticamente impossibile sfamare la famiglia, con il pane che costava 0.30 lire, la pasta 0.60, il formaggio 2 lire e la carne 1.65.

In più vigeva la formula dei ghignoni o buoni spesa, che imponevano di fatto l’acquisto dei generi di prima necessità nei negozi dei padroni delle Miniere che imponevano prezzi più alti e merci più scarse.

Da qui la significativa poesia di Salvatore Poddighe: «Cosa ha inventato il ricco furbone per operare il furto perfetto? Apre di alimentari una rivendita e vende a credito e in contanti. Incassa il salario del Lavoratore e pure gli interessi perché è il Gestore. Gestisce a meraviglia i suoi affari, paga il salario con gli alimentari».

Nel mese successivo, precisamente il 29 giugno del 1906 nasce la CGIL. 40 anni dopo e due guerre mondiali, si avvia il processo che porta alla scrittura della Carta Fondamentale dello Stato e non è certo un caso se a definirla ci sono tutte le forze politiche e del sindacato che trae forti origini dalle lotte organizzate e dai martiri del nostro territorio.

Ce ne sono voluti altri 24 per ottenere i diritti di cittadinanza anche all’interno dei posti di lavoro, con l’approvazione della Legge 300. Lo Statuto dei lavoratori frutto di mille battaglie che partono dal nostro territorio che oggi più che mai, come la nostra Costituzione, bisogna difendere perché per gli attacchi ai diritti non si usa più il fucile ma ben altre e più infide pratiche politiche.

Onorare queste ricorrenze e tramandarle nel tempo è sempre più importante, perché la storia e i fatti insegnano che niente è conquistato per sempre e soprattutto perché la loro morte rimanga ad alto riconoscimento e monito, del loro sacrificio contro i soprusi; ma anche ad esempio dell’impegno, rischi, fatica e dell’unità da profondere per gli interessi collettivi, del Bene Comune e di quello di ogni individuo: Uomo, Donna, Ragazzi e Anziani.

Onore ieri, oggi, domani e sempre a Federica Pilloni, Antonio Puddu e Giovanni Pili di Gonnesa; Carlo Lecca, Efisio Ariu di Nebida.

Roberto Puddu

Scusa Matteo. Scusate Lavoratrici e Lavoratori. Scusa anche Tu Nuraghe Sirai e insieme a te anche gli altri siti storici, culturali, ambientali, miniere dismesse da tutelare, bonificare e altre in riconversione, come la Carbosulcis e i suoi Lavoratori e Lavoratrici, che ieri hanno dato un forte segnale alle Istituzioni deputate.
Lo so, le mie scuse, visto che non ricopro nessun ruolo pubblico o associativo, servono a poco.
Ma ve le porgo lo stesso anche in luogo di chi, ad ogni livello, latitudine e longitudine, non ha prodotto niente perché ciò non accadesse, ma soprattutto perché so che anche tutti noi abbiamo la nostra parte di responsabilità seppure indiretta.
Ve le porgo anche a nome di quelli e quelle che non conoscono il sentimento della vergogna sulla propria iperinattività, sulla mancanza di volontà, impegno, passione, fatica, che voi invece conoscete bene praticandole tutte tra le mille difficoltà quotidiane. Scusate tutti… ma per favore non demordete perché niente è perduto per sempre. Quelle “piccole” persone passano, altri e altro, come i Nuraghi, rimangono e per questo occorre resistere sempre!

Roberto Puddu

Ci sono tanti motivi per ricordare l’impegno di Maria Marongiu nella sua attività politica, istituzionale e sociale. Io ne ho impresso uno nella memoria e riguarda il completamento del percorso a ricordo del compianto Sergio Usai, con l’intitolazione della Piazza antistante la Grande Miniera di Serbariu. Ed è con questo che la voglio ricordare. Lei, come ha detto in quell’occasione per Sergio, «fa parte della storia di Carbonia, una parte significativa che non si deve mai dimenticare».
Ciao Maria, che questa nostra amata terra ti sia Lieve.
Roberto Puddu

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Per il Sulcis Iglesiente Maggio è un mese di ricorrenze di grandissima rilevanza per quanto riguarda avvenimenti che hanno tracciato la sua Storia e insieme anche il ricordo di Grandi Uomini e donne, lavoratori, lavoratrici, attivisti sindacali e politici che hanno avuto un ruolo che rimane indelebile nel tempo.

Il 7 maggio del 2006 la prematura scomparsa di Sergio Usai, amatissimo ex segretario generale CGIL Sulcis Iglesiente, in un tragico incidente che con lui ha portato via un imprenditore di Carbonia, Carlo Cancedda.

Un fatto recente che anticipa di pochi giorni il ricordo dei Moti di Iglesias dell’11 maggio del 1920, con 5 minatori Raffaele Serrau, Pietro Castangia, Emmanuele Cocco, Attilio Orrù, Efisio Madeddu, Salvatore Melas e Vittorio Collu, uccisi nella piazza del Municipio ad opera delle forze dell’ordine, chiamate dai Padroni delle miniere per sedare la rivolta in atto per migliori condizioni di lavoro e per una vita più dignitosa. Fatti terribili, di cui quest’anno ricorre il centenario che è stato fortemente limitato nelle celebrazioni, per la situazione di lockdown dovuto alla Pandemia.

Si prosegue con i moti di Gonnesa e Nebida del 1920, che nel 1970 corrisponde all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, e il 21 maggio del 1906, dove a capo della rivolta popolare c’era una donna, nei quali per la lotta del caropane persero la vita Federica Pilloni, Giovanni Pili, Angelo Puddu, Efisio Ariu e Carlo Lecca.

Infine, il 30 maggio del 2014, la scomparsa dopo una lunga e debilitante malattia, dell’on.le Daverio Giovannetti.

Per molti di noi “Su segretariu”, per il suo lunghissimo operato prima nella Federazione dei Minatori, di cui è stato segretario generale dal 1958 al 1964, quando ha assunto il ruolo di segretario generale della Camera del Lavoro della provincia di Cagliari (che aveva sede ad Iglesias), fino al 1968, per poi essere eletto nel 1970 (ed il 20 maggio di quell’anno ricorre la nascita dello Statuto dei Lavoratori), segretario generale della CGIL della Sardegna. Incarico che ha lasciato per la candidatura alle elezioni politiche nel 1972, nelle quali è stato eletto senatore della Repubblica nelle file del PCI. Ruolo nel quale è stato poi rieletto per altre 2 legislature, terminando quell’esperienza istituzionale nel 1983.

Della sua lunga attività prima nel sindacato e poi al Senato, rimangono tantissimi passaggi memorabili che possono essere riassunti nella sua grande determinazione e nel suo  operato negli anni delle durissime lotte per la dignità di lavoratrici e lavoratori nel luogo di lavoro; dell’equità del salario; per la salvaguardia del settore minerario; il periodo caldissimo della fine di quel ciclo con l’avvento dell’industria e, infine, l’inizio della sua crisi.

Un Uomo che ha vissuto 70 anni di lotte; la Guerra; gli sfruttamenti; le repressioni; la liberazione; la rinascita ed i cambiamenti fra il privato, il pubblico e viceversa; il Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio e tanto, davvero tanto altro. Con soddisfazioni, rammarichi, anche delusioni, di cui ha lasciato traccia con i risultati e con i suoi scritti.

Nella sua carriera ha incrociato grandi uomini e donne, minatori, tecnici, titolari di società, sindacalisti, politici, rappresentanti delle istituzioni.

Per tutti, credo sia il caso di citare Luciano Lama, per il forte legame, per lo stesso anno, il 1970, della loro elezione, Giovannetti segretario generale regionale, Lama segretario generale nazionale, perché anche lui è stato eletto senatore e, infine, perché ci ha lasciato nel mese di maggio: precisamente il 31/05/1996.

“Su Segretariu” ha pubblicato 3 libri che narrano parte di quella storia, che rispondono a quanto hanno scritto di lui e su quei fatti, altri sindacalisti, studiosi, storici, giornalisti, come Marco Corrias (coadiuvato da Franco Farci) nel suo “Pozzo Zimmerman”, nel quale racconta fin nei particolari l’inusuale battaglia dei minatori che occuparono il Municipio di Fluminimaggiore, trattenendo forzatamente 2 sindacalisti arrivati da Iglesias, il Sindaco, il Prete ed il già senatore Daverio Giovannetti: «Un personaggio noto a Flumini (…) perché molti anni prima era stato minatore e sindacalista. E che sindacalista. Una specie di leggenda vivente (…) intelligente e intransigente, sempre primo nelle battaglie più difficili con i dirigenti che avevano nei suoi confronti un misto di paura e rispetto. Il senatore non riusciva a capacitarsi che gli operai, figli di compagni di tante battaglie lo volessero rinchiudere in una stanza insieme». 

Tentava di andare via e la sua mole quasi glielo permetteva, fino a che alcuni gli urlarono «non ti dimenticare Daverio Giovannetti, che i minatori ti hanno comprato le scarpe perché tu potessi fare il sindacalista, quando venivi a piedi a Montevecchio». Non si sa se fu quella frase ma il Senatore rientrò nella stanza e ci resto fino alla fine della vertenza che, anche grazie al suo contributo, ebbe un esito positivo.

Da sindacalista e da segretario, come ricordato da Marco Corrias (oggi sindaco di Fluminimaggiore), era più che rispettato sia dalle controparti che dai vertici della CGIL nazionale, per la sua capacità nella trattativa, nell’organizzazione delle rivendicazioni e mobilitazioni che non si fermavano certo al contingente ma che badavano alla costruzione di politiche di lungo periodo e nel guardare in faccia la realtà delle cose. A partire dal fatto «che le miniere si esauriscono, hanno una fine, i giacimenti non si ricostituiscono ed i minerali, una volta strappati alla terra, non si riproducono», come scrive nel suo libro “E le sirene smisero di suonare”.  Un libro da leggere e rileggere per capire meglio l’epoca in cui ha operato il Giovannetti sindacalista ed il Giovannetti senatore. Con i colleghi onorevoli che, non a caso, l’avevano ribattezzato “il Minatore d’Italia”.

Un libro, scritto nel periodo in cui era già colpito dalla malattia e che contiene, dunque, ancora più sofferenza nel raccontare le vicissitudini di 70 anni di lotte, analisi, produzione sindacale e politica nel quale ricorda, orgogliosamente, come la battaglia per l’eliminazione delle gabbie salariali partì, fu pensata ed organizzata proprio dalla CGIL della Sardegna. E ricorda bene «la paradossale ostilità della FIOM di Bruno Trentin, perché convinta che la sua eliminazione avrebbe creato scompensi con gli industriali che non avrebbero più investito nel mezzogiorno, come se lo avessero fatto fino a quel momento».

Una lotta della Sardegna principalmente mineraria, che fece strada con scioperi regionali e conquistando i primi accordi, che poi si estese e pian piano diventò di tutti a seguito di un altro forte episodio, che avvenne in un convegno organizzato dalla CGIL a Napoli, per discutere sulle sue strutture meridionali.

Il clima era teso perché non vi era grande convinzione sul portare avanti quella rivendicazione, finché in quella tribuna «un rappresentante della Sardegna dichiarò, che se non veniva presa una forte decisione, nell’Isola si sarebbe dovuto dar ragione a chi sosteneva che la CGIL non comprendeva il problema perché il più meridionale della segreteria nazionale era bolognese». Fu una dichiarazione pesante e certamente ingenerosa, quanto provocatoria, ma fu utile perché provocò la giusta scossa e da quella riunione scaturì la decisione di iniziative nazionali di lotta che poi portarono il risultato rivendicato.

Ma “Su segretariu ” nato e cresciuto nelle grandi lotte del settore minerario che lo hanno permeato nella sua lunga attività, ha utilizzato questa sua formazione per ragionare nei termini generali sul lavoro, sui diritti, sulla dignità, sui temi dello sviluppo equilibrato fra i vari settori dell’economia. E, allo stesso tempo, attento cultore dei processi innovativi, nelle produzioni, nella politica e nella cultura. Il tutto, con una verve critica sul capitalismo quanto sul privato e ancora di più sul pubblico.

Ci ha lasciato 6 anni ad oggi, ma chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, sia direttamente che nei racconti dei compagni, dei colleghi, dei suoi famigliari e dei suoi libri, sa bene che il suo lavoro e il suo pensiero, testardo ma sempre propenso al confronto, all’innovazione e rispettoso delle diverse opinioni, è un patrimonio di tutti gli uomini e le donne del Sulcis Iglesiente, della Sardegna e del Paese.

Roberto Puddu

 

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Sono state ricordate stamane, a Gonnesa, nel corso di una breve cerimonia, le vittime della rivolta popolare del mese di maggio 1906. Alla presenza dei sindaci di Gonnesa Hansel Cristian Cabiddu, Iglesias Mauro Usai e Buggerru Laura Cappelli, e del presidente del Consiglio comunale di Iglesias, Daniele Reginali, è stata deposta una corona d’alloro, benedetta dal parroco del paese, davanti alla lapide sistemata all’esterno del Municipio, il 23 maggio 1976, in occasione della celebrazione del 70°, nella quale si legge: «1906-1976, nel 70° anniversario Gonnesa operaia dedica a quanti tra i suoi figli pagarono con la vita o la perdita della libertà. La conquista di migliori e più umane condizioni di vita e di lavoro. Gonnesa, addì 23 maggio 1976». Erano presenti anche il segretario generale della CGIL della Sardegna Sud Occidentale Antonello Congiu, il segretario della Filctem CGIL Emanuele Madeddu, Franco Bardi della Fiom CGIL e l’ex segretario della Camera del Lavoro del Sulcis Iglesiente, Roberto Puddu.

«La rivolta fu la prima presa di coscienza dello sfruttamento cui era sottoposta la classe lavoratrice sarda. I primi minatori lavoravano in condizioni gravissime che rasentavano la schiavitù: il lavoro era continuo e logorante, molto pericoloso e sottopagato. Mancava qualsiasi forma di assistenza sociale e previdenziale da parte dello stato e il lavoratore con la misera paga non era in grado di sfamare la propria famiglia. L’operaio, inoltre, era legato all’azienda da un vincolo che prese il nome di “Ghignione”. Questo era un buono acquisto di cui si poteva usufruire soltanto nello spaccio dell’industria, che vendeva a prezzi più alti dei negozi le merce scadente. Queste condizioni portarono scontenti e malumori che sfociarono nella rivolta del maggio del 1906. La rivolta fu spontanea e dettata da fame e disperazione: i dimostranti chiedevano l’intervento del sindaco sul caro-viveri, dazio e tasse comunali. Dopo aver incendiato la cantina e l’ufficio del dazio, da Gonnesa, la manifestazione si diresse verso Bacu Abis e Nebida. L’epilogo fu tragico: i carabinieri arrivati da Iglesias spararono sulla folla. A Nebida ci furono due morti e quindici feriti, a Gonnesa tre morti e diciassette feriti. Oggi il 20 maggio, a Gonnesa, è festa civile.»

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Per l’ex presidente della BCE Jean-Claude Trichet, intervistato da Serena Bortone su Rai 3 il 21 aprile, quella che staturisce dalla Pandemia Covid-19 è senza ombra di dubbio “La più Grande Crisi Economica dell’Umanità”. Una catastrofe economica che riguarda tutti i Paesi del mondo, che va oltre quella del 2009 e delle  crisi successive alle due guerre mondiali, di cui, la seconda, è stata per gran parte conseguente alla più pesante crisi del 1929.

«Una crisi che al momento differisce dalle precedenti per la regolazione e l’iniezione di liquidità da parte degli Stati, dalle loro aggregazioni politiche, istituzionali, economiche e finanziarie». E sottolinea, “al momento”, perché la crisi è appena iniziata e non si può neanche immaginare fino a dove si può spingere; una crisi che per essere contrastata non ammette divisioni, fughe, né protezioni nazionaliste, perché sarà molto dura e lunga e se ne potrà uscire solo se si sarà capaci di capire e di agire con vedute comuni e iniziative solidaristiche, che non possono che essere degli uni verso gli altri. Infine, per sintetizzare il pensiero dell’esperto di economia, una crisi che avrà bisogno che tutti capiscano che non si potrà caricare l’onere della ricostruzione su qualche classe sociale ma che ognuno dei cittadini del mondo dovrà fare la propria parte secondo la propria possibilità. Nella sua lucidissima analisi richiama certamente i fondamenti della Rivoluzione Francese “Libertè Egalitè Fraternitè”, ma anche i dettati costituzionali di molti Paesi sulla proporzionalità e progressività della partecipazione ai costi pubblici sia correnti che per gli investimenti e ancor più per le catastrofi come l’attuale. Infine, a proposito di ricorsi storici e per evidenziare meglio la gravità della situazione, richiama le parole di Winston Churchill dicendo che «saranno lacrime, sudore e sangue».

Il sangue materiale è riportato dai numeri dei morti per la pandemia in ogni parte del mondo che ad oggi ammontano a 183.470 e che aumentano di migliaia di persone ogni giorno. Quello economico e sociale invece è già rappresentato dalla chiusura di milioni di luoghi di produzione e dalla perdita di milioni di posti di lavoro. Con riflessi gravissimi che nell’immediato sono ben evidenziati dal prezzo del petrolio che è precipitato fino allo zero, perché i depositi sono pieni e non si sa più dove stoccarlo. C’è poi il surplus delle commodities che spaziano dall’estrazione delle materie prime a quelle delle produzioni primarie di metalli ferrosi e non ferrosi. Le quali non hanno interrotto la produzione, diversamente dai beni derivati, con la conseguenza che «parte dell’eccesso di offerta è già visibile nei magazzini monitorati dallo Shanghai Futures Exchange, dove le scorte sono rapidamente salite ad oltre 528.000 tonnellate contro le 189.000 di inizio anno; mentre nei magazzini London Metal Exchange le scorte di alluminio ammontano ad 1,13 milioni di tonnellate, in crescita di oltre il 10% rispetto a metà marzo».

Magazzini monitorati dalla ShFE e LME, dunque, strapieni per il non utilizzo dei metalli causata dal blocco delle produzioni a partire dall’Automotive. Ma con la loro produzione che non si è fermata per alcuni semplici motivi: il primo perché non hanno bisogno (come il petrolio) di depositi/serbatori per essere stoccati; il secondo per gli elevatissimi costi della ripartenza degli stabilimenti. Per questo nel mondo e soprattutto in Cina, dove ad esempio si utilizza il 52% del totale dell’alluminio prodotto nel mondo, si è preferito continuare a produrre in perdita fino al 40%, con questo valore peraltro mitigato dal crollo dei combustibili necessari per produrre l’energia per l’elettrolisi.

Una situazione che seppure ha già portato alla riduzione di circa ¼ della quotazione dell’alluminio (ma anche degli altri metalli) evidentemente sposterà in avanti il grandissimo problema dell’accumulo che le Società di analisi dei mercati e di Ricerca, dall’International Aluminum Institute, la Wood Mackenzie e la CRU, prevedono in «un surplus che spazia dai 2 ai 4 milioni di tonnellate nel corso del 2020, con una contrazione della domanda pari al 7,9%»

Situazione che per il responsabile della Wood Mackenzie, porta a prevedere che «prima che le fonderie prendano in considerazione una chiusura, i prezzi dovranno rimanere bassi per molto tempo, ma prima tenteranno di ridurre i costi, ad esempio sospendendo la manutenzione degli impianti» (con tutto ciò che ne consegue per gli stessi impianti e l’occupazione) e aggiunge, «che avremo delle interruzioni della produzione già quest’anno, ma il grosso avverrà nell’anno successivo e la maggior parte delle fermate saranno concentrate in Cina, dove la maggior parte dei produttori sta perdendo denaro».

Detto questo veniamo a noi, tenendo però conto che quelle dinamiche mondiali si inseriscono nel quadro europeo. E ancora di più in quello del nostro Paese che non ha certo i fondamentali fra i migliori rispetto agli altri Stati del vecchio continente: per il suo noto debito pubblico; per il tasso di crescita vicino allo zero; per il fatto che è il più colpito dalla pandemia in termini contagiati e di vittime; per la netta quanto anacronistica divisione politica e infine per le conseguenti pesantissime ripercussioni economiche, produttive e sociali derivanti dalle misure di contrasto al virus.

Prima che scoppiasse il Covid-19, il Governo italiano ha deciso di andare incontro alle direttive della UE, in merito agli obiettivi di efficientamento energetico e riduzione di emissioni di gas clima alteranti.

Lo ha fatto con l’invio (il 21 gennaio 2020)  alla Commissione europea del proprio PNIEC (piano Nazionale italiano energia e clima) che esso stesso definisce “molto ambizioso” in  ogni sua parte. Un Piano che, fra le altre misure sempre ambiziose di efficientamento energetico urbano, dei trasporti, nell’automotive, nell’intensità energetica delle produzioni di energia e industriali, prevede la rimodulazione del mix energetico: con la messa al bando del carbone a partire dal 2025 (che per noi del Sulcis comporta la perdita secca di 1200 buste paga fra diretti, appalti e indotto della Centrale Grazia Deledda), diversamente dal resto dei competitori europei quali la Germania che lo fissa al 2038; lo sviluppo delle energie rinnovabili fino al 30%; la realizzazione di impianti di produzione a gas (dove c’è…); la realizzazione di interconnessioni nazionali e transnazionali. Il tutto «subordinato alla programmazione e realizzazione degli impianti sostitutivi e delle necessarie infrastrutture».

Un Piano che prevede investimenti per la cifra considerevole di 1.190 miliardi di euro cosi articolato: 1) energia, sviluppo Fonti Energia Rinnovabile (FER),  impianti a gas: 129 miliardi €;

2) edilizia 270 miliardi €;

3) automotive 700 miliardi €.

Le coperture sono tutte in capo agli utenti finali, che sono i cittadini, sia che si tratti di automotive, di edilizia e di energia. Restando su quest’ultima, fra le altre, sono previsti adeguamenti delle misure agevolative (ovviamente in negativo) per le aziende energivore; ulteriori liberalizzazioni del mercato; superamento definitivo del prezzo unico nazionale; riorganizzazioni e razionalizzazione delle configurazioni di autoconsumo; rimodulazione dei costi (in aumento) di produzione di CO2; ecc. ecc..

Costi che evidentemente andranno a ripercuotersi nella bolletta finale degli utenti e degli acquisti di beni di qualsiasi natura e tipologia.

Un Piano che, repetita iuvant, il Governo stesso definiva ambizioso, che si scontra però con i due concetti chiamati sostenibilità e competitività delle produzioni e del complesso del sistema economico e occupazionale, che ne deriva, rispetto al resto d’Europa e del mondo.

Un piano che per l’ing. Giuseppe Toia, vicepresidente dell’Assomet (associazione nazionale industrie metalli non ferrosi, notoriamente energivori) ed ex AD dell’Alcoa Italia, “non tiene però conto che si parte da condizioni strutturali degli stabilimenti italiani e di costi produttivi, molto diversi rispetto alla concorrenza” per due aspetti sui quali è bene soffermarsi.

Il primo è relativo all’obiettivo più velleitario che ambizioso dei miglioramenti di 2 fattori produttivi fondamentali. Il Piano, infatti, si prefigge la riduzione dell’intensità energetica in misura del 43% rispetto all’obiettivo UE del 32%.

Il secondo è la riduzione di emissioni di CO2 in misura del 56%,  rispetto al 43% della UE.

Obiettivi che però non tengono conto che in Italia si parte da situazioni impiantistiche decisamente migliori della concorrenza che, sempre per l’Assomet, sono riassumibili con la produzione di CO2 secondo il seguente dato di comparazione con il principale competitor,  la Germania:

  1. Emissione totale settori per intensità: Germania 907 ml/t – Italia 427 ml/t;
  2. Settore produzione energia: Germania 318% in più dell’Italia;
  3. Industria: Germania 271% in più dell’Italia.

Il tutto ad evidenziare che diversamente dalla narrazione politica e/o ambientalista, l’industria italiana, per noi la filiera dell’alluminio,  zinco e piombo, con il forte legame alla generazione elettrica, è tutt’altro che obsoleta ed anzi molto più efficiente e performante di quella tedesca, la quale beneficia  dell’ulteriore vantaggio competitivo di avere azzerato il costo della CO2. Mentre nel nostro Paese lo si vuole anche aumentare.

(fonte VMZINC)

In definitiva, quel piano molto ambizioso nei suoi termini,  di per sé, già prima del Covid-19, produce un impatto drammatico sul sistema energetico / produttivo, economico e sociale nel nostro territorio (già gravato da 35.500 disoccupati ante lockdown); in tutta Sardegna per la mancanza del Gas e in tutto il Paese. In mancanza di prese d’atto e delle più evidenti buone ragioni per rivederlo radicalmente nei tempi e nelle modalità, soprattutto nei 3 fattori relativi ai costi finali, agli oneri dei sistemi, alla garanzia della capacità e della continuità dell’erogazione dell’energia, in altre parole alla Competitività e in costanza di mancanza del Gas, rischia di diventare l’elemento che frenerà ogni possibile ricostruzione economica e ripresa produttiva per molti anni.

Anche dopo che verranno scoperti la cura e/o il vaccino, che è e rimane la condizione fondamentale per aggredire e superare “La più Grande Crisi Economica dell’Umanità”, per poter guardare ad un orizzonte di ripresa globale e nazionale, equilibrata e realistica nei vari settori dell’economia.

Roberto Puddu

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Il ragioner Carlo Lolliri, alla soglia del compimento dei 77 anni, il 31 dicembre 2019 lascia l’incarico di presidente del Consiglio di Amministrazione della Portovesme srl. Per annunciare la sua decisione, ha convocato una conferenza stampa nella sala riunioni dello stabilimento.

Nella parte iniziale della conferenza stampa, Carlo Lolliri ha ricostruito i suoi inizi, risalenti al lontano 1966, quando, poco più che ventenne, gli venne affidato «l’incarico di prelevare gli assegni circolari che furono utilizzati per l’acquisizione dei terreni dove, due anni più tardi, sorse il nucleo originario di quella che oggi è la Portovesme srl»

Ha poi ricordato gli anni del seminario gestito dai Figli di Don Orione, frequentato  fino a pochi anni prima, che gli hanno dato le basi su cui costruire il suo futuro: l’umiltà nell’apprendimento, la costanza nel perseguire gli obiettivi, la determinazione nel sostenere le proprie convinzioni e la Fede, che lo ha sempre sostenuto nei momenti tristi e bui.

I ricordi lo hanno poi portato a citare il rapporto con il rag. Pinna all’ufficio del personale e quello instaurato con Annibale Murgia; le migliaia di persone conosciute, i fuoriusciti dalla miniera e i vecchi operai negli anni ’70, quelli che negli anni ’80 erano considerati le giovani promesse, i neo laureati negli anni ’90 e, infine, tutto il personale attualmente impiegato.

«Sono onorato e grato a Dio del percorso lavorativo che ho compiuto – ha detto Carlo Lolliri -. E’ stato un cammino impegnativo che mi ha visto “crescere” professionalmente, sino a diventare Amministratore delegato e, da ultimo, presidente del Consiglio di Amministrazione di una delle aziende più importanti della Sardegna: la Portovesme srl. Pronunciare questo nome mi procura emozioni forti e difficilmente spiegabili. La Portovesme srl è stata, per me, una sposa fedele a cui ho dedicato la mia esistenza ma che, in cambio, mi ha riempito il cuore e l’animo. E’ stato un rapporto di amore infinito. Mi sento figlio di questa società ma anche padre e madre.»

«Lascio la Portovesme srl – ha detto stamane ai giornalisti -, con una decisione lunga, difficile e travagliata, perché convinto che questa potesse essere l’unica possibile. Sul solco dell’amore che ha caratterizzato il mio rapporto con la Portovesme, ho pensato che fosse giunta l’ora di lasciare che questo figlio, ormai cresciuto, iniziasse il suo cammino di indipendenza, forte di quelli che sono stati gli insegnamenti trasmessi e le esperienze maturate. Lascio una società ormai maggiorenne, matura, in ottima salute. Sono certo che saprà farsi valere nel mondo e saprà vivere il suo futuro in maniera soddisfacente e produttiva. Il mio impegno di questi anni – ha aggiunto Carlo Lolliri – non sarebbe valso a nulla se non fossi stato affiancato, consigliato, coadiuvato nelle mie scelte da tutti coloro che hanno lavorato con indefesso impegno per questa Azienda. Operai, impiegati, quadri e management che si sono avvicendati negli anni della vita della fabbrica, fornendo il loro unico e preziosissimo contributo. Un apporto al quale non si sono sottratti gli imprenditori locali e le loro maestranze, così come gli enti istituzionali: Comuni, Provincia, Regione, che hanno sempre garantito il sostegno e la piena disponibilità al confronto per la risoluzione dei problemi. Un confronto che non è mai mancato con le organizzazioni sindacali che, seppure nello scacchiere strategico dei ruoli si presentassero come antagonisti, si sono sempre caratterizzate come interlocutori affidabili e propositivi, con i quali abbiamo condotto insieme durissime battaglie che hanno consentito di operare la riorganizzazione del lavoro, di ottenere tariffe energetiche competitive, le autorizzazioni per le discariche di Sa Piramide, S’Acqua Sa Canna e Genna Luas.»

«In questi ringraziamenti – ha aggiunto Carlo Lolliri – non posso dimenticare i vescovi e i tanti sacerdoti delle diocesi di Iglesias e Ales Terralba. Un ringraziamento speciale, infine, va alla Glencore. Oggi non staremmo qui a parlare di risultati positivi se non si riconoscesse alla Capo Gruppo il ruolo fondamentale che ha ricoperto nello sviluppo della Portovesme srl. Mai si è tirata indietro nel sostenere economicamente i progetti proposti e ci ha sempre fatto sentire la sua fiducia quando le cose andavano male.

Grazie a tutti voi. Grazie di cuore perché insieme siamo riusciti a realizzare un piccolo miracolo, al quale auguro le migliori fortune.

Vai Portovesme, è giunta l’ora di separarci. Io andrò avanti per la mia strada ma con uno sguardo sempre attento al tuo procedere: tu prosegui per il tuo cammino e sappi che io, per te, ci sarà sempre.»

Nel futuro di Carlo Lolliri, come lui stesso ha annunciato stamane, non c’è la pensione ma un altro progetto, un impegno diretto nel campo dell’economia circolare, definita il futuro per l’industria e per il territorio.

Alla conferenza stampa hanno presenziato alcuni dei più stretti collaboratori, intervenuti per ringraziare e salutare il loro maestro e la loro guida; il sindaco Giorgio Alimonda e l’ex segretario generale della Camera del Lavoro Roberto Puddu che salutando Carlo Lolliri, hanno sottolineato il ruolo avuto in oltre 50 anni nel polo industriale di Portovesme e nel sistema socio-economico del territorio.

Il congedo di Carlo Lolliri dalla Portovesme srl è stato commentato da Chris Eskdale, responsabile della divisione zinco della Glencore.

«Come responsabile della divisione zinco della Glencore – ha scritto Chris Eskdale in una nota – voglio esprimere i miei più sentiti ringraziamenti a Carlo per il lavoro svolto in questi vent’anni alla Portovesme srl. Carlo Lolliri ha avuto il grande merito di amministrare con efficace oculatezza l’Azienda, sostenendo e proponendo scelte, a volte ardue e complesse, che hanno richiesto impegno costante, intelligenza, raziocinio, spesso il coraggio e, qualche volta, anche un pizzico di sana follia.

In tal modo, la Portovesme srl è riuscita a superare i momenti difficili, restando in piedi durante la gravissima crisi economica del 2008 e, al contempo, portando a casa risultati fondamentali che ad altri sarebbero apparsi impensabili.

Oggi lui lascia, a chi rimane, un’Azienda con una struttura solida e in salute, con bilanci ampiamente positivi, proiettata verso un futuro che più solo prevedere dei miglioramenti.

In tutto questo ha giocato a nostro favore la grande capacità di Carlo di affrontare con caparbietà e decisionismo anche le sfide più irte e, senz’altro, un ruolo di primo piano lo ha svolto la sua grande esperienza.

Siamo felici del fatto che Carlo – ha concluso Chris Eskdale – sarà comunque disponibile a fornirci pareri e consigli, qualora se ne presentasse l’eventualità.»

Al termine della conferenza stampa, abbiamo realizzato un’intervista con il ragionier Carlo Lolliri che vi proponiamo.

https://www.facebook.com/giampaolo.cirronis/videos/10221312476789358/