Il cardinale Becciu e il Conclave: il diritto sospeso che può decidere il futuro del papato. Un interrogativo che scuote la Chiesa: Becciu potrà votare il nuovo papa? – di Alberto Vacca

L’eco dei marmi della Curia romana è attraversato da un interrogativo che ha implicazioni profonde: il cardinale Angelo Becciu parteciperà al prossimo conclave? La sua eventuale presenza sarà legittima o metterà a rischio l’elezione del papa?
La vicenda è al tempo stesso giuridica, ecclesiale e spirituale, e impone una riflessione seria sul rapporto tra diritto, prassi e autorità nella Chiesa di oggi.
- Il «caso Becciu»: tra esclusione informale e reintegrazione silenziosa
Il 24 settembre 2020, papa Francesco accettò le dimissioni del cardinale Becciu da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e lo invitò a rinunciare «ai diritti connessi al cardinalato»: un’espressione senza precedenti né fondamento canonico preciso.
Tuttavia, Becciu non è mai stato deposto, né ha rinunciato alla dignità cardinalizia.
Negli anni successivi ha continuato a indossare la porpora, partecipare a cerimonie vaticane, e perfino a concistori ufficiali su invito del papa.
L’ultimo segnale è il più forte: è stato convocato dal cardinale decano Giovanni Battista Re alla prima congregazione generale in preparazione del conclave.
Un segnale inequivocabile, che però non risolve l’ambiguità di fondo: Becciu potrà votare?
- Diritto o dovere? Quando «spetta» significa «obbliga»
Nel diritto canonico, la partecipazione al conclave non è facoltativa, ma obbligatoria: è un diritto-dovere dei cardinali sotto gli 80 anni. Lo dice la Universi Dominici Gregis, all’art. 33: «Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa […]».
Il verbo «spetta» non è scelto a caso. In ambito giuridico canonico (e non solo), «spettare» indica un diritto che è proprio, esclusivo, e non rinunciabile senza giusta causa. Ma in ambito ecclesiale, ciò che «spetta» non è solo una facoltà da esercitare a piacimento: è anche un dovere verso la Chiesa, un obbligo, perché collegato direttamente al bene supremo della comunità ecclesiale, cioè l’elezione del nuovo pontefice.
In questo senso, partecipare al conclave non è semplicemente un diritto personale del cardinale, ma un atto dovuto in quanto membro del Collegio cardinalizio, e parte integrante della funzione ecclesiale affidatagli dal papa al momento della sua creazione cardinalizia.
A rafforzare questa interpretazione interviene l’art. 35 della stessa costituzione: «Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto […]».
- Il diritto canonico: Becciu è ancora cardinale a tutti gli effetti
Il Codice di diritto canonico (can. 349-359) e l’art. 40 della Universi Dominici Gregis affermano che un cardinale conserva i suoi diritti salvo impedimenti formali e documentati.
E anche la condanna in primo grado non influisce sul diritto di voto in virtù del principio della presunzione di innocenza, sancito dall’ordinamento canonico e vaticano:
Can. 1321 §1: «Chiunque è ritenuto innocente finché non sia provato il contrario»;
Codice di procedura penale vaticano, art. 350 bis, co. 2: «Ogni imputato è presunto innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia legalmente accertata».
Insomma, nessuna norma canonica o vaticana impedisce a Becciu di entrare in conclave. E ogni dubbio rischia di far esplodere una crisi di legittimità.
- Rischio conclave nullo? Il peso dell’art. 76
La Universi Dominici Gregis è chiara anche sulle conseguenze: l’art. 76: «Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione […], è nulla e invalida senza che intervenga alcuna dichiarazione».
In parole semplici: se Becciu venisse escluso ingiustamente, e in seguito assolto, l’intero conclave potrebbe essere nullo.
Uno scenario che, sebbene remoto, non è impossibile, e che renderebbe l’elezione del nuovo papa giuridicamente contestabile.
- Diritto, misericordia e ambiguità: una crisi delle forme
Il caso Becciu evidenzia una frattura tra gesti pastorali e procedure formali.
La Chiesa è spirituale, sì, ma è anche istituzione visibile e giuridica, e ha bisogno di atti chiari, scritti, coerenti.
La rinuncia ai diritti? Mai formalizzata.
La reintegrazione? Solo di fatto.
Il rischio? Un «limbo» canonico che mina l’unità ecclesiale e la fiducia dei fedeli.
- Il precedente Morone: quando la collegialità scioglie i nodi
Nel 1559, il cardinale Giovanni Morone – accusato di eresia e incarcerato – fu liberato e ammesso al conclave con il voto favorevole dei cardinali. Quel conclave elesse papa Pio IV.
Un precedente storico che mostra come la collegialità può risolvere conflitti senza ledere la comunione.
Oggi, come allora, la decisione spetta al Collegio dei cardinali, riunito in Congregazione. Saranno loro a decidere se Becciu entrerà nella Cappella Sistina.
Alberto Vacca
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