Dalla Sanità ”liquida” alla Sanità “concreta” – di Mario Marroccu
Recentemente, in una cittadina del Sulcis, le campane hanno suonato “a morto” per la Sanità. In realtà la Sanità non è morta. E’ stata trasformata e il suo funzionamento suscita perplessità.
Nella nostra ASL 7 il percorso in discesa iniziò alla fine degli anni ‘90. Un esperto economista, di formazione bocconiana, parlando al popolo riunito dei dipendenti della ASL 7, nell’aula “Velio Spano” di Carbonia, spiegò che gli ospedali, nati per produrre “sanità”, avrebbero iniziato ad essere gestiti esattamente come si gestiscono le fabbriche che producono “bulloni”. Secondo le direttive, che stavano arrivando dagli esperti del Governo, i nuovi direttori delle ASL avrebbero dovuto ottenere risultati di “efficienza ed efficacia” attraverso metodi di tipo manageriale. Con questo significava che si doveva ottenere gli stessi risultati già ottenuti spendendo di meno e risparmiando sul numero dei dipendenti (medici, infermieri, amministrativi, tecnici) e sui posti letto. L’altra parola chiave per capire il nuovo metodo di gestione fu “accentramento”: i servizi distribuiti nei territori dovevano venire accentrati e unificati in un’unica sede. Ciò venne fatto e la Sanità “concreta” che avevamo fino ad allora conosciuto, fatta di malati, medici e infermieri, ridotti di numero col blocco delle assunzioni, cominciò a sciogliersi.
La Sanità ospedaliera di Carbonia ed Iglesias venne sminuita progressivamente e avvenne un fenomeno simile a quello che avviene ad un blocco di ghiaccio che si scioglie: divenne sfuggente come un “liquido” che sfugge tra le dita delle mani.
Il metodo di “liquefazione” dei servizi e della stessa struttura sociale non si limitò al campo sanitario. Stava avvenendo uno scambio di valori in molti settori del vivere comunitario. I nuovi economisti avevano invertito la scala di precedenza dei due scopi del lavoro umano: la soddisfazione dei bisogni dell’uomo e l’arricchimento. Il primo posto venne dato all’arricchimento, il secondo venne dato alla soddisfazione dei bisogni umani. L’inversione modificò radicalmente lo scopo per cui esistevano gli Ospedali. Non più la soddisfazione del bisogno dei singoli richiedenti assistenza ma il risparmio e l’incasso. I medici vennero obbligati a fare corsi per imparare a incassare di più con i DRG (metodi di pagamento delle prestazioni). Si iniziò a spendere di meno per il Welfare-state e si ridussero le risorse ad esso necessarie. Il metodo ignorava il fatto che, comunque, i bisogni dell’uomo sono insopprimibili e che, prima o poi, ottengono soddisfazione, ma a costi maggiorati. Il professor Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo e professore all’Università di Leeds nello Yorkshire, venne incuriosito da questo nuovo metro dato ai valori umani e definì la nuova società che si stava formando “società liquida”.
Così definiva la precarietà delle istituzioni in continuo mutamento, e le relazioni umane divenute assolutamente instabili. Secondo Zygmunt Bauman l’instabilità del contesto sociale, in cui la solidarietà perde peso, consente lo sviluppo dell’individualismo dilagante. In tale contesto la perdita di fiducia nelle relazioni viene peggiorata dalle nuove tecnologie che alimentano una paradossale forma di isolamento digitale. Gli effetti della “modernità liquida”, come descritti da Zygmunt Bauman, si manifestano diffusamente nei rapporti con il lavoro, con la politica e i servizi sociali, e perfino nei rapporti all’interno dalla stessa famiglia e della coppia (la “coppia liquida”). Ne è conseguita anche la crisi progressiva dei partiti politici e dei sindacati, anch’essi progressivamente “liquefatti” e sfuggenti. I rapporti sociali finiscono per sfuggire al controllo dei cittadini, sia come singoli che come comunità all’interno delle grandi strutture sociali, come la sanità pubblica, e diviene molto difficile sovvenire sia ai propri bisogni che a quelli degli altri.
Fenomeni sociali come questo hanno bisogno di molti anni per maturare. Nel sistema sanitario-ospedaliero del Sulcis Iglesiente i passi della disgregazione liquefazione) del sistema sanitario sono avvenuti con una successione storica che è utile ricordare nel caso si volesse porvi riparo. L’ospedale Sirai, insieme all’intera città neocostruita di Carbonia, fino al 1946 era proprietà aziendale della ACAI e della Società Carbonifera Sarda. Quando la città divenne un Comune, l’ospedale passò sotto il suo controllo. Divenne Ente Ospedale Comunale, presieduto dal Sindaco, fino alla Grande Riforma di Tina Anselmi del 1978. Similmente avvenne con gli ospedali di Iglesias. Nacquero così la USL 7 (Carbonia) e la USL 16 (Iglesias). Gli Ospedali che erano allora proprietà dei Comuni divennero proprietà dello Stato ma vennero affidati alla amministrazione dei Comitati di Gestione, espressione di tutti i Comuni del Sulcis e dell’Iglesiente.
A dicembre 1992 il Governo legiferò producendo una nuova riforma sanitaria: la 502/1992 di Francesco de Lorenzo. Questa abolì i Comitati di Gestione eletti dai Comuni territoriali; trasformò le USL in “Aziende” e pose a dirigerle un “manager”. Figura monocratica nominata dalla giunta regionale. Le modifiche apportate da questa Riforma ebbero l’effetto di sottrarre del tutto, sia gli ospedali che la rete sanitaria territoriale, dal controllo dei Comuni. Fu il primo atto di dissociazione (liquefazione) del Sistema sanitario ospedaliero del Sulcis Iglesiente dal suo territorio. Nel 1999 la ministra Rosy Bindi, con la sua riforma n. 229/1999 confermò e rafforzò l’evoluzione in senso aziendale autonomo delle ASL. Per effetto di quella legge aumentava ulteriormente l’indipendenza aziendale e, contemporaneamente, i rappresentanti politici del territorio venivano radicalmente esclusi dal controllo della gestione sanitaria. Lo scopo virtuoso, dichiarato dal legislatore, era il mantenimento dell’equilibrio di bilancio. Gli effetti avversi collaterali che invece si produssero furono esattamente quelli previsti da Zygmunt Bauman: il controllo della Sanità sfuggiva dalle mani dei cittadini e dei loro rappresentanti politici. Oggi sia i sindaci che i cittadini non hanno più strumenti concreti per interferire a proprio vantaggio nella gestione della ASL. Il Sistema oggi è sotto il controllo totale di altri enti regionali (Assessorato e ARES) che hanno accentrato tutte le funzioni amministrative di programmazione, spesa e controllo.
Ai tempi degli Ospedali controllati dalle Amministrazioni Comunali locali, tra Carbonia e Iglesias esisteva una dotazione di 750 posti letto. Il Sirai di Carbonia ne aveva 384. La Chirurgia Generale del Sirai era dotata di 86 posti letto. La Medicina (I e II) ne aveva 130. Gli altri posti letto erano distribuiti tra Maternità, Pediatria, Ortopedia, Psichiatria, etc. Con le riforme che seguirono i posti letto ospedalieri vennero ridotti progressivamente a 24 in Chirurgia e a 30 circa in Medicina. La riduzione di posti letto (per acuti) ha comportato una minore necessità di Personale sanitario specializzato nei nostri ospedali. Il Personale ritenuto eccedente, una volta eliminato, non è stato più ripristinato; ciò rende impossibile riattivare i letti precedenti. Oggi i posti letto totali sono un centinaio a Carbonia e altrettanti ad Iglesias. Dai 750 posti letto dell’inizio di queste operazioni di “razionalizzazione” oggi ne mancano 550 circa. I pazienti non acuti finiscono nelle RSA o in altri ospedali, sia privati che pubblici di Cagliari e del Continente. Oltre alla diminuzione di posti letto è stata eseguita la soppressione funzionale di altri reparti come Pediatria, Ostetricia, Urologia, Traumatologia, Neurologia. Per alcuni di questi servizi specialistici è stato applicato il principio dello “accentramento” dei posti letto ad Iglesias. Ciò comporta certamente un risparmio economico nell’immediato. In futuro questo supposto risparmio si ritorcerà contro il bilancio della nostra ASL 7 perché quei pazienti che non hanno trovato posto si sono ricoverati presso altre strutture che dovranno essere ripagate. Alla fine dei conti, questa operazione avrà un costo molto alto. Abbiamo solo spostato il luogo dove si spendono i soldi: a Cagliari. I disagi conseguenti sono enormi.
Quelle leggi (Francesco De Lorenzo e Rosy Bindy) hanno avuto lo scopo di controllare la spesa sanitaria, in realtà hanno prodotto incertezza del servizio sanitario, delocalizzazione dei servizi, e mancate assunzioni (fenomeno dannoso quanto lo sono i licenziamenti).
Oggi ci troviamo con poco personale in pianta stabile e con molte convenzioni libero-professionali sia con medici dei Pronto Soccorso sia con agenzie interinali che ci prestano il loro personale per servizi come il CUP, le manutenzioni e altre attività essenziali.
Le cucine e la lavanderia vennero soppresse in passato e i loro servizi vennero dati in appalto a società esterne.
Tutto questo avrà pure degli ipotetici vantaggi ma sicuramente ha lo svantaggio di aver destrutturato un organismo complesso come quello dei nostri ospedali che erano completi e capaci di vita autonoma. Se i servizi esterni dovessero chiudere all’improvviso, per i motivi più disparati (immaginiamo uno stop ai servizi di cucina o di lavanderia) dovremmo chiudere gli ospedali. La precarietà strutturale in cui si trovano i nostri ospedali è stata ideata per un fine utile, necessario e aderente alla nuova modernità: tutto vero. Purtroppo, è anche vero che la struttura ideale di ospedale come unica entità autosufficiente, come fu in passato, e come dovrebbe essere in caso di grandi calamità o guerre, non esiste più. Oggi è una struttura che si trova in costante precarietà e instabilità, e suscita una motivata preoccupazione.
Se si ammette la fondatezza di queste osservazioni si deve concludere che il problema fondamentale del Sistema sanitario non sta nella mancanza di finanziamenti, o di medici e infermieri, ma sta soprattutto nell’instabilità strutturale, “liquida”, dell’intera organizzazione sanitaria.
Probabilmente abbiamo necessità di restituire agli Ospedali la loro struttura integrale nella dotazione di personale e servizi, caratterizzata da autonomia e autosufficienza.
Si potrebbe iniziare coll’assumere in pianta stabile tutto il personale precario, ma necessario. Si potrebbe continuare col ridare una funzione di controllo ai Sindaci all’interno della ASL. Così pure sarebbe auspicabile restituire ai primari la loro posizione gerarchica all’interno dell’apparato gestionale con funzioni di consulenti costanti della Direzione sanitaria, di quella Amministrativa e del Consiglio provinciale dei sindaci. Queste poche cose inizierebbero a restituire “concretezza” all’apparato sanitario ospedaliero pubblico.
Per quanto riguarda la Medicina di base esistono soluzioni già sperimentate.
Mario Marroccu