20 April, 2024
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L’incidenza della calcolosi urinaria fra noi sardi è altissima. Sarà la genetica, o il metabolismo, o l’alimentazione, o l’esposizione solare e la produzione di vitamina D? Fatto sta che, soprattutto noi del Sud Sardegna, abbiamo un’incidenza di calcolosi come non si vede in nessuna parte d’Italia. Per tale ragione i chirurghi sardi sono stati sempre esperti nel trattamento delle malattie ostruttive delle vie urinarie provocate da calcoli. Già ai primi del 1900, al San Giovanni di Dio, i chirurghi avevano grande esperienza in questo campo. Durante la Prima Guerra Mondiale ebbero stretti rapporti professionali negli ospedali da campo, con i colleghi di Trento, Trieste e Udine che erano di scuola austriaca. Il chirurgo triestino Giorgio Nicolich, specializzato a Vienna attrezzò il primo reparto d’Urologia in Italia. Tra i chirurghi sardi che operavano in quel fronte vi era il dottor Nino Lasio di Serramanna, che proveniva dal San Giovanni di Dio; questi fu molto apprezzato per le sue capacità professionali nel trattamento delle malattie urinarie e, alla fine della Guerra, venne trattenuto all’Università di Milano dove gli venne conferito l’incarico di direttore della nuova scuola di specializzazione in Urologia. Tale specialità ancora non esisteva come branca indipendente in nessuna Università italiana. Dopo Milano la scuola di specializzazione di Urologia venne aperta anche a Cagliari. Un primo caposcuola fu il professor Rodolfo Redi, direttore patologo chirurgo. I suoi aiuti erano il dottor Gaetano Fiorentino ed il dottor Mario Sebastiani.
Il dottor Gaetano Fiorentino fu il primo sardo a specializzarsi in quella scuola.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il dottor Gaetano Fiorentino fu arruolato nell’Armir e destinato alla campagna di Russia. Tornò con un’enorme esperienza maturata operando traumi di guerra. Per le sue doti chirurgiche, il dottor Gaetano Fiorentino venne precettato dal Governo ed inviato a dirigere la Chirurgia Generale dell’Ospedale Sirai di Carbonia, dove affluivano i minatori traumatizzati dagli incidenti nel sottosuolo.
Quando Gaetano Fiorentino occupò il suo posto nella nuova sede dell’Ospedale Sirai, ebbe l’opportunità di conoscere il comandante della Sesta Flotta americana che gli fece dono dell’intera sala operatoria di una corazzata. I vari strumenti vennero utilizzati fino agli anni ‘80; tra questi vi erano un letto operatorio, una lampada scialitica, un respiratore automatico complesso, un broncoscopio, un esofagogastroscopio rigido, un sigmoidoscopio, l’attrezzatura da craniotomia, un cistoscopio ed un rarissimo elettroresettore, prodotti dalla ACMI del Minnesota, illuminati in punta da una minuta lampadina ad incandescenza. In quei tempi, all’ospedale Sirai le operazioni urologiche e, soprattutto, quelle per calcolosi urinaria, erano all’ordine del giorno.
Con l’andata in pensione del dottor Gaetano Fiorentino, il posto di primario chirurgo venne occupato dal professor Lionello Orrù, urologo, professore di Anatomia Umana normale all’Università di Cagliari, professore di Anatomia Chirurgica nella scuola di specializzazione. Anche col professor Lionello Orrù le operazioni per calcolosi urinaria furono molto frequenti. Il motivo di tale frequenza, era dovuto sia all’alta incidenza di calcolosi nel Sulcis Iglesiente, sia al fatto che, quando la calcolosi dell’uretere era irrimediabilmente ostruente, si doveva sempre procedere all’asportazione chirurgica del calcolo, pena la morte del rene. In quei tempi non era raro trovare pazienti con un solo rene funzionante, perché l’altro aveva cessato di funzionare a causa di un calcolo. Dato che chi produce un calcolo in un rene, prima o poi, potrà produrlo anche nell’altro rene, poteva capitare che all’improvviso, con una nuova colica dal lato opposto, anche il rene superstite cessasse di funzionare. Allora non esisteva la dialisi sostitutiva della funzione renale ed i poveretti morivano se non si procedeva ad una nuova operazione. Questo valeva in tutto il mondo.
Le cose cambiarono nella Primavera del 1986, quando comparve un articolo nella rivista francese “Le Journal d’Urologie”, a cui venne dato poco risalto dalle riviste italiane. L’autore del lavoro si chiamava Enrique Perez Castro Ellendt. Egli sosteneva d’aver messo a punto un metodo endoscopico per asportare i calcoli dagli ureteri senza ricorrere all’operazione classica di lombotomia, con grande taglio dalla base del torace prolungato in basso in addome. Ciò che descriveva era fantascienza. Sosteneva d’aver costruito con la ditta Storz tedesca, uno strumento ottico molto lungo, fatto come un sottilissimo cannocchiale d’acciaio di 55 centimetri, diametro 4 millimetri, che, passando dall’uretra e dalla vescica, poteva penetrare nell’uretere fino a raggiungere il calcolo per romperlo, asportare i frammenti, e liberare il passaggio alle urine, arrestando così le coliche e salvando il rene. Tutto questo senza operazione.
Nel mese di luglio, avvenne un fatto che segnò il cambiamento nella storia della calcolosi per l’ospedale di Carbonia.

In quel mese dell’estate del 1986 si presentò nel reparto Chirurgia, al secondo piano del Sirai, un elegante signore attempato che riferì d’aver urinato sangue. Venne sottoposto a cistoscopia e fu diagnosticato un tumore maligno della vescica. Il signore aveva un problema: la premura di rientrare nella sua città di residenza, Madrid. Ci chiese consiglio sul centro madrileno a cui rivolgersi e ne approfittammo per indirizzarlo alla clinica “La Luz”, dove operava il dottor Enrique Perez Castro Ellendt. La clinica era peraltro già famosissima in tutto il mondo, perché vi era stato operato il “caudillo” Francisco Franco, e lì era deceduto per complicazioni emorragiche. Enrique Perez Castro Ellendt fece, al nostro paziente, una resezione vescicale asportando tutto il tumore con successo. Incuriosito dal racconto del paziente inviato da Carbonia, indagò sul nostro interesse per lui. Il paziente gli riferì che i chirurghi di Carbonia erano a conoscenza del nuovo metodo per asportare i calcoli dagli ureteri inventato da lui e gli trasmise il nostro desiderio di conoscerlo. Enrique Perez Castro Ellendt immediatamente ci invitò a Madrid nella sua Clinica. Fino ad allora aveva mostrato la procedura di asportazione dei calcoli ureterali, senza operazione, soltanto ad altri due italiani: il dottor Francesco Rocco dell’Università di Milano, ed il dottor Michele Gallucci dell’Università di Roma. Il nostro paziente-intermediario generosamente si offrì di ospitare noi chirurghi di Carbonia nella sua casa a Madrid e decidemmo di partimmo. All’arrivo, avemmo una prima sorpresa: la casa si trovava in “Calle Urola”, la via delle ambasciate. Si scoprì in quel momento che il nostro ospite era stato ambasciatore d’Italia in Spagna. La casa, ora di sua proprietà, era una villa divisa in due parti. L’altra metà era appartenuta al presidente argentino Juan Peron e alla moglie Evita Peron. Si capì allora il motivo della grande disponibilità del chirurgo madrileno ad accoglierci nella sua clinica e mostrarci i segreti della sua metodica. Il nostro ospite in Spagna era un personaggio illustre. Così pure lo erano la moglie spagnola ed il cognato che facevano parte dello staff medico della famiglia reale.
Furono giorni densi di studio ed esperienza. Carpimmo i segreti della tecnica di “ureterolitotrissia endoscopica” che consentiva, per la prima volta nella storia, di polverizzare i calcoli dentro l’uretere ed estrarli senza operazione.
Tornati a Carbonia, facemmo un accurato rapporto al presidente dell’Ospedale: il sindaco Pietro Cocco. Egli ascoltò con molta attenzione e accolse la nostra richiesta di acquistare l’attrezzatura necessaria. L’ordine partì pochi minuti dopo il colloquio.
Il materiale richiesto era tanto e costoso. Si trattava di un ureteroscopio Storz da 12 Charrière (3 Ch = 1 mm) quindi del diametro di 4 mm, progettato da Enrique Perez Castro Ellendt e realizzato dalla ditta tedesca. Ad esso si associava un’ottica lunga 55 centimetri. Dentro la camicia d’acciaio vi erano tre canalicoli paralleli destinati ad ospitare l’ottica, costituita da una serie di microscopiche preziosissime lenti, una via per l’acqua, una via per introdurre le sonde da ultrasuoni per rompere i calcoli, e le pinzette per estrarne i frammenti. L’acqua che si pompava dentro il canalicolo serviva a creare una camera liquida che consentiva di dilatare il sottile lume ureterale, penetrarvi, e procedere dentro l’uretere fino a raggiungere il calcolo.
L’operazione più difficile era la penetrazione della punta dello strumento nel meato ureterale. Il meato è il punto in cui l’uretere, che arriva dal rene, penetra in vescica. Per fare questa procedura, fino ad allora ritenuta impossibile alle ottiche in uso in quel tempo, il dottor Enrique Perez Castro Ellendt aveva pensato di aprire la strada utilizzando una sottile sonda flessibile che aveva in punta un palloncino gonfiabile. Introdotta la sonda nel meato ureterale e gonfiato il pallone, si otteneva l’apertura del tratto finale dell’uretere e del suo sbocco in vescica, sufficiente per introdurvi l’ureterorenoscopio. La progressione dello strumento dentro l’uretere veniva agevolata dal getto d’acqua ad alta pressione, prodotto dalla pompa Ureteromat inventata, anch’essa, da Enrique Perez Castro Ellendt.
Una volta giunti sul calcolo si procedeva alla sua frammentazione con la sonda ad ultrasuoni; i frammenti venivano asportati con la pinza a “bocca di caimano”. Tutta la procedura veniva controllata al monitor di un apparecchio radioscopico; era, pertanto, inevitabile che l’intera équipe medica e infermieristica presente, assumesse notevoli quantità di radiazioni nonostante i grembiuli piombati. Furono tante le procedure eseguite, e tante le radiazioni assunte dagli operatori che i fisici nucleari della Commissione regionale di controllo definirono l’Ospedale di Carbonia la “zona nera” dei raggi X della Sardegna. Oltre al monitoraggio radiologico l’intervento veniva controllato da una telecamera endoscopica Storz che mostrava le immagini della procedura in uno schermo televisivo.
Quando il presidente Pietro Cocco, nel 1986, fece l’ordine d’acquisto dell’ureterorenoscopio per ureterolitotrissia alla ditta Sanifarm di Cagliari, nessuno ancora lo possedeva in tutta Italia. Lo stesso direttore della Storz Italia, che aveva sede a Torino, l’ingegner Boggio Marzet, non ne conosceva ancora l’esistenza.

Da quell’anno 1986, a Carbonia, i calcoli ureterali non vennero più operati con il taglio lombare o addominale, e molte centinaia di pazienti vennero trattati col nuovo metodo endoscopico. I pazienti entravano in ospedale con le coliche renali ed i reni ostruiti, e ne uscivano entro 24-48 ore sani e pronti a riprendere la vita normale. A Carbonia arrivavano pazienti da ovunque. Venne prodotto un filmato endoscopico che mostrava il difficile metodo usato per introdurre lo strumento nell’uretere. Dopo cinque anni di attività, mostrammo le immagini endoscopiche alla fine di un convegno tenutosi a Cagliari, sulla calcolosi urinaria, nell’aula convegni posta al sesto piano del Banco di Sardegna. Nessuno degli astanti aveva mai visto immagini del genere. Dopo quella data altri iniziarono ad apprendere la tecnica.
Quanto raccontato avvenne quando l’Ospedale di Carbonia cresceva in efficienza, qualità e passione. Era il tempo in cui quasi 2.000 bambini l’anno nascevano nel suo reparto di Ostetricia, quando si eseguivano più di 1.000 interventi chirurgici l’anno, in Chirurgia vi erano 84 posti letto ed esistevano due reparti di Medicina Interna; l’Ospedale allora aveva 384 posti letto, contro gli attuali 120, e non vi erano ancora le liste d’attesa mostruose che oggi affliggono gli ospedali italiani.
Perché vi fu tanta crescita professionale e tecnologica in quel periodo? Certamente avvenne per coincidenze storiche. L’avere avuto ricoverato nel 1986 un signore che in tempi lontani era stato ambasciatore italiano in Spagna, mentre a Madrid si metteva a punto quel metodo rivoluzionario fu fortuito. Un elemento sicuramente determinante fu l’avere in quel momento come presidente della ASL un uomo come il sindaco Pietro Cocco. Erano anche gli anni in cui nascevano la Dialisi, la Cardiologia, la Medicina Nucleare, la Psichiatria, l’Endoscopia Digestiva. La coincidenza di più elementi eccezionali, coerenti con la missione pubblica data agli Ospedali dalla legge di Riforma Sanitaria 833 del 1978, produsse il terreno adatto per far sviluppare quelle particolari crescite professionali in quella particolare generazione di medici e di infermieri.
Successivamente, cosa è cambiato? I cambiamenti che hanno portato gli ospedali allo stato attuale, avvennero in progressione. Nel 1987 Il ministro Carlo Donat Cattin iniziò ad intaccare il potere di controllo dei Sindaci sulle ASL, abolendo l’istituto delle Assemblee Generali che rappresentavano i Consigli comunali del territorio. Poi nel 1992 il ministro Francesco di Lorenzo introdusse il concetto dell’“Aziendalizzazione delle ASL”, con principi gestionali privatistici. Come primo atto di quella riforma, i presidenti delle ASL, nominati dai Sindaci, vennero affiancati dai “Commissari straordinari”, nominati dalla regione. In seguito  con le riforme del 1995 e 1999, nel periodo del ministro Rosi Bindi, i presidenti delle ASL vennero eliminati e sostituiti dai manager. Questi erano nuove figure di amministrativi indipendenti dai sindaci e rientranti nella stretta gerarchia della burocrazia regionale.
Con questo atto i sindaci vennero totalmente estromessi dal controllo politico e amministrativo delle ASL. Dopo i manager, negli anni 2000, comparvero i direttori generali di nomina regionale. Così, con la centralizzazione politica ed amministrativa arrivò a compimento la “centralizzazione” dei servizi sanitari. Il centro fisico della Sanità cominciò a coincidere con le sedi del potere regionale: le città di Cagliari e Sassari. L’idea di centralizzare i servizi sanitari di altissima specializzazione, come la cardiochirurgia, la neurochirurgia, i trapianti d’organo, è corretta. Invece, non è corretta la centralizzazione del servizio sanitario di base che la legge assicura equamente a tutti i cittadini, proporzionalmente alla consistenza demografica delle popolazioni provinciali. Purtroppo, però, nel nostro caso, è avvenuta la centralizzazione anche della sanità di base, con il conseguente svuotamento del territorio provinciale.
Oggi, l’unificazione di tutte le ASL in un’unica ASL regionale, ha creato un unico centro di potere amministrativo. Ciò ha sottratto anche ai nuovi direttori generali delle ASL quella libertà di gestione che avevano i presidenti ai tempi di Pietro Cocco. Ora che gli ospedali provinciali sono usciti dal centro del potere sanitario stiamo vedendone gli effetti: i cittadini sono scontenti e si rivolgono ai propri sindaci che, per essi, incarnano lo Stato; ormai tutti i giorni vediamo nei notiziari, immagini di sindaci che prendono dure posizioni nei confronti di quella struttura burocratica centralizzata che li ha sostituiti.

Mario Marroccu

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Terzo e ultimo appuntamento per il “Maggio letterario”, la consueta iniziativa di primavera promossa a Villacidro (Sud Sardegna) dalla Fondazione “Giuseppe Dessì” (organizzatrice dell’omonimo Premio Letterario, alla sua trentaquattresima edizione dal 23 settembre al 2 ottobre prossimi). Teatro, musica e danza in scena questa sera (2 giugno), a Casa Dessì (in via Roma, 65): la compagnia La Maschera di San Sperate presenta “Federico Garcia Lorca”, uno spettacolo di Nino Landis dedicato al grande poeta spagnolo (fucilato nel 1936 per le sue idee liberali dalle milizie fedeli a Francisco Franco, durante la guerra civile di Spagna). Sul palco, insieme allo stesso Landis, l’attore e regista Enzo Parodo, la danza di Valentina Trincas, il canto di Erminia Contu, Carlo Mura alla chitarra e Carlo Plumitallo alle percussioni, con l’assistenza tecnica e video di Peppe Pili. Si comincia alle 21.00 con ingresso gratuito.

Nino Landis, che ha vissuto per qualche tempo in Spagna, fra il 1969 e il ’71, ha voluto rendere omaggio a García Lorca attraverso una personale interpretazione dei suoi versi, mettendo insieme una selezione di poesie che cercano di abbracciare tutto l’arco della breve ma intensa vita del poeta e drammaturgo andaluso. «Mi è venuto spontaneo prepararle in spagnolo», scrive nelle note di presentazione l’attore e regista nato a Laconi nel 1943, ma di casa a San Sperate dal 1967. “Il tradurre qualsiasi opera in un’altra lingua, in maniera particolare la poesia, per di più in rima, è un fatto che non riuscirà mai a restituire i suoni di tutte le corde del cuore e dell’anima della lingua madre. La metà si perderebbe in cammino».

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Tre appuntamenti a Villacidro (Sud Sardegna) all’insegna del “Maggio letterario”: ritorna la consueta iniziativa di primavera promossa dalla Fondazione “Giuseppe Dessì” (organizzatrice dell’omonimo Premio Letterario, quest’anno alla trentaquattresima edizione, in calendario dal 23 settembre al 2 ottobre prossimi), nella sua sede al civico 65 di via Roma, in quella che fu la casa di famiglia dello scrittore di “Paese d’ombre”.

Si parte questo sabato (18 maggio), alle 18.30, con la presentazione della grammatica “Su Sardu Standard / Il Sardo Standard”, pubblicata di recente da Alfa Editrice. Un comitato scientifico di ricercatori che lavorano quotidianamente con la Lìngua sarda, operatori di sportello, docenti, traduttori e semplici attivisti per i diritti linguistici, propongono una norma ortografica, cioè un solo alfabeto per scrivere tutto il Sardo e uno standard linguistico a doppia norma: una proposta di standard che prende dunque in considerazione il Sardo campidanese e il Sardo logudorese/nuorese, in conformità con quanto già affermato da tempo dalla scienza accademica, e cioè che il Sardo è un’unica lingua, ma espressa in due macrovarietà. A trattare l’argomento e presentare l’opera, dopo i saluti del sindaco di Villacidro Marta Cabriolu e del presidente della Fondazione Dessì Paolo Lusci, saranno il coordinatore del comitato scientifico de s’Academia de su Sardu ONLUS Stefano Cherchi e l’assessore della Cultura e della Lingua sarda del comune di Villacidro Giovanni Spano, rispettivamente coordinatore e coautore di “Su Sardu Standard“.

Di lingua, ma in questo caso di quella italiana, si parlerà anche sette sere dopo, sempre alle 18.30, in una conversazione con Giorgio Kadmo Pagano. “Per l’internazionalizzazione della e nella lingua italiana” è il titolo dell’incontro – organizzato in collaborazione con il Lions Club di Villacidro – con il pittore, scultore, architetto, esperto di economia linguistica, da tempo impegnato perché l’arte, la lingua e la cultura italiana non scompaiano; un impegno che nel 2014 l’ha portato a condurre uno sciopero della fame di cinquanta giorni, in auto davanti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e Ricerca, e, due anni dopo, alla pubblicazione del saggio “Come divenire la super potenza culturale che si è”, che presenterà sabato 25 con interventi di Paolo Lusci, del sindaco Marta Cabriolu, e di Franco Gioi (presidente) e Marco Cherchi del Lions Club di Villacidro.

Per il suo terzo e ultimo appuntamento il “Maggio letterario” della Fondazione Dessì sconfina di poco nel mese di giugno: domenica 2, alle 21.00, si accendono i riflettori sulla compagnia teatrale La Maschera, in scena con “Federico García Lorca”, uno spettacolo di Nino Landis dedicato al grande poeta spagnolo (fucilato nel 1936 per le sue idee liberali dalle milizie fedeli a Francisco Franco, durante la guerra civile di Spagna). Sul palco di Casa Dessì, insieme allo stesso Nino Landis, un cast formato da Enzo Parodo, Valentina Trincas (danza), Erminia Contu (canto), Carlo Plumitallo (percussioni) e Carlo Mura (chitarra), con l’assistenza tecnica e video di Peppe Pili.

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Domani, mercoledì 3 ottobre, cala il sipario, a Villacidro, sul fitto e lungo cartellone culturale e di spettacoli associato al concorso letterario intitolato all’autore di “Paese d’ombre”, Giuseppe Dessì, che sabato scorso ha avuto il suo clou con la cerimonia di proclamazione e premiazione dei vincitori.

Dopo le due mattinate in compagnia dello scrittore Luigi Dal Cin, spazio ancora alle scuole nella giornata conclusiva di domani – mercoledì 3 – con gli incontri curati da Sonia Basilico, lettrice per bambini e cantastorie appassionata di letteratura per l’infanzia, attiva nella formazione per adulti nel campo dell’orientamento bibliografico e dell’utilizzo dei testi nelle attività scolastiche. Gli appuntamenti sono fissati al Mulino Cadoni alle 9.00 (Guarda che ti riguarda), alle 11.00 (Illuminati. Le biografie dei grandi artisti) e alle 15.00 (gli aggiornamenti didattici).  

In serata, il Premio Dessì 2018 si chiude con uno spettacolo dedicato a uno dei più grandi poeti spagnoli del XX secolo (morì nei pressi di Granada all’alba del 19 agosto 1936, fucilato, durante la guerra civile di Spagna, per le sue idee liberali dalle milizie fedeli a Francisco Franco): “Omaggio a Federico García Lorca” si intitola il lavoro della compagnia di San Sperate La Maschera – firmato da Nino Landis, con lo stesso Landis, Enzo Parodo, Valentina Trincas (danza), Erminia Contu (canto), Carlo Plumitallo (percussioni), Carlo Mura (chitarra), Peppe Pili (video e assistenza tecnica) – che verrà presentato, alle 20, sul palco allestito nel cortile di Casa Dessì (o nella Palestra di via Stazione in caso di maltempo), con ingresso gratuito.

Nino Landis, che, a cavallo fra gli anni 60 e 70, ha vissuto per qualche tempo in Spagna, ha sentito «più che doveroso, assieme agli amici del teatro La Maschera, dopo più di ottant’anni dalla sua morte fare un omaggio al grande poeta e offrire al pubblico una mia personale interpretazione dei versi di Federico García Lorca», scrive nelle note di presentazione dello spettacolo l’attore e regista. Che ha messo insieme una selezione di poesie, cercando di abbracciare tutti gli anni della breve ma intensa vita del poeta e drammaturgo andaluso: «Mi è venuto spontaneo prepararle in spagnolo – si legge ancora nelle note -. Il tradurre qualsiasi opera in un’altra lingua, in maniera particolare la poesia, per di più in rima… non ruscirà mai a restituire i suoni di tutte le corde del cuore e dell’anima della lingua madre».