18 December, 2025
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In questo periodo di violente e belliche bestie trionfanti, vediamo distruzioni e umanizzazioni minerarie nel libro voluto da Gabriele Calvisi, un libro di foto emozionanti e stilisticamente accurate. Non dirò dei numerosi e importanti studi storici, filosofici, antropologici, semiologici sulla fotografia. Vorrei però, almeno richiamare l’attenzione sui ritratti di uomini e donne che hanno fatto l’esperienza umana della miniera di Funtana Raminosa e del paese di Gadoni.
1 Poetiche minerarie fotografiche dei ritratti
I ritratti presentano particolari unicità umane, senza offrire visioni totalizzanti e totalitarie. Le immagini dei ritratti si aprono agli sguardi altrui, inoltre possono essere interrogate e aperte per diventare qualcos’altro che è più della testimonianza del passato, nel contemporaneo presente. Si aprono e possono essere aperte, infatti, per diventare attualità. Si tratta di un’attualità che nel contemporaneo mette al mondo una storica esperienza mineraria fatta per diventare inesauribile esperienza in comune, culturalmente produttiva in nuovi modi. Produttiva nel presente per creare ancora futuro. Futuro che parte dalle storiche modernità industriali incompiute per compiere nuove imprese di modernità industriale da condividere democraticamente fra le persone e con la natura. D’angelo e Pijpers nel 2018 usarono l’espressione temporalità minerarie, mining temporalities, per sottolineare come le risorse estrattive possono essere capite in un complesso di multiple temporalità e durate, ritmi e cicli, con differenti velocità, intensità, ed estensioni. Discorsi e politiche del tempo minerario nella nostra contemporaneità in Sardegna riguardano una nuova temporalità mineraria, non solo di memoria ma specialmente di progetto, e di progetto vitale. La coralità e la multitemporalità dei ritratti delle persone che hanno fatto la loro parte nella storia mineraria, locale e non solo, sembrano indurre a nuovi impegni per nuovi tempi minerari.

Le minerarie poetiche fotografiche dei ritratti, parlando del passato e gettandolo nell’agire dell’agitato mondo presente, sembrano invitare all’agire. Facendo presenti le assenze, sembrano indurre a produrre nuove temporalità minerarie vitali e durevoli presentando molti strati di senso di semanticità. Nei ritratti le persone dicono l’impegno personale nel “metterci la faccia” facendosi fotografare. Palesano modi propri di farsi soggetti fotografici nella, della e sulla fotografia, mostrando modelli relazionali di cooperazione senza sottomissioni. Esprimono l’«aria culturale» individuale e accomunante di miniera incorporata, esponendo corpi che contengono la miniera.
Mostrano persone diventate protagoniste di sicurezze minerarie, indicando il loro sé esperto di risolti rischi minerari di lavoro e di vita, capace di produzioni vitali superando rischi mortali.
Esprimono abilità di farsi soggetti autonomi, anche in condizioni di dipendenza, attraverso propri processi culturali di soggettivazioni con un protagonismo vitale che emerge nell’esperienza e nella presenza fotografica. Rivelano autonomismi molecolari, per dirla con Gramsci, individuali e di gruppi locali, che parlano alla società e alle istituzioni. Dal punto di vista di chi fotografa e di chi guarda, la foto si apre e può essere aperta a partire dagli sguardi che si incrociano “faccia a faccia”, in parità. L’immagine è infatti aperta ma occorre aprirla ulteriormente, per scendere nella sua più profonda intimità. I ritratti minerari possono essere aperti guardando i vari rischi del presente in compagnia di quei corpi plasmati nei rischi, rischi governati incarnando varie esperienze securitarie. per produrre innovative temporalità minerarie di futuro sia nel piano della cultura economico-produttiva e sia in quello della cultura espressiva. Nuove ricerche minerarie, bonifiche produttive dei siti estrattivi dismessi, riusi post-estrattivi di miniere dismesse possono aprire nuove temporalità. Inoltre le foto possono uscire dal libro e diventare innovative esposizioni e installazioni artistiche partecipate dalle comunità.
2 Discorsi
Per seguire il percorso narrativo del testo, passiamo ai discorsi. Quello del geografo Matteo Cara mette in vista la congiunzione di mondi visibili e invisibili. In superficie, indica varie testimonianze, antropiche e naturali, che costituivano la ricchezza di un paesaggio e di un territorio non limitato a monocoltura. Nell’antropologia mineraria italiana il mondo rurale sardo si pone, nell’irrealizzata verticalizzazione industriale manifatturiera, in primo luogo come mancato interesse dell’imprenditoria mineraria verso l’integrazione dell’agricoltura, come già segnalava Quintino Sella nella sua Relazione del 1871. Storicamente, un’altra mancata integrazione fra industria e agricoltura accadde per esempio a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, quando i progetti di uso chimico del carbone per i fertilizzanti azotati furono impediti dalla Montecatini la quale, di fatto, determinò la riduzione del carbone a esclusiva risorsa energetica combustibile.
I saggi sono tutti preziosi, ciascuno a suo modo. Quello di Tore Cherchi lo è in modo speciale. Egli offre un profilo storico-politico e storico-culturale delle vicende minerarie in arco di più di un secolo e mezzo. Inoltre, affronta il tema del colonialismo interno e poi dell’autonomia, distinguendo varie temporalità, secondo periodi e modi di relazioni fra istituzioni pubbliche e imprese economiche. Percorre la lunga storia mineraria della modernità industriale per arrivare alle vicende più vicine, in cui appariva chiaro che la metallurgia di base non assicurava lo sviluppo manifatturiero nell’Isola.
Egli soprattutto chiama in causa le responsabilità dello Stato, e delle sue articolazioni in Enti e Aziende, per una politica industriale di rango nazionale e internazionale. Riprendendo il tema del colonialismo interno, incrociato nel 2015 nell’introduzione al libro di Nicola Manca (Sollevatori di Pietre. I Sardi, le miniere, il colonialismo), egli affronta apertamente la questione del «tradimento» dello Stato verso le miniere, anche nel quadro dello smantellamento delle Partecipazioni Statali. Le privatizzazioni, oscurate anche da corruzioni, di fatto evocano l’acume politico di Enrico Berlinguer sulla questione morale.
Tore Cherchi pone non pochi interrogativi e offre informazioni importanti che riguardano l’antropologia politica e l’antropologia delle istituzioni. Nonostante i disastri del periodo 1980-1994, nel 2000 lo Stato Imprenditore registrava un saldo attivo di 81.300 miliardi di lire. Un attivo notevole, nota Tore Cherchi. Le sue annotazioni sul processo italiano delle privatizzazioni, sottolineano che le telecomunicazioni e le autostrade mostrano esiti contrari a quelli attesi. La parabola dell’industria automobilistica indica debolezze a lungo nascoste e ora palesate.
L’attribuzione di valore assoluto all’impresa privata merita nuove consapevolezze critiche che il discorso di Tore Cherchi dischiude e favorisce. Infatti, le scelte industriali avviate con le privatizzazioni e rivolte all’insediamento delle multinazionali nel Polo industriale di Portovesme, svelano le logiche del neoliberismo, disinteressato alla valorizzazione dei territori e delle comunità locali. I “poli industriali” rimangono poli, senza espansioni produttive. Diventano, inoltre, poli di precarietà. Alcoa, Glencore, Rusal sono esperienze tristemente note e dolorosissime ferite ancora aperte. D’altro canto i passi indietro del Parco Geominerario che ha perso perfino il logo dell’Unesco, i decenni di bonifiche minerarie non fatte, le risorse finanziarie del Piano Sulcis non impegnate localmente e tornate allo Stato, mettono a nudo intollerabili debolezze democratiche, locali e regionali. Responsabilità di istituzioni pubbliche nazionali e locali si congiungono nel discorso di Tore Cherchi.
Il discorso di Andreano Madeddu affianca quello di Tore Cherchi. Indica la temporalità della fine della miniera di Funtana Raminosa nel 1986. Rievoca la riunione al ministero delle Partecipazioni Statali, a Roma, in cui l’Eni si apprestava a separare il settore minerario da quello metallurgico, scindendo la Samim in due nuove società: la Sim, Società Miniere Italiane, e la Nuova Samin per la metallurgia. Ricorda che pose domande, considerando che la tedesca Metallgesellchaft, leader mondiale della metallurgia dei non ferrosi, integrava invece i due settori.
Fu richiesta fiducia nell’Eni, in quanto società pubblica, per firmare l’accordo. Tuttavia, egli non firmò pur restando solo e si dichiara orgoglio di non aver sottoscritto quel documento che segnò la fine dell’esperienza mineraria della Sardegna. Egli richiama, insieme alle battaglie sindacali, indimenticabili emozioni legate a vicende tragiche della miniera. Torna indietro al 1983, alla morte di Bruno Locci, stimato sorvegliante, per il distacco di un blocco di roccia dalla corona della galleria. Ricorda date e orari dell’arresto di Antonio Ghigino, direttore della miniera, di Sandro Aru caposervizio principale, e di Gabriele Calvisi, responsabile dell’ufficio studi, accusati di quel decesso e scarcerati dopo una settimana. Prosciolti poi dall’accusa e archiviato il fascicolo, rimase un’indimenticabile ingiustizia da loro subita. Con rara e profonda sensibilità umana e sindacale, egli riferisce della crisi nelle relazioni fra tanti lavoratori e tecnici della miniera, indicati come sfruttatori privi di coscienza. Afferma come lesse in quei comportamenti la rottura di solidarietà unitarie che avevano sempre legato le persone in miniera. Continua spiegando che non esiste contrasto tra chi, da posizioni diverse, deve condividere i drammi del lavoro e gli eventi che privano della vita di amici e colleghi. Afferma che chi prova la perenne amarezza della morte sa che non esistono gerarchie del dolore. Infine. ricordando la morte di un amico fraterno Montevecchio, chiarisce come la morte di un altro è anche la morte di un pezzo di sé nei rischi e nelle solidarietà della «terra di sotto». Egli offre a questo punto, da protagonista, un prezioso frammento delle concezioni, delle visioni, delle forme di vita che caratterizzano le esperienze umane studiate e documentate nell’antropologia mineraria.
Nel libro appare qualche elemento di crisi locale da non sottovalutare. Gli anni Ottanta del Novecento erano gli anni in cui si affermava il neoliberismo, globalmente e localmente. Erano gli anni del maggior fermento e della maggiore crisi a Funtana Raminosa. Tale fermento appare nelle tranches de vie, nei brani di vita scritti dai tecnici con sorprendente pathos. Giambattista Novella geologo, Sandro Putzolu, ingegnere minerario e direttore di miniera, Gabriele Calvisi responsabile dell’ufficio studi, offrono discorsi di alto e di raro impegno tecno-scientifico e democratico per assicurare vitalità produttiva alla miniera e al territorio, alle persone e alla comunità mineraria.
La tragedia di Funtana Raminosa del 1983 interruppe un’esperienza fortemente tesa all’innovazione produttiva. Gabriele Calvisi dice qualcosa e forse non dice tutto sul suo «dolore oscuro mai dimenticato», sul lavoro da lui svolto a Funtana Raminosa per migliorare la qualità del minerale e della miniera, finito con il suo trasferimento e poi con la chiusura dell’attività estrattiva.
La profonda intimità culturale del suo «dolore oscuro mai dimenticato» merita un rispettoso silenzio. Gabriele spera nella riapertura della Facoltà di ingegneria mineraria. I suoi ricordi innamorati della miniera e del paese, lo fanno sentire «smarrito» nella percezione di un futuro negato, di un danno mai risarcito, di una comunità impoverita.
Le sue aspirazioni a una modernità industriale ancora da compiersi rispetto a quella storica incompiuta, si associano alle storiche aspirazioni democratiche documentate nel libro, diventando nutrimento culturale per la visione e la produzione di un futuro democraticamente condiviso fra persone e con la natura. Sono aspirazioni democratiche forti che emergono, nonostante pesanti sconfitte, non solo a Gadoni ma in tante comunità minerarie non più estrattive. Sono aspirazioni democratiche alte che si sollevano eloquenti, a gran voce, nelle comunità minerarie quando queste ultime paiono ridotte e costrette nei ristretti limiti d’azione delle violenze, anche mortali, inflitte o da infliggere nei conflitti bellici. Si elevano palesando una straordinaria resistenza democratica. Ciò accade onorevolmente per esempio a Iglesias e non solo, specie per la fabbrica di armi RWM a Domusnovas. Se n’è parlato anche di recente in un programma televisivo nazionale come un “ricatto di povertà”, senza possibile libertà d’azione, oltre l’emigrazione.
3 Autonomie personali e autonomie istituzionali
Le istituzioni autonomistiche in realtà non raccolgono e non rispettano sufficientemente, a mio avviso, le istanze di autonomia individuali e collettive che provengono dal basso, istanze fortemente espresse ancora in tanti centri minerari. Sul piano storico-culturale emergono forti soggettivazioni individuali e collettive, realizzate perfino in condizioni di sottomissioni violente con varie morti storiche. Tuttavia, vediamo che tali processi di produzione di persone autonome, che chiamo soggettivazioni, processi che possono avvenire in condizioni di dipendenza e perfino di assoggettamento, non sono stati e non sono raccolti adeguatamente dalle istituzioni autonomistiche, a vari livelli, per realizzare ed esprimere un forte, rinnovato e innovativo autonomismo istituzionale. Un autonomismo federalista e federativo in cui l’economico sia pensato e praticato in quanto valore vitale e il vitale in quanto valore economico, come accade in parte in alcune bonifiche che restituiscono spazi ad usi pubblici e specialmente nell’avvio di una produttiva economia verde avanzata e di una produttiva economia etica liberamente sostenuta nel mercato finanziario che, sia pure con difficoltà, tentano di affermarsi globalmente.
Questo libro induce a pensare, mentre lo si legge, a un innovativo autonomismo a partire dai sindaci dei Comuni minerari capaci di “agire di concerto” non occasionalmente ma programmaticamente, ovvero in modi non individualmente leaderistici ma esplicitamente connessi in ampi progetti territoriali per la sanità e per l’istruzione, per il lavoro e per l’ambiente.
Progetti interlocali e territoriali, perseguiti in articolazione con gli autonomismi molecolari, per dirla ancora con Gramsci, che in generale le istituzioni locali e regionali non raccolgono e non esprimono, qualitativamente e adeguatamente, in ciò che pensano e in ciò che fanno. Per esempio, non è generalmente richiamata, come matrice non solo culturale ma anche politico-istituzionale per un futuro durevole, la valorosa realizzazione dei saper fare minerari vitali, che in miniera univa le grandi opere infrastrutturali di ingegneri e tecnici e operai, dalle grandi armature all’aerazione, dall’eduzione delle acque al governo dei rischi quotidiani.
Le esperienze securitarie di lavoro e di vita mineraria costituiscono una storia di altissimo profilo culturale democratico che parla ai rischi del presente. La grande storia culturale dei saper fare minerari vitali non trova adeguato rispetto e riconoscimento. Ciò accade, per esempio, quando le istituzioni rispondono alle domande di rilancio produttivo dei territori post-estrattivi con le scelte sia di soli lavori limitati al riciclo di batterie esauste, sia di armi di guerra vendute a Stati in guerra.
I siti di rifiuti industriali e quelli di produzioni di armi suscitano diffusa e giusta indignazione. Si tratta di soluzioni sperimentate da alcuni decenni nella globalizzazione dell’America de-industrializzata con i “modelli” complementari dei siti di spazzatura industriale, noti come industrial waste sites, e con la complementare militarizzazione industriale. Sono soluzioni in parte limitate e in parte ingannevoli, ben documentate nel suo ultimo libro del 2007 da June Nash che studiò a lungo le esperienze minerarie e industriali, sia in America Latina e sia negli Stati Uniti.
Credo sia utile essere propositivi, piuttosto che aridamente critici. Incoraggio pertanto a realizzare una svolta concertativa dei Comuni minerari, ben programmata e cadenzata da incontri dei sindaci di tali Comuni con le popolazioni, e unitariamente fra di loro, per armonizzare innovative e caratterizzanti prospettive dei territori minerari, da assumere unitariamente nelle province e regionalmente. Confido fortemente che l’attuale assessore all’industria voglia in futuro cogliere e sostenere culturalmente e politicamente, a veri livelli istituzionali, l’innovativa portata autonomistica delle esperienze minerarie sia storiche, sia di inedite e innovative concertazioni programmatiche unitarie, che i sindaci dei Comuni minerari vorranno esporre di concerto e unitariamente.
Intanto, come sappiamo, nuove ricerche minerarie, bonifiche produttive dei siti estrattivi dismessi, riusi post-estrattivi di miniere dismesse, possono aprire nuove temporalità minerarie.
Vecchi sguardi possono unirsi a nuove visioni, vecchi utilizzi possono congiungersi a innovative  progettazioni di riconversione d’uso scientifico delle miniere, come avviene con il Progetto Aria per studi della materia oscura e altro a Nuraxi Figus in Gonnesa di cui ha scritto Cristiano Galbiati, con quello chiamato Digital Metalla per un Datacenter green a San Giovanni di Iglesias, e con quello dell’Einstein Telescope per studiare le onde gravitazionali a Sos Enattos in Lula. Aspirazioni di democrazia che caratterizzarono le storiche zone minerarie della Sardegna, si accostano a nuove aspirazioni di durevole lavoro industriale vitale per nuovi autonomismi personali e istituzionali che il libro corale voluto da Gabriele mantiene a mio avviso non erranti e smarrite, ma attive e vive.
Grazie, carissimo Gabriele. Grazie a tutti i protagonisti di quest’opera.

Paola Atzeni

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Sono stati consegnati ieri mattina dai tecnici della Regione – Servizio territoriale Opere Idrauliche di Cagliari (già Servizio del Genio Civile) i lavori di rifacimento degli argini del rio Uri che attraversano l’abitato di San Vito, invaso dalle acque tracimate a seguito delle rotte arginali. Tre appalti distinti affidati in regime di “somma urgenza” a tre distinte ditte che ricostruiranno le gabbionate a piede degli argini, operando in presenza di acqua nell’alveo del rio Uri.

«Abbiamo mantenuto gli impegni presi con il sindaco del comune di San Vito – dice l’assessore dei Lavori pubblici Edoardo Balzarini – in occasione del sopralluogo effettuato con il Presidente il giorno successivo agli eventi alluvionaliper ricostruire immediatamente le opere di competenza della Regione. Per la complessità delle attività si prevedono alcune settimane di intenso lavoro durante le quali il comune vigilerà applicando le misura di Protezione civile a salvaguardia della popolazione. Intanto – conclude l’assessore dei Lavori pubblici – è doveroso ringraziare per la tempestività e l’impegno profuso tutto il personale del Servizio territoriale opere idrauliche di Cagliari e, in particolare, il settore di intervento guidato dal responsabile Giambattista Novella.»