I ripopolamenti del Sulcis e i cambiamenti della Sanità secondo la Demografia – di Mario Marroccu
Secondo i vari periodi storici, qui nelle coste del Sulcis, si succedettero varie etnie: i Nuragici, i Fenici, i Cartaginesi, i Romani. Questo luogo venne densamente abitato da Romani e Bizantini fino al 711 d.C. Poi si spopolò e, infine, si ripopolò parzialmente con il Giudicato di Arborea e poi ancora con la dominazione spagnola.
Il ripopolamento del Sulcis riprese vigore dalla metà del 1700 ad opera dei Savoia e di Lorenzo Bogino. Migliorò moltissimo nel 1936 col richiamo di nuovi abitanti per la coltivazione delle miniere di carbone. Nel 1938, duecento anni dopo l’inizio del ripopolamento sistematico del Sulcis, venne inaugurata Carbonia, la città di fondazione nata per contrastare le “inique sanzioni” imposte all’Italia per aver occupato l’Etiopia. Le sanzioni bloccavano sopratutto l’approvvigionamento energetico della Nazione. Carbonia divenne la centrale energetica dell’Italia attraverso l’estrazione del carbone Sulcis. Qui vennero attratte tutte le forze lavorative giovani d’Italia per farne eserciti di operai da calare in miniera inseguendo le vene del carbone. Per essi venne costruita la città e il suo ospedale. Il territorio del Sulcis fino ad allora aveva vissuto di economia agricola e di pesca, e non aveva ospedali. Nell’ospedale Sirai gli operai venivano curati per i frequenti traumi cranici, toracici, ossei e degli organi interni, dovuti a crolli di massi ed esplosioni in galleria. Successivamente venne aperto un servizio di ostetricia per farvi nascere i figli delle mogli degli operai. Fu allora che le donne, incoraggiate dalla sicurezza nell’assistenza sanitaria e dalla costruzione di asili infantili, produssero più figli. Presto si raggiunse il numero di 2.000 nascite l’anno. Alle mogli dei minatori si erano aggiunte le mogli di tutti gli altri abitanti della zona. Molte erano operaie cernitrici.
I chirurghi, spesso provenienti da esperienze di guerra, erano particolarmente competenti nell’operare cranii e toraci sfondati, ferite addominali e fratture multiple. Il Sirai fu subito una fabbrica di Sanità avanzata.
Nell’immediato dopoguerra l’ammiraglio della Sesta Flotta americana, che rimase a lungo alla fonda nel Golfo di Palmas, dopo aver conosciuto l’ospedale e i suoi chirurghi fece smontare la sala operatoria di una corazzata e la fece rimontare al Sirai. Ritenne che i ferri chirurgici e i lettini operatori fossero molto più utili al Sirai che nella nave da guerra.
A Carbonia e nel suo ospedale sono spesso approdati gli italiani emigrati in America che desideravano morire in terra italiana. Persone che, non sapendo dove andare per aver perso ogni rapporto e conoscenze familiari, sapevano che qui c’era la città nuova, aperta a chiunque volesse viverci e anche morirci. Vi sono stati molti italiani emigrati all’estero, e figli di emigrati, che identificavano Carbonia con l’Italia a cui tornare. Gli esempi sono tanti. Nel 1984 si presentò all’ospedale Sirai un signore, italiano, molto elegante, che veniva da Los Angeles. Erano i giorni delle Olimpiadi che lì si svolgevano. Nel centro di quella città egli era proprietario di un negozio di articoli sportivi. Proprio nei giorni delle Olimpiadi urinò sangue. Si convinse d’avere contratto un cancro alla vescica e che stesse per morire. Immediatamente vendette il negozio, fece i biglietti d’aereo e partì per Carbonia. Non conosceva la città ma sapeva della sua esistenza, della sua anima cosmopolita, e decise che questo era il luogo d’Italia in cui morire.
L’ospedale Sirai conobbe anche ex fuoriusciti politici che si erano schierati con la Repubblica di Salò, che erano scappati in Spagna e che erano poi tornati in territorio italiano, nel tardissimo dopoguerra, a Carbonia. Un personaggio interessante fu un famoso ballerino di tango, che era stato “sparring-partner” di Rodolfo Valentino. Costui, gran fumatore, e arteriosclerotico, invecchiando ebbe una gangrena agli arti inferiori. In America gli avevano proposto l’amputazione di ambedue le gambe. Rifiutò. Fatte le valigie venne in Italia, a Carbonia, all’ospedale Sirai dove morì continuando felicemente a fumare.
Nel 1936 le miniere di carbone avevano provocato nel Sulcis uno schok demografico unico nel suo genere: la nuova popolazione era costituita tutta da giovani sani e forti, abili al lavoro e prolifici. Mancavano i vecchi e i bambini. In breve, con le nascite e i nuovi arrivi, Carbonia superò i 60.000 abitanti, tutti giovani.
La fine del lungo periodo del dopo-Guerra Mondiale e l’arrivo di nuove fonti energetiche più convenienti condusse alla chiusura progressiva delle miniere. Fu la causa di un primo crollo della popolazione. Ne nacque un altro genere di schock demografico: la riduzione della popolazione a danno della componente giovane. Negli anni ‘70 iniziò il crollo progressivo delle industrie di trasformazione di Portovesme. Al crollo industriale si associò un’altra emigrazione in massa dei giovani e il calo marcato della natalità coinvolse sia Carbonia che tutto il Sulcis. La popolazione totale di Carbonia diminuì passando dai 60.000 dei primi anni cinquanta a meno di 30.000 negli anni ‘80. Mentre la popolazione giovane diminuiva, la popolazione anziana aumentava inducendo una inversione demografica. I primi due decenni del 2000 hanno visto l’ulteriore decrescita dei giovani e la crescita del 33% degli anziani. Oggi ogni coppia mette al mondo meno di un bambino (0,80 per coppia). Dati simili, così gravi, nel mondo sono equiparabili solo a quelli del Giappone; si è passati dalla iper-natalità degli anni ‘40-’50 alla denatalità estrema di oggi. La struttura sociale si è invertita in pochi decenni. L’ampiezza media delle famiglie formate da padre, madre e figlio si è assottigliata e oggi tendono a prevalere le famiglie “single”. Col nuovo paradigma delle famiglie mono-componenti sono necessariamente cambiati gli obiettivi della città. Gli obiettivi di oggi sono tesi a soddisfare i bisogni della nuova società risultante dalla inversione percentuale tra fasce d’età. Da qui è derivata la necessità della creazione di spazi urbani più attenti ai bisogni della fascia d’età anziana prevalente mentre la fascia giovane e fertile, tende a scomparire. Dentro questa nuova città si stanno creando sopratutto strutture specializzate nella assistenza e nella facilitazione della vita quotidiana agli abitanti, differenziandole secondo le capacità di autonomia. Questo è solo l’inizio di un futuro modello di rigenerazione urbana finalizzato a un diverso equilibrio sociale.
Il servizio fondamentale della città, ridisegnato intorno alla nuova società, è il Servizio sanitario. Qui entra in gioco l’ospedale Sirai. Esso venne concepito per un genere di società, oggi estinta, che era formata da persone in età fertile e lavorativa, che generava grandi famiglie prolifiche. Oggi il forte aumento degli anziani inattivi e i nuovi bisogni di assistenza sanitaria hanno fatto emergere il problema dell’invecchiamento della popolazione. Un diverso problema, certamente più serio, è il crollo della natalità derivato dalla percezione che i figli possano ostacolare l’ affermazione professionale ed economica delle giovani mamme. Per non avere ostacoli le giovani donne sono costrette a procrastinare l’inizio di una gravidanza. Ne consegue che il numero di anni di fertilità ancora disponibili viene ridotto considerevolmente. A ciò si aggiunge il crollo della popolazione femminile nella fascia d’età fra i 14 anni e i 49 anni, indicata dall’OMS come la parte più pregiata della popolazione, perché è quella che genera i figli. Oggi la curva demografica nel Sulcis ha due seri problemi accertati: l’eccesso di anziani e la scarsità di nuovi nati.
Il Sirai, l’unico ospedale del Sulcis, contiene nella sua storia le soluzioni per affrontare l’aspetto sanitario dei due problemi. Una prima risposta allo schock demografico dato dall’aumento percentuale degli anziani con scarsa autosufficienza, la trovò il dr Enrico Pasqui negli anni ‘70. Fu allora che iniziò ad essere evidente il problema sul come assistere i pazienti anziani che, dimessi dal reparto di Medicina, non potevano rientrare in famiglia per vari motivi. Il dottor Enrico Pasqui ideò la istituzione di un nuovo reparto: la Medicina Seconda. Si trattava di un padiglione esistente a lato del corpo maggiore del Sirai, dotato di 45 posti letto. Formò un’équipe costituita da un medico per turno e infermieri che riabilitavano questi pazienti non-dimessi. Il reparto era autonomo e autosufficiente. Esso godeva dei servizi della cucina ospedaliera, della Farmacia, del laboratorio e di quello religioso. Il dr Pasqui aveva inventato una RSA ante-literam. Le spese erano a carico del fondo Sanitario Pubblico. Si capiva già allora che la nuova società sulcitana si stava avviando verso una trasformazione demografica irreversibile. Fu allora che l’Ospedale intero iniziò a modificare la sua “mission” sanitaria per cui era stato costruito nel periodo minerario. Tutti i reparti specialistici furono ri-orientati verso la ultra-specializzazione in medicina e chirurgia geriatrica. La Medicina sviluppò un’area per la diagnosi e il trattamento dei tumori, delle leucemie, dell’immunologia, della Neurologia e della Cardiologia. Si iniziarono a impiantare i pace-maker e a curare gli infartuati con tecniche endovascolari invasive. Similmente avvenne in Neurologia, in Anestesia-Rianimazione e in Chirurgia. Qui si sviluppò la laparoscopia , tutta la branca di diagnostica endoscopica dello apparato digerente e iniziò quella per l’apparato respiratorio. Le fratture del femore , del bacino e della colonna vertebrale venivano assistite immediatamente con grande competenza nel reparto Traumatologia. Crebbero contemporaneamente la Nefrologia e l’Urologia. In questo reparto si eseguiva chirurgia microvascolare per gli accessi all’emodialisi e si eseguiva un numero di interventi endoscopici e a “cielo aperto” di prostata, vescica, ureteri e reni con un volume di attività che pareggiò e superò altri importanti centri isolani. La Ginecologia-Ostetricia giunse a livelli assistenziali eccelsi nell’interesse del mondo femminile. Ad essa era affiancata un’ottima Pediatria. Fino a metà del secondo decennio degli anni 2000 l’ospedale Sirai era pronto e adeguato a gestire il futuro sanitario incombente. Poi la crisi sanitaria nazionale e sarda hanno provocato l’arresto dello sviluppo ospedaliero e il regresso.
Il secondo problema, quello dell’assottigliamento della componente femminile delle età comprese fra i 14 e 49 anni è enormemente più grave. Qui non basterebbe il genio di un dottor Enrico Pasqui. Ormai i demografi di tutte le Nazioni più evolute sono concordi che esista la forte necessità di una presa di coscienza della popolazione, e la preparazione seria della classe politica, per riuscire ad acquisire con decisione l’idea che la parte più pregiata della società è quella femminile nelle età fertili, soprattutto, fra i 20 e 40 anni, e che questa va protetta e supportata con nuovi programmi economici e sociali mai visti. Qui non basta costruire una” Medicina Seconda “ o fare “variazioni urbanistiche”. E’ urgente concentrare tutta l’attenzione della politica sul sostegno economico, lavorativo, universitario, etc. alla donne in età fertile assicurando loro il totale sostegno nella formazione al lavoro professionale, all’ottenimento e alla conservazione del posto di lavoro e sopratutto alla sorveglianza e accudimento alle necessità dei figli. Soltanto attraverso una assicurazione sulla certezza del loro futuro rivedremo ricrescere la natalità. Qui entrerebbe in gioco la collaborazione fattiva della terza età. Essa dovrebbe espandere il proprio impegno educativo ed economico nel sostenere e sostituire le mamme nell’educare, sorvegliare e assistere i nuovi nati. Se questi propositi venissero non solo garantiti ma anche imposti da una nuova organizzazione sociale e del diritto ad hoc, si chiuderebbe un cerchio fatto di impegni ma anche di ritorni vantaggiosi. L’aumento dei figli è l’unica garanzia per assicurarsi la futura crescita di nuovi produttori di reddito e di nuovi versamenti contributivi necessari per finanziare i fondi per le pensioni e per il wellfare.
Il futuro della città e del suo sistema sanitario sono legati, soprattutto, alla maturazione di una severa politica sociale che sia “generativa” di provvedimenti tesi, soprattutto, al miglioramento della condizione femminile e, di conseguenza, del progresso demografico.
Mario Marroccu