21 December, 2025
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L’associazione Villaggio Normann OdV ospita, da oggi al 18 settembre, la residenza d’artista di Dinah Bird e Jean-Philippe Renoult. Il tema di ispirazione è quello della galena nell’ambito del progetto “La montagna dalle vene d’argento”.

Vivere il tempo è la condizione di chi guarda al futuro senza aver paura del passato; un’immagine che perde la staticità per divenire movimento, seguendo l’innata inclinazione al cambiamento propria dell’essere umano. Lo sanno bene gli abitanti del piccolo villaggio minerario di Normann, che insieme all’omonima associazione, da loro fondata, hanno deciso di invertire la rotta di un agglomerato urbano sorto oltre un secolo fa in un fazzoletto di terra lontano dal mondo ma abbracciato ad una miniera che, in passato, era viva. Oggi, di quel che resta del glorioso passato, si fa tesoro per intraprendere un percorso di rinascita, come una fenice fatta di mattoni e terra, il villaggio prova a rigenerarsi mediante le leve che, da sempre, hanno sollevato il mondo dalla polvere: la cultura e l’arte. L’idea di ospitare una residenza d’artista nasce dall’incontro con due creativi francesi, DinahBird e Jean-Philippe Renoult, artisti del suono, che tramite un viaggio in Sardegna, partendo da Normann, potranno esplorare, sperimentare e raccontare la galena, minerale di cui il nostro territorio è ricco. Essendo artisti che giocano con le sfumature dei suoni, naturali e artificiali, dal momento che il loro interesse è rivolto all’indagine degli aspetti estetici, materiali e sociali della tecnologia di trasmissione, attraverso composizioni elettroacustiche, installazioni sonore, arte radiofonica, fotografia e performance dal vivo, l’associazione Villaggio Normann ha proposto il progetto “le montagne dalle vene d’argento” come testimonianza culturale della residenza d’artista. L’idea fondamentale alla base della residenza è quella della condivisione di esperienze, della galena come filo conduttore che unisce il progetto di Jean Philippe e Dinah, fatto di suoni, immagini, esplorazione, con quello dell’Associazione. Un diario di bordo dell’esperienza artistica ma anche del linguaggio della contaminazione culturale ripreso dall’occhio sensibile del documentarista iglesiente Nicola Baraglia.

Ma, che cos’è una residenza d’artista? È un programma che ospita artisti in un luogo diverso da quello in cui vivono normalmente, offrendo tempo, spazio e occasioni per la ricerca, la creazione e lo sviluppo del loro lavoro in un ambiente stimolante. Ma è altro ancora.

Vivere un’esperienza di residenza, per un artista, significa sempre più confrontarsi con i processi sociali, esplorare il paesaggio e il contesto, riconoscere la complessità delle relazioni che legano ambiente e presenza umana. Proprio per questo la residenza assume valore come processo artistico e culturale, rilevante anche in aree marginali, poiché spesso si trasforma in strumento di co-creazione e di azione collettiva capace di rinnovare gli immaginari e non solo.

Tutto questo sarà alla base del nuovo progetto dell’associazione Villaggio Normann, un dialogo aperto tra la storia, la scienza e l’arte che percorrerà nuove strade d’indagine attraverso i suoni e le vibrazioni, seguendo il filone della galena, un minerale prezioso e pesante sotto tanti punti di vista: la pietra grezza da cui estrarre l’argento con cui coniare le monete che, in epoca medievale, venivano battute nella zecca della vicina Villa di Chiesa; il cristallo con cui alimentare le antiche radio a galena, il minerale da cui estrarre piombo, zinco e altri metalli. Un viaggio nel tempo (dal medioevo ai nostri giorni) e nello spazio (dall’Iglesiente alla Nurra). L’esperienza che scaturirà da questo coacervo culturale, verrà fissata e custodita in un documentario per la comunità del villaggio e per tutti coloro che vorranno ascoltare e vedere una storia nuova, in continuità con quei racconti della miniera che accompagnano da tempo quei luoghi ma con diverso punto di vista, quello originale degli artisti parigini. È la memoria che si rinnova, per scrivere una nuova pagina nella storia di quei luoghi sospesi nel tempo.

Partecipano al progetto: i comuni di Gonnesa, Iglesias, Gadoni, Carloforte, il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, l’Università degli Studi di Cagliari, la Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara, le due Soprintendenze ai beni culturali, la società Iglesias Servizi, il Centro Iglesiente Studi Speleo Archeologici (CISSA), l’associazione Pozzo Sella, l’associazione Balestrieri di Iglesias, Il radioclub Coros IQ0AAI – museo della radio “Mario Faedda” di Ittiri, l’associazione Culturale LandWorks dell’Argentiera, l’associazione VerdeAzzurro Pan di Zucchero, l’archivista paleografa Daniela Aretino, l’artista visuale Marta Fontana, le architette Marina Fanari e Paola Serrittu, l’archeologo ricercatore Mattia Sanna Montanelli, il geologo divulgatore Luigi Sanciu, l’ingegnere elettrico Stefano Peddis, lo speleologo Francesco Ballocco, lo skipper Dario Diana e gli instancabili volontari e volontarie dell’associazione Villaggio Normann OdV.

Immagini e regia saranno curate dal videomaker Nicola Baraglia, il fonico sarà Andrea Pilloni, l’addetto stampa Marco Loi, la documentazione fotografica sarà realizzata dal laboratorio di fotografia dell’associazione Remo Branca.

Una rielaborazione del costume tradizionale di Sant’Antioco per rileggere, in chiave contemporanea, la figura delle giudicesse e del ruolo della donna in Sardegna. È l’obiettivo del Collettivo EFFE, che per due settimane – a partire da ieri  – incontra donne e ragazze della cittadina sulcitana per lavorare alla nuova edizione di Giudicesse, il progetto di residenza artistica promosso dal Csc Carbonia della Società Umanitaria, curato da U-BOOT Lab e realizzato in collaborazione con Ottovolante Sulcis.

«Vogliamo costruire il costume con elementi vivispiega il Collettivonaturali, deteriorabili, soggetti a una degradazione per fare sì che la nostra proposta di costume sardo femminile sia provvisoria e non contribuisca a cristallizzare ruoli, ma solo a provocare collaborazioni e alleanze».

Il Collettivo EFFE è composto da Giulia Odetto, regista e curatrice; Antonio Careddu, drammaturgo; Camilla Soave, performer e video-artista; e Ines Panizzi, artista visiva. Un gruppo di lavoro che nasce nel 2018 con l’intento di approfondire l’uso di applicazioni tecnologiche in ambito performativo e installativo, al fine di esplorare la percezione del pubblico e sviluppare progetti comunitari. La ricerca del collettivo studia metodi di inclusione dei diversi linguaggi performativi con i nuovi media, per aprire alternative in cui la tecnica sia naturale estensione del corpo umano.

L’obiettivo della residenza è duplice: da un lato – ispirandosi alla figura della donna in Sardegna al periodo delle “regine giudicali”, riflettere sulle disequità di genere e sull’autodeterminazione di donne e ragazze; dall’altro esplorare nuovi approcci per la scoperta del territorio, attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità che lo abitano, per creare un’opera artistica esito di un processo di ricerca-azione attiva sul territorio.

Spiega ancora il collettivo: «Uniremo la nostra esperienza nel lavoro con le comunità al nostro interesse per il video e la ricerca che da anni conduciamo sul corpo, sulla sua forza performativa, sulla sua capacità di rappresentazione. Coinvolgeremo i gruppi folk del paese e tenteremo di entrare in contatto con donne e ragazze che ancora indossano il costume per comprendere il significato che ha per loro, perché continuano a indossarlo, che valore riveste nella loro vita la tradizione e come contribuisce alla trasmissione di un senso di appartenenza e di collettività».

La residenza si svolge al Museo Diffuso Exe di Sant’Antioco sino al 26 ottobre 2024, quando l’opera realizzata sarà presentata alla comunità durante un evento pubblico.

Il contributo di Andrea Contu e Raffaela Giulia Saba, operatori culturali del Csc Carbonia della Società Umanitaria e referenti del progetto: «L’edizione 2024 della residenza focalizza l’attenzione sull’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030 dedicato a donne e ragazze, per contribuire al raggiungimento dell’equità. Abbiamo deciso di declinare questo obiettivo scegliendo come tema quello del costume tradizionale femminile, inteso come elemento espressivo di valori collettivi e rappresentazioni soggettive. L’idea è sviluppare una riflessione sul ruolo culturale che può avere oggi il costume tradizionale in Sardegna, e sul modo in cui la sua interpretazione attraverso l’arte audiovisuale può contribuire al raggiungimento dell’autodeterminazione di genere all’interno della società contemporanea».

La riflessione di Maria Pina Usai, curatrice del progetto per U-BOOT Lab: «Nel progetto la declinazione del termine costume ha due valenze, strettamente legate alla figura delle Giudicesse. La prima parte dal loro ruolo di governatrici donne, ed è quella del costume come possibile elemento di auto-rappresentazione del sé verso l’esterno: uno strumento di affermazione personale attraverso un modo di vestire, un mezzo di espressione del modo in cui si desidera essere viste e riconosciute dalla società, che possa aderire alla propria identità piuttosto che a un’identità imposta, e non necessariamente costretta in una categoria binaria. La seconda è legata al concetto di comunità e convivenza degli individuiche si ritrova nelle politiche giudicali sarde, e rispetto al quale il costume può essere letto nella sua valenza sociale, come patrimonio culturale in cui una comunità può riconoscersi, attraverso quel legame di cura definito nella tradizione da cui partire oggi per una risignificazione del rapporto con il territorio».

L’intervento di Marina Fanari, responsabile accessibilità e inclusione per U-BOOT Lab: «La creazione di un senso di comunità condiviso, che accolga tutte le unicità, si fonda principalmente sull’esercizio dell’immedesimazione. In questo contesto, la cultura e l’arte svolgono un ruolo cruciale, contribuendo a immaginare scenari futuri più equi e inclusivi. Al fine di promuovere la giustizia sociale e porre l’attenzione sul diritto alla partecipazione il collettivo è stato invitato a pensare l’opera come un’esperienza per tutti e per ognuno nella propria individualità, per immaginare come l’arte possa essere l’ambito in cui sperimentare soluzioni e visioni che esplorino al contempo l’unicità e la molteplicità della società».

L’isola di San Pietro ha ospitato per una settimana il laboratorio internazionale di architettura MEDEA Carloforte SHADE Lab, per ripensare gli spazi dell’antica Tonnara dismessa di Porto Paglia, in località La Punta.

Il workshop, che si inserisce nell’ambito del progetto Tunèa in continuità con la ricerca sviluppata dal collettivo multidisciplinare U-BOOT Lab, è parte della ricerca MEDEA condotta dall’Università Sapienza di Roma, sotto la direzione scientifica di Mosè Ricci.

La metodologia utilizzata del SHAring DEsign Lab (SHADE Labs) è stata incentrata sulla sperimentazione di un approccio place-based al fine di sviluppare soluzioni progettuali in grado di far rivivere gli spazi aperti della tonnara come spazi comuni, con l’obiettivo di lasciare sul territorio un’azione concreta utile all’adattamento al cambiamento climatico, e in grado di attivare un processo di rigenerazione grazie a obiettivi sostenibili e attraverso un approccio transnazionale territorialmente integrato.

Il laboratorio si è svolto all’interno degli spazi dell’ExMA, recentemente ristrutturati a Carloforte e messi a disposizione dalla municipalità, e ha visto la partecipazione di 23 studenti internazionali provenienti dalle università di Siviglia, Barcellona, Istanbul e Roma, che si sono misurati con il “caso studio” Carloforte attraverso un approccio sperimentale basato su tre obiettivi: testare la capacità degli spazi comuni, dell’architettura e delle soluzioni nature-based di valorizzare le risorse esistenti,  rafforzare la partecipazione dei cittadini, produrre effetti moltiplicatori e impatti positivi sul livello di consapevolezza delle persone nei confronti dei rischi legati al cambiamento climatico.

Sotto la guida dei docenti e tutor Mosè Ricci, Giacinto Donvito, Francesca Rossi, Diana Ciufo (Sapienza University of Rome); Maurizio Memoli (University of Cagliari), Maria Pina Usai e Marina Fanari (U-BOOT lab/Tunèa), Fitnat Cimşit Koş (Gebze Technical University), Ilgin Ezgi Tunc (University of Tokyo), Pere Fuertes e Isabel Vega (ETSAV, Polytechnic University of Catalonia), sono state sviluppate 5 idee progettuali che saranno illustrate alla cittadinanza venerdì 20 settembre alle 18 in Piazza Carlo Emanuele III, davanti all’Info Point – Pro Loco a Carloforte.

Il programma di venerdì 20 settembre prevede:

  • ore 18.00: presentazione dei progetti alla comunità tramite la proiezione sullo schermo dell’Info Point  – Pro Loco delle tavole di progetto e delle idee, in Piazza Carlo Emanuele III
  • ore 20.30: Festa conclusiva e dj-set all’ Inderè Bistrot in Piazza Repubblica.

Un grande laboratorio di riflessione sul ruolo della donna, dalle Giudicesse medievali alla vita socio-economica della Sardegna contemporanea. È il senso della residenza artistica Giudicesse 2030, in corso da lunedì 4 dicembre a Sant’Antioco e che, sino a sabato 16, coinvolgerà la comunità locale attraverso laboratori e incontri informali per un percorso creativo condiviso.

A condurre la residenza nei locali dell’ex Monte Granatico è il duo multidisciplinare STUDIOLANDA, composto da Giorgia Cadeddu e Vittoria Soddu, che ha vinto il bando promosso dalla Società Umanitaria di Carbonia, capofila del progetto realizzato in collaborazione con le associazioni Terras e U-BOOT Lab.

«Giudicesse 2030 dice Moreno Pilloni, direttore della Società Umanitaria di Carboniarisponde alla necessità di sviluppare una consapevolezza collettiva su ciò che le comunità possono fare per incidere sui cambiamenti globali, a partire dalla gestione del proprio territorio inteso come patrimonio culturale condiviso.»

Il progetto proposto da STUDIOLANDA parte da una prima fase di studio rigoroso delle fonti letterarie e degli archivi storici audiovisivi, che verranno poi condivisi con gli abitanti e ibridati con la loro memoria collettiva, per la realizzazione di un’opera capace di coniugare il linguaggio sonoro a quello visuale, che sarà presentata come restituzione pubblica dell’esperienza residenziale sabato 16 dicembre.

«La finalità spiega Maria Pina Usai, U-BOOT Lab, curatrice del progettoè costruire insieme una nuova narrazione delle Giudicesse, senza fermarsi alla loro rievocazione storica di ‘principesse medioevali’, ma utilizzando il loro ruolo storico come ‘base’ da cui far emergere il ruolo delle donne oggi, nella vita socio-economica della Sardegna contemporanea.»

Aspetti imprescindibili del progetto sono accessibilità e inclusione, curati da Marina Fanari, U-BOOT Lab, che spiega: «Il principio “non lasciare nessuno/nessuna indietro”, slogan dell’Agenda 2030, permeerà ogni aspetto della residenza, dall’accessibilità degli incontri con la comunità ai contenuti dell’opera fino all’evento pubblico finale. Tra le varie azioni abbiamo previsto traduzioni simultaneedall’italiano alla lingua dei segni italiana (LIS) e viceversa, e la sottotitolazione dei contenuti visuali, inclusa quella simultanea durante l’evento finale».

La residenza è aperta dal 4 al 16 dicembre, e la comunità sarà invitata a partecipare sia attraverso laboratori con i bambini sia attraverso incontri informali negli spazi nell’Ex Monte Granatico, messi a disposizione dal Comune di Sant’Antioco come parte del MuseoDiffuso.exe e gestiti da Ottovolante Sulcis.

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“Futuro comune con Massimo Zedda”, l’ottava lista presentata a sostegno della candidatura alla carica di governatore della Sardegna di Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, ha presentato candidati in tutte e 8 le circoscrizioni elettorali, Nella circoscrizione di Carbonia Iglesias, i candidati sono: Marina Fanari, Mauro Liggi, Alessandro Murgia, Valeria Muroni.