26 April, 2024
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Tumori: il “tempo che resta” ed il rapporto fra il tempo e la dotazione di personale – di Mario Marroccu

Un nemico invisibile si aggira tra i malati tumorali: è il consumo inutile del tempo che resta, ed il tempo è l’essenza della vita.
Un’anima alla Sanità venne data dalla Commissione di Tina Anselmi la quale raccontò che la sua Riforma Sanitaria era nata sulle montagne durante la resistenza del dopoguerra. Ella aveva sognato un’assistenza sanitaria fondata su tre valori: l’Universalità, l’Uguaglianza, l’Equità. In quella Riforma, apparirono per la prima volta i Livelli Essenziali di Assistenza: i L.E.A., tutelati dalla Costituzione.
I LEA contengono tutte le prestazioni sanitarie: da quelle ambulatoriali a quelle ospedaliere. Vanno dalla cura dei denti alla cura dei tumori e ai trapianti d’organi. L’elenco dei LEA viene aggiornato quasi annualmente da AGENAS; l’Agenzia Nazionale e regionale Sanità, che è una emanazione del Ministero della Salute. AGENAS sorveglia la corretta erogazione dei LEA all’interno dei Piani Sanitari.
I LEA hanno reso il Sistema Sanitario Nazionale italiano uno tra i migliori del mondo, tuttavia ad un attento esame dell’elenco delle prestazioni garantite si nota la mancata citazione di un fattore essenziale: il tempo da dedicare alla assistenza al malato.
Nonostante il tempo sia la struttura portante su cui si sviluppa la vita di ognuno di noi, quando lo descriviamo lo facciamo come se parlassimo in lingue diverse, perché la sua percezione è diversa secondo i nostri diversi modi di sentire.
– La percezione del tempo nei giovani è misurata in termini di futuro , e non finisce mai.
– La percezione del tempo negli anziani è prevalentemente calcolata sul passato e poco sul futuro.
– La percezione di chi è malato terminale, in prossimità del fine vita, limita la fine del tempo in giorni, mesi od ore.
– La giovinezza e la vecchiaia sono percepite secondo il tempo consumato e quello che resta da vivere.
– Con la nascita si percepisce l’ ingresso nel tempo , e col fine vita se ne percepisce l’uscita.
Anche le malattie vengono suddivise secondo il tempo in : malattie croniche e malattie tempo-dipendenti.
Le malattie tempo-dipendenti si identificano con le emergenze che concedono poco tempo come l’infarto del miocardio, il politrauma, o l’ictus.
Le urgenze mediche sono state distinte in: urgenze differibili e urgenze indifferibili, in base al molto o poco tempo a disposizione per intervenire.
Le “urgenze differibili” sono una contraddizione in termini perché tutto ciò che è urgente implica l’immediatezza delle cure. Le urgenze si classificano in base al tempo disponibile per salvare la vita del paziente. In tutti i casi non c’è tempo da perdere.
Nei Pronto Soccorso degli Ospedali l’urgenza viene identificata con un colore: verde, azzurro, arancione, rosso. E’ il triage ed è una suddivisione legata al tempo.
Moltissime urgenze sono classificate come differibili. Fra queste sono compresi i tumori maligni.
Il tempo è la componente fondamentale per classificare gli Ospedali in base al tempo di intervento più o meno urgente per l’inizio delle cure; per questo lo Stato individua gli Ospedali pubblici come sedi di Emergenza ed Urgenza.
Gli Ospedali privati in Sardegna non sono deputati all’urgenza ed emergenza e pertanto non sono tenuti ad un controllo serrato del tempo di intervento.
Il fattore tempo è inoltre determinante per stabilire le distanze che gli Ospedali devono avere dalla popolazione: devono essere in prossimità per motivi di tempi di percorrenza.
Il tempo come lo spazio è un mistero: di ambedue non si sa dove e quando inizino e dove e quando finiscano. Sono concetti talmente difficili da definire che hanno alimentato per millenni gli studi di filosofi, scienziati, e teologi.
Forse l’impalpabilità del tempo, la mancanza di una sua forma e volume, o aspetto, lo fanno ritenere una astrazione, o un sentimento, impossibili da definire.

Gli antichi cominciarono a misurare il tempo con le meridiane durante il giorno e con le candele durante la notte. Si pensò di identificare il tempo con il succedersi di eventi naturali. Era pur sempre una entità poco maneggevole, più vicina alla percezione di un sentimento che alla concretezza degli oggetti fisici.
Ci sono voluti millenni per distinguere se il tempo fosse un’entità astratta o una materia concreta.
Nel sesto e quinto secolo avanti Cristo i greci Parmenide, Zenone, Platone, Aristotele, studiarono il tempo. Poi nei primi secolo dopo Cristo lo studiarono sant’Agostino ed altri suoi discepoli.
Nell’epoca moderna fu vivace il dibattito fra tempo assoluto e tempo illusorio fino ad arrivare ad un inquadramento scientifico concreto con Isaac Newton e Galileo Galilei. Finalmente nel 1905 Albert Einstein, con la teoria della Relatività ristretta dimostrò matematicamente la struttura fisica del tempo nella famosa equazione “E = M C quadro”. La “C” indica la velocità della luce, misurata in chilometri al secondo (spazio per tempo). Sviluppando l’equazione si dimostra che il “tempo” è un’entità fisica concreta, e in quanto tale viene misurato, utilizzato e valutato come oggetto di scambio in ogni commercio umano: si misura col tempo la durata dei Governi, la durata delle pene, la durata del lavoro, etc.
Anche la Biologia va nella stessa direzione della fisica einsteiniana.
I nostri bisnonni calcolavano le ore notturne col tempo impiegato da una candela di cera per consumarsi, ottenendo cosi il calcolo del tempo consumato.
Qualcosa di simile alle candele si trova nei nostri cromosomi. Si è visto che i cromosomi possiedono alle loro estremità due “code” che vengono chiamate “Telomeri”. I telomeri misurano la durata della vita.
Sono lunghi alla nascita e si consumano, accorciandosi, con l’invecchiamento; quando sono del tutto consumati, come fanno le candele, la replicazione cellulare si ferma: avviene la morte.
La mancanza di una regolamentazione sull’uso del fattore tempo è esiziale per l’efficienza del nostro Sistema sanitario, sopratutto nelle fasi di fine vita.
Il nesso di causalità tra il “consumo di tempo” e la “morte” è certo. Ne consegue che l’inutile consumo di tempo in attesa di cure va evitato.
Chiunque quotidianamente assiste a scene di consumo di tempo per motivi di salute:
– le file davanti ai laboratori per analisi;
– le file davanti agli studi professionali convenzionati;
– le file ai Pronto Soccorso in tutti gli Ospedali;
– Le lunghe liste d’attesa per visite specialistiche;
– le lunghe attese per indagini complesse e interventi chirurgici;
– i lunghi viaggi verso Ospedali lontani che offrono prestazioni diagnostiche.
In questa elencazione suscita particolare amarezza il destino dei malati tumorali per:
– le lunghe attese per giungere alla diagnosi di certezza con TAC, RMN, endoscopie, biopsie. Iter che durano mesi:
– le lunghe attese dei malati per ottenere il ricovero nei centri dedicati;
– le lunghe attese aspettando il turno per ricevere le terapie fisiche antineoplastiche;
– i viaggi della speranza in continente, faticosi, dolorosi, costosi e spesso inutili.
I malati tumorali sono i pazienti che più di tutti hanno uno stretto rapporto col “tempo che resta”. Più che il dolore, in questi pazienti e nei loro cari, fanno soffrire l’angoscia e la disperazione per un destino già scritto. In questa fase della vita serve il rispetto di regole dedicate al tempo.
Per quanto possibile i LEA dovrebbero imporre tempi di attesa certi per l’esecuzione degli esami diagnostici e delle cure. L’iter delle procedure di indagine e di cura dovrebbe essere brevissimo, senza interruzione e, esattamente come si fa per il politrauma e per l’infarto, dovrebbe esistere un “118” oncologico perché il tempo di vita è poco. Nessuno farebbe attendere, ad un infartuato che arriva il venerdì mattina, l’inizio del trattamento di disostruzione coronarica, fino al lunedì successivo solo perché ci sono di mezzo il Sabato e la Domenica di riposo. Come l’infarto del miocardio anche il cancro non si ferma nei giorni di festa. I reparti di diagnosi e cura del cancro dovrebbero essere continuamente attivi, e dovrebbero essere evitate le interruzioni secondo il calendario. Il calo della presenza del personale negli Ospedali dello Stato nei giorni festivi e prefestivi è perfettamente legittimo ed è regolato dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro. Senza dubbio tutti i lavoratori hanno il diritto e anche il dovere di godere del riposo settimanale pertanto, per i malati che soffrono di patologie che non danno più tempo, ci vuole una diversa organizzazione.
Per assicurare le cure ai pazienti urgenti e ai tumorali, senza interruzione, esiste una sola soluzione: incrementare il personale dipendente tanto da mantenere perennemente in attività i servizi di diagnosi e cura.

Le conseguenze benefiche sarebbero:
– la somministrazione tempestiva delle cure;
– esami diagnostici anch’essi tempestivi;
– il precoce ritorno a casa dei malati;
– la riduzione dei tempi di ricovero:
– la maggiore disponibilità di posti letto per pazienti oncologici in attesa.
Il tempo e la sua amministrazione sono al centro di questo ragionamento.
Eppure dalla Riforma Mariotti del 1968 ai giorni nostri vi fu solo un Ministro che varò una Riforma Sanitaria degli Ospedali usando come parametro il “fattore tempo” ed il “fattore organici del personale” commisurato al numero dei posti letto ed alla intensità delle cure. Il Ministro si chiamava Carlo Donat Cattin, un sindacalista prestato alla politica. La legge di riforma era il DM 13 Settembre 1987 che dettava norme sugli Standard Ospedalieri. Con quelle norme egli assegnò immediatamente agli Ospedali 12.700 medici e 67.900 infermieri professionali. Allora il numero dei posti letto ospedalieri era pari a 6,5 posti letto per mille abitanti. Cioè quasi il doppio di quelli attuali che sono pari a 3,7 posti letto per 1.000 abitanti. La legge imponeva che i servizi diagnostici (radiologie, laboratori analisi) dovessero lavorare in due turni giornalieri per 12 ore al giorno. La suddetta Riforma ebbe il pregio di indicare lo standard degli organici uguale per tutte le regioni e per tutti gli ospedali, sia nei capoluogo che nelle Province.
Nel 2006, nel nuovo Ospedale di Forlì, venne applicata sperimentalmente una nuova struttura degli organici del personale legata alla intensità di cure. Fu un esempio nazionale ed europeo. Vi furono organizzati reparti perennemente attivi e reparti che godevano dei riposi e chiusure settimanali. La differenza stava nella numerosità del personale Medico ed Infermieristico commisurata all’intensità dell’impegno professionale.
In passato avevamo norme per definire gli Organici di Personale da attribuire equamente agli Ospedali secondo l’intensità di cure. Oggi ne siamo privi perché le ASL non possono produrre gli Atti Aziendali, e gli Atti Aziendali non possono essere prodotti perché mancano le linee guida che, a loro volta, devono essere fornite dagli organismi centrali della Amministrazione Sanitaria Regionale. In mancanza di una legge che definisca come si devono formare gli Organici è praticamente impossibile procedere ad assunzioni e la macchina ospedaliera si ferma.
L’insoddisfacente gestione del tempo di vita dei pazienti tumorali deriva dalla carenza relativa di Personale, di posti letto e dall’insufficienza dei Servizi diagnostici così, molti, non possono essere curati in regime di ricovero. Tanti malati vengono rispediti al loro domicilio con consigli terapeutici e liste di esami, anche complessi, da fare ambulatorialmente. Non è eccezionale sentire storie di pazienti affetti da tumore maligno, e da metastasi ossee dolorosissime, che sono costretti a partire dalle loro abitazioni, situate nelle città del Sulcis, verso Ospedali lontani come Bosa, Olbia o Muravera, per eseguire una TAC o una Risonanza Magnetica.
Visto che la misericordia per questi malati è solo un valore morale, è utile farla diventare un obbligo civile regolamentato.
E’ bene essere consapevoli di questo stato di cose.
Siamo tutti destinati a viaggiare nella stessa barca e, che si voglia o no, il tempo che resta è limitato.

Mario Marroccu

Silvia Battaglio ha
L'Amministrazione co

giampaolo.cirronis@gmail.com

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