“Long Life Risk”: salvarsi dal rischio di vivere a lungo – di Mario Marroccu

Le assicurazioni americane stanno piazzando nel mercato un nuovo prodotto di successo: una copertura assicurativa per proteggersi dal “rischio di vivere a lungo” Non si era mai sentita nella Storia una frase del genere: è un’“americanata”? Purtroppo, no. In realtà i promotori di quella iniziativa mettono in guardia gli anziani che stanno troppo bene, e che hanno prospettiva di raggiungere età più avanzate, sul pericolo che la somma accantonata per la loro assicurazione sanitaria sia appena sufficiente per coprirli fini all’età di 75-80 anni. Se dovessero vivere più a lungo non ci saranno più i fondi per essere assicurati in caso di malattia o l’invalidità. L’attuale ministro delle Finanze ne ha appena accennato ma mi pare che non sia stato ben compreso. Gli Americani invece hanno preso molto sul serio la proposta di acquisto di quel pacchetto assicurativo. Quelli che possono pagarlo lo stanno comprando. è molto inquietante ma, intendiamoci, tra Italia e America il Sistema Sanitario e sociale (Welfare) è diversissimo. Noi abbiamo la garanzia che lo Stato ci salverà e ci assisterà fino all’ultimo giorno di vita. Questa sicurezza sociale fu una conquista della legge 833/78 di Tina Anselmi. Purtroppo, oggi la sicurezza che avremo l’assistenza socio-sanitaria per tutti e per sempre è meno “granitica”; si può sgretolare da un momento all’altro.
Molto dipende dalla rivoluzione che si è abbattuta sul libero interscambio del mercato internazionale a causa dei dazi, delle guerre, delle sanzioni e della necessità di spostare al “riarmo” i fondi destinati al Wellfare. Tutto questo è aggravato da un altro evento storico che accade per la prima volta : l’andamento della “curva” demografica è cambiata a causa del forte aumento degli anziani e della forte diminuzione delle nascite. In cosa consiste? È molto semplice. la “curva” statistica della popolazione era fatta come un grande “triangolo”: il lato largo in basso del triangolo rappresentava il numero di giovani (da “zero” a “18 anni”); il vertice stretto del triangolo rappresentava il numero degli anziani non più attivi (dai 60 agli 80 anni circa). La parte del triangolo compresa tra la “base” e il “vertice “rappresentava il numero delle persone di età adulta ancora in età lavorativa tra i 18 e i 60 anni. Questa parte intermedia del triangolo era la più importante fonte di finanziamento delle spese dello Stato: si tratta, infatti, della parte della popolazione che lavora e produce reddito, cioè ricchezza e tasse da versare alle casse gestite dal Ministro delle Finanze. I fondi raccolti con le tasse servono allo Stato per mandare a scuola, assistere e curare i giovani dai “zero anni” ai “18”. Servono poi a dare l’assistenza sanitaria a “tutti” e per dare la pensione, sanità ed assistenza sociale agli anziani usciti dalla catena del lavoro produttivo. In America il sistema di finanziamento della assistenza sanitaria per le classi più agiate è rappresentato da un’assicurazione “personale”. Quell’assicurazione ha il difetto che quando i soldi versati sono stati esauriti cessa l’assistenza. I poveri hanno “Medicaid”, che è un’assistenza statale piuttosto modesta. In Italia il sistema di assistenza sanitaria invece è “solidale” ed è totale: i soldi raccolti con le tasse di chi produce reddito vanno a formare un’unica cassa che finanzia la Sanità Universale. Pertanto, è fondamentale che esista un alto numero di soggetti produttori di reddito e di tasse. Questi produttori di ricchezza e di tasse sono compresi fra i 18 e i 60 anni. Nel caso in cui gli appartenenti a queste classi di età diminuissero il Fondo Sanitario diminuirebbe. In tal caso, dato il forte numero di anziani usciti dal mondo del lavoro, e che necessitano di cure, i soldi non sarebbero più sufficienti per curarli. Potrebbe accadere che perdano il diritto ad essere curati come è avvenuto fino ad oggi.
Il ministro alle Finanze pochi giorni fa ci ha comunicato che che la “curva demografica” italiana è cambiata: adesso la base del “triangolo” demografico si è molto ristretta. Ciò significa che abbiamo meno giovani da avviare al mondo del lavoro e quindi avremo meno redditi da tassare. Per di più ci si è accorti che la parte intermedia della curva demografica (gli adulti) si è ristretta perché è fortemente diminuito il numero di coloro che lavorano producendo reddito. Oggi l’apporto di danaro verso il Ministero delle Finanze è diminuito e lo Stato comincia ad arrancare per garantire tutti i servizi sociali: dalla scuola alla giustizia, alla Sanità.
Il Sistema Pensionistico italiano si basa sul principio del sistema pensionistico “a ripartizione”. Si tratta di un modello in cui le pensioni vengono pagate a pensionati con i contributi versati all’INPS dai lavoratori attivi, creando un legame diretto tra le generazioni. Pertanto, le generazioni più giovani sostengono le generazioni più anziane sia per pagare le pensioni che vengono erogate ogni mese, sia per le spese sanitarie e assistenziali. Intendiamoci: l’anziano ha già pagato versando tasse e contributi tutto il suo periodo lavorativo; in cambio ha avuto la promessa che tutto il versato gli verrà restituito quando sarà in pensione, pertanto non è in debito con nessuno. Questo sistema “a ripartizione” è geniale ed è stato inventato quando esisteva un equilibrio numerico costante nella composizione tra le generazioni. Esiste un compenso tra i pensionati dato dal fatto che un certo numero di pensionati muoiono anticipatamente senza avere la fortuna di invecchiare. In tal caso i fondi versati e non goduti vanno a coloro che vivono più a lungo. Qui sta il punto dove il meccanismo si inceppa: mentre prima l’aspettativa di vita si fermava tra i 65 e 75 anni, oggi l’aspettativa di vita va dagli 83 agli 85 anni. Ne consegue che si sta vivendo in media 12 anni in più dei nostri predecessori vissuti nella prima metà del 1900. Pertanto, ne consegue che è possibile che coloro che oggi vivono molto più a lungo consumino precocemente i fondi lasciati a disposizione da chi ha versato tutto ma è deceduto in anticipo.
A questo si aggiungono 4 aggravanti.
Prima: è calcolato che l’85% dei fondi che ognuno di noi ha versato in tutta la sua vita lavorativa vengano consumati per spese di assistenza sanitaria nell’ultimo anno di vita.
Seconda: il numero di italiani in età lavorativa, che versano parte del loro reddito al Ministero delle Finanze, sta diminuendo velocemente.
Terza: dei 16 milioni di italiani che percepiscono la pensione, 8 milioni hanno versato in tasse una parte del loro reddito. Gli altri 8 milioni no (vedove, inabili al lavoro, redditi troppo bassi a livello di povertà).
Quarta: oggi in Italia stanno nascendo pochissimi bambini. Ne consegue che fra 18 anni ci saranno pochissimi cittadini in età di lavoro capaci di produrre reddito e tasse. In sostanza fra 18 anni non ci saranno i fondi per sostenere il pagamento delle pensioni e la spesa sanitaria e sociale.
Gli americani statunitensi, che hanno un pessimo sistema sanitario pubblico, sono già arrivati al problema della mancanza di fondi per garantire una serena vecchiaia agli anziani. La soluzione adottata per ora è l’invito ad acquistare un pacchetto assicurativo sanitario che protegga dal rischio di vivere troppo a lungo (“long life risk”). è evidente che tale soluzione vale solo per chi ha una forte disponibilità di danaro.
Anche da noi in Italia fioriranno proposte assicurative per «chi rischia di vivere troppo a lungo». Basare la nostra serenità sanitaria sulle Compagnie assicurative private non può essere considerata alla stregua di una soluzione sociale.
Guardando al dato demografico italiano emerge una conclusione inevitabile: bisogna agire subito per salvare questa e la prossima generazione dal fallimento del Sistema Sanitario e del Welfare. Il dato più vistoso fornito recentemente dall’INPS riguarda il capovolgimento del rapporto numerico fra giovani e anziani. In esso è evidente il crollo del numero di italiani in età lavorativa che producono reddito e gettito fiscale. Gettito che serve ai pensionati.
Orbene, il numero di italiani in età di lavoro redditizio, oggi è diminuito ma ancora sopportabile; purtroppo però è destinato a diminuire ulteriormente perché nascono sempre meno bambini, che sono i futuri lavoratori e contribuenti.
Il dato che illumina sul cosa fare sta nello studio analitico della demografia femminile. La componente femminile in età feconda si rivela in assoluto la componente più preziosa di una Società che vuole continuare ad esistere.
Nota bene: la popolazione femminile deve essere valutata con parametri assolutamente diversi da quelli usati per i maschi. I demografi ne classificano le coorti su un dato: la fecondità. Vengono considerate feconde le femmine tra i 15 e 49 anni. Sono considerate “non feconde” quelle in età precedenti i 15 anni e le età successive ai 49 anni. Questa classe della fecondità viene, a sua volta, distinta in una classe di “fecondità crescente” dai 15 ai 32 anni, e in una classe di “fecondità decrescente” dai 32 ai 49 anni.
– Secondo l’ISTAT le donne feconde in Italia 25 anni fa erano 13 milioni e 700.
– Invece le donne in età feconda dal 2024 (dati ISTAT) sono 11 milioni. Significa che in 25 anni abbiamo perduto in Italia ben “2 milioni e 700mila” donne feconde, cioè circa un quinto. Fra altri 25 anni (nel 2050) il numero delle donne feconde calerà di molti milioni ancora e sarà talmente basso da non garantire più la sopravvivenza della nazione italiana.
Il calo della natalità è dovuto a due fattori:
– la diminuzione dei nati per donna fertile;
– la diminuzione crescente del numero assoluto di donne fertili.
Questi due fenomeni vanno arrestati. Solo lo Stato può farlo. Il crollo progressivo della natalità per carenza di donne feconde iniziò nel 1992. Da allora il peggioramento non si è più arrestato. Dai nuovi nati di questi anni proverrà un numero ancora inferiore di femmine feconde e un ulteriore crollo della natalità. Ciò invertirà ulteriormente il rapporto fra giovani coorti attive nel lavoro e anziani non più produttivi.
I demografi sostengono che la natalità può essere considerata in buon equilibrio quando il rapporto di nuovi nati per donna (o coppia) fertile è pari a 2,1 per donna feconda. Questo felice rapporto numerico è stato mantenuto solo dai Paesi più evoluti del Nord-Europa e la Francia. Essi hanno attuato politiche di protezione della componente femminile feconda, sia assegnando adeguati sussidi di maternità, si garantendo asili nido e soprattutto la possibilità di continuare gli studi a spese dello Stato ed ottenere i diplomi e i lavori desiderati. Tutto ciò senza gravare sulle finanze familiari. Purtroppo, a causa del crollo della coorte di donne feconde oggi, in Italia, abbiamo una natalità di 1,2 bambini nati per donna. Questo valore dice che la popolazione Italiana sta viaggiando verso la sua estinzione.
In Sardegna, e in particolare nel Sulcis Iglesiente, il rapporto è crollato da 2,1 bambini per donna a 0,8 bambini per donna fertile. Significa che stiamo scomparendo, ma soprattutto significa che siamo già in una situazione di criticità di bilancio pensionistico a causa dell’assenza di una prossima generazione di giovani che dovranno sostituire coloro che oggi sono al lavoro. Mancheranno nuovi soggetti capaci di produrre un reddito per se stessi e per il finanziamento dello Stato sociale (pensioni e Sanità). A questo punto è chiaro il perché i cittadini americani stiano stipulando le convenzioni di assicurazione per il rischio che corrono i pensionati d’essere abbandonati a se stessi nel caso vivano più a lungo.
Questo è il dato concreto di cui non abbiamo mai parlato finché non lo ha pubblicamente dichiarato il Governo Italiano attraverso il Ministro delle Finanze.
A questo punto, il problema delle donne feconde che non danno alla luce nuovi bambini italiani è molto più grave persino delle guerre nel mondo. Abbiamo necessità di governanti che si mettano a studiare per trovare il modo corretto di restituire, alla parte femminile della società, la tranquillità e la sicurezza sociale per poter mettere al mondo i figli. C’è poco da fare: le assicurazioni non ci salveranno; ci salveranno le donne che sono in assoluto la parte più pregiata della società.
Mario Marroccu
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