28 March, 2024
HomePosts Tagged "Francesco Masala"

[bing_translator]

Ritorna Aspettando NurArcheoFestival, il cartellone di spettacoli nato con l’obiettivo di estendere la partecipazione alla rete delle aree archeologiche e di interesse storico paesaggistico che intendono creare un dialogo vivo con il teatro, anche al di fuori del periodo canonico di svolgimento del festival, organizzato da Il crogiuolo con la direzione artistica di Rita Atzeri.

Sottotitolo significativo quello proposto nell’edizione 2020, “Viaggio in Sardegna: Sulcis da scoprire”. Viaggio in Sardegna perché dopo la quarantena e con le restrizioni ancora in atto in forma di prevenzione al Covid-19, abbiamo pensato che un aiuto concreto a far ripartire il turismo nella nostra isola, fosse quello di promuoverne la conoscenza anche e soprattutto fra i suoi abitanti. Sulcis da scoprire, perché le prime amministrazioni a confermare la loro partecipazione e ad avere la forza di organizzare sono state quelle di Sant’Anna Arresi e Teulada, supportate dall’associazione Sarditinera.

Sono tre gli appuntamenti programmati: il primo, lunedì 27 luglio a Sant’Anna Arresi, dove in piazza Nuraghe, andrà in scena, alle 21.00, Su Connottu – un classico del teatro sardo, scritto nel 1972 dal poeta, romanziere, drammaturgo nuorese Romano Ruju e portato in scena per oltre 300 recite dalla cooperativa Teatro di Sardegna – il primo spettacolo in cartellone a essere rappresentato.

A qualcuno il nome di Pasqua Selis Zau, nota Paskedda Zau, non dirà nulla. Eppure è lei la popolana nuorese, madre, vedova, di dieci figli, che il 26 aprile del 1868 scatenò la sommossa popolare contro gli effetti della Legge delle Chiudende (il provvedimento legislativo emanato nel 1820 durante la dominazione sabauda in Sardegna, che autorizzava la recinzione dei terreni fino ad allora considerati, per tradizione, di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata), quando contadini e pastori  protestarono contro la volontà del Consiglio comunale di Nuoro di voler privatizzare le terre pubbliche. Quella rivolta  è passata alla storia come “Su Connottu”, dal grido levato da Paskedda, “A su connottu, torramus a su connottu!”, al “conosciuto”, alla consuetudine. Nell’opera di Romano Ruju, poi arricchita dalle ballate di Francesco Masala e riscritta per la scena dal regista Gianfranco Mazzoni, la narrazione è affidata principalmente agli uomini. Nel racconto al femminile pensato dal Crogiuolo, a dare lettura  del testo, adattato, saranno Rita Atzeri, Maria Grazia Bodio, Isella Orchis, due attrici storiche del Teatro di Sardegna, Gisella Vacca e il fisarmonicista Stefano Minnei: “Un tentativo, senza stravolgere i contenuti della narrazione, di riportare equilibrio alla vicenda, almeno sul piano interpretativo delle voci in scena”, specifica Atzeri.

Alcune note storiche. Il 26 aprile del 1868 i moti popolari nuoresi culminarono nella sommossa di Su Connottu, dal grido di battaglia della popolazione ormai esasperata, a distanza di 80 anni dal 1796, quando i sardi scesero in piazza per protestare contro la tirannia feudale al canto di “Procurad’ ‘e moderare Barones sa tirannia”. Allora a guidarli fu Giovanni Maria Angioi, a Nuoro invece il popolo scese in piazza guidato da una popolana, Paskedda Zau. Il motivo scatenante fu dato dall’amministrazione comunale, che, ispirandosi alla Legge delle Chiudende, fu autorizzata ad abolire i diritti di uso comune dei territori comunali da parte dei cittadini residenti e a mettere in vendita al migliore offerente i terreni interessati. Tutto ciò doveva anche concorrere a finanziare gli inglesi della Compagnia della Ferrovie che allora realizzavano le prime strade ferrate sarde. Questo provvedimento comportò di conseguenza a pastori e contadini il non poter più usufruire dei terreni destinati al pascolo e alle coltivazioni, facendo mancare loro l’unica fonte di reddito e di sostentamento.

Il 7 agosto, sempre ore 21.00, ci si sposta nella casa baronale di Teulada, con “La vedova scalza” da Salvatore Niffoi.

Con Carla Orrù protagonista e la regia di Virginia Siriu (produzione Theandric), la messa in scena, tratta dall’omonimo romanzo di Salvatore Niffoi, vincitore del Premio Campiello 2006, accompagna gli spettatori lungo un percorso catartico che dalla cieca violenza sfocia nel suo rifiuto. La vendetta, la sopraffazione, l’onore da lavare col sangue sono gli ingombranti concetti che vengono messi in dubbio.

Siamo nella Barbagia degli anni ’30, popolata di piccoli paesi in cui la vita è regolata dai podestà fascisti e dalle leggi non scritte della società tradizionale. La violenza è ovunque: nello strapotere fascista, nelle angherie delle forze dell’ordine, nel sistema di usi e consuetudini che fossilizza i membri della società in una serie di ruoli prescritti e azioni comandate. La donna ne fa parte in quanto essere quasi annichilito: dedita alla vita rurale, è destinata solo alla preghiera e alla procreazione. La protagonista, Mintonia, appare da subito come il personaggio adatto a rompere questo circolo vizioso: al contrario delle donne del suo paese, si istruisce, legge Grazia Deledda e Tolstoj, è recalcitrante all’idea di subire dei soprusi. Sceglie da sé il proprio marito, Micheddu, a dispetto della contrarietà dell’intero paese che lo guarda con sdegno a causa del suo carattere ribelle. Micheddu, come Mintonia, non ama sottomettersi al potere, e presto finisce nel mirino del brigadier Centini. Il concatenarsi degli eventi costringe Micheddu alla latitanza. Infine, verrà ucciso in modo crudele. Rimasta sola con un figlio da crescere, Mintonia brucia dal desiderio di vendicarsi uccidendo il mandante, Centini. Riesce a introdursi nella casa del brigadiere e, dopo averlo sedotto, lo accoltella a morte. Subito dopo, scappa in Argentina. Ma la violenza non trionfa. Mintonia, seppur colpevole, diventa il motore del cambiamento: accortasi di essere rimasta incinta di Centini, decide di tenere il bambino. Cresce dunque i suoi due figli, l’uno del marito vendicato, l’altro del mandante ucciso, come fratelli. La vendetta non ha più senso, il peso del rimorso è un

prezzo troppo caro da pagare: il perdono rappresenta l’unica via di fuga dalla spirale di sangue. Mintonia si sporca le mani di sangue, ma si redime, dando la vita dopo averla levata. È una dispensatrice di morte che alla fine si converte alla vita.

Il 17 agosto, si torna a Sant’Anna Arresi, ore 21.00, con lo spettacolo “Corpi al vento”, in prima regionale, messo in scena proprio nello spazio antistante il nuraghe. In scena Ilaria Gelmi e Antonella Ruggiero messa a punto del lavoro delle attrici: Roberto Anglisani.

Una storia antica narrata da due corpi e due voci che si impastano, disgiungono, intrecciano, sovrappongono, fino a diventare un solo corpo e una sola voce.  Una madre, Pasifae, la madre del Minotauro, Arianna; la prima figlia, famosa per il filo con il quale portò Teseo in salvo dal labirinto; Fedra, la seconda figlia, una donna che non può trattenere una passione che le sgorga da dentro.  Donne cretesi, “le luminose” le chiamavano, tutte accomunate dallo stesso destino. Tutte fragili di fronte alle passioni d’amore, tutte vittime della stessa maledizione. Fragili, come la creta. Noi, donne, siamo tutte fatte di creta.  Un mito classico in chiave personale, femminile, ironica e contemporanea.

[bing_translator]

Bruno Rombi è morto il 27 aprile scorso all’età di 89 anni, a Genova, dove viveva dal 1962; era nato nel 1931 a Calasetta, nell’isola di Sant’Antioco dell’arcipelago del Sulcis, “enclave” linguistica tabarchina (variante della “lingua” ligure).

È stato poeta, scrittore, giornalista, traduttore, pittore, legato alla Sardegna ed al suo paese natale (dove ritornava ogni estate), intellettuale sempre schierato a fianco dei Circoli degli emigrati sardi nell’Italia continentale.

Ho conosciuto Bruno Rombi a Pavia nel novembre 1986 proprio in qualità di delegato del Circolo “Sarda Tellus” di Genova al quarto Congresso della Lega Sarda.

Davanti ai rappresentanti di 25 Circoli di emigrati isolani (tante erano allora le associazioni sarde nell’Italia continentale che facevano parte della “Lega”) pronunciò un discorso di alto livello sottolineando comunque autoironicamente il fatto che non era interessato a cariche dirigenziali, ma che non intendeva rinunciare alla sua fama di “rombiscatole” (ho potuto rileggere il suo intervento perché in queste ultime settimane ho completato la trascrizione al computer di questi atti congressuali, che spero possano essere pubblicati in  un volume a stampa).

Bruno Rombi non aveva peli sulla lingua e non nascondeva verità scomode: mi regalò una copia del suo pamphlet di qualche anno prima “Perché i sardi sono così divisi: testo della conferenza tenuta a Genova presso la ‘Sarda Tellus’, associazione democratica lavoratori emigrati, domenica 17 ottobre 1982” (Genova, Lanterna, pp. 28, 1983).

Lascio ad altri il compito di ricordare Rombi per le sue opere letterarie (narrazioni, studi critici e soprattutto poesie, tradotte in francese, inglese – diffuse in questa versione anche in India -, spagnolo, polacco, maltese, rumeno, macedone, greco, sloveno, catalano, corso, portoghese, urdu, arabo ed albanese, oltre che in latino: l’elenco lo ha stilato Giovanni Mameli) e per la sua intensa attività di pittore.

In questo contributo voglio soffermarmi sugli apporti culturali con i quali questo uomo di grande sensibilità, anche se indubbiamente “spigoloso”, ha arricchito l’attività delle associazioni degli emigrati sardi, collocandosi sempre accanto ai  fratelli-corregionali de “su disterru” e facendo proprie le loro istanze e rivendicazioni anche materiali.

Seguendo i suoi scritti e gli articoli che lo riguardano apparsi dal 1976 al 2010 nelle pagine del mensile Il Messaggero Sardo” cartaceo, vediamo che compare alla ribalta innanzitutto come poeta e poi come appassionato degli studi sulla lingua sarda (lui, di “madre-lingua” tabarchina, era ultrasensibile alle questioni delle minoranze  linguistiche), sul matriarcato in Sardegna, su nomi e cognomi della Sardegna, su emigrazione e razzismo (questi articoli sono legati a conferenze sui vari temi organizzati dal “suo” Circolo, il “Sarda Tellus” di Genova).

Manlio Brigaglia recensisce il suo libro su “Sebastiano Satta. Vita e opere” (Genova, marzo 1983) mentre Giovanni Mameli passa in rassegna scrupolosa le successive opere di Rombi: “Un anno a Calasetta” (prima edizione Genova, 1988; poi Sassari, Carlo Delfino, 2006); le raccolte di poesie “Un amore” (1992) e “Il battello fantasma” (2001); il secondo romanzo di Rombi (il primo era stato “Una donna di carbone”, Condaghes 2004) intitolato “Un oscuro amore” (Condaghes, 2009).

Un bilancio della sua produzione poetica, dal 1965 (data della sua prima raccolta, pochi anni dopo il suo trasferimento a Genova) al 2012 è stata  edita nel volume “Il viaggio della vita” (editore Le Mani di Recco, 2012, 330 pagine).

Molte opere di poesia e di prosa (comprese le ultime narrazioni: il romanzo “Il labirinto del G8” ed il racconto “L’ultima vestizione”, rispettivamente Condaghes 2011 e 2018) sono state presentate nella “Sarda Tellus” ma anche in altre associazioni di sardi emigrati, dove è stato spesso chiamato ad illustrare i risultati dei suoi studi critici sui Grandi della letteratura sarda: tra gli altri, Sebastiano Satta, Grazia Deledda, Salvatore Cambosu, Salvatore Satta, Giuseppe Dessì, Francesco Masala, Antonio Puddu, Angelo Mundula.

Personalmente lo portai nei Circoli sardi di Pavia e di Saronno a parlare di Sebastiano Satta, in occasione della ripubblicazione (presso Condaghes) della sua monografia sul poeta-vate nuorese, uscita in prima edizione, come si è detto, nel 1983.

Nota finale. Ho letto la notizia comparsa su questo sito in cui è stato messo in evidenza il forte legame di Bruno con il paese natìo:

https://www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com/2020/04/calasetta-ricorda-il-grande-concittadino-bruno-rombi-morto-a-genova-alleta-di-89-anni/

Personalmente vorrei aggiungere in questa occasione – richiamando un mio articolo in memoria apparso su questo sito – un breve cenno ad una personalità culturale sardo-genovese, amica di Bruno Rombi e, come lui, dei sardi emigrati: Lina Aresu:

https://www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com/2018/07/ricordo-della-scrittrice-lina-aresu-nuoro-16-gennaio-1938-chiavari-ge-15-giugno-2018-di-paolo-puilina/

Le “vite parallele” di questi due scrittori sardo-genovesi e le loro numerose opere (più di 40 per ciascuno) meriteranno in futuro di essere commemorate in una giornata di studi da organizzarsi da parte della comunità dei sardi emigrati.

Qui mi limito a rammentare che nel marzo 2004 Rombi presentò, sempre alla “Sarda Tellus”, il romanzo storico di appendice “Ritedda di Barigau. Bozzetto ogliastrino” del maestro di Semestene (Sassari) Marcello Cossu, edito nel 1885 dalla Tipografia Sociale di Vacca-Mameli di Lanusei. Una bella amicizia tra loro due, che hanno condiviso con un chiavarese doc, il docente di materie letterarie Marcello Vaglio, e con il sottoscritto, sardo trapiantato in provincia di Pavia.

Paolo Pulina

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

[bing_translator]

Stefano Delunas.

Yoga, meditazione e un laboratorio cinematografico per imparare l’arte della realizzazione dei cortometraggi. Sono queste alcune della attività del progetto Conoscer-Si, ideato per contrastare il disagio giovanile tra i ragazzi dai 12 ai 19 anni. Organizzato dall’Associazione Enti locali per le attività Culturali e di Spettacolo al programma hanno aderito i Comuni di Guasila, Villasalto, Villaspeciosa e Quartu.

Si parte martedì 15 ottobre, alle ore 12.00, nella scuola secondaria di Villaspeciosa con la presentazione e la proiezione del docufilm: Vinti ma non Convinti, Francesco Masala, il Capo Tribù Nuragico con la regia di Marco Gallus, prodotto dall’associazione culturale Cicito Masala. Un documentario di resistenza, e un’operazione di controinformazione sulla storia della Sardegna. Il docufilm sarà poi presentato negli altri Comuni: il 16 ottobre nella scuola primaria di Villasalto, il 18 nella scuola secondaria per i ragazzi di Guasila, mentre a Quartu Sant’Elena la proiezione è prevista in orario extracurricolare, per il pomeriggio del 22 ottobre.

I ragazzi iscritti ai corsi potranno, dunque, avere accesso a diversi laboratori proposti. Tra questi il Cinema low cost. Obiettivo di questo progetto è guidare gli allievi attraverso lo studio e l’analisi delle varie fasi di realizzazione di un cortometraggio, ma realizzato in maniera particolare: gli strumenti ammessi saranno gli smartphone e altre attrezzature facilmente reperibili. In questo modo non solo si azzerano i costi di produzione dell’opera cinematografica, ma si rende, soprattutto, l’operazione più vicina al linguaggio normalmente utilizzato dai più giovani. Il Laboratorio di Cinema Low Cost sarà a cura degli operatori di artisti fuori posto. Gli appuntamenti partono il 22 ottobre con i giovani di Villaspeciosa, a seguire si cimenteranno nelle operazioni cinematografiche i ragazzi di Guasila, sarà il turno di Quartu con Marco Gallus il 29 ottobre, e infine gli artisti fuori posto l’8 novembre guideranno la regia dei giovani di Villasalto.

«Il progetto nasce con l’obiettivo di dare spazio alla creatività e alle passioni e inclinazioni dei più giovani, specialmente in territori dove è più facile che si sviluppino situazioni di disagio – ha detto Paola Casula, sindaca di Guasila -. E’ un progetto che darà buoni risultati all’interno delle comunità coinvolte e per questo auspichiamo che si possa ripetere l’esperienza allargando la rete ad altri Comuni.»

E’ soddisfatto il presidente dell’Associazione Enti locali e primo cittadino di Quartu Sant’Elena Stefano Delunas: «L’Associazione sta ampliando i suoi interventi insieme alle amministrazioni lavorando anche sul sociale. I ragazzi potranno attraverso questo progetto non solo scoprire e imparare arti diverse, nuove passioni e inclinazioni personali, ma dare una svolta alla propria vita allargando il proprio orizzonte di apprendimento».

Laboratori esperienziali. Si è poi deciso di proporre ai ragazzi il laboratorio di Yoga: una filosofia di vita, un modo di vivere, uno stile che si ispira all’armonia, alla condivisione e promuove il rispetto di sé e degli altri. Alla fine della sessione yogica, ci sarà sempre uno spazio dedicato al laboratorio per lasciare traccia dell’esperienza svolta in modo più incisivo. Questi laboratori possono essere musicali, di danza, di teatro attraverso lo psicodramma oppure grafico-pittorici.

C’è anche il laboratorio di Mindfulness. La parola Mindfulness significa “presenza mentale”. La mindfulness può essere descritta come “la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento dopo momento” (Kabat-Zinn, 2003).

Il laboratorio di Yoga a Guasila e Villaspeciosa sarà tenuto da Barbara Olivari, mentre a Quartu e Villasalto i ragazzi saranno seguiti nel percorso disciplinare da Maria Valeria Cingolani. Le attività si svolgeranno in orario extrascolastico e coinvolgeranno ludoteche, centri culturali, associazioni locali nell’organizzazione del progetto. L’avvio del percorso è previsto per la settimana dal 15 al 18 ottobre per concludersi nel mese di febbraio del prossimo anno.

[bing_translator]

Ancora un menù tutto da gustare nella quinta giornata del “Festival dei Tacchi”, firmato Cada Die Teatro. Domani, martedì 6 agosto, si parte dalla Stazione dell’Arte di Ulassai, che ospita alle 17.00 la presentazione del libro di Emanuele Cioglia “Lotta amata”. Con l’autore ci sarà Silvestro Ziccardi. Poteva la Sardegna diventare l’incubatrice della rivoluzione socialista mondiale? Sembra il plot d’un romanzo utopico, fantapolitica. Tuttavia qualcuno molti decenni fa ci credette davvero. Come se Cuba e la Sardegna potessero unirsi attraverso un filo rosso, per taluni libertario, per altri brigatista e sanguinario. Alcuni giovani negli anni ’70 e all’alba degli ’80 di lavoro volevano fare la rivoluzione. Tra questi, di sicuro, lo zio di Erni, il (co)protagonista di questo romanzo. Zio Geremia nella carta d’identità provò a farsi scrivere “professione combattente“, ma all’anagrafe gli spiegarono che non si poteva, a meno che non s’intendesse dipendente delle Forze Armate. Allora lui disse all’impiegata: “Scriva poeta”.
L’autore aveva nove anni all’epoca della favola narrata. Molti aneddoti, soprattutto quelli relativi alle sue avventure, quelle del fratellino Ricciolo e delle cuginette Laura e Mara, sono autentici, veri, o verosimili. La storia parallela dello zio Geremia e del suo seguito di anarchici sgangherati, dei brigatisti e delle loro armi, degli amori e della comica forza rivoltosa di queste pagine, nonché quella del colpo di scena finale, risulta quasi del tutto inventata.

Alle 19.00 la Stazione dell’Arte sarà poi il luogo deputato per “Del coraggio silenzioso”, di e con Marco Baliani (collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone, produzione Comune di Bergamo – Teatro Donizetti – Casa degli Alfieri, con il patrocinio di Amnesty International). Con l’attore piemontese in scena la chitarra del cantautore Nicola Pisu.
Di solito si associa alla parola “coraggio” un’azione eclatante, dettata da un’urgenza impellente. È il coraggio che accade in condizioni estreme e che diviene poi epos, racconto, esempio. Ma c’è un altro tipo di coraggio, silenzioso e non appariscente, ed è di questa declinazione della parola “coraggio” che questo spettacolo vuole parlare. Il coraggio silenzioso agisce nell’essere umano quasi inaspettatamente, non presuppone una tempra guerriera. Questo coraggio agisce in forma sottomessa, ha a che fare con la profondità dell’umano che è in noi, a cui è perfino difficile dare una spiegazione. Non ci sono parole che spiegano come quell’impulso ad agire, nonostante tutto, avvenga in individui che di colpo sentono di dover compiere un gesto per loro improvvisamente “necessario”. Antigone, che, nonostante il divieto della legge di Creonte, va a seppellire il corpo del fratello, pagando con la morte quella trasgressione, è l’esempio archetipico di questa forma di coraggio. «Ci sono leggi non scritte, inviolabili, che esistono da sempre, e nessuno sa dove attinsero splendore». «È questo splendore di cui parla Antigone – spiega Baliani – quello che vado cercando in questo spettacolo, quel nocciolo luminoso che trasforma un’esistenza intera in un atto esemplare, ma silenzioso, luminoso ma vissuto nell’ombra, nel pudore, nella pura necessità del dover agire. Andrò alla ricerca di cinque narrazioni, cinque situazioni estreme, dove far illuminare cinque esistenze, che, grazie al racconto, divengono, in quel luogo effimero e potente che è la scena teatrale, cinque testimonianze di taciturno coraggio. Una struttura drammaturgica semplice, parole e musica che si intrecciano per restituire la semplicità scandalosa di quegli umani atti di coraggio silenzioso».

E il Museo di Ulassai, scrigno delle opere di Maria Lai, alle 21.30 vedrà protagoniste l’interpretazione di Pierpaolo Piludu e le musiche live di Paolo Fresu in “Laribiancos”, produzione storica di Cada Die Teatro, tratta dal romanzo “Quelli dalle labbra bianche” di Francesco Masala. Lo spettacolo, adattato per il palcoscenico dallo stesso Piludu, sotto la regia di Giancarlo Biffi, è impreziosito dalle musiche originali di Fresu (disegno luci di Giovanni Schirru e suono di Giampietro Guttuso e Matteo Sanna).
“Quelli dalle labbra bianche”, pubblicato per la prima volta nel 1962, è un capitolo importante della letteratura sarda. Al centro del romanzo di Francesco “Cicitu” Masala il villaggio di Arasolè, con le sue storie dolorose legate alla tragedia della seconda guerra mondiale sul fronte russo. Ad Arasolè, un giorno, il campanaro Daniele Mele – la voce narrante delle memorie del villaggio – chiama a raccolta il paese per rendere omaggio, dopo vent’anni, ai caduti in guerra. Mele è l’unico superstite fra i dieci compaesani che partirono per la Russia verso l’impresa più ardua della loro vita, in una trincea in mezzo alla pianura russa ghiacciata, una disastrosa avventura dal tragico epilogo. Ad Arasolè erano ‘quelli dalle labbra bianche’, sos laribiancos, i poveri, i ‘vinti’.
«Li chiamavano ‘sos laribiancos’, ‘quelli dalle labbra bianche’: era il segno distintivo, inconfondibile, dei poveri di Arasolè, un paesino della Sardegna, ai confini con le foreste del Goceano – scrive Pierpaolo Piludu -. Sos laribiancos si riconoscevano subito: mangiavano poca carne, pochi carboidrati, poche proteine… mangiavano troppo poco. Lo spettacolo nasce da un profondo interesse e dall’alta considerazione per l’opera di Francesco Masala. In diverse occasioni il poeta-scrittore di Nughedu San Nicolò mi ha manifestato il desiderio di vedere in scena il testo teatrale Sos laribiancos, nella versione sardo logudorese. ‘… e se invece di una messa in scena fedele, provassi a narrare la vicenda?’. E’ nato così un racconto che si rifà sia al romanzo Quelli dalle labbra bianche che ad altre opere di Masala dove compaiono a più riprese Culubiancu, Mammutone, Tric Trac e gli altri laribiancos di Arasolè partiti in un pomeriggio di sole del 1940, sopra un carro bestiame, per andare a fare la guerra. Dove possibile ho cercato di lasciare inalterata la suggestione poetica delle parole dell’autore. Allo stesso tempo, spero con il giusto rispetto, ho dovuto scegliere, aggiungere, assemblare, tradire.»

[bing_translator]

Joyce Lussu – La Rivoluzione possibile. E’ il titolo di quattro appuntamenti di studio fra cinema, teatro e musica sulla vita e l’opera di una ribelle, organizzati dal Crogiuolo, sotto la direzione artistica di Rita Atzeri. Joyce Salvadori Lussu: nata a Firenze nel 1912, antifascista, anche per tradizione familiare (i genitori erano intellettuali antifascisti, figli di famiglie marchigiane con origini inglesi), partigiana, capitano nelle brigate Giustizia e Libertà, medaglia d’argento al valor militare, moglie del cavaliere dei Rossomori (così lo definì Giuseppe Fiori nel suo mirabile libro a lui dedicato), del capotribù nuragico (così Francesco Masala nel titolo di un suo famoso radiodramma) Emilio Lussu, mitico capitano della Brigata Sassari nella Grande Guerra, fondatore del Partito Sardo d’Azione e del movimento Giustizia e Libertà. Joyce Lussu: scrittrice, traduttrice (a lei molto devono i versi in italiano del poeta turco Nazim Hikmet) e poetessa. Per ricordarla, approfondire e riflettere, quattro appuntamenti dislocati fra Cagliari, Armungia e Portoscuso, a partire dal 23 giugno fino al 18 luglio.

[bing_translator]

Dopo l’esecuzione dell’inno ufficiale della Regione “Procura de moderare” da parte del Coro parrocchiale Santa Maria degli Angeli di Flumini, del Gruppo Cuncordia – launeddas e del Coro a tenore Murales di Orgosolo, ha preso la parola lo storico Luciano Carta, presidente del comitato Sa Die de sa Sardigna.

Luciano Carta si è soffermato su alcuni dettagli del nuovo inno istituito l’anno scorso con specifica legge regionale, sollecitando l’approvazione del regolamento di attuazione, per definire in particolare le modalità di esecuzione e lo spartito. Su questi punti, ha spiegato Luciano Carta, la nostra proposta è quella di adottare la melodia del canto gosos, tradizione radicata in tutte le comunità regionali, con una variante per le occasioni festive. Per quanto riguarda i versi, rispetto alle 47 strofe originali, ne sono state scelte 6 che riguardano complessivamente rapporto fra governanti e bene comune,  contesto storico, rispetto dell’autonomia e dell’identità sarda come terra non chiusa al mondo esterno, volontà di costruire una società più giusta, superamento del sistema feudale attraverso il risveglio della ragione dopo secoli di oscurantismo, lotta contro gli abusi.

Un altro storico, Nicola Gabrielli, ha ripercorso i passaggi che portarono alla legge istitutiva de Sa Die nel’93, ricordando che «allora nelle scuole non si parlava di questo periodo storico”. In questi anni invece, ha affermato, si è fatto tanto proprio per merito degli storici, facendo emergere che proprio la storia è un elemento costitutivo dell’identità, e la stessa scelta di definire Sa Die una festa del popolo non in riferimento ad istituzione ma alla comunità, riporta alla situazione di allora quando il mondo delle istituzioni era sconosciuto al popolo, un po’ come oggi». Il concetto fondante, ha proseguito Nicola Gabrielli, resta quello di una rivendicazione plurisecolare non solo dell’autonomia sarda ma anche del rinnovamento economico-sociale. Senza dimenticare, ha aggiunto, l’affermazione di un sentimento patriottico che, in condizioni estremamente difficili, riuscì ad avere la meglio sia sulla propaganda francese che sulla monarchia piemontese che allora parlò di eversione, mentre era stata proprio la dinastia sabauda a non convocare il parlamento per quasi un secolo allo scopo di accreditarsi di fronte alle altre monarchie assolutiste del tempo. Di particolare significato, inoltre, la scelta dei sardi di auto-convocare l’assemblea parlamentare in seduta permanente, seme di una riforma costituzionale comprendente l’abolizione del feudalesimo che purtroppo sarebbe arrivata molto più tardi.

Il professor Gianni Loy, infine, ha parlato dei movimenti culturali che hanno portato alla decisione di istituire Sa die: «Il senso di questa festa è nell’aspirazione, manifestata nella società sarda negli anni ’70, di esprimere le culture del popolo sardo senza confinarle nell’esteriorità del folklore. Questo processo democratico è ancora in corso e ha fornito indirizzi alle istituzioni: sono state le istituzioni sindacali ed i lavoratori che hanno iniziato a dibattere recuperando la lingua sarda. E non solo loro: ci sono stati poi, sempre in quegli anni, gli intellettuali come Antonello Satta, Eliseo Spiga, Giovanni Lilliu e altri che, in modo trasversale rispetto ai partiti, hanno chiesto di riformulare lo statuto di autonomia e portare la Sardegna all’autogoverno. E ancora, a metà degli anni ’80, è nata l’idea di una festa per il popolo sardo il 28 aprile. Questo è documentato e lo dobbiamo a Umberto Cardia, Nino Carrus, Michele Columbu, Sebastiano Dessanay, Francesco Masala, Domenico Pili, Gianmario Selis e altri che si riunirono per questo a Cagliari. Abbiamo davanti a noi non una celebrazione qualunque ma “la” celebrazione di una nazione, di un popolo che abita la sua terra. Un popolo è sempre in cammino e anche il popolo sardo è in cammino per un mondo di pace per la quale dovrà vincere le tentazioni degli egoismi». 

[bing_translator]

La seduta solenne del Consiglio in occasione della ricorrenza de Sa Die de sa Sardigna è stata aperta dal presidente Michele Pais. Dopo le formalità di rito, il presidente Michele Pais ha pronunciato un breve discorso di commemorazione dell’ex presidente del Consiglio Salvatorangelo Mereu, recentemente scomparso. Il Consiglio ha osservato un minuto di raccoglimento.

Subito dopo ha preso la parola per l’intervento di apertura della giornata.

Il presidente, interpretando i sentimenti dell’intero Consiglio regionale, ha rivolto un saluto e un augurio a tutti i sardi, «idealmente con noi a formare una grande comunità di uomini e donne che, pur dovendo affrontare le difficoltà del presente, è pronta ad assumersi le proprie responsabilità e a lottare unita per assicurare un futuro migliore ai propri figli».

A 27 anni dal varo della legge che istituì Sa Die per ricordare l’insurrezione popolare che portò alla cacciata dei piemontesi dalla Sardegna e «segnò l’avvio di una stagione politica più attenta al temi dell’identità e delle piccole patrie» restituire alla giornata il suo significato originario significa, secondo Michele Pais, «riflettere sul momento storico che attraversiamo, sulle nostre istituzioni autonomistiche e sul nostro essere sardi oggi». Temi alti, al pari di quelli al centro di festività come quella della Repubblica, dell’indipendenza degli Stati Uniti e dei grandi eventi che scandiscono la storia della Sardegna: Sant’Efisio di Cagliari, l’Ardia di Sedilo, i Candelieri di Sassari, il Carnevale barbaricino.

«Temi di una tale portata – ha aggiunto il presidente – da non poter essere confinati in un freddo calcolo ragionieristico sui costi per l’apertura del Palazzo, perché oggi la cosa più importante è essere qui».

Citando il memoriale di Giovanni Maria Angioy, Michele Pais ha ripreso un passaggio nel quale il grande intellettuale sardo parlava dell’Isola come di una terra che ha tutto il necessario per il benessere dei suoi abitanti e quindi, se ben amministrata, «sarebbe uno degli Stati più ricchi d’Europa». Una «nazione protagonista», secondo la definizione di Giovanni Lilliu, che a giudizio del presidente del Consiglio deve riprendere, partendo dai moti del 1794, a ragionare sulla necessità di una «saldatura perfetta fra città e campagna, del rilancio dei piccoli paesi, di un nuovo rapporto fra Regione ed Enti locali capace di «dare gambe al decentramento amministrativo, superando il concetto di periferia anche attraverso una riforma del sistema di enti ed agenzie regionali concretizzata nel trasferimento di alcuni snodi decisionali in aree marginali».

Rispetto ai rapporti con lo Stato centrale «che hanno toccato in questi anni il punto più basso», Michele Pais ha auspicato una mobilitazione ampia della politica «senza distinzioni di schieramento per fare fronte comune in difesa dell’interesse supremo della Sardegna, cominciando con l’attuazione di tutte le prerogative dello Statuto di Autonomia».

«In questo momento – ha sostenuto Michele Pais – bisogna però andare oltre ed immaginare una radicale riforma del nostro istituto autonomistico, pensando ad un intervento innovativo sullo stesso Statuto che abbia come riferimento il Trentino-Alto Adige che, negli anni, è riuscito a dare forma compiuta al principio di autodeterminazione.»

Senza dimenticare, ha continuato il presidente, uno sguardo attento all’Europa, «ai mutamenti del quadro politico e sociale dove le spinte autonomiste e indipendentiste della Nazioni senza Stato come Catalogna, Scozia, Corsica e Bretagna si fanno sempre più pressanti».

Avviandosi alla conclusione, il presidente del Consiglio si è rivolto ai giovani sardi esprimendo l’auspicio che tornino ad essere protagonisti del futuro della Sardegna, conoscendo il mondo e facendo esperienza «ma rivendicando con orgoglio e fierezza il loro senso di appartenenza». Riprendendo un passo dello scrittore Francesco Masala riferito alla lingua come elemento costitutivo della libertà di un popolo, Pais ha riconosciuto i passi avanti del Consiglio nella difesa del sardo, del catalano e delle altre parlate alloglotte delle Sardegna, specificando però che manca ancora il passaggio fondamentale relativo alla «libertà di insegnare la lingua ai nostri figli nella scuole sarde di ogni ordine e grado».

Arrivato alle battute finali, Pais ha fatto appello ai sardi alla presa di coscienza del proprio passato che, come insegna l’antropologo Bachisio Bandinu, «è la base sulla quale costruire una nuova scena politica ed economica, sociale e culturale per procedere dalla sfiducia alla stima di sé, dal risentimento ossessivo alla proposta costruttiva, dal fatalismo alla progettualità».

Pais ha terminato il suo discorso con gli auguri per la festa di Sa die in sardo e catalano: «Bona Die de sa Sardigna» e «Bona jornada de Sardenya».

La seduta è proseguita con gli interventi dei presidenti dei gruppi.

Il primo a prendere la parola è stato Daniele Cocco di Leu: «Oggi è la festa della Sardegna ma sarà vera festa quando il presidente della Regione  otterrà risposte sui diritti  acquisiti come il tema degli accantonamenti: i 700 milioni che ci sono stati ingiustamente sottratti ci devono essere restituiti. La Sardegna è indietro anche per le responsabilità di tutta la classe politica: molto di quel che si poteva fare non è stato fatto e, a prescindere dalle posizioni politiche, tutti dovremmo collaborare per risolvere la vertenza con lo Stato e praticare sino in fondo lo Statuto speciale. Oggi non è il tempo della polemica ma degli impegni comuni, però tengo a dire che chi ha chiesto di non convocare oggi il Consiglio regionale non l’ha fatto per sminuire l’importanza di Sa die».

Francesco Mura (Fdi): «Chi sposa e definisce il nostro pensiero sa bene che la nostra patria è l’Italia, grande una e indivisibile. Ma questo non ci impedisce di sapere e riconoscere che l’Italia è il frutto dell’unione di tanti popoli. Chi, da sardo, nega che la Sardegna abbia una cultura e una condizione unica fa male alla Sardegna e all’Italia intera.  Cosa resta oggi dell’esperienza di questa cacciata? La considerazione che quando il governo, qualunque governo, si dimentica dei diritti dei cittadini c’è sempre qualcuno che si incarica, nel popolo, di rimettere le cose al loro posto. Dobbiamo avere la forza di smettere di cercare aiuto altrove e pensare a badare a noi stessi. Meritiamo di essere una delle regioni più ricche d’Europa e non abbiamo nemici che ci tengono in questa condizione: il problema è qui, in Sardegna. Dobbiamo liberarci della politica statalista e assistenzialista e occuparci di connettere le città con i paesi. Chi da ultimo ha pensato a una sola città metropolitana con 376 cortes apertas ha sbagliato. La Sardegna ha grandissime risorse e dobbiamo soltanto ben amministrarla, con una rivoluzione culturale che parta da noi».

Michele Cossa (Riformatori sardi): «Ogni 28 aprile la storia in Sardegna dialoga con il coraggio e ci fa sentire un popolo, consapevole e con una identità.  Nessuno può dimenticare che la nostra storia è fatta di uomini e donne che hanno lottato contro la bramosia del potere malato: è sempre tempo di libertà. Ma non saremo davvero mai liberi fino a quando la nostra capacità di autodeterminarci sarà così pesantemente limitata dalle circostanze. Essere isola è opportunità ma molto di più è ostacolo e se il progetto di autonomia differenziata andrà avanti in Parlamento non potrà che peggiorare la situazione.  La battaglia giusta è quella che tre anni fa abbiamo iniziato noi, chiedendo che sia inserito in Costituzione il principio di insularità, sia per i trasporti che per le accise che gravano sui sardi».

Valerio De Giorgi (Misto): «Nel giorno di Sa Die nessuno di noi può dimenticare le recenti rivendicazioni dei pastori sul prezzo del latte o la crisi del porto canale con 700 posti di lavoro a rischio. Siamo chiamati a risposte immediate, cari colleghi, e non possiamo dimenticare i troppi sardi rimasti indietro: non ci può essere sviluppo vero se non ci sono pari opportunità per tutti. Siamo riusciti in passato a liberare le migliori energie, possiamo farlo anche oggi con i sardi che sono nati qui e con chi ha scelto di diventare sardo, come me. Spero che questa legislatura coincida con la stagione dell’unità per il bene dei sardi: dobbiamo stare uniti per far tornare la Sardegna forte».

Desirèe Manca (Movimento cinque stelle): «Confesso di essere emozionata perché questo è il primo intervento del Movimento Cinque stelle nella storia della Sardegna e non poteva esserci migliore occasione. Ripeto le parole di Giomaria Angioy: “Malgrado tutto, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per la sussistenza di tutti i suoi abitanti.  Ben amministrata, la Sardegna sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa”. Era il 1799 e dopo più di 200 anni viviamo in una situazione pressoché immutata. I primi due mesi di vuoto governativo e di intrecci sotto banco, non possono che richiamare le parole di Angioy: avete sventolato l’idea di un cambiamento ma era solo strumentale per richiamare voti. Dopo 60 giorni siete ancora prigionieri della vostra spartizione e tenete in ostaggio una terra martoriata e allo stremo. Qui le aziende chiudono per fallimento e la Sanità, un tempo eccellenza, è in ginocchio: sarebbero bastati 15 minuti e invece dopo 60 giorni tenete tutti i sardi in ostaggio. Il nostro popolo si merita un’amministrazione all’altezza. Ora che noi siamo entrati nelle istituzioni faremo tutto ciò che è possibile per ridare dignità alla politica. Non vi faremo mai nessun tipo di sconto».

Gianfranco Ganau (Pd): «In questa festa nazionale dei sardi non possiamo non notare i drammi presenti in Sardegna, come l’aumento delle povertà e l’incapacità dei governi, a tutti i livelli, di rispondere ai bisogni dei sardi. Per questo mi permetto di sollecitare il completamento della Giunta, perché si lavori a pieno regime e si aumenti l’autonomia di delle Regioni, senza intaccare la ripartizione delle risorse. Oggi dobbiamo ribadire l’unità del popolo sardo chiedendo maggiori poteri e maggiori spazi di gestione autonoma: le ragioni della nostra richiesta di autogoverno poggiano  prima di tutto sull’insularità, che ci impedisce di sfruttare le grandi reti italiane ed europee, a cominciare da quelle energetiche. Senza il riconoscimento della condizione di insularità noi non avremo mai condizioni paritarie di mobilità: questa deve diventare una battaglia di popolo, che avrà il nostro pieno e leale sostegno». 

Per il gruppo Psd’Az il consigliere Francesco Mula  ha ricordato che Sa Die ha un preciso riferimento ad un periodo storico in cui la Sardegna chiedeva autonomia e giustizia contro i soprusi fiscali e sociali del governo piemontese, una storia che purtroppo non è cambiata molto come hanno dimostrato le testimonianze fondamentali di Camillo Bellieni ed Emilio Lussu. Oggi, anche di fronte alla domande rimaste aperte del passato, ha aggiunto Mula, abbiamo il compito di riscrivere lo Statuto da riscrivere in molti punti, un passaggio che sarà tanto più se ci farà andare oltre le celebrazioni raggiungendo risultati concreti con l’impegno comune di maggioranza ed opposizione. Questo piacerebbe molto ai sardi, ha affermato il consigliere, e darebbe un valore non simbolico alla giornata che stiamo celebrando. Abbiamo grandi responsabilità nei confronti del popolo sardo, ha concluso Mula, soprattutto nei confronti di disoccupati, precari, famiglie ed imprese; sappiamo di non aver mai contato su un governo nazionale amico e di aver avuto di fronte su una Unione europea fondata sull’asse franco tedesco. All’Europa, in particolare, ha sollecitato l’esponente sardista, chiediamo una deroga per uscire dalla tagliola degli aiuti di Stato mentre, sul piano nazionale, il nostro accordo con Lega dovrà essere portato avanti su zona franca integrale e continuità territoriale, lotta allo spopolamento specie nelle zone interne, riforma della sanità, opere strategiche, istruzione, lingua, cultura: tutte battaglia sardiste sulla sovranità regionale nelle quali, fra l’altro, hanno creduto gli elettori sardi nelle recenti consultazioni.

A nome della Lega il consigliere Dario Giagoni ha riproposto le parole di Giovanni Maria Angioy sul rapporto fra cattiva amministrazione e situazione socio economica della Sardegna, per sottolineare che il pensiero di un grande uomo del passato crea in noi un forte sconcerto per la sua attualità e per la sua ansia di autonomia, a dimostrazione del fatto che la storia insegna che nessun avvenimento può essere considerato lontano ed estraneo ai fatti che l’hanno preceduto. Nei moti del 1794 c’è infatti, secondo Giagoni, un seme vivo ancora oggi, il sentimento di autogoverno e di riscatto che oggi abbiamo il dovere di raccogliere come moderna chiave di lettura con responsabilità ed unità, con rinnovata capacità di coesione e di difesa della nostra specificità. Oggi, ha concluso il consigliere,  nella giornata del popolo sardo chiediamo ai giovani (anche a quelli purtroppo lontani loro malgrado dalla Sardegna) di conservare le nostre tradizioni, di trasformare i moti di allora in un sentimento di rispetto della volontà popolare, nella volontà di lotta e riscatto, in una autonomia finalmente reale e concreta.

Il consigliere Francesco Agus, dei Progressisti, ha osservato che i ritardi nella formazione della di Giunta, per una sorta di scherzo del destino, hanno fatto coincidere primi interventi dei consiglieri regionali con la ricorrenza de Sa Die, una occasione che di consente di riflettere sulla Sardegna del passato in attesa di conoscere la Sardegna del futuro quando conosceremo governo regionale e programma. Il nostro passato secolare, ha detto ancora Agus, ci riporta ad una riflessione su nostri problemi di sempre, attraversati da di soprusi, dominazioni, governi per interposta persone e ministri di Roma che hanno creduto, sbagliando, di avere la ricetta giusta per Sardegna. Angioy, ha continuato Agus, è molto più di wikipedia, è il sogno vivo (allora come oggi) di una Sardegna libera capace di dialogare con tutti, in Italia ed Europa, con rapporti non subalterni; forse oggi abbiamo smesso di sognare e non possiamo permettercelo, perché ancora oggi il dibattito politico parla di noi come di una pedina nello scacchiere.  Il riferimento all’esperienza del Trentino, ha concluso Agus, ha un valore perché quella Regione ha saputo scrivere una storia di grande unità con il lavoro legislativo e la produzione significativa di importanti norme di attuazione, però va ricordato che tutto questo si costruisce soprattutto con le azioni concrete, con il rispetto delle garanzie dell’opposizioni e delle prassi consiliari consolidate: questo è fare l’unità dei sardi.

Al termine degli interventi dei gruppi ha preso la parola il presidente della Regione Christian Solinas che ha pronunciato il suo intervento in lingua sarda.

Dopo aver affermato che senza lingua non ci può essere vera identità, il presidente ha fatto un riferimento all’ingresso del sardo nella liturgia: «Est de importu mannu sa riforma liturgica a profetu de sa limba sarda, ca gai sos sardos poten faeddare con Deus in sa propria limba ma prus e prus Deus matessi in sa Missa nons faeddati in limba. Chustu cheret narrer chi su populu sardu vivet una esperientzia nova chi aperit unu camminu de fide. Su 28 aprile, sa Die de sa Sardigna, sa festa nazionale de sos Sardos, cuffirmat s’identitade de su populu sardu, ma diventat puru die nodida ca sa limba intrat in Creja e duncas a profettu de su populu de Deus. Su fattu est de ammonimentu a nois puliticos pro chi si faca intrare sa limba sarda in s’iscola. Oe, amus a comprendere totu chi sa consacrazione de sa limba in sa creja matzore de Casteddu e, unu cras, in totu sas crejas de Sardegna, petit, chene duda peruna, una cunsacratzione laica de sa limba in iscola e in totu sas istitutziones de s’Isula».

Soffermandosi poi sulla “lezione” dei moti del 1794, Solinas ha invitato i Sardi a riflettere su quale identità sia necessario costruire per il popolo sardo nel tempo che stiamo vivendo: “Bisonzat de affortire s’identidade territoriale, imbentare un’identidade turistica, economica, ambientale, una forma nova de pastoriu e da massaria. Sos prodotos pretziados in su mercadu mondiale sun sos prodottos identitarios, ca sun nostros e non de atteros. Sa calitade de s’abba, de s’aera, de su terrinu su sos fundamentos de s’isviluppu economico de sa Sardigna, mascamente pro s’identidade singulare chi l’at dadu sa natura. Ma pro li dare valore e profettu bisonzat da dare fortza a una cultura de rispettu e de investimentu”.

In conclusione, un messaggio positivo per il futuro: «Pro nois, supra sa Sardigna non pesat un’umbra de mancamentu e de fallimentu. Nois credimus in dunu tempus nou de fide e de ispera. Approntamus profeto e programmas pro leare unu caminu de creschida e de isviluppu pro su populu sardu. Amus cosas de contare e de produire: b’at meda da narrere e meda prus de faghere».

Augurios sincheros de bona Die de sa Sardigna, Augurios mannos pro sa festa de su Populu Sardu.

Al termine di quest’ultimo intervento, il presidente ha tolto la seduta, riconvocando il Consiglio a domicilio. I lavori dell’Aula sono proseguiti in seduta informale.

[bing_translator]

Minitour in Lombardia per “Laribiancos”, produzione storica di Cada Die Teatro, tratta dal romanzo “Quelli dalle labbra bianche” di Francesco Masala. Lo spettacolo, adattato per il palcoscenico da Pierpaolo Piludu, che ne è anche il protagonista sotto la regia di Giancarlo Biffi e con le musiche originali di Paolo Fresu (disegno luci di Giovanni Schirru e suono di Giampietro Guttuso e Matteo Sanna), sarà in scena domani, giovedì 28 febbraio, alle 20.30, al Teatro Cesare Volta di Pavia e venerdì 1 marzo, alle 11.00, all’Auditorium San Dionigi di Vigevano.

“Quelli dalle labbra bianche”, pubblicato per la prima volta nel 1962, è un capitolo importante della letteratura sarda. Al centro del romanzo di Francesco “Cicitu” Masala il villaggio di Arasolè, con le sue storie dolorose legate alla tragedia della seconda guerra mondiale sul fronte russo. Ad Arasolè, un giorno, il campanaro Daniele Mele – la voce narrante delle memorie del villaggio – chiama a raccolta il paese per rendere omaggio, dopo vent’anni, ai caduti in guerra. Mele è l’unico superstite fra i dieci compaesani che partirono per la Russia verso l’impresa più ardua della loro vita, in una trincea in mezzo alla pianura russa ghiacciata, una disastrosa avventura dal tragico epilogo. Ad Arasolè erano “quelli dalle labbra bianche”sos laribiancos, i poveri, i “vinti”.

Note sullo spettacolo: “Li chiamavano “sos laribiancos”, “quelli dalle labbra bianche”: era il segno distintivo, inconfondibile, dei poveri di Arasolè, un paesino della Sardegna, ai confini con le foreste del Goceano. Sos laribiancos si riconoscevano subito: mangiavano poca carne, pochi carboidrati, poche proteine… mangiavano troppo poco. Lo spettacolo nasce da un profondo interesse e dall’alta considerazione per l’opera di Francesco Masala. In diverse occasioni il poeta-scrittore di Nughedu San Nicolò mi ha manifestato il desiderio di vedere in scena il testo teatrale Sos laribiancos, nella versione sardo logudorese. “… e se invece di una messa in scena fedele, provassi a narrare la vicenda?”. E’ nato così un racconto che si rifà sia al romanzo Quelli dalle labbra bianche, che ad altre opere di Masala dove compaiono a più riprese Culubiancu, Mammutone, Tric Trac e gli altri laribiancos di Arasolè partiti un pomeriggio di sole del 1940, sopra un carro bestiame, per andare a fare la guerra. Dove possibile ho cercato di lasciare inalterata la suggestione poetica delle parole dell’autore. Allo stesso tempo, spero con il giusto rispetto, ho dovuto scegliere, aggiungere, assemblare, tradire”. (Pierpaolo Piludu)

Sempre venerdì 1 marzo, Pierpaolo Piludu si trasferirà poi in Emilia, dove al Teatro delle Ariette di Castello di Serravalle (Bologna), alle 20.30, racconterà della ricerca, che va avanti da più di quindici anni, sui testimoni dei bombardamenti su Cagliari del 1943. Interverrà Gerardo Guccini, docente di Storia del teatro e dello spettacolo al DAMS di Bologna e profondo conoscitore del teatro di narrazione. Verrà presentato un frammento del documentario “Quando scappavamo col cappotto sul pigiama”, prodotto da Rai Sardegna, con la regia dello stesso Pierpaolo Piludu e di Cristina Maccioni, e un trailer teatrale dello spettacolo “Cielo nero”, scritto insieme a Francesco Niccolini, con la regia di Mauro Mou.

[bing_translator]

Sarà “Su Connottu” – un classico del teatro sardo, scritto nel 1972 dal poeta, romanziere, drammaturgo nuorese Romano Ruju e portato in scena per oltre 300 recite dalla cooperativa Teatro di Sardegna – il primo spettacolo in cartellone a essere rappresentato domani, sabato 3 novembre, alle 21.00, nella Sala Bancri dello spazio Fucina Teatro nel centro culturale La Vetreria di Pirri.

A qualcuno il nome di Pasqua Selis Zau, nota Paskedda Zau, non dirà nulla. Eppure è lei la popolana nuorese, madre, vedova, di dieci figli, che il 26 aprile del 1868 scatenò la sommossa popolare contro gli effetti della Legge delle Chiudende (il provvedimento legislativo emanato nel 1820 durante la dominazione sabauda in Sardegna, che autorizzava la recinzione dei terreni fino ad allora considerati, per tradizione, di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata), quando contadini e pastori  protestarono contro la volontà del Consiglio comunale di Nuoro di voler privatizzare le terre pubbliche. Quella rivolta  è passata alla storia come “Su Connottu”, dal grido levato da Paskedda, “A su connottu, torramus a su connottu!”, al “conosciuto”, alla consuetudine. Nell’opera di Ruju, poi arricchita dalle ballate di Francesco Masala e riscritta per la scena dal regista Gianfranco Mazzoni, la narrazione è affidata principalmente agli uomini. Nel racconto al femminile pensato dal Crogiuolo, a dare lettura del testo, adattato, saranno Rita Atzeri, Maria Grazia Bodio, Isella Orchis, due attrici storiche del Teatro di Sardegna, e Gisella Vacca: «Un tentativo, senza stravolgere i contenuti della narrazione, di riportare equilibrio alla vicenda, almeno sul piano interpretativo delle voci in scena”», specifica Rita Atzeri.

[bing_translator] 


Il NurArcheoFestival si fa ancora in due. La rassegna teatrale, organizzata dal Crogiuolo e diretta da Rita Atzeri, anche quest’anno ha messo in campo, in accordo con l’sssessorato regionale del Turismo, un festival nel festival, che dal 13 al 24 agosto coinvolgerà diversi comuni con meno di tremila abitanti: Laconi, Pau, Meana Sardo, Perdaxius, Barumini, Bitti, Allai, Villaperuccio.
Si parte con uno degli appuntamenti più attesi, “Canne al vento”, paesaggi sonori, una nuova produzione del Crogiuolo liberamente ispirata al romanzo di Grazia Deledda, pensata appositamente per i 10 anni del NurArcheoFestival, con protagonista Caterina Murino, voce recitante, testo e regia di Rita Atzeri, in scena lunedì 13 agosto, alle 22.00, al Menhir Museum – il Museo della statuaria preistorica in Sardegna – di Laconi (alle 21.30 si terrà la visita guidata al Museo). Caterina Murino sarà accompagnata dalle musiche originali di Francesco Medda – Arrogalla e dal coro composto dalla stessa Rita Atzeri e dalle attrici e cantanti Gisella Vacca, Manuela Ragusa, Alessandra Leo. L’anteprima nazionale dello spettacolo è stata presentata il 9 agosto al Teatro Romano di Nora, nell’ambito della Notte dei Poeti, raccogliendo applausi convinti di consenso e apprezzamento. 

“Canne al vento, paesaggi sonori” ha l’impianto dell’oratorio per voce recitante e coro ed è sospeso fra il tempo passato e quello moderno e contemporaneo. Alla voce narrante di una intensa Caterina Murino – l’attrice cagliaritana ha raggiunto con il cinema la notorietà internazionale – sono affidati gli estratti del romanzo della scrittrice nuorese premio Nobel, un fermo immagine su una Sardegna di un passato ormai remoto, che giunge a noi, oggi, grazie agli ambienti naturali, che si è riusciti a preservare e mantenere incontaminati. Una Sardegna arcaica, che i moderni viaggiatori ricercano quando sbarcano sulla nostra terra, affiancando spesso a questa immagine anche idee stereotipate sul “sardo” e sulla “sardità”: dal porceddu all’ospitalità ad ogni costo. Al coro delle quattro attrici e cantanti è affidato il compito di fare da contrappunto, attraverso la lettura di brani di autori come Francesco Masala e Marcello Fois, testimonianze, fatti di cronaca. Raccontando, dunque, la mutazione paesaggistica e antropologica che dalla Sardegna dei primi del Novecento ci conduce al duemiladiciotto, attraverso una storia di mancati riconoscimenti e falsi miti, passando attraverso il fallimento di due piani di rinascita, la fede nel nuovo Dio Petrolio, l’impianto dell’industria bellica (basi militari, Rwm di Domusnovas), i problemi dell’occupazione, il sogno di un’isola museo che rilancia la sua economia e vive di turismo, l’emigrazione dei nostri nonni e l’accoglienza dei migranti. A Francesco Medda Arrogalla il compito di creare una partitura sonora che riporti al tempo presente la Sardegna arcaica immortalata dalla Deledda, per affiancarla e fonderla con sonorità contemporanee.

“Canne al vento” è il romanzo che valse alla scrittrice nuorese il Premio Nobel per la letteratura nel 1926. Narra le vicende della famiglia Pintor: padre, madre e le quattro figlie (Ruth, Ester, Noemi e Lia) che abitano in un villaggio sardo, chiamato Galte. Si tratta di una famiglia di origine nobile, dove le donne si dedicano ai lavori domestici e sono costrette a sottostare alla volontà di un padre prepotente, che si preoccupa solo di mantenere il prestigio e la reputazione della sua famiglia agli occhi della comunità isolana. Insieme a loro il fedele servitore Efix, un uomo tormentato dal senso di colpa per un antico delitto. Solo Lia si ribella a questa condizione di mestizia malinconica, trasgredendo le regole imposte dal padre, Don Zame, che è descritto come un uomo cupo e violento, paragonato al diavolo. Lia decide quindi di fuggire dalla Sardegna e approda a Civitavecchia. Don Zame impazzisce per il disonore e tenta invano di inseguirla, rimanendo poi vittima di una misteriosa morte. L’apparizione di Giacinto, il figlio di Lia, porta, nel bene e nel male, nuova linfa nella vecchia casa (e agli intrecci della trama), suscitando reazioni contrastanti nelle zie. Poi tutto torna come prima. Il tempo ricomincia a scorrere con la lentezza consueta. Il senso di immobilità è scosso solo dalla morte di Efix e dal matrimonio di convenienza di Noemi con il ricco cugino don Pedru (in scena viene efficacemente riportato il significativo contrasto fra l’attitidu, il tradizionale canto funebre, per il servo e la festa di nozze).
La  fragilità umana – gli uomini e le donne sono visti come esseri fragili, piegati come canne al vento – l’amore, l’onore, la povertà, l’amara consapevolezza di un destino già segnato, sono alcuni fra i temi che emergono dalla lettura del testo. Sullo sfondo il paesaggio sardo, visto come un mondo senza tempo e pervaso da una sorta di mistero. La Deledda descrive l’amata Sardegna, soffermandosi da una parte sulla staticità delle antiche usanze e rilevandone dall’altra il rapido sviluppo industriale e tecnologico. E si diletta a scrivere sia in lingua italiana che in lingua sarda, utilizzando molto spesso termini dialettali.