25 April, 2024
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Un confronto tra ospedali, sulle specialità che caratterizzano le attività quindi le modalità approccio e cura dei pazienti in sistemi sanitari tra loro differenti. Questa mattina la direzione aziendale dell’Aou di Sassari ha ricevuto una delegazione vietnamita della “Hué University of Medicine and Pharmacy”. Si tratta dei referenti del master internazionale in “Medical Biotechnology” che il dipartimento di Scienze biomediche dell’ateneo sassarese realizza in Vietnam dal 2013 assieme all’Università di Hué.

Nella sala riunioni della direzione generale, il direttore sanitario Nicolò Orrù e il direttore amministrativo Lorenzo Pescini hanno accolto i rappresentanti dell’Università vietnamita accompagnati dai docenti Salvatore Rubino, direttore del Servizio di microbiologia clinica dell’Aou di Sassari, e Piero Cappuccinelli già direttore dello stesso servizio.

Il direttore sanitario ha illustrato l’organizzazione dell’Azienda ospedaliero universitaria sassarese e ha spiegato come «l’Aou sia relativamente giovane e che – ha detto Nicolò Orrù – derivi dall’aggregazione di due grandi strutture, le cliniche universitarie e l’ospedale Santissima Annunziata. Due culture diverse, una votata all’emergenza e l’altra alla ricerca e assistenza, che devono coesistere e collaborare tra loro. Un’integrazione che riteniamo fondamentale», ha concluso Nicolò Orrù.

«A Sassari – è stato spiegato durante l’incontro – la delegazione visiterà le strutture sanitarie e i centri di ricerca e formazione dell’ateneo, oltre al Centro di Porto Conte Ricerche a Tramariglio.»

Prima dei saluti, la delegazione vietnamita ha voluto donare alla direzione aziendale una cornice dipinta con le tecniche e lo stile della tradizionale pittura su lacca.

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Sabato mattina, nell’aula A del complesso Biologico della Facoltà di Medicina, in viale San Pietro, a Sassari, si terrà un corso sull’importanza della ricerca in un’azienda ospedaliero universitaria.

L’obiettivo del corso, che si aprirà alle 10,15, organizzato dal dipartimento di Scienze biomediche, dalla scuola di specializzazione di Microbiologia e virologia e dall’unità operativa di Microbiologia dell’Aou di Sassari, è fare il punto sulla ricerca che viene svolta nell’Aou di Sassari e rimarcare il suo ruolo e la sua importanza all’interno di un’azienda ospedaliero universitaria.

L’importanza della ricerca per l’Azienda di viale San Pietro è ben rimarcata nell’atto aziendale di recente approvazione. L’Aou è, infatti, l’Azienda di riferimento per le attività assistenziali delle funzioni istituzionali di didattica e di ricerca della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Sassari.

«Un ospedale di terzo livello che tende all’eccellenza – afferma il direttore generale dell’Aou di Sassari Antonio D’Urso – richiede capacità di adattamento e cambiamento nell’ottica di un’innovazione costante. Presume quindi flessibilità, formazione continua e ricerca di sempre nuove e migliori cure, non solo come area di attività ma anche come forma mentis.»

Ecco allora che è possibile realizzare una evoluzione dei processi di cura proprio attraverso la ricerca che consente un’implementazione tecnologica e l’adozione di strumenti normativi e di management più strategici nell’evoluzione gestionale.

La ricerca diventa così uno strumento al servizio della cura e dell’assistenza del paziente. «È anche grazie alla ricerca – aggiunge Salvatore Rubino, direttore dell’unità operativa complessa di Microbiologia dell’Aou di Sassari – che è possibile portare miglioramenti alle infrastrutture della nostra azienda ed all’utilizzo di nuove e più efficienti tecnologie. Quindi ancora correggere, affinare, migliorare i processi di cura, con potenziali ricadute anche in termini di riduzione dei costi dell’assistenza.»

Il corso, inoltre, consentirà di approfondire i temi relativi alla ricerca bibliografica in ambito sanitario e alle tecniche di base di comunicazione scientifica. In programma le relazioni di Salvatore Rubino, docente di Microbiologia e direttore della rivista scientifica internazionale Journal of infection in developing Countries, di Domenico Delogu, tecnico di laboratorio bio-medico dell’Aou e di Daniele Delogu, direttore del master internazionale di Biotecnologie mediche a Hue in Vietnam.

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È il direttore generale del ministero della Salute egiziano e riveste anche l’incarico di presidente dell’ordine professionale infermieristico nazionale d’Egitto: questa mattina Kawther Mahmoud Mahmoud è stata ricevuta dal direttore generale dell’Aou Antonio D’Urso e dal direttore sanitario aziendale Nicolò Orrù. Un’occasione per uno scambio reciproco di informazioni e per approfondire la conoscenza dell’Azienda ospedaliera universitaria di Sassari che si appresta a ospitare tre infermieri egiziani.

Gli operatori sanitari di Port Said, la splendida cittadina egiziana affacciata sul lago Manzala, sul Mediterraneo e sull’imboccatura del Canale di Suez, saranno ospiti dell’Aou perché inseriti in un progetto di formazione di formatori coordinato dall’Ateneo turritano Per gli infermieri egiziani un’importante occasione e scambio reciproco di conoscenze. Il progetto vede protagonista l’Università di Sassari, con il dipartimento di Scienze biomediche, che ha ottenuto il finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

Questa mattina, nella sala riunioni della direzione generale dell’Aou, erano presenti anche Piero Cappuccinelli e Salvatore Rubino che stanno coordinando il progetto. Il percorso formativo, iniziato già lo scorso anno, per il momento si è svolto prevalentemente a Port Said.

«Siamo ben lieti – ha commentato il direttore generale dell’Aou Antonio D’Urso – che la nostra azienda, grazie alla presenza di elevate professionalità, possa rappresentare un punto di riferimento per la formazione, anche per realtà internazionali come quella egiziana. Sarà un’importante momento di scambio di conoscenze e professionalità e una sicura opportunità di crescita per tutti i soggetti coinvolti.»

All’incontro hanno partecipato anche Pina Brocchi, responsabile del Servizio infermieristico ed Antonio Solinas, responsabile degli Affari generali e della Formazione dell’Azienda di viale San Pietro.

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Le infezioni delle protesi impiantate negli arti rappresentano un problema da non sottovalutare, soprattutto nella popolazione in età avanzata. Le terapie prevedono la necessità di più interventi chirurgici e lunghe cure antibiotiche, con un ingente costo in termini di sanità pubblica e un impatto, talvolta anche complesso, sulla salute psicologica e fisica del paziente. Una situazione che potrebbe essere evitata attraverso una più attenta diagnosi di questo tipo di infezioni e un loro migliore trattamento ospedaliero. È quanto emerso nei giorni scorsi durante una riunione operativa che si è svolta al Mut, museo della Tonnara di Stintino, e che ha visto riuniti attorno al tavolo il team della Medical microbiology research laboratory, della Facoltà di Medicina dell’Università inglese dell’East Anglia a Norwich, e i loro colleghi sassaresi del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Ateneo turritano.

I due gruppi di studiosi, che collaborano da diversi anni all’identificazione dei batteri che causano le infezioni da protesi, sono diretti rispettivamenti dai professori John Wain e Salvatore Rubino. Una collaborazione, quella tra i dipartimenti delle due Facoltà, che si è tradotto anche in scambio di ricercatori, studenti e dottorandi di ricerca.

Lo studio presentato a Stintino dal gruppo inglese, che potrebbe avere importanti risvolti nella futura medicina personalizzata, ha messo in evidenza come si sia arrivati all’identificazione dei batteri che, individuati sulla cute dei pazienti, causano infezioni delle protesi. I microrganismi – è stato detto – sono in grado di produrre una biopellicola (biofilm) con la quale eludono l’intervento sia delle difese immunitarie che degli antibiotici. La ricerca ha portato a identificare qualsiasi battere, produttore di biopellicola.

I due gruppi di ricerca puntano adesso a sviluppare metodologie genomiche per la valutazione del contenuto batterico della cute e del liquido sinoviale. Un’operazione che – hanno messo in evidenza – permetterà di valutare il rischio che questi microrganismi possono esercitare per eventuali infezioni delle protesi impiantate chirurgicamente che, spesso, possono richiedere ulteriori interventi chirurgici con reimpianti della stessa protesi, oltre a prolungate terapie antibiotiche.

Con le tecnologie di sequenziamento di ultima generazione del genoma – sostengono gli studiosi – potrà essere possibile determinare, in tempi rapidissimi, l’intera sequenza genica del DNA di tutti i batteri presenti nei campioni prelevati dai pazienti. Così sarà possibile identificare in tempo reale quei batteri che producono la biopellicola e che sono i maggiori responsabili dei problemi scaturiti dagli impianti chirurgici. Attraverso la loro identificazione sarà possibile adottare, in maniera repentina, la terapia appropriata.

Durante il meeting, inoltre, si è discusso su come la tecnologia possa essere sfruttata in collaborazione con l’Università di Sassari e l’Azienda ospedaliero universitaria e come sviluppare nuove capacità diagnostiche, per garantire un trattamento puntuale e precoce delle infezioni causate dal biofilm.