15 December, 2025
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Nel ricordare Mario Melis, le mie riflessioni riguardano il suo lascito politico, culturale e morale. Questo lascito appartiene innanzitutto ai familiari: essi ne sono i primi custodi. Appartiene al partito, il PSd’Az, in cui ha militato un’intera vita. Ma non solo a loro. Il patrimonio di idee e di coerenza morale di Mario Melis appartiene, a ben vedere, all’intero popolo di Sardegna e alle future generazioni, come è accaduto per i grandi sardi del secolo scorso che hanno saputo farsi guida e che hanno saputo connettere, idealmente e operativamente, la visione e l’azione nella loro terra, con le classi e i popoli, ovunque essi fossero, che lottano per affrancarsi da una condizione di subalternità.

Si può affermare che Mario Melis abbia assegnato una missione alla sua vita pubblica: agire per l’emancipazione del popolo sardo «con la fede profonda – sue parole – negli ideali che, da sudditi, ci fa cittadini e, da oggetto, soggetti e protagonisti». Soggetti e protagonisti della propria storia, s’intende, con la propria identità etnoculturale «aperta alle correnti di pensiero e alle problematiche di respiro europeo e mondiale». Per questa missione ha impegnato ogni sua energia.

La sua azione politica è stata alimentata dalle grandi correnti culturali dell’autonomismo e del federalismo, dei federalisti americani e dei pensatori europei e, soprattutto italiani: da Carlo Cattaneo a Altiero Spinelli e Ernesto Rossi.

A queste grandi correnti autonomiste e federaliste hanno dato un «vigoroso apporto – per dirla ancora con le parole di Mario Melis – insigni politici sardi», da Giovanni Battista Tuveri a Camillo Bellieni, da Giorgio Asproni a Emilio Lussu. Mario Melis include Antonio Gramsci tra i suoi riferimenti culturali federalisti: si riferisce al Gramsci dell’alleanza fra gli operai del Nord e dei contadini meridionali, sardi e siculi e della Repubblica federativa come tratteggiate nelle riflessioni sulla questione meridionale. Di autonomismo e federalismo ha avuto i primi maestri in casa: i fratelli maggiori, Giovanni Battista e Pietro che lo hanno iniziato al sardismo e alla militanza nel PSd’Az.

L’autonomismo e il federalismo, per le ragioni generali e fondamentali, costituiscono una prospettiva politica di crescente attualità̀ e utilità̀ per il nostro tempo. I principi dell’autonomia e del federalismo cooperativo, infatti, sono fondativi di una teoria e di una prassi portatrici di soluzioni positive dei problemi più̀ critici della società̀, del presente e del futuro: la pace tra gli stati e i popoli, il controllo democratico della globalizzazione dell’economia, il governo delle grandi questioni planetarie come la protezione dell’ambiente, le disuguaglianze regionali e territoriali, la qualità̀ della democrazia.

Vi è qui un primo lascito rilevante del pensiero e dell’azione di Mario Melis.

Più propriamente: che cosa sono l’autonomismo e il federalismo in Mario Melis?

Il discorso sull’Autonomia di Mario Melis, come si riscontra nei maggiori intellettuali e capi politici che si collocano in questa corrente, è profondamente radicato nella cultura del popolo sardo, esprime coscienza e capacità di decisione su come si vuole vivere in un territorio specifico per civiltà e storia e al quale si è intimamente legati.

L’Autonomia non è mai ridotta a pura forma giuridica, vuoto involucro istituzionale, bensì̀ è innanzitutto discorso umanistico, perché rimanda a una condizione di inveramento, al grado migliore, della libertà delle persone e di un popolo.

L’Autonomia è innanzitutto “appropriazione” (è un termine usato da Mario Melis) delle risorse che ci appartengono (paesaggio, storia, lingua): appropriazione non egoistica ma rispettosa, collettiva e partecipata; appropriazione che non tenda a consumare quelle risorse, bensì a comprenderle per quel che sono e dunque a rispettarle ed espanderle condividendole in una dimensione sociale e umanistica. Riflettiamo sul fatto che Mario Melis era un giurista (come Emilio Lussu) ma (ancora come Emilio Lussu) era fortemente interessato alla cultura, all’ambiente, al paesaggio, alla lingua sarda e al bilinguismo perfetto che considerava «quasi sintesi dell’intera questione sarda [e] elemento di coagulo della riscoperta e riappropriazione della identità». Era interessato, in definitiva, ai valori e alle cose che danno sostanza all’Autonomia.

L’Autonomia è un’espressione di libertà, il cui soggetto è la comunità̀ sarda, che, come afferma un illustre storico del diritto, Italo Birocchi, si manifesta nella libertà da ogni vincolo che non sia accettato per il bene comune e non sia necessario ai fini del riconoscimento della coesistenza dei pari diritti altrui, e nella libertà di autogoverno, intendendo per tale la facoltà̀ di darsi norme e istituzioni idonee alla costruzione del futuro del popolo sardo e idonee a provvedere alla conservazione e potenziamento delle sue risorse materiali, culturali e storiche, in una prospettiva di sviluppo e innovazione creativa. L’Autonomia, così intesa, come la intendeva Mario Melis, si risolve, dunque, in una forma di democrazia.

Per i suoi caratteri più̀ propri l’Autonomia non ha niente a che vedere con il passatismo o la separatezza. Non è passatismo perché́ non guarda alla storia con nostalgia per alimentare ideologie di conservazione, ma per acquisire la consapevolezza necessaria per guardare dinamicamente all’oggi, per progettare. Non è separatezza perché l’Autonomia è storicamente e necessariamente rapporto con altri: mira ad aggregare e non a separare o a separarsi.

L’Autonomia è anche responsabilità. S’intende che è capacità di utilizzare al meglio i poteri di cui già si dispone, per espandere la democrazia. E s’intende che è capacità di utilizzare al meglio le risorse: sono sempre più insostenibili, oltre che riprovevoli, i comportamenti di irresponsabilità nella spesa: tanto qualcuno pagherà comunque il conto.

Al riguardo, Mario Melis affermava: «Commetteremo un errore imperdonabile se non ci interrogassimo sul nostro modo di fare autonomia o più semplicemente amministrazione; se non 3 indagassimo sulla parte di responsabilità che ricade su di noi nel prodursi della crisi nella sua globalità». Il suo giudizio è molto critico: «L’Autonomia regionale [salvo brevi stagioni] è stata gestita nella logica del giorno per giorno, storditamente, in un procedere discontinuo, contraddittorio. Traguardi, che, al di là delle frasi fatte, ma vuote di contenuti ed elaborazione, avremmo dovuto perseguire non sono stati realizzati». Si riferisce agli esiti di decenni di esercizio dell’Autonomia speciale.

L’Autonomia responsabile è contro la demagogia: «Io pensodichiara Mario Melis, rivolgendosi innanzitutto al suo partito riunito nel congresso – che il pericolo maggiore cui vada incontro un politico e, in fondo, la classe politica, sia quello di abbandonarsi agli slogan, alle frasi fatte, utili senza dubbio per lanciare messaggi, per riassumere, in sintesi, concetti complessi, ma inidonea a proporre, da sole, un serio, articolato e razionale programma politico. Con gli slogan si rischia la mitizzazione miracolistica, scoprendo poi che si dispone solo di scatole vuote».

Ho accennato all’ idea di Autonomia come coltivata da Mario Melis. Accenno, ora, al federalismo come emerge nel pensiero di Mario Melis. Autonomia e federalismo, beninteso, non sono separati: si presuppongono, s’integrano, in quanto realizzano l’affermazione della dignità di un popolo e, insieme, il rispetto dell’altro e del diverso, riconoscendosi negli stessi valori di fondo.

Dobbiamo interrogarci su quale modello di federalismo. Mario Melis non ha ignorato, né eluso, né è stato evasivo su questo cruciale punto. In un intervento sull’auspicata Unione federale dell’Europa, ha riassunto la questione nei suoi termini essenziali: «Si discute se all’origine del patto federale debba individuarsi la solidarietà e, in ultima analisi un reciproco impegno di fedeltà, o più un semplicemente un contratto, volta a realizzare al meglio i rispettivi interessi dei contraenti che restano pertanto liberi di recedere una volta che questi siamo stati raggiunti. Pur senza contestare la rilevanza delle motivazioni che supportano la seconda ipotesi, si osserva che a legittimarla resta solo la logica del mercato: la logica del più forte». Il punto in discussione, un punto conflittuale, riguarda l’idea di Stato e di società che essa implica. Giova sempre tenere presente che le teorie politiche, o più semplicemente economiche, non sono mai neutrali, in quanto supportano diverse visioni dei rapporti sociali e del rapporto fra cittadino e istituzioni pubbliche. Così è anche per il federalismo ormai largamente applicato nel mondo, ma secondo valenze sociali molto differenti fra loro, in particolare per la componente fiscale, questione cruciale per l’acceso paritario ai diritti di cittadinanza indipendentemente dalle condizioni sociali e dal luogo dove si vive.

Quando Mario Melis afferma: «Federalismo che cos&’è, se non solidarietà?» indica un preciso modello di federalismo: quello basato sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla responsabilità dei soggetti federati «in vista, non tanto e non solo di particolari obiettivi, quanto del reciproco bisogno di mettere insieme i comuni valori che, pur senza confondersi, divengono patrimonio e forza di entrambi».

Il federalismo in Mario Melis è in relazione con l’indipendentismo. Non tralascio questo nodo delicato. Il foedus, il patto fra eguali, passa per l’indipendenza: rendersi indipendenti 4 e poi unirsi attraverso la federazione, questa era la sua idea in coerenza con il programma fondamentale del Psd’Az. Questa enunciazione di principio non ne ha distolto, però, l’attenzione e l’impegno dalle riforme, a partire da quelle costituzionali, che, senza percorrere l’impervio sentiero dell’indipendentismo, avvicinano l’obiettivo finale della federazione nella Repubblica. Anzi, così a me sembra, l’impegno politico maggiore era profuso nella seconda direzione. Così, nel dibattito sulle dichiarazioni programmatiche del Governo Craxi, agosto 1983 – per la prima volta, da giovane deputato, mi accadeva di ascoltare un discorso di Mario Melis – mentre riafferma il nesso fra federalismo e indipendentismo, si diffonde e ben più ampiamente, sulle riforme. Pone il tema, fondamentale, della partecipazione delle autonomie alle sedi decisionali centrali. Afferma che affinché «le Regioni abbiano un ruolo, esse debbono contare nel momento formativo della volontà legislativa e delle grandi scelte sia in politica estera che interna, come nel governo e nella programmazione dell’economia». Con questo obiettivo, propone «in sede di riforma costituzionale, la trasformazione del Senato in Camera pariteticamente rappresentativa delle Regioni e anche delle altre nazionalità presenti in Italia» (pariteticamente, sull’esempio del Senato Usa). Propone la riforma della Corte costituzionale, che «oggi nella sostanza è un giudice di parte e quindi non è un giudice, e dovrà essere integrata da giudici eletti dalle rappresentanze regionali quando è chiamata a risolvere problemi di conflitti tra Stato e Regioni. Tutte le moderne democrazie così si atteggiano…». E poi colpisce sui corposi problemi della riduzione dei gravami militari, dei trasporti e della rivendicazione storica della zona franca. Emerge il dirigente politico avveduto che lancia ponti verso altre forze federaliste o regionaliste per cogliere risultati, anche parziali, che segnino passi in avanti nella trasformazione in senso federale della Repubblica.

Mario Melis è stato un convinto militante della causa dell’Unione politica e federata dell’Europa. Durante il suo mandato al Parlamento europeo cade l’ordine mondiale fissato a Yalta, si dissolve l’Unione Sovietica, i Balcani sono insanguinati da orribili guerre. «L’angoscia delle popolazioni croate, massacrate dalla violenza dell’esercito serbo, sono la testimonianza più drammatica di quanto intendiamo lasciarci alle spalle per costruire, nella solidarietà e nella pace, una nuova e più grande patria». La nuova e più grande patria è l’Europa unita: questa è l’aspirazione che ci propone. Ogni passo in avanti in questa direzione è buono. Perciò è favorevole alla nascita della Banca centrale europea e alla moneta unica che vede come passaggi intermedi verso l’Unione politica. Ha una precisa idea dell’Unione politica europea: «Non l’Europa degli Stati, non l’Europa dei partiti (che dovranno ovviamente svolgere un ruolo di confronto e di costruzione democratica), ma l’Europa dei popoli, di tutti i popoli. Questi non possono essere valutati soltanto in virtù del loro peso numerico ma devono essere accettati per il contributo di civiltà che sono in grado di offrire. Noi crediamo che l’Europa degli Stati non saprà uscire dalla logica del mercato…».

Divenne presidente della Regione una prima volta nel 1982, per circa due settimane e poi si dimise perché non c’erano le condizioni politiche per andare avanti. Nel 1984 divenne presidente della Regione per la strada maestra, grazie al forte successo del PSd’Az e alle scelte lungimiranti del PCI. La presidenza di Mario Melis fu l’esito politico naturale di un 5 lungo processo alimentato da movimenti di massa del decennio precedente: le lotte per i territori interni e per rompere le condizioni di arretratezza a partire dalla innovazione del sistema produttivo regionale, con uno spazio ampio assegnato alla riforma agropastorale, alle risorse locali e alla piccola media impresa. Era un grande movimento di massa che reclamava anche il cambio della direzione politica della Regione. Di quel periodo ha scritto Mario Melis che sin dal suo costituirsi: «La giunta e il suo presidente furono investiti da un tumultuoso accavallarsi di critiche (non disgiunte da velate ed esplicite minacce) provenienti dai più autorevoli esponenti della maggioranza di governo». Mario Melis rivendica il confronto paritario con il governo. Non esitò a convenire in giudizio il ministro pro tempore della Difesa, Spadolini, quando l’ammiragliato di La Maddalena infranse le norme sull’edificazione. Ma fu capace di aprire rapporti positivi con il governo, ottenendo risultati rilevanti nella riduzione dei gravami come la restituzione di 2.500 ettari di territorio controllato dall’amministrazione militare, la sospensione delle esercitazioni militari durante la stagione estiva. Concluse positive intese per la soluzione del contenzioso sulle entrate. Né meno impegnativo fu il confronto per affermare la competenza regionale nel vasto campo dei beni paesaggistici ed ambientali. Con la sua giunta la disoccupazione fu ridotta di 5 punti percentuali, si varò il piano per l’occupazione giovanile; si registrò un saldo nettamente positivo nel totale delle imprese attive, si creò il consorzio 21 per la promozione di imprese innovative; si promosse l’innovazione tecnologica. Si varò una legislazione avanzata e coraggiosa per la tutela delle coste: queste furono salvate dalla cementificazione, soprattutto da quella giunta. Si fecero leggi anticipatrici sulla trasparenza e sul suo procedimento amministrativo. L’esito delle elezioni regionali del 1989, seppure registrando una perdita di consiglieri nelle file del PSd’Az e del PCI, non fu la sconfitta di quella coalizione. Il risultato consentiva la prosecuzione dell’esperienza di quella coalizione. Non accadde perché a Roma le segreterie dei partiti al Governo, Craxi in modo particolare, ne impedirono la prosecuzione.

Mario Melis ha onorato gli uffici pubblici ricoperti. A partire dal Comune. È stato sindaco di Oliena per circa 20 anni. E poi in Regione e nei Parlamenti repubblicano ed europeo. Ha interpretato le cariche con la consapevolezza della responsabilità di rappresentare sempre una comunità e, da Presidente della Regione, un intero popolo. Lo ha fatto con il senso del dovere verso chi questa rappresentanza gli ha affidato confidando che fosse riposta in buone mani. Non è venuto meno a questo dovere. E lo ha fatto al meglio, con onestà nel pubblico e nel privato, con fermezza e con grande carisma. La gente comune traeva fierezza, vorrei dire: orgoglio, dal sentirsi così rappresentata: era il presidente dei sardi, non solo della Regione Autonoma della Sardegna. Penso che stia qui, nella tensione morale riversata nella funzione pubblica, un altro grande lascito di Mario Melis alle giovani generazioni della Sardegna: un lascito attuale, dunque, cui guardare e applicare nella società di oggi segnata da profonda crisi di fiducia nel rapporto fra cittadini e istituzioni.

Salvatore Cherchi

Il 7 ottobre del 1964, sessant’anni fa, moriva a Roma Velio Spano. Era nato a Teulada il 15 gennaio del 1905 e dopo aver trascorso la gioventù al seguito della sua famiglia a Guspini, dove suo padre era segretario comunale, aderisce ancora studente al Partito Comunista d’Italia.
La svolta decisiva della sua vita, raccontata nel saggio “Gramsci Sardo”, pubblicato nel 1937 in occasione della morte di Antonio Gramsci, avviene quando si reca a Roma per gli studi universitari, ed è in quel tempo che conosce e inizia la frequentazione di Antonio Gramsci. Durante la permanenza romana condivide con Altiero Spinelli la direzione del gruppo comunista universitario, successivamente entra in clandestinità a causa della messa al bando dei partiti ad opera del regime fascista, svolgendo la sua militanza politica al nord prevalentemente a Torino.
Sottoposto ad una stretta sorveglianza dell’Ovra nel 1928 viene arrestato e condannato dal Tribunale Speciale fascista, viene scarcerato nel 1932 a seguito dell’amnistia concessa in occasione del decennale dalla “Marcia su Roma”. Da qui inizia una lunga vicenda umana e politica che lo vedrà impegnato su diversi fronti: protagonista della lotta antifascista in Italia e, su incarico del partito, all’estero prima in Francia, successivamente in Spagna con le Brigate Internazionali guidate da Luigi Longo contro le milizie fasciste di Francisco Franco e successivamente in Tunisia contro il regime del maresciallo Petain.
L’esperienza africana è indubbiamente quella più rilevante, nel 1935 lo troviamo impegnato in Egitto a svolgere attività contro la guerra coloniale in Etiopia, tra le truppe italiane di passaggio a Suez, nel 1937 in Spagna, nel 1938 viene inviato dal partito in Tunisia dove svolgerà nel corso degli anni un ‘azione di resistenza contro i nazifascisti a fianco di eminenti figure politiche: Giorgio Amendola, Maurizio Valenzi (che diverrà negli anni ‘70 sindaco di Napoli), Loris, Ruggero, Diana e Nadia Gallico, Marco Vais, i fratelli Bensasson, per citarne alcuni tra i più noti. E’ in questo frangente che sposerà Nadia Gallico che diverrà la sua compagna di lotte e di vita.

Nell’esperienza tunisina esercita in clandestinità l’attività di giornalista e sotto lo pseudonimo di Antiogheddu pubblica diversi articoli rivolti anche alle vicende sarde con un’attenzione particolare alla neonata Carbonia e ai minatori del bacino minerario.
Il Governo di Vichy alleato dei nazifascisti, lo condannerà a morte per due volte in contumacia. A questo proposito vorrei ricordare un curioso aneddoto relativo all’ incontro con il Generale De Gaulle capo della resistenza francese, il Generale francese si presentò al suo interlocutore, con la seguente frase: «Piacere Charles De Gaulle una condanna a morte”, ottenendo in risposta “Velio Spano, due condanne a morte».
Ritornato in Italia dopo l’armistizio, esercita nel Sud Italia, appena liberato, una funzione politica rilevante, partecipa nel gennaio del 1944 al Congresso di Bari all’incontro dei Comitati di Liberazione Nazionale, in rappresenta della delegazione del PCI, insieme ad Eugenio Reale e Marcello Marroni.
Dopo la proclamazione della Repubblica sarà eletto nell’Assemblea Costituente che darà vita alla Costituzione Repubblicana nel 1948, della stessa farà parte sua moglie Nadia Gallico Spano. Una piccola parentesi su Nadia (nella foto) che ho avuto l’onore di conoscere da giovane militante comunista, in occasione delle sue frequenti visite a Carbonia, di lei vorrei sottolineare oltre all’attività di direzione politica esercitata in Sardegna, l’importante funzione politica e sociale nel partito sulla scala nazionale, tra le masse popolari, nelle borgate romane e un’importante attività di organizzazione di salvataggio da fame e miseria di bambini meridionali e sardi pregevolmente testimoniata nel libro: “Cari bambini vi aspettiamo con gioia” e successivamente nella sua autobiografia “ Mabruk”.

Velio Spano fu il primo comunista italiano a recarsi in Cina nel 1949 dove si trattenne per diversi mesi e fu autore per il quotidiano del Partito l’Unità di diversi reportage sulla Rivoluzione Cinese e la conclusione vittoriosa della “Lunga Marcia di Mao Tse Tung”. Nel corso di questa esperienza ebbe modo di entrare in relazione oltre a Mao, con alcuni dei principali dirigenti che segneranno la storia cinese sino alla fine del novecento, Ciu en Lai e Deng Xiao Ping.
Una biografia, la sua, troppo ricca ed impegnativa da raccontare in questo breve spazio per cui mi permetto
di suggerire a chi intendesse approfondirne l’opera ed il pensiero, la lettura di due testi pubblicati dall’editore della Torre nel 1978, a cura dello storico sassarese Antonello Mattone: “Vita di un rivoluzionario di professione” e “Per l’unità del popolo sardo”, ai quali si aggiunge una pubblicazione monografica di Rinascita Sarda del 1994 a trent’anni dalla sua morte, a cura di Giorgio Caredda e Giuseppe Podda, oltre ovviamente ai discorsi parlamentari e alla corposa pubblicazione di articoli sull’Unità, Rinascita, libri e giornali.
L’associazione “Amici della Miniera” in collaborazione in collaborazione con “CSC Umanitaria Fabbrica del Cinema”, il “Circolo Soci Euralcoop”, la “Sezione di Storia Locale di Carbonia”, con le istituzioni locali e con la rete di associazioni che opera nella città, ha deciso di ricordarlo con un convegno nel quale si evidenzia la sua vicenda politica anche attraverso l’ausilio di una mostra di fotografie, giornali e documenti storici suddivisa in diverse sezioni distinte che mettono in evidenza la sua vita attraverso le immagini fotografiche, l’impegno politico dai resoconti dei giornali, il viaggio in Cina nel 1949, Carbonia e lo sciopero dei 72 giorni del quale fu insieme ai minatori, uno dei principali protagonisti, la morte nel 1964 per finire con la sua produzione letteraria.
Velio Spano verrà eletto il 18 aprile del 1948 senatore della Repubblica nel collegio minerario, ma ciò che legherà indissolubilmente la sua figura alla città di Carbonia sarà determinato da un altro avvenimento storico, l’attentato al segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti (nella foto in un comizio tenuto in piazza Roma, a Carbonia), il 14 luglio del 1948.


A seguito di questo efferato episodio, in tutta Italia si verificarono tumulti, moti di piazza e scontri con le forze dell’ordine, tanto da temere una “ guerra civile” e solo l’invito alla calma da parte di Palmiro Togliatti dal letto dell’ospedale fu decisivo per la loro cessazione; in questo stato di cose Carbonia non costituì un eccezione e bisogna ricordare – tenuto conto doverosamente del contesto in cui si svolsero – che, purtroppo, avvennero anche fatti di degenerazione esecrabili, mi riferisco in particolare alla vicenda dell’aggressione di Fiorito a Bacu Abis nonché a episodi di disordini scoppiati in città.
Tale insieme di circostanze innescò il pretesto per un’azione repressiva della Polizia guidata dal commissario Antonio Pirrone – un passato da fascista e Repubblichino – che culminò con la decapitazione del gruppo dirigente amministrativo, politico e sindacale della città di Carbonia.
Furono spiccati, infatti, mandati di cattura per Renato Mistroni (nella foto in occasione del 50° della città di Carbonia) primo sindaco della città, per Antonio Selliti segretario della Camera del lavoro, che riuscirono ad espatriare in Cecoslovacchia e per Silvio Lecca rappresentante del Partito Sardo d’Azione.

Sono questi anni che verranno ricordati in tutto il paese per l’azione di repressione del movimento operaio e sindacale da parte della Polizia del ministro degli Interni guidata da Mario Scelba.
E’ in questa temperie che Velio Spano che nella sua qualità di senatore della Repubblica godeva dello status dell’immunità parlamentare, viene chiamato a ricoprire l’incarico di segretario della Camera del lavoro e del movimento dei minatori di Carbonia.
Le cronache dei giornali dell’epoca sono utili a ricostruire il clima poliziesco nel quale si operava, già a settembre del 1948 il predetto commissario Antonio Pirrone disperdeva con l’uso della forza pubblica un comizio di Velio Spano e tratteneva arbitrariamente lo stesso, in uno stato di fermo per diverse ore, prima negli uffici del Comune e successivamente dell’Albergo Centrale, vicenda che si concluse con l’intervento di un ufficiale dei carabinieri pienamente consapevole dell’abuso del commissario Antonio Pirrone.
Analoga vicenda si manifestò in occasione di un comizio nel settembre del 1949, questa volta protagonista Nadia Gallico Spano anch’ella parlamentare, circostanza descritta fedelmente nell’edizione sarda dell’Unità del 2 settembre. Ne conseguì anche in questo caso una denuncia alla magistratura per abuso e violazione dei compiti di istituto disciplinati dalla legge e a fine anno del 1949 il commissario Antonio Pirrone concluse la sua esperienza in città e venne opportunamente trasferito da Carbonia a Messina.
Negli anni del primo dopoguerra quindi, Velio Spano con l’elezione a segretario regionale assume in Sardegna un ruolo fondamentale nella direzione del Partito Comunista e nella battaglia per l’Autonomia alla quale imprime una svolta decisiva Palmiro Togliatti nel 1947 con lo storico discorso alle Manifatture Tabacchi alla conferenza dei comunisti sardi. E’ in questo contesto che Velio Spano già affermato dirigente nazionale, diviene insieme a Renzo Laconi (nella foto), il principale interprete nella costruzione del partito nuovo e di una nuova cultura autonomistica in Sardegna.


Mi pare significativo, a questo proposito, richiamare un giudizio esterno relativo a quegli anni, contenuto in un libro a cura di Eugenia Tognotti “Americani comunisti e zanzare”. Nello specifico si tratta di una relazione datata 7 gennaio 1949 (siamo a meno di un mese dalla conclusione dello sciopero dei 72 giorni) commissionata dalla Fondazione Rockfeller che realizzava attraverso l’Erlaas la lotta antimalarica in Sardegna, dalla quale emerge un giudizio su Spano abbastanza lusinghiero considerando che, lo stesso documento con molta probabilità fu redatto da agenti dell’Intelligence USA, del quale riassumo un breve stralcio e del quale segnalo un’imprecisione, Spano non fu mai in Russia in quel periodo: «Ad un certo punto ci fu anche un movimento in favore di un partito comunista sardo separato dal PCI nazionale. Questa situazione venne presto corretta da Velio Spano (alias Paolo Tedeschi) che durante il suo esilio dall’Italia si era impegnato in un’intensa attività politica e di reclutamento nell’Europa Occidentale in Russia e nel Nord Africa. Rapidamente e con grande energia costruì un’organizzazione efficiente, eliminando ogni tendenza alla deviazione o al separatismo. Di conseguenza il PCI in Sardegna è particolarmente sensibile ad ogni accenno di autonomia ed è rigidamente controllato dal quartier generale del partito. Velio Spano che è un sardo del sud di origine medio-borghese, ha una visione molto lucida dello scenario politico sardo: negli anni cruciali del 1945/46 che videro la rapida espansione del comunismo in tutta Italia, il partito in Sardegna ha fatto dei rapidi progressi sotto la sua direzione, specialmente nel Sulcis, dove la politica di infiltrazione in posizioni di prestigio nei sindacati dei minatori, è stata particolarmente efficace».
Potrebbe apparire singolare un’attenzione così interessata da parte americana verso la sinistra e i comunisti, ma dalla lettura di documenti declassificati di recente, provenienti dal National Archives di Washington, provano l’attenzione alle vicende del bacino minerario di Carbonia e Iglesias ebbe inizio fin dal settembre del 1943 dopo l’armistizio e proseguì ininterrottamente nel tempo.
Spano si afferma quindi come una personalità di grande spessore politico ed intellettuale ed è dotato di un carisma riconosciuto nella sua organizzazione politica, tra i minatori, ma lo è altrettanto dai suoi avversari che ne hanno timore e rispetto, c’è tra le altre una vicenda che mi piace ricordare, riguarda il contraddittorio tra Padre Lombardi (noto alle cronache dei tempi come il Microfono di Dio) e Velio Spano.
Il confronto venne ospitato a Cagliari il 4 dicembre del 1948 presso il Cinema di Sant’Eulalia, all’esterno però furono piazzati degli altoparlanti che consentirono a migliaia di persone di assistere alla tenzone con le inevitabili tifoserie. Questa vicenda ebbe una grande risonanza anche nelle cronache del tempo, in Sardegna giunsero inviati di giornali stranieri oltre alle principali testate italiane, ma a noi arriva anche attraverso il racconto letterario: c’è un capitolo del romanzo di Giulio Angioni l’Oro di Fraus che lo celebra e una in poesia in “limba sarda” attraverso una riduzione riassuntiva a cura di Pietro Soru dal titolo evocativo: Roma o Mosca? eseguito secondo la struttura metrica della quartina che, in questo caso, sostituisce quella più tradizionale dell’ottava che, a quei tempi, era una forma di espressione molto praticata nella tradizione orale della poesia sarda.
Questo episodio avviene nel mezzo dello sciopero della non collaborazione dei 72 giorni dei minatori di Carbonia, una lotta importantissima per la sopravvivenza della città, che si concluderà vittoriosamente il 18 dicembre del 1948 a distanza di soli 10 anni dalla sua fondazione.
Per tanti questa data, il 18 dicembre del 1948 è stata concepita come un nuovo inizio, una sorta di rifondazione della città, è un’espressione che ho avuto modo di ascoltare da diversi protagonisti di quella lotta, alcuni dei quali sono stati discepoli di Velio Spano: da Pietro Cocco, Antonio Puggioni, Antonio Saba per citare alcuni dei più noti; Tore Cherchi nel suo libro “Città Industriale e Post Industriale” riassume efficacemente questo concetto: «Due date, il 18 dicembre del 1938 e il 18 dicembre del 1948, fra loro distanti esattamente 10 anni, segnano il primo periodo di storia della città. La prima è l’inaugurazione della città intesa come spazio costruito, l’urbs appunto. La seconda potrebbe essere considerata come conclusiva del progressivo divenire degli immigrati, infine furono cittadini e cittadine per atto di volontà individuale e collettiva, cives non solo per condizione giuridica. Il 18 dicembre del 1948 mostra plasticamente che la civitas è formata.»
Le cronache sui quotidiani del tempo, ricostruiscono con molto realismo la complessità e la drammaticità di quella lotta – compresa la dialettica interna alla CGIL – che mi pare non sia esagerato affermare, assunse una forma epica e così è giunta sino a noi; su tutte ho il piacere di segnalare la prima pagina dell’Unione Sarda del 17 dicembre del 1948 a firma di un giovane cronista di allora Peppino Fiori, che abbiamo poi conosciuto come un affermato giornalista televisivo, scrittore di successo e, infine, senatore della Repubblica eletto come indipendente nella liste del PCI.
La conclusione vittoriosa di quella lotta fu per i cittadini di Carbonia uno spartiacque, anche se le vicende successive degli anni ’50 riproposero nuovi problemi e nuovi dolori, licenziamenti e conseguente emigrazione nel nord Italia e verso le miniere della Francia, Belgio e Germania.
L’impegno istituzionale di Velio Spano in Senato per la Rinascita, il Bacino minerario, rimase costante sino alla data della sua scomparsa, ma occorre dire che l’attenzione per la sorte della città di Carbonia fu un suo continuo cruccio, su questo punto suggerisco in particolare la lettura di un suo discorso al Senato della Repubblica nella seduta del 12 ottobre del 1953, nella quale conclude il suo appassionato intervento con un’esortazione: «Salviamo Carbonia».
Credo che la decisione di ricordarlo a sessant’anni dalla sua scomparsa sia un gesto importante che assume un valore di testimonianza e insieme di gratitudine per il suo impegno politico coerente, per una militanza intesa come servizio e per un’intera vita spesa per affermare i valori di democrazia e di libertà!

Antonangelo Casula

 

Ampia partecipazione stamane in piazza Roma, a Carbonia, per le celebrazioni del 25 aprile, 78° anniversario della Liberazione dal nazifascismo (1945-2023).
Alla cerimonia, organizzata dall’assessorato agli Affari Generali nella persona di Katia Puddu e dal comandante della Polizia locale Andrea Usai, hanno preso parte tanti nostri concittadini, le autorità civili, militari, religiose, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’Arma con i labari e il gonfalone della città di Carbonia.
Grande emozione al momento dell’inno nazionale, mirabilmente suonato dalla Banda Vincenzo Bellini di Carbonia. A seguire, la deposizione della corona d’alloro presso la targa dedicata ai caduti della Liberazione d’Italia, da parte del Corpo infermiere volontarie “crocerossine”.
Nel corso della mattinata, si sono tenute le allocuzioni di Riccardo Pietro Cardia (presidente della Sezione ANPI Carbonia), di Mauro Pistis (componente del direttivo regionale FIAP con competenza nel Sulcis Iglesiente).
Per l’Amministrazione comunale sono intervenuti il presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel con un toccante e accorato discorso in cui ha messo in luce i valori trasmessi dall’esperienza del 25 aprile, che costituiscono i pilastri alla base della sua educazione familiare e del suo impegno politico-amministrativo, il sindaco Pietro Morittu, che nella sua oratoria ha citato Papa Francesco, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella,  il già presidente della Repubblica nonché partigiano Sandro Pertini, Piero Calamandrei, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il sindaco ha rilanciato un appello per la pace e per la fine del conflitto russo-ucraino.

 

«Questa è una giornata incisa nella memoria collettiva. E’ la festa dell’Europa ed è anche la giornata dell’uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato. Importante dirlo perché era un giovane giornalista e proprio in questi giorni tanti giovani giornalisti stanno morendo in luoghi di guerra. Ricordiamolo anche perché in molte nazioni non c’è la libertà di stampa, siamo un Paese sconquassato ma possiamo dirci le cose che non vanno: questa è l’Italia.»

Lo ha detto oggi, a Carbonia, la presidente della commissione Lavoro della Camera Romina Mura (Pd) intervenendo alla tavola rotonda “L’Europa tra Istituzioni e Giovani”, promossa ed introdotta dal sindaco Pietro Morittu, cui hanno partecipato fra gli altri il presidente Anci Sardegna Emiliano Deiana ed Alberto Zonchello per l’assessorato regionale della Pubblica istruzione.

«Sono stati i giovani di allora a dare vita al sogno europeoha spiegato la parlamentare del partito democratico -. Ci sono generazioni che hanno elaborato il sogno europeo, quella Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e anche Emilio Lussu, ci sono le generazioni che hanno lavorato per l’UE costruendo passaggi fondamentali, e oggi i giovani danno per scontato essere europei e vivere in pace”, anche grazie al “programma Erasmus, con cui da 35 anni milioni di giovani di oggi si spostano e prendono l’abitudine a ragionare per parametri europei.»

Ricordando l’evento conclusivo della Conferenza sul futuro dell’Europa che si tiene oggi al Parlamento europeo di Strasburgo, Romina Mura ha richiamato «il salario minimo, perché la sfida è anche creare lavoro di qualità, far sì che i giovani che iniziano a lavorare non siano considerati come risorse umane da sfruttare ma risorse umane su cui investire».

Nelle foto: l’on. Romina Mura al tavolo dei relatori del convegno e, con il sindaco di Carbonia Pietro Morittu e l’assessore comunale alla pubblica istruzione Antonietta Melas, all’inaugurazione della Panchina europea intitolata al presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

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Una delegazione del Comitato promotore per l’Insularità, guidata dal presidente Roberto Frongia, ha tenuto stamane una conferenza stampa ad Olbia, per fare il punto sulle iniziative messe in campo.

«Dopo un percorso che da un paio di anni riguarda migliaia di cittadini e di cittadine della Sardegna, nel mese di settembre depositeremo le firme per la proposta di legge sull’insularità – si legge in una nota -. Al di là di disquisizioni e di distinguo da parte di alcuni non vi è più alcun dubbio che l’idea di un riconoscimento costituzionale è la strada necessaria per ottenere pari diritti e pari opportunità. Ogni altra soluzione riconferma uno stato di minorità e di sottosviluppo. Abbiamo consapevolezza, infatti, che l’intervento pubblico in Sardegna, quello a pioggia sempre più attraversato dal risentimento e dall’insoddisfazione, ha minato i fondamentali della cultura di intrapresa produttiva e della responsabilità, rafforzando il clientelismo e la dipendenza dagli aiuti statali e dal ceto politico. Per queste ragioni, oggi, i sardi non chiedono maggiore assistenza pubblica, piuttosto il riconoscimento del “principio di insularità” nella Costituzione Italiana come condizione irrinunciabile ed equa di un pari diritto di cittadinanza attraverso infrastrutturazioni, materiale e immateriale, che offrano, appunto, “pari opportunità” di partenza per tutti e valorizzi le risorse umane ed economiche di cui l’Isola dispone.»

Diversi studi evidenziano tra le altre dimensioni che «in termini monetari, il tempo di percorrenza addizionale necessario per raggiungere il continente via mare costa – rispetto al trasporto via terra – oltre 660 milioni di euro ogni anno per il trasporto passeggeri e merci, compreso del disagio rappresentato dai tempi d’attesa e dai cambiamenti nella frequenza del servizio». Questo solo dato offre la misura della disparità di opportunità tra i cittadini e le imprese sarde rispetto al resto d’Italia e dell’Europa. Ecco perché è arrivato il tempo di un nuovo racconto della Sardegna e sulla Sardegna per riscrivere lo Statuto Sardo con un rapporto dialettico con lo stato centrale e con l’Europa che ponga immediatamente le basi per un futuro che ci emancipi da uno stato di gregarietà ancora una volta stigmatizzato dall’essere ritornati nell’Obiettivo 1.

Immediatamente inizieranno due nuove sfide: verso l’Europa e per la riscrittura della Statuto Sardo.

A 70 anni dal Congresso dell’Aia, premessa per attuare il Manifesto di Ventotene e fondare uno stato federale europeo, e a 60 dal Trattato di Roma che fece dell’Unione europea una praticabile traiettoria, oggi ci interroghiamo se il sogno di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli sia stato una chimera o non invece una pratica che quotidianamente riconosca pari diritti, pari doveri e pari opportunità per tutti i cittadini a qualsiasi nazione, religione, sesso appartengano.  

Nei giorni in cui ricordiamo i martiri di Marcinelle che furono sacrificati ad una visione in cui i diritti civili e sociali erano di là a venire e l’integrazione non era una condivisione di valori ma sottostare a quelli del più forte economicamente, il Comitato dell’insularità in Costituzione interpella le istituzioni sarde, nazionali, europee per verificare se le condizioni ostative per avere pari opportunità anche nelle situazioni geografiche insulari, ivi compresa la Sardegna, siano state superate. 

I padri fondatori ben sapevano quanto le situazioni di partenza erano disomogenee. D’altronde erano state le ragioni dei continui conflitti che per oltre mille anni hanno insanguinato l’Europa e lasciato sul campo milioni di persone. La pace che, per la prima volta nella storia, da oltre 70 anni godiamo in tutti i paesi europei, deve essere riconosciuta come un valore fondante e non surrogabile. Con essa deve diventare effettivamente fondante il riconoscimento di pari responsabilità ma anche di pari benefici in qualsiasi parte dei paesi membri capiti di nascere; superando definitivamente le discriminazioni che permangono e che riguardano tuttora anche la Sardegna.

«È necessario inserire il principio di insularità nella costituzione per poter rendere effettivi i diritti riconosciuti dal trattato di funzionamento dell’Unione europea per le Isole – ha detto Stefano Maullu, europarlamentare di Forza Italia -. Non solo proseguiremo la raccolta delle firme, ma chiederò al vice presidente del Consiglio, on. Matteo Salvini, di firmare la proposta di legge, alla luce delle sue odierne sollecitazioni sul cattivo uso della nostra autonomia e nell’ambito di una leale collaborazione.»

«Oggi consegniamo simbolicamente 1.000 firme raccolte in Lombardia. Nelle prossime settimane – ha concluso Stefano Maullu – proseguiremo la raccolta con due iniziative importanti a Torino e Milano.»

Alla conferenza stampa, tenutasi ad Olbia questa mattina, sono intervenuti Roberto Frongia, presidente del Comitato; Stefano Maullu, europarlamentare di Forza Italia; Maria Antonietta Mongiu, presidente del FAI Sardegna; Michele Cossa, consigliere regionale dei Riformatori sardi; Giovanni Pileri; Francesco Lai, sindaco di Loiri; Andrea Nieddu, sindaco di Berchidda; Antonio Satta, sindaco di Padru; Alessandro Sini consigliere comunale di Oschiri; Anna Paola Isoni consigliere comunale di Tempio Pausania; Matteo Sanna, ex consigliere regionale.

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«Nonostante  le gravi difficoltà e i limiti dell’Unione Europea, emersi soprattutto negli anni più recenti,  il rafforzamento politico, in una prospettiva federale, dell’Unione europea non ha alternative, se non negative. Sono infatti regressivi i rigurgiti nazionalisti e esclusivisti emergenti in numerosi Paesi europei, Italia compresa: bisogna contrastarli innanzitutto sul piano culturale.»

E’ questo il messaggio centrale emerso in (circa duecento partecipanti) a Cagliari, coordinata da Lucetta Milani e Tore Cherchi, introdotta da tre intellettuali, Gian Giacomo Ortu, Christian Rossi e Andrea Deffenu e che ha visto un dibattito serrato con 13 interventi dalla platea e significative testimonianze con la presenza come quella di Francesco Pigliaru, presidente della Regione, a dimostrazione che il tema è sentito.

Europeisti e federalisti perché? «Senza l’Europa unita – ha detto Gian Giacomo Ortu – non avremmo avuto il lungo periodo di pace vissuto dal 1945 ad oggi e mai conosciuto prima; non avremmo avuto i grandi  progressi ottenuti nell’affermazione e nella tutela dei diritti fondamentali e la formazione di una identità transnazionale permeata di valori umanistici e solidali». A Christian Rossi, storico delle Relazioni Internazionali, è toccato il compito di analizzare la crisi politica in atto, originata da spinte egoiste di taluni Stati e ad Andrea Deffenu argomentare perché l’unione politica e federale sia la strada per superare la crisi e dare una risposta europea, la sola realmente efficace, ai problemi del presente.

“Europa dove vai?” si è chiesto don Ettore Cannavera, indignato per la situazione drammatica dei migranti alla deriva nel Mediterraneo. Un tema, quello delle migrazioni, che è ritornato negli interventi di Giulio Calvisi e della deputata Romina Mura. La politica di cooperazione nord-sud in alternativa ai nuovi muri è la strada indicata da Cristina Zuddas che di cooperazione transfrontaliera si occupa professionalmente e dall’avvocato Patrizio Rovelli. Giulio Lai, Erasmus alle spalle, testimonia lo spirito europeo dei giovani di oggi. Mauro Sarzi illustra un suo lavoro artistico ispirato ad Ernesto Rossi, coautore con Altiero Spinelli del Manifesto di Ventotene. Del linguaggio internazionale dell’arte parla Angelo Liberati. Mauro Pistis ha rivendicato una riforma elettorale che garantisca la  rappresentanza sarda nel Parlamento europeo. Remo Sizza, Benedetto Barranu, Luca Pizzuto ed il segretario della CGIL, Michele Carrus hanno rilanciato la necessità di un profondo cambio della politica economica e di welfare per fare fronte alla disoccupazione ed alle diseguaglianze crescenti: rivendicano un’Europa con un’anima sociale, attenta alle persone e non alle agenzie di rating.

Il populismo è alimentato anche dal disagio sociale. L’Unione europea deve porre al primo punto le questioni del lavoro e dell’equità sociale. Non casualmente, il programma federalista del Manifesto di Ventotene che ha ispirato la discussione, ha una forte caratterizzazione anche sociale perché si propone, oltre che la «definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani», anche «l’emancipazione  delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita». Le prossime elezioni europee saranno un referendum sul futuro dell’Europa: o si va avanti o si regredisce pericolosamente. Non stare alla finestra, è l’invito conclusivo dell’assemblea.

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Dopo Ventotene i burattini di Ernesto Rossi fanno tappa a Cagliari, con una mostra spettacolo nel rifugio antiaereo del San Giovanni di Dio. Si inizia domani lunedì 11 dicembre, alle 10.00, con l’inaugurazione del percorso “Il messaggio di Ernesto Rossi e dei suoi burattini per l’Europa”: saranno presenti il Rettore dell’Università di Cagliari Maria Del Zompo, il direttore generale dell’azienda ospedaliero universitaria Giorgio Sorrentino, e Gian Pietro Storari, coordinatore del corso di laurea di Scienze dell’educazione e della formazione.

Uno spettacolo aperto a tutti.  Non solo l’11, ma anche il 12 e il 13 dicembre: la mostra percorso si svolgerà la mattina alle 10,30, e nel pomeriggio, alle 16.00, sempre nel rifugio antiaereo dell’ospedale San Giovanni di Dio. Lo spettacolo, che durerà circa 50 minuti, prevede l’utilizzo di otto pannelli alti due metri e larghi un metro che riproducono le gigantografie di alcune lettere scritte da Rossi durante il confino, alla madre, alla moglie e ai suoi amici più cari: Foa, Bauer, Colorni, Fancello, Mila, Monti, e Spinelli. Nella parte superiore di questi pannelli le immagini dei pupazzi disegnati per eludere la censura e mandare messaggi fuori dal carcere.

Il pubblico, formato da gruppi di 25 persone, verrà accolto da Giulia Sarzi, che nella veste di narratrice racconterà la vita di Ernesto Rossi: ogni volta che verrà citata una lettera, il pannello s’illuminerà ed il personaggio al quale è indirizzata la missiva prenderà vita nel teatro delle ombre grazie al maestro burattinaio Mauro Sarzi. Sono previsti anche degli intervalli in cui i burattini originali di Rossi prendono vita. La mostra spettacolo, curata dalla onlus “Le mani dei Sarzi” e con le musiche originali del jazzista Paolo Fresu, fa parte di un progetto europeo più ampio che vede la partecipazione anche della casa editrice Palabanda, con il libro per ragazzi che verrà pubblicato nel 2018 e dove sarà raccontata la vita di Ernesto Rossi.

Chi era Ernesto Rossi. Democratico ribelle, incarcerato dal fascismo negli anni ’30 e confinato politico nell’isola di Ventotene, fu coautore nel 1941, con Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, del Manifesto di Ventotene, il substrato della futura Unione europea. Fu nel 1915 che scoprì a Bologna il mondo dei burattini e, aiutato da un burattinaio emiliano e da sua madre Elide, costruì una dozzina di burattini e un teatrino, riscoperti poi in un antico negozio di giocattoli di Firenze nel 1917 dallo storico politico Calamandrei che, rendendosi conto della preziosità degli oggetti, li acquistò e restituì alla famiglia. Una passione che compare anche nelle sue lettere inviate alla madre dal carcere e dal confino, che Rossi concludeva con un burattino disegnato accanto alla sua firma. 

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Dopo Ventotene i burattini di Ernesto Rossi fanno tappa a Cagliari, con una mostra spettacolo nel rifugio antiaereo del San Giovanni di Dio. Si inizia l’11 dicembre, alle 10.00, con l’inaugurazione del percorso “Il messaggio di Ernesto Rossi e dei suoi burattini per l’Europa”: saranno presenti il Rettore dell’Università di Cagliari Maria Del Zompo, il direttore generale dell’azienda ospedaliero universitaria Giorgio Sorrentino, e Gian Pietro Storari, coordinatore del corso di laurea di Scienze dell’educazione e della formazione.

Uno spettacolo aperto a tutti.  Non solo l’11, ma anche il 12 e il 13 dicembre: la mostra percorso si svolgerà la mattina alle 10,30, e nel pomeriggio alle 16.00,  sempre nel rifugio antiaereo dell’ospedale San Giovanni di Dio. Lo spettacolo, che durerà circa 50 minuti, prevede l’utilizzo di otto pannelli alti due metri e larghi un metro che riproducono le gigantografie di alcune lettere scritte da Rossi durante il confino, alla madre, alla moglie e ai suoi amici più cari: Foa, Bauer, Colorni, Fancello, Mila, Monti, e Spinelli. Nella parte superiore di questi pannelli le immagini dei pupazzi disegnati per eludere la censura e mandare messaggi fuori dal carcere.

Il pubblico, formato da gruppi di 25 persone, verrà accolto da Giulia Sarzi, che nella veste di narratrice racconterà la vita di Ernesto Rossi: ogni volta che verrà citata una lettera, il panello s’illuminerà ed il personaggio al quale è indirizzata la missiva prenderà vita nel teatro delle ombre grazie al maestro burattinaio Mauro Sarzi. Sono previsti anche degli intervalli in cui i burattini originali di Rossi prendono vita. La mostra spettacolo, curata dalla onlus “Le mani dei Sarzi” e con le musiche originali del jazzista Paolo Fresu, fa parte di un progetto europeo più ampio che vede la partecipazione anche della casa editrice Palabanda, con il libro per ragazzi che verrà pubblicato nel 2018 e dove sarà raccontata la vita di Ernesto Rossi.

Chi era Ernesto Rossi. Democratico ribelle, incarcerato dal fascismo negli anni ’30 e confinato politico nell’isola di Ventotene, fu coautore nel 1941, con Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, del Manifesto di Ventotene, il substrato della futura Unione europea. Fu nel 1915 che scoprì a Bologna il mondo dei burattini e, aiutato da un burattinaio emiliano e da sua madre Elide, costruì una dozzina di burattini e un teatrino, riscoperti poi in un antico negozio di giocattoli di Firenze nel 1917 dallo storico politico Calamandrei che, rendendosi conto della preziosità degli oggetti, li acquistò e restituì alla famiglia. Una passione che compare anche nelle sue lettere inviate alla madre dal carcere e dal confino, che Rossi concludeva con un burattino disegnato accanto alla sua firma.